Claude Lorrain, Didone mostra Cartagine ad Enea |
Didone maledice Enea, soffre la propria morte e presoffre
quella di Cartagine.
Segue il punto di vista della regina che è opposto a quello
di Enea.
Appena sveglia Didone
si accorge dell'abbandono, si infuria e vorrebbe inseguire il fuggiasco per
attaccargli il fuoco che la divora e vederlo ardere come lei: "ferte citi flammas, date tela, impellite
remos! " (v. 594), portate, svelti le fiamme, spiegate le vele, spingete
i remi! Per lei le azioni del Troiano sono tutt'altro che pie: "infelix
Dido, nunc te facta impia tangunt? "
(v. 596), infelice Didone soltanto ora ti colpiscono le scelleratezze? domanda
a se stessa.
Quindi torna la
denuncia della perfidia: "En dextra
fidesque! " (v. 597), ecco la fedeltà dell'impegno!
C'è anche il rimpianto di non avere usato il suo fuoco
marziale per provocare una conflagrazione risolutiva : "faces in castra tulissem/implessemque[1] foros flammis[2] natumque patremque/cum genere extinxem[3], memet super ipsa dedissem " (vv. 604-606),
avrei potuto portare le fiaccole nell'accampamento, e riempire di fiamme le
corsie delle navi e il figlio e il padre annientare con tutta la razza, e me
stessa avrei potuto gettare sopra l’incendio.
Se non nella vita potevano
essere uniti almeno nella morte.
Segue un'altra preghiera nera, con maledizioni per la cui
attuazione sono chiamate a raccolta potenze celesti e infere.
"Sol, qui
terrarum flammis opera omnia lustras, /tuque harum interpres curarum et conscia
Iuno/nocturnisque triviis ululata per urbes/et Dirae ultrices et di morientis
Elissae/accipite haec meritumque malis advertite numen/et nostras audite preces
" (vv. 607-612), Sole che con le tue fiamme rischiari tutte le opere della
terra, e tu Giunone, autrice e conscia di queste pene, ed Ecate, invocata a ululati
nei trivi notturni per le città e voi Furie vendicatrici e tutti gli dèi di
Elissa morente, accogliete queste maledizioni, volgete la vostra potenza
meritata contro i malvagi e ascoltate le mie preghiere-"l'interpres
altro non è se non colui che stabilisce un "prezzo" (-pres)
"fra" (inter-) due parti"[4].
Il prezzo qui è molto alto: è la vita di Didone.
Sol: il sole come divinità suprema che vede tutto è
un tovpo" della letteratura
greca che prosegue in quella europea[5].
-Iuno: è stata la dea pronuba che, subito dopo la Tellus , ha dato, con le folgori, il
segnale delle " nozze" nella spelunca (vv. 165 sgg. ). -conscia: Giunone è, come le stelle[6].
al corrente del fato di Elissa. -ululata: il verbo intransitivo è
insolitamente usato con diatesi passiva. L'ululato fa parte dei rumori
infernali: "visaeque canes ululare per umbram", si videro
cagne ululare nell'ombra, si legge nel VI canto (v. 257) quando Enea si
appresta al descensus Averno (v. 126). -Dirae ultrices: sono le
Furie infernali (cfr. v. 473). -Elissae: la pluralità dei nomi di una
donna, soprattutto di una donna importante, fa pensare alla Magna mater dopo
il Prometeo incatenato il quale invoca la madre sua, la matriarca
primordiale come "Qevmi"-kai;
Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva" (vv. 209 -210), Temide e Gea,
una sola forma di molti nomi. La Grande Madre dunque viene chiamata in vari
modi: tale doveva essere in origine anche Giocasta la moglie-madre di Edipo che
Omero menziona quale "kalh;n jEpikavsthn"[7].
Pure in alcune opere di Pirandello la donna compare binominata: nella commedia Ma non è
una cosa seria (del 1918) per esempio, la protagonista è una sola donna di
due nomi: Gasparina e Gasparotta. Altrettanto Evelina Morli[8]
che viene chiamata "Eva" dal marito Ferrante Morli, e "Lina"
dall'amante Lello Carpani.
Se questo da una
parte può significare la lacerazione della donna e la divisione dei suoi
affetti, dall'altra rimanda alla magna mater :
pollw'n ojnomavtwn morfh; miva appunto.
G. De Sanctis riferisce la leggenda di Elissa elaborata da
Timeo. [9]
Sentiamone i tratti
essenziali: "Il re di Tiro Muttone
aveva lasciato morendo due figli, Pigmalione che gli succedette nel regno, ed
Elissa, vergine d'insigne bellezza che andò sposa allo zio Sicherba (Sicheo), sacerdote
di Eracle, possessore di ricchezze favolose. Avido di queste, Pigmalione mette
a morte Sicherba, ma non gli vien fatto d'impadronirsi de' suoi tesori
accuratamente nascosti. Ed Elissa, ingannato il re mediante l'astuzia, riesce
ad imbarcarsi con rematori e popolo, recando seco i "sacra"
d'Eracle del marito e le sue ricchezze. Approdata in Cipro, prende in sua
compagnia la sacerdotessa di Giunone con la famiglia e rapisce ottanta di
quelle vergini che secondo un vecchio uso cipriota erano scese sulla sponda del
mare per ottemperare prima delle nozze al rito della prostituzione sacra. Poi
giunta in Africa ottiene dagli indigeni, guadagnati con la lustra di scambi
commerciali all'amicizia degli emigranti, il dono di tanto terreno quanto
potesse coprirsene con una pelle bovina; e tagliando la pelle in minutissime
liste, acquista con tale artifizio quel luogo cui rimase il nome di Byrsa, che
in greco significa appunto pelle…Frattanto Iarba, re d'una vicina tribù libica,
chiede con minaccia di guerra la mano d'Elissa. E la regina, vedendo di non
poterne schivare le nozze, dopo avere invocato ripetutamente i mani di Sicherba
e offerto copiosi sacrifizi funebri, fatta erigere col pretesto di questi
sacrifizi una pira innanzi alla sua reggia, vi si precipita e muore tra le
fiamme, ovvero vi sale e si uccide con la spada. Dopo di che essa, che per le
sue peregrinazioni ebbe il nome di Didone, venne onorata, mentre Cartagine fu
libera, come dea[10].
E' questa leggenda ricca
d'elementi greci. Il nome della rocca di Cartagine Byrsa vuol dire, sembra, fortezza,
oppidum; certo nulla ha a fare col significato della parola greca byrsa;
e il racconto che muove da quel significato non è se un mito etimologico
ellenico. E mito etiologico d'origine greca sembra pur quello che collega la
prostituzione sacra di Cartagine col rito affine di Cipro…E v' ha pure
contaminazione evidente nella morte di spada d'Elissa: dove alla morte
sacrificale per fuoco si sovrappone una forma, più comune e più conforme al
sentimento greco, di suicidio. Più antico peraltro e più istruttivo è il
rimanente della leggenda: la persona anzitutto d'Elissa, 'Allisat', la
"Gioconda", che sembra una ipostasi della dea di Cartagine, Tanit[11]…l'intervento
di Iarba, forse una divinità libica; il pianto di Elissa pel marito, in cui
certo si rispecchia, come nel pianto d'Iside per Osiride o d'Afrodite per Adone,
la triste e desolata vedovanza della natura nell'atto che le muoiano in seno
durante il verno i germi vitali…Poi la lunga rivalità con Roma indusse nella
leggenda, trasformandola, nuova vita"[12].
La leggenda, continua De Sanctis, si arricchì della storia d'amore di Enea e
Didone, un "romanzo d'amore immaginato genialmente da un poeta guerriero[13]
che di sugli esemplari alessandrini aveva appreso a pregiare la novella erotica
e a vivificare d'intuizioni umane il mito, e dalle battaglie, cui aveva
partecipato, della prima punica attingeva, non l'odio feroce per Cartagine che
ispirarono alle generazioni più giovani le vicende della seconda, ma la fede
nei destini di Roma e il rispetto cavalleresco per la sua degna rivale…E le
tracce di Nevio seguì poi, rivestendo la nuova favola d'alta poesia, Vergilio; se pure all'abbandono di Elissa per parte
d' Enea non seppe neanch'egli trovare una motivazione così umana e chiara come
quella che trova Omero dell'abbandono di Calipso e di Circe per parte d'Odisseo.
Omero gli aveva fornito lo
spunto cantando, d'Odisseo, l'incontro con le dee amorose e lusinghiere e gli
aveva insegnato a sovrapporre l'intervento divino liberatore, che compie e che
risolve, alle contingenze e alle passioni umane, da cui rampolla per forza
intrinseca la catastrofe. Ma non riuscì Virgilio di sostituire con passioni
altrettanto umane e vive l'amore alla patria, il ricordo della famiglia, il
sentimento del dovere verso i compagni, per cui Odisseo aveva già vinto
virtualmente le lusinghe delle due dee incantatrici quando ne conseguì
dall'aiuto degli dèi la vittoria attuale. Il mero capriccio del destino
costringe Enea ad abbandonare la terra dove aveva trovato ospitalità ed amore, e
a quel capriccio l'eroe sacrifica con fredda spietatezza i suoi sentimenti. Gli
è che la figura d'Enea, diventata troppo ieratica e rigida
nell'entrare tra le figure schematiche della
leggenda romana, non comportava quei contrasti di passioni che, dando alla luce
uno sfondo cupo d'ombra, giustificano ad esempio in Euripide, artisticamente se non moralmente, il
ripudio di Medea per parte di Iasone. Ma in Elissa invece il poeta gentile che
aveva formato il gusto sulla letteratura erotica ellenistica…foggiò una
immagine viva di donna innamorata e dimentica, per l'amore, di ogni cosa; assai,
appunto per questo, lontana dalle maliarde omeriche, il cui segreto spirituale
di dee è impenetrabile ad occhio umano, e non degna, per questo, d'essere tradita
dall'uomo e dal destino. Con ciò, mentre nelle imprecazioni della moritura
Vergilio faceva presentire l'impeto e l'odio di Annibale e nella tragica sorte
di lei quella della sua città, era artisticamente giustificato il suicidio di
Didone che il mito narrava e il mito stesso, delineato con una delicatezza di
sentimento pari alla finezza della espressione, si trasformava in un dramma in
un dramma immortale d'amore e di morte, in cui era adombrato il dramma della
lotta tra Roma e Cartagine"[14].
La regina prega le divinità infernali di rivolgere prima o
poi la loro potenza contro quell'infandum
caput (v. 613) quella testa esecranda, abominevole.
La testa significa l'acropoli della persona: un'immagine coniata
da Platone[15],
e ripresa da Cicerone nelle Tusculanae
disputationes: "Plato. . . rationem
in capite sicut in arce posuit " (I, 10), Platone collocò la ragione
nel capo come in una rocca.
Didone, alla fine della vita, maledice Enea: gli augura
quanto di peggio può capitare a un uomo: la guerra, la morte prematura e la
mancanza del sepolcro in mezzo alla sabbia: "sed cadat ante diem
mediaque inhumatus harena " (v. 620).
Vengono prefigurate le guerre puniche: la discendenza di lei
e quella di lui dovranno sempre odiarsi: "nullus amor populis nec foedera sunto " (624), nessun amore né
alleanza ci sia mai tra i due popoli, secondo la disposizione testamentaria
della regina. Il foedus non rispettato dalla perfidia di Enea non
potrà mai rinnovarsi tra i popoli dei quali questi due capi portano la
responsabilità collettiva.
Quindi viene evocata la figura di Annibale: "exoriare [16] aliquis nostris ex ossibus ultor, / qui
face Dardanios ferroque sequare colonos, /nunc, olim, quocumque dabunt se
tempore vires " (vv. 625-627), tu sorgi dalle mie ossa, vendicatore
che segui col fuoco e col ferro i coloni Dardani, ora, in avvenire, in
qualunque momento si offriranno le forze.
Questa donna fallita in amore, nel momento di morire, auspica
la grande guerra antiromana di quello che sarà il più nobile fallito del mondo
antico, secondo una definizione di G. De Sanctis. Quindi, sempre nell'auspicio
di Didone, "la lotta mortale si amplia in un quadro grandioso, che
coinvolge gli uomini, la storia, la natura. Il quadro è solennemente
semplificato dalla concisione espressiva, di gusto, si direbbe, tacitiano, che
con l'accostamento di ciascun acc. al suo dat. fa risaltare terribilmente la
lotta e il suo carattere implacabile[17]":
" 'Litora litoribus contraria, fluctibus
undas/imprecor, arma armis: pugnent ipsique nepotesque'/Haec ait et partis
animum versabat in omnis, /invisam quaerens quam primum abrumpere lucem" (vv. 628-631), auguro
i lidi contro i lidi, le onde contro i flutti, le armi contro le armi: combattano
loro stessi e i discendenti. Queste parole disse e girava l'animo da tutte le
parti, cercando di spezzare al più presto la luce odiosa.
Il verso 629 è
ipermetro"l'ultima sillaba, -que
, è in più e si elide con la prima del verso seguente, haec. Giustamente gli interpreti hanno cercato una funzione espressiva
nella eccezionalità metrica. Con più finezza di tutti il Pascoli sente che il
verso "esprime il traboccare e qualche cosa che non ha fine". . . La
guerra continua in un futuro infinito, infinito come l'odio prorompente, traboccante
della regina"[18].
-partis…in omnis=partes…in omnes.
- abrumpere lucem: è possibile ravvisare in questo
suicidio l'antitesi della morte cercata dall'uomo dotato di grandezza eroica
("ta; hJrwika; megevqh")
che l'Anonimo Sul Sublime (IX, 10)
individua nell'Iliade riportando una preghiera
di Aiace il quale chiede a Zeus di morire nella luce per vedere ed essere visto
mentre compie qualche nobile impresa:
"Zeu' pavter
(fhsivn), ajlla; su; jJJru'sai uJp'
hjevro" ui'Ja" jAcaiw'n, -poivhson d' ai[qrhn, do;" d'
ojfqalmoi'sin ijdevsqai: -ejn de; favei kai; o[lesson"(Iliade , XVII, 645-647), Zeus padre
(dice), libera dalla caligine i figli degli Achei, fai il sereno, concedi agli
occhi di vedere: poi nella luce annientaci pure. Aiace, commenta l'Anonimo, nella
luce cerca una possibilità di impiegare il suo valore per trovare in ogni modo
un sudario degno della sua virtù ("wJ" pavntw" th'" ajreth'"
euJrhvswn ejntavfion a[xion", IX, 10) e morire kalw'" nobilmente.
Anche negli Annales di
Ennio[19]
c'è un combattente che muore cercando la luce con gli occhi: "Oscitat in campis caput a cervice revulsum, /semianimesque
micant oculi lucemque requirunt " (vv. 483-484 Skutsch) apre la bocca
nei campi la testa staccata dal collo, e semivivi brillano gli occhi cercando
la luce.
Del resto non solo gli occhi dell'eroe o del milite gregario,
ma quelli dell'uomo che non butta via la vita "cercan morendo-il Sole[20]";
così il moribondo di Foscolo; così Osvald che alla fine degli Spettri[21] di Ibsen[22]
invoca il sole che significa gioia di vivere e possibilità di lavorare[23],
mentre nella sua assenza pullulano i fantasmi, le menzogne[24]
e i mostri, come nel caos primordiale: "Ah mamma, non dirmi di no, non
puoi dirmi di no, sii buona, non devi mai dirmi di no, capisci, devo pur avere
qualcosa[25]
che mi aiuti a mandar giù questi pensieri che mi tormentano, a farli sparire (va
nella serra) Dio, com'è buio qui dentro…E poi anche questo tempo, questa
pioggia che non finisce mai, che è capace di andare avanti per settimane, per
mesi…un raggio di sole uno se lo può sognare, che dico, tutte le volte che sono
venuto qui a casa non ricordo mai d'aver visto un raggio di sole, neanche
uno…"[26].
"La luce è la
più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto ciò ch'è buono e
salutare. In tutte le religioni indica la eterna salvezza, mentre l'oscurità
indica dannazione"[27].
Infatti all'inizio delle Metamorfosi Ovidio mette in rilievo che durante
l'epoca del Caos l'aria mancava di luce e le cose non avevano aspetto stabile: "lucis
egens aër: nulli sua forma manebat " (I, v. 17).
[1]
Forma sincopata di implevissemque. E', come i due seguenti, un
congiuntivo irreale.
[2]Si noti il nesso allitterante
[3]Forma sincopata di extinxissem .
[4]
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 200, p. 15.
[5] Nel mio commento all'Antigone (Loffredo, Napoli 2001) di
Sofocle ho fatto una scheda che raccoglie le testimonianze degli echi letterari
di questo culto solare .
[6]
Cfr. conscia fati/ sidera,
vv. 519-520.
[9]
Storiografo greco (IV-III sec. a. C. ). Nacque in Sicilia ma si rifugiò ad
Atene a causa del tiranno Agatocle di Siracusa. Scrisse Storie in 38
libri dalle origini della storia siciliana ad Agatocle (289 a. C. ). Rimangono
pochi frammenti in gran parte tramandati da Polibio che del resto polemizza
implacabilmente con lui.
[10]
Tim. fr. 23. Iustin. XVIII 4-6.
[11]
Meno sicura è l'interpretazione del nome Didone, che, probabilmente per
equivoco, Servio spiega come virago (Aen. IV, 36, 674) e forse
solo a causa dei sacrifizi umani in uso a Cartagine e altri scrittori tardi con
ajndrofovno". Planh'ti" (l'errante) invece interpreta l'
Etym. Magnum s. v. attenendosi a Timeo.
[12]
G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III parte prima, pp. 21-22.
[13]
L'incontro di Enea e Didone era già nel Bellum Poenicum di Nevio
(270ca-201ca a. C. ). Il Bellum poenicum in saturni canta la prima
guerra punica. Non mancano digressioni sul passato, anche mitico, di Roma e
sulle vicende che portarono alla sua fondazione.
[14]
G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III parte prima, pp. 23-24.
[15] Cfr. Timeo 70 b, Repubblica 560b
[16]=exoriaris : forma arcaica della seconda persona del congiuntivo
presente, come sequare =sequaris .
[17]A. La Penna-C. Grassi, op. cit. ,
p. 499.
[18]A. La Penna-C. Grassi, op. cit. ,
p. 499.
[19]
239-169 a. C.
[20]Foscolo, Dei Sepolcri , vv. 121-122.
[21]
Del 1881.
[22]
1828-1906.
[23]
Osvald: " E poi non so cosa fare, non riesco a combinare niente, non
parliamo poi di lavorare sul serio…"
Signora Alving: "E perché? Non capisco che cosa
te lo impedisce…"
Osvald: "Ma come vuoi che con questo tempaccio, con
questo buio che non lascia vedere mai un raggio di sole, mai, per tutto il
giorno, come vuoi che io… (va su e giù per la stanza) Ah!, è un tormento non
poter lavorare, credimi, è una tortura…!" (Atto II).
[24]
"e noi tutti viviamo nell'ombra, timorosi della luce, della chiarezza, della
verità" (Atto II) dice la signora Alving, la madre di Osvald , una donna
la cui vita è stata strozzata dal senso del dovere: "Sì, lo so, la legge, l'ordine,
già…talvolta mi pare che tutto il male, tutti i mali del mondo vengano proprio
di lì, dalla vostra legge e dal vostro ordine…" (Atto II) dice al Pastore
Manders che è uomo di ordine e di potere.
[25]
Aveva chiesto "qualcosa da bere". Di alcolico naturalmente.
[26]
Atto II. Cito la traduzione da Ibsen Drammi, Garzanti, Milano, 1976.
[27]A.
Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione , p. 274.
Il vantaggio di essere anaffettivi è non morire per amore.La nostra è una società incapace di amare, si estinguerà per mancanza di sentimenti delle donne e degli uomini che smetteranno di fare figli. Giovanna Tocco
RispondiEliminaDidone non ignara del male ha imparato a soccorrere i miseri. Noi invece discutiamo se dobbiamo o no salvare i naufraghi
RispondiEliminaAlessandro