Angoscioso è il sogno di Enea il quale in ogni caso
obbedisce subito a quell'ombra onirica, senza nemmeno chiedersi da dove venga:
se dal cielo, da se stesso, o dall'inferno:"Sequimur te, sancte deorum, /quisquis
es, imperioque iterum paremus ovantes " (vv. 576-577), seguiamo te, santo
tra gli dèi, chiunque tu sia, e obbediamo di nuovo al tuo comando, festanti. La
formula liturgica sancte deorum , completata da quisquis es (v.
577) derivato dai tragici[1]
e rivolto agli dèi, lascia spazio all'unica interpretazione della provenienza
divina dell'ordine cui dunque bisogna obbedire.
Quanto al participio ovantes , si può accostare a
Georgiche I, 423 (ovantes gutture corvi, i corvi che festeggiano a
squarciagola il ritorno del sole) e inferirne che Didone era diventata noiosa, e
che quindi lasciare tale amante per Enea era una festa. Per quale altro motivo
infatti realisticamente e umanamente si lascia un'amante (e pure un amante)?
Omero senza tante impalcature moralistiche e menzogne
imperiali dice che Odisseo desiderava lasciare Calipso, la quale lo trovò
mentre piangeva, semplicemente poiché questa femmina, umana o divina che fosse,
non gli piaceva più :" e lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti
di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno,
poiché non gli piaceva più la ninfa" (Odissea , V, vv.151-153). E' una
spiegazione più reale e convincente. La storia virgiliana di Didone tuttavia,
secondo Auerbach, è più vicina al gusto moderno:"Nel grande evento mondiale egli
intrecciò, non sempre felicemente nei particolari, ma in complesso in modo
indimenticabile e costitutivo per l'Europa, il primo grande romanzo d'amore
spirituale nella forma fino ad oggi valida: Didone soffre un dolore più profondo
che Calipso, e la sua storia è l'unico brano di grande poesia sentimentale che
il medioevo abbia conosciuto"[2].
Enea viene giustificato da gran parte della critica;
bisogna almeno dire che non è necessario essere come lui : Properzio antepone
dignitosamente l'amore di Cinzia ai vantaggi che potrebbe ricavare dalla
navigazione, e, al contrario dell'eroe virgiliano, non sale sulla nave:"Ah
pereat, si quis lentus amare potest!/An mihi sit tanti doctas cognoscere Athenas,/atque
Asiae veteres cernere divitias,/ut mihi deducta faciat convicia puppi/Cynthia et
insanis ora notet manibus,/osculaque opposito dicat sibi debita vento/et nihil
infido durius esse viro? " (I, 6, 12-18) ah muoia chiunque può essere
insensibile nell'amore! Vale davvero la pena per me conoscere Atene la dotta, e
vedere gli antichi tesori dell'Asia, posto che Cinzia mi lanci invettive salpata
la nave, e segni le gote con mani furenti, e dica al vento nemico che i baci
sono dovuti a lei e che nulla è più duro di un maschio infedele?
Il poeta umbro non si cura della gloria, né dell'impero né
delle armi: egli, semmai, milita nella schiera di Amore:"Non ego sum laudi,
non natus idoneus armis:/hanc me militiam fata subire volunt " (I, 6,
29-30), io non sono nato per la gloria, non sono adatto alle armi: i fati
vogliono che mi sottoponga a questa milizia.
Invece Enea corre a fondare l'impero e fugge a tutto spiano
lontano dalla donna: estrae dal fodero la spada fulminea (vaginaque eripit
ensem /fulmineum , v. 579) e taglia le gomene. Tale ardore che
sostituisce quello amoroso prende contemporaneamente tutti i Troiani i quali
danno di piglio ai remi e fuggono a precipizio"idem omnis[3]
simul ardor habet, rapiuntque ruuntque " (v. 581).
La spada e il fulmine dovrebbero essere simboli erotici se
non addirittura fallici: il grande seduttore Alcibiade si era fatto incidere
sullo scudo Eros fulminatore[4]
invece degli stemmi gentilizi.
Riquadro
Riquadro
Inserisco una scheda su un personaggio che può costituire
l'altra faccia o la parte in ombra del "pio" Enea[5]:
lo "straordinario" Alcibiade, il grande esteta e seduttore, visto in parallelo
con Don Giovanni e con il dandy decadente.
Il grande avventuriero ateniese è inseribile, sostiene
Baudelaire[6], nella breve lista dei
rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è un'istituzione vaga,
bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne
forniscono degli splendidi tipi"[7].
Poco più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è l'ultimo
raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole che tramonta; come
l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia".
Vediamo la malinconica fine di questo prototipo del dandy .
Plutarco racconta che dopo la caduta di Atene (404 a. C.)
Alcibiade ebbe paura dei Lacedemoni che dominavano la Grecia e si recò da
Farnabazo, in Frigia, coltivandone l'amicizia e ricevendone onori:"qerapeuvwn
a{ma kai; timwvmeno""[8].
Cornelio Nepote[9] afferma che Alcibiade con la sua signorilità conquistò Farnabazo a tal punto
che nessuno lo superava nell'intrinsichezza con il satrapo:"quem quidem adeo
sua cepit humanitate, ut eum nemo in amicitia antecederet "[10].
Attraverso
tale humanitas riconosciamo in Alcibiade un altro aspetto del dandy di
Baudelaire:"Che questi uomini si facciano chiamare raffinati, zerbinotti,
bellimbusti, lions o dandys, tutti derivano da una medesima origine; tutti
partecipano del medesimo carattere di opposizione e di rivolta; tutti sono dei
rappresentanti di ciò che vi ha di meglio nell'orgoglio umano, di questo
bisogno, troppo raro presso gli uomini di oggi, di combattere e distruggere la
trivialità"[11].
Andrea
Sperelli del Piacere[12]
di D'Annunzio può trovare un antenato in
Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza:"Il senso estetico aveva
sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e
potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo
equilibrio.... Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza,
conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La
concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse del loro essere
interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[13].
L'esteta dannunziano pensa di sè:"Io sono camaleontico , chimerico, incoerente,
inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna
omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la
volontà della legge"[14].
Plutarco aveva scritto di Alcibiade che per accalappiare le persone era capace
di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra"...tropa;"
tou' camailevonto""),
il quale infatti non è creatura altrettanto versatile in quanto non in grado di
assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale
disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di
non provato:" jAlkibiavdh/ de; dia;
crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h\n ajmivmhton oujd j
ajnepithvdeuton": a Sparta
viveva da sportivo (gumnastikov"),
si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"),
perfino austera (skuqrwpov");
in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"),
gaudente (ejpiterphv"),
indolente (rJav/qumo");
in Tracia si ubriacava (mequstikov")
e andava a cavallo (iJppastikov");
e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto e nel lusso la
magnificenza persiana ("uJperevballen
o[gkw/ kai; poluteleiva th;n
Persikh;n megaloprevpeian"[15]).
Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a
quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote era "temporibus
callidissime serviens "[16]
abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.
Aspetti del
carattere simile a questo e ad altri di Alcibiade, Cicerone attribuisce a
Catilina nell'orazione Pro Caelio[17]
:" Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere
multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire
temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si
opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque huc et
illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum
senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum
libidinosis luxuriose, vivere ". (13). Quei famosi aspetti invero, giudici,
fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con
la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle
circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la
fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento,
modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e
piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali
allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i
criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.
Alcibiade
quindi anticipa Catilina, Sperelli, e anche l'esteta-seduttore di Kierkegaard
, il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della
carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio
della carne"[18]
che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il
momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è
raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola
eternità"[19].
Alcibiade del
resto affascinava anche con la parola quindi rappresenta pure
il seduttore intellettuale, quello intensivo che "si serviva degli individui
soltanto come incitamento per gettarli poi via da sé, così come gli alberi si
scrollano delle foglie: lui ringiovaniva, le foglie appassivano…L'attimo è bello
e nell'attimo la donna è tutto, e di conseguenze io non me ne intendo"[20].
Tali uomini,
don Giovanni e Faust, sono gli erotici. Essi capiscono che la donna è un
inganno degli dèi, comprendono che ella desidera essere sedotta e loro vogliono
godere dell'inganno senza essere ingannati:"Questi erotici sono i felici. Essi
vivono in modo più voluttuoso degli dèi, perché banchettano sempre soltanto con
ciò che è più pregiato dell'ambrosia e bevono ciò che è più soave del nettare.
Essi…mangiano soltanto l'esca, senza essere mai presi. Gli altri uomini
abboccano, nel modo in cui i contadini pranzano con l'insalata di cetrioli, e
sono presi"[21].
Onorato dunque
da Farnabazo per la sua finezza e la sua quasi illimitata capacità di piacere,
Alcibiade al tramonto ha ancora modo di soddisfare la passione massima del dandy
:" una specie di culto di se stesso, che può sopravvivere alla ricerca della
felicità che si trova negli altri, nella donna, per esempio; che può
sopravvivere anche a tutto ciò che si chiama illusione. E' il piacere di
meravigliare e la soddisfazione di non essere mai meravigliati. Un dandy può
essere uno scettico, può essere un uomo sofferente, ma, in quest'ultimo caso,
egli sorriderà come il lacedemone morsicato dalla volpe"[22].
Intanto gli
Ateniesi, oppressi dalla tirannide dei Trenta, capivano, mentre piangevano,
ripensando agli errori commessi e alle proprie follie, la più grande delle quali
consideravano la seconda ira contro Alcibiade ("w|n
megivsthn ejpoiou'nto th;n deutevran pro;" jAlkibiavdhn ojrghvn"[23]).
Allontanandolo di nuovo per una colpa non sua, si erano privati del comandante
migliore, un uomo dissoluto, ma capace e insostituibile come stratego. Qui
viene in mente un altro esteta antico, il Petronio di Tacito che come proconsole
in Bitinia, poi come console "vigentem se ac parem negotiis ostendit "[24],
si rivelò energico e all'altezza dei suoi compiti.
La fiducia
nelle capacità di Alcibiade anzi era tanto forte da lasciare negli Ateniesi una
vaga speranza che la potenza della loro città non sarebbe andata del tutto
perduta fino a quando quell'uomo geniale fosse stato vivo. Già una volta,
pensavano, Alcibiade li aveva aiutati, e se ne avesse avuto le possibilità, lo
avrebbe fatto ancora. Né questo sognare dei più era assurdo ("a[logon"[25]),
se anche i Trenta si preoccupavano di lui e davano la massima importanza a ciò
che egli faceva. I tiranni diretti da Crizia erano i nemici naturali del nostro
esteta, in quanto uomini volgari; una volgarità messa bene in rilievo da Lisia
quando, nell'orazione Contro Eratostene, racconta come Melobio, uno dei
Trenta, appena entrato in casa di Polemarco, strappò gli orecchini d'oro dalle
orecchie di sua moglie ("gunaiko;"
crusou'" eJlikth'ra"...Mhlovbio" ejk tw'n w[twn ejxeivleto"[26]).
Sappiamo da Tucidide che
Alcibiade non faceva a meno del denaro e dei beni materiali, anzi egli aveva
desideri troppo grandi rispetto alle sue ricchezze (VI, 15, 3); ma i miseri
quattrini per lui erano solo un mezzo. Diamo ancora la parola a Baudelaire:" Se
ho parlato del denaro, è perché il denaro è indispensabile a coloro che si fanno
un culto delle loro passioni; ma il dandy non aspira al denaro come a una
cosa essenziale; un credito indefinito gli potrebbe bastare: egli lascia
volentieri questa banale passione agli uomini volgari"[27].
Costoro non si intendono di bellezza che si manifesta attraverso la
semplicità di cui Alcibiade si dimostrò capace quando viveva a Sparta,
primeggiando anche in quella energica, sobria, frugale
eujtevleia che del resto faceva
parte dello stile alto degli Ateniesi come ebbe a dire il Pericle di Tucidide:
in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza. (II,
40, 1).
Anche questo
aspetto della distinzione ateniese, e di Alcibiade, trova una corrispondenza nel
dandy baudelairiano:"il dandismo non è, come molte persone poco riflessive
vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell'eleganza materiale.
Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità
aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di
distinzione , la perfezione della toeletta consiste nella massima
semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi"[28].
Altrettanto
afferma Tacito del suo elegantiae arbiter :" Ac dicta
factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam, praeferentia,
tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur"[29]
le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa
noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Alcibiade
preoccupava Crizia che lo conosceva bene per essere stato suo condiscepolo alla
"scuola" di Socrate, e perciò mise in allarme gli Spartani che pure non ne
ignoravano le capacità.
Sicché
Lisandro, il vincitore della grande guerra fratricida del Peloponneso,
ricevette l'ordine di eliminarlo da parte degli Efori, sia che volessero fare
cosa gradita ad Agide il re spartano del quale Alcibiade aveva ingravidato la
moglie, sia che pure loro ne temessero l'intelligenza e l'attitudine per le cose
grandi:" ei[te kajkeivnwn
fobhqevntwn th;n ojxuvthta kai; megalopragmosuvnhn tou' ajndrov""[30]
.
Il dandy
moderno è antidemocratico ed è visto con sospetto dalla democrazia che tutto
livella:"Ma purtroppo la marea crescente della democrazia, che tutto invade e
tutto pareggia, avvolge nell'oscurità giorno per giorno questi ultimi
rappresentanti dell'orgoglio umano e versa fiotti di oblio sulle tracce di
questi prodigiosi mirmidoni", afferma Baudelaire[31];
e D'Annunzio in Il piacere denuncia "il grigio diluvio democratico
odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente"; un nubifragio sotto
il quale "va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica
nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa
tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte" (p. 38). Alcibiade
fu allontanato due volte dal popolo, che pure lo considerava stratego
straordinario come abbiamo visto, poi venne combattuto dagli oligarchi e
perseguitato dai Trenta tiranni. Agli uomini eccezionali invero nessun potere
è favorevole poiché tutti i governi hanno una componente tirannica e tendono
a livellare le teste secondo il suggerimento di Trasibulo, tiranno di Mileto a
Periandro tiranno di Corinto:" oiJ
uJpetivqeto Qrasuvboulo" tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein "[32],
gli suggeriva di ammazzare quelli che si distinguevano tra i cittadini.
Nemmeno i
personaggi della letteratura sono sempre favorevoli agli uomini
straordinari.
Nelle Baccanti
di Euripide il Coro nel Primo Stasimo canta che Dioniso odia chi non si
prende cura di tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari:'"ajpevcein
prapivda frevna te;;;;;;-perissw'n para; fwtw'n"(vv.427-428).
Nell'Antigone è
Ismene, la sorella dapprima timorosa e sottomessa agli ordini di Creonte ad
affermare:"obbedirò a coloro che sono arrivati al potere. Infatti il/fare
cose straordinarie (to; ga;r perissa;
pravssein) non ha senso, proprio nessuno" (vv. 67-68). Altrettanto
incline alla sottomissione è Crisotemi, la femmina acquiescente, la sorella
sbiadita che dà risalto all'Elettra di Sofocle:"tw'n
kratouvntwn ejsti; pavnt'
ajkousteva" (Elettra, v. 340), bisogna obbedire in tutto a quelli
che comandano.
Tra le espressioni
favorevoli agli uomini straordinari ne riporto una di Seneca:"fuge
multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum…iste homo non est unus e populo,
ad salutem spectat " (epist., 10, 1 e 3), evita la folla, evita la compagnia
di poche persone e anche quella di una sola…questo non è uno dei tanti, mira
alla salvezza dell'anima.
Infine Madame
Bovary detesta la mediocrità del marito in tutte le manifestazioni di lui,
comprese quelle erotiche:"si persuase facilmente che nella passione di Charles
per lei non vi era nulla di eccessivo" ; quindi si ripeteva:"Dio mio, ma perché
mai mi sono sposata?" (p. 36).
Straordinario
fu Alcibiade, e fece paura anche ai suoi stessi compagni di partito:
aveva passioni più grandi di quanto consentissero le sue ricchezze, sia per
l'allevamento dei cavalli, sia per le altre spese, e molti lo temevano per le
sue stravaganze, per la grandezza e l'eccentricità delle sue vedute, ci racconta
Tucidide[33].
D'Annunzio ricorda questa descrizione di antimediocrità quando in Maia
gli pone la domanda:"E qual gioia/ti parve più fiera?", quindi gli attribuisce
la risposta:"La gioia/d'abbattere il limite alzato".
Lisandro
dunque mandò un messaggio a Farnabazo il quale incaricò del misfatto alcuni
parenti suoi. Alcibiade ebbe dei sogni premonitori, ma, lo abbiamo imparato da
Tacito e ancor più dall'esperienza personale, " quae fato manent , quamvis
significata, non vitantur "[34],
ciò che spetta al destino, sebbene rivelato non si evita.
Le versioni
della sua morte sono due: in ogni caso egli morì con una donna e per fuggire
alle fiamme che possono evocare la sua vita tumultuosa. Chi fosse questa
femmina umana, non ha importanza. Fu certo l'ultima di una serie molto lunga
comprendente etere, schiave prigioniere di guerra, ragazze di buona famiglia e
regine, come la moglie del re spartano Agide, sedotte tutte dalla "genialità
della sensualità", dalla "potenza demoniaca della sua sensualità"[35].
Questa volta
Alcibiade, pur essendo l'erotico che mangia l'esca senza farsi prendere all'amo,
si lasciò prendere; forse perché egli tendeva non solo al piacere ma anche al
potere[36],
e se il primo scopo, con qualche sforzo, poteva ancora raggiungerlo, il secondo
oramai gli era sfuggito per sempre.
Plutarco
dunque racconta che, secondo alcuni, i sicari diedero fuoco alla casa dove egli
abitava, in Frigia, con l'etera Timandra. Alcibiade si lanciò fuori e gli
assassini, non osando avvicinarsi, lo colpirono vilmente da lontano, finché la
vittima designata cadde. Timandra, nei limiti delle sue possibilità, gli diede
onorevole sepoltura. In questa versione c'è una donna, una cortigiana, che si
occupa delle esequie del seduttore. Nell'altra, la presenza femminile, di una
ragazza, è la causa della morte di questo don Giovanni antico. "Sua passion
predominante", si ricorderà il libretto di Da Ponte, "è la giovin principiante"[37].
Della stessa
razza è anche Boccadoro di H. Hesse: "E sebbene avesse un senso molto delicato
della bellezza ed amasse sopra tutto le fanciulle giovanissime, nello sboccio
della loro primavera, si lasciava tuttavia commuovere e sedurre anche dalle
donne meno belle e non più giovani. Nelle sale da ballo rimaneva talvolta
accanto ad una ragazza matura e scoraggiata, che nessuno voleva e che lo
conquistava per le vie della compassione non solo, ma anche di una curiosità
sempre desta"[38].
Ebbene il
figlio di Clinia aveva forse sedotto una ragazza di buona famiglia e i fratelli
di lei, non sopportando l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre
ne saltava fuori attraverso il fuoco ("dia;
tou' puro;" ejxallovmenon",Vita
di Alcibiade , 39, 9). Queste fiamme mi danno l'occasione per un'ultima
citazione di Baudelaire:"il carattere della bellezza del dandy consiste
soprattutto in quell'aria fredda che gli viene dalla ferma risoluzione di non
commuoversi; si direbbe un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe
ma non vuole divampare"[39].
Anche Don
Giovanni di Mozart-Da Ponte, come Alcibiade, alla fine dell'opera, scompare nel
fuoco:"Da quel tremore insolito.../Sento...assalir...gli spiriti.../Donde escono
que' vortici/ di foco pien d'orror!... "[40].
Ebbene quel fuoco interno[41]
fuoriuscì prima di spegnersi, divampò e uccise l'uomo.
Cornelio
Nepote ci informa che allora Alcibiade aveva circa quarant'anni ("Alcibiades
circiter quadraginta natus diem obiit supremum "[42]),
ma nel 404 doveva averne qualcuno di più. Stava comunque declinando
quella sua giovinezza e follia che sembrava essere oltre i limiti naturali ("hJ
ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei'jnai"[43] ) ed era stata vantata da lui stesso di fronte al popolo prima della
spedizione in Sicilia. Alcibiade aveva fatto "della giovinezza il proprio
cavallo di battaglia"[44].
Viene da pensare che un personaggio come questo giovane leone allevato[45]
in casa dell'altro leone[46]
il quale aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade[47],
non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla propria giovinezza.
Lord Henry avrebbe potuto rivolgere anche a lui, nei momenti d'oro ricordati da
Tucidide, le parole dette a Dorian Gray:"Sì, gli dèi furono benigni con voi,
Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi
anni da vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete
perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci
sono più vittorie per voi, o che dovete accontentarvi di quelle banali vittorie
che la memoria del vostro passato renderà più amare delle sconfitte. Ogni mese
che passa vi avvicina a qualche cosa di orrendo. Il tempo è geloso di voi, e si
accanisce sui vostri colori di giglio e di rosa. Le vostre tinte appassiranno,
le guance si faranno cave, si appannerà il vostro sguardo. Soffrirete
tremendamente...Godete della vostra giovinezza finché la possedete! Non sprecate
il tesoro dei vostri giorni ascoltando la gente noiosa, cercando di consolare i
predestinati all'insuccesso, donando la vostra vita agli incolti, ai mediocri,
ai volgari...Vivete! Vivete la meravigliosa vita che è in voi! Nulla deve andar
perduto per voi. Cercate continuamente nuove sensazioni. Non abbiate paura di
nulla...Un nuovo edonismo! Di questo ha bisogno il nostro secolo. Potreste
esserne il simbolo visibile. Nulla è vietato alla vostra persona. Il mondo è
vostro, per una stagione...Perché la vostra gioventù durerà un tempo così
breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora.
Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora...Ma noi non torniamo mai
alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa
tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo
ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo
avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di
cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"[48].
Probabilmente fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori
della sua giovinezza, per non arrivare all'età del Casanova di Arthur
Schnitzler[49]
che Alcibiade volle morire in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta
dall' Eros fulminatore[50]
che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi gentilizi
[1] Eschilo,
Agamennone 160; Euripide, Troiane , 885.
aggiungi l Eracle 1263.
[2]
E. Auerbach, Studi su Dante, p.12.
[3] =omnes.
[4] Plutarco
(50 ca-125 ca d. C.), Vita di Alcibiade , 16.
[5]
Huysmans lo definisce:" personaggio indeciso e ondeggiante che si muove
come un'ombra cinese, con mosse da marionetta" (Controcorrente,
p. 42)..
[6]
1821-1867,
[7] Curiosità
estetiche
(uscite postume nel 1869) trad. it. in Il Sistema Letterario ,
Ottocento , di Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p.
1150.
[8] Plutarco,
Vita di Alcibiade , 37.
[9] 99
ca-24 ca a. C.
[10] Liber
de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades
, 9, 3.
[11] Baudelaire
(1821-1867), op. cit., p. 1151.
[12] Del
1889.
[13] D'Annunzio, Il Piacere , pp. 42-43.
[14] D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.
[15] Plutarco,
op. cit., 23, 4- 5.
[16] Op.
cit., 1, 4.
[17]
Del 56 a. C.
[18]
S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 158.
[19]S.
Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Quarto trad. it. Adelphi, Milano,
1981, p. 40..
[20]S.
Kierkegaard, Diario del seduttore (1843) , trad. it. Rizzoli,
Milano, 1974, pp. 23 e 139
[21]
S. Kierkegaard, In vino veritas (1845), p. 92.
[22] Baudelaire,
op. cit., p. 1151.
[23] Plutarco,
op. cit. , 38.
[24] Annales
, XVI, 18.
[25] Plutarco,
op. cit., 38, 4.
[26] Lisia
(445 ca-365 ca a. C.), XII, 19.
[27] Op.
cit., p. 1150
[28] Op.
cit., pp. 1150-1151
[29]
Annales , XVI, 18.
[30] Plutarco,
op. cit., 38, 6.
[31] Op.
cit., p. 1152. I mirmidoni sono i soldati di Achille.
[32] Erodoto
(485 ca- dopo il430 a. C.), V, 92.
[33] VI,
15.
[34] Historiae
, I, 18.
[35] S.
Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Primo, , trad. it. Adelphi,
Milano, 1976, p. 172.
[36] Si
vede dall'episodio della moglie di Agide, Timea, che Alcibiade sedusse
mentre il marito era assente per una spedizione militare. Ella rimase in
cinta e non lo negò ("
Timaivan ga;r th;n [Agido" gunai'ka tou' basilevw" strateuomevnou kai;
ajpodhmou'nto" ouJvtw dievfqeiren, wJvste kai; kuvein ejx jAlkibiavdou
kai; mh; ajrnei'sqai"),
anzi in privato chiamava "Alcibiade" il figlio il cui nome ufficiale era Leotichide. Il seduttore soleva dire che lo aveva fatto, non per
offendere Agide nè perché vinto dal piacere, ma perché i suoi
discendenti regnassero su Sparta:"oJvpw"
Lakedaimonivwn basileuvswsin oiJ ejx aujtou' gegonovte"
"(Plutarco, op. cit. 23) Si vede dunque da questo episodio che la "passion
predominante" del nostro personaggio era comandare e che il sedurre era
strumentale al fine di dominare. Insomma "luxuriosus, dissolutus,
libidinosus "(Cornelio Nepote, op. cit , 1) ma prima di tutto
ambizioso. Di lui in effetti Tucidide scrive, tra l'altro:"kai;
mavlista strathgh'saiv te ejpiqumw'n"
, VI, 15, e bramando al di sopra di tutto comandare. Il che non toglie
che fosse un seduttore di razza.
[37] Don
Giovanni ,
I, 5. Un collegamento con il Don Giovanni , e con Le nozze di
Figaro , ugualmente di Mozart-Da Ponte, viene fatto anche per Andrea
Sperelli:"Egli aveva in sé qualche cosa di Don Giovanni e di Cherubino:
sapeva essere l'uomo di una notte erculea e l'amante timido, candido,
quasi verginale.( Il piacere , p. 19)
[38]
H. Hesse, Narciso e Boccadoro (del 1930), p. 250.
[39] Baudelaire,
op. cit., p. 1152.
[40] Don
Giovanni
di Mozart-Da Ponte, II, 19. "Un'opera di getto, un'opera perfetta gli
uomini non l'hanno più fatta dopo il Don Giovanni "H. Hesse,
Il lupo della steppa. (del 1927) p. 265)
[41] O quella exacerbatio cerebri di cui parla S. Kierkegaard nel
Diario del seduttore ( p. 22),
[42] Alcibiades
, 10, 6.
[43] Tucidide,
VI, 17.
[44]
J. de Romilly, Alcibiade , p. 23.
[45] Cfr.
Aristofane, Rane , 1431.
[46] Pericle,
di cui Plutarco (Vita di Pericle , 3) racconta che la madre
Agariste, prossima a partorirlo, sognò di generare un leone.
[47] Tucidide
(460 ca-400ca a. C.) II, 41.
[48] O.
Wilde (1854-1900), Il ritratto di Dorian Gray (del 1891), in
Wilde Opere , trad. it. Mondadori, Milano, 1982, p. 32.
[49] Il
quale "a cinquantatre anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore
andava lentamente spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più
dal giovanile piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine
dell'avanzante vecchiaia" Il ritorno di
Casanova ,
trad. it., Bompiani, Milano, 1982, pp. 1-2.
[50] Plutarco,
Vita di Alcibiade , 16.
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