NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 7 febbraio 2015

La storia di Didone, XI parte; con un riquadro su Alcibiade quale antiEnea


Angoscioso è il sogno di Enea il quale in ogni caso obbedisce subito a quell'ombra onirica, senza nemmeno chiedersi da dove venga: se dal cielo, da se stesso, o dall'inferno:"Sequimur te, sancte deorum, /quisquis es, imperioque iterum paremus ovantes " (vv. 576-577), seguiamo te, santo tra gli dèi, chiunque tu sia, e obbediamo di nuovo al tuo comando, festanti. La formula liturgica sancte deorum , completata da  quisquis es  (v. 577) derivato dai tragici[1] e rivolto agli dèi, lascia spazio all'unica interpretazione della provenienza divina dell'ordine cui dunque bisogna obbedire.
Quanto al participio ovantes , si può accostare a Georgiche  I, 423 (ovantes gutture  corvi,  i corvi che festeggiano a squarciagola il ritorno del sole) e inferirne che Didone era diventata noiosa, e che quindi lasciare tale amante per Enea era  una festa. Per quale altro motivo infatti realisticamente e umanamente si lascia un'amante (e pure un amante)?
Omero senza tante impalcature moralistiche e menzogne imperiali  dice che Odisseo desiderava lasciare Calipso, la quale lo trovò mentre piangeva, semplicemente poiché questa femmina, umana o divina che fosse, non gli piaceva più :" e lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa" (Odissea , V, vv.151-153). E' una spiegazione più reale e convincente. La storia virgiliana di Didone tuttavia, secondo Auerbach, è più vicina al gusto moderno:"Nel grande evento mondiale egli intrecciò, non sempre felicemente nei particolari, ma in complesso in modo indimenticabile e costitutivo per l'Europa, il primo grande romanzo d'amore spirituale nella forma fino ad oggi valida: Didone soffre un dolore più profondo che Calipso, e la sua storia è l'unico brano di grande poesia sentimentale che il medioevo abbia conosciuto"[2].

Enea viene giustificato da gran parte della critica; bisogna almeno dire che non è necessario essere come lui : Properzio antepone dignitosamente l'amore di Cinzia ai vantaggi che potrebbe ricavare dalla navigazione, e, al contrario dell'eroe virgiliano, non sale sulla nave:"Ah pereat, si quis lentus amare potest!/An mihi sit tanti doctas cognoscere Athenas,/atque Asiae veteres cernere divitias,/ut mihi deducta faciat convicia puppi/Cynthia et insanis ora notet manibus,/osculaque opposito dicat sibi debita vento/et nihil infido durius esse viro? " (I, 6, 12-18) ah muoia chiunque può essere insensibile nell'amore! Vale davvero la pena per me conoscere Atene la dotta, e vedere gli antichi tesori dell'Asia, posto che Cinzia mi lanci invettive salpata la nave, e segni le gote con mani furenti, e dica al vento nemico che i baci sono dovuti a lei e che nulla è più duro di un maschio infedele?
Il poeta umbro non si cura della gloria, né dell'impero né delle armi: egli, semmai, milita nella schiera di Amore:"Non ego sum laudi, non natus idoneus armis:/hanc me militiam fata subire volunt " (I, 6, 29-30), io non sono nato per la gloria, non sono adatto alle armi: i fati vogliono che mi sottoponga a questa milizia.

Invece Enea corre a fondare l'impero e fugge a tutto spiano lontano dalla donna: estrae dal fodero la spada fulminea (vaginaque eripit ensem /fulmineum , v. 579) e taglia le gomene. Tale ardore che sostituisce quello amoroso prende contemporaneamente tutti i Troiani i quali danno di piglio ai remi e fuggono a precipizio"idem omnis[3] simul ardor habet, rapiuntque ruuntque " (v. 581).
 La spada e il fulmine dovrebbero essere simboli erotici se non addirittura fallici: il grande seduttore Alcibiade si era fatto incidere sullo scudo Eros fulminatore[4]   invece degli stemmi gentilizi.
Riquadro
Inserisco una scheda su un personaggio che può costituire l'altra faccia o la parte in ombra del "pio" Enea[5]: lo "straordinario" Alcibiade, il grande esteta e seduttore, visto in parallelo con Don Giovanni e con il dandy decadente.

Il grande avventuriero ateniese è inseribile,  sostiene Baudelaire[6], nella breve lista dei rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi"[7]. Poco più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia".
Vediamo la malinconica fine di questo prototipo del dandy .
Plutarco racconta che dopo la caduta di Atene (404 a. C.) Alcibiade ebbe paura dei Lacedemoni che dominavano la Grecia e si recò da Farnabazo, in Frigia, coltivandone l'amicizia e ricevendone onori:"qerapeuvwn a{ma kai; timwvmeno""[8]. Cornelio Nepote[9] afferma che Alcibiade con la sua signorilità conquistò Farnabazo a tal punto che nessuno lo superava nell'intrinsichezza con il satrapo:"quem quidem adeo sua cepit humanitate, ut eum nemo in amicitia antecederet "[10].
 Attraverso tale humanitas riconosciamo in Alcibiade un altro aspetto del dandy di Baudelaire:"Che questi uomini si facciano chiamare raffinati, zerbinotti, bellimbusti, lions o dandys, tutti derivano da una medesima origine; tutti partecipano del medesimo carattere di opposizione e di rivolta; tutti sono dei rappresentanti di ciò che vi ha di meglio nell'orgoglio umano, di questo bisogno, troppo raro presso gli uomini di oggi, di combattere e distruggere la trivialità"[11].
 Andrea Sperelli del Piacere[12]  di D'Annunzio può trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza:"Il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio.... Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse  del loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[13]. L'esteta dannunziano pensa di sè:"Io sono camaleontico , chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge"[14].  Plutarco aveva scritto di Alcibiade che per accalappiare le persone era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra"...tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato:"  jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h\n ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton": a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"),  gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo");  in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo (iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto  e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai;  poluteleiva th;n Persikh;n megaloprevpeian"[15]). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote era "temporibus callidissime serviens "[16] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.
Aspetti del carattere simile a questo e ad altri  di Alcibiade, Cicerone attribuisce a  Catilina nell'orazione Pro Caelio[17]  :" Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere ". (13). Quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.  
Alcibiade quindi anticipa Catilina, Sperelli, e anche l'esteta-seduttore di Kierkegaard , il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio della carne"[18] che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola eternità"[19].
 Alcibiade del resto affascinava anche con la parola quindi rappresenta  pure il seduttore intellettuale, quello intensivo che "si serviva degli individui soltanto come incitamento per gettarli poi via da sé, così come gli alberi si scrollano delle foglie: lui ringiovaniva, le foglie appassivano…L'attimo è bello e nell'attimo la donna è tutto, e di conseguenze io non me ne intendo"[20].
Tali uomini, don Giovanni e Faust, sono gli erotici. Essi capiscono che la donna è un inganno degli dèi, comprendono che ella desidera essere sedotta e loro vogliono godere dell'inganno senza essere ingannati:"Questi erotici sono i felici. Essi vivono in modo più voluttuoso degli dèi, perché banchettano sempre soltanto con ciò che è più pregiato dell'ambrosia e bevono ciò che è più soave del nettare. Essi…mangiano soltanto l'esca, senza essere mai presi. Gli altri uomini abboccano, nel modo in cui i contadini pranzano con l'insalata di cetrioli, e sono presi"[21]
Onorato dunque da Farnabazo per la sua finezza e la sua quasi illimitata capacità di piacere, Alcibiade al tramonto ha ancora modo di soddisfare la passione massima del dandy :" una specie di culto di se stesso, che può sopravvivere alla ricerca della felicità che si trova negli altri, nella donna, per esempio; che può sopravvivere anche a tutto ciò che si chiama illusione. E' il piacere di meravigliare e la soddisfazione di non essere mai meravigliati. Un dandy può essere uno scettico, può essere un uomo sofferente, ma, in quest'ultimo caso, egli sorriderà come il lacedemone morsicato dalla volpe"[22].
Intanto gli Ateniesi, oppressi dalla tirannide dei Trenta, capivano, mentre piangevano, ripensando agli errori commessi e alle proprie follie, la più grande delle quali consideravano la seconda ira contro Alcibiade ("w|n megivsthn ejpoiou'nto th;n deutevran pro;"  jAlkibiavdhn ojrghvn"[23]). Allontanandolo di nuovo per una colpa non sua, si erano privati del  comandante migliore, un uomo dissoluto, ma capace e  insostituibile come stratego.  Qui viene in mente un altro esteta antico, il Petronio di Tacito che come proconsole in Bitinia, poi come console "vigentem se ac parem negotiis ostendit "[24], si rivelò energico e all'altezza dei suoi compiti.
 La fiducia nelle capacità di Alcibiade anzi era tanto forte da lasciare negli Ateniesi una vaga speranza che la potenza della loro città non sarebbe andata del tutto perduta fino a quando quell'uomo geniale fosse stato vivo. Già una volta, pensavano, Alcibiade li aveva aiutati, e se ne avesse avuto le possibilità, lo avrebbe fatto ancora. Né questo sognare dei più era assurdo ("a[logon"[25]), se anche i Trenta si preoccupavano di lui e davano la massima importanza a ciò che egli faceva. I tiranni diretti da Crizia erano i nemici naturali del nostro esteta, in quanto uomini volgari; una volgarità messa bene in rilievo da Lisia quando, nell'orazione Contro Eratostene, racconta come Melobio, uno dei Trenta, appena entrato in casa di Polemarco, strappò gli orecchini d'oro dalle orecchie di sua moglie ("gunaiko;" crusou'"  eJlikth'ra"...Mhlovbio" ejk tw'n w[twn ejxeivleto"[26]).
Sappiamo da Tucidide che Alcibiade non faceva a meno del denaro e dei beni materiali, anzi egli aveva desideri troppo grandi rispetto alle sue ricchezze (VI, 15, 3); ma i miseri quattrini per lui erano solo un mezzo. Diamo ancora la parola a Baudelaire:" Se ho parlato del denaro, è perché il denaro è indispensabile a coloro che si fanno un culto delle loro passioni; ma il dandy non aspira al denaro come a una cosa essenziale; un credito indefinito gli potrebbe bastare: egli lascia volentieri questa banale passione agli uomini volgari"[27]. Costoro non si intendono di bellezza che si manifesta attraverso la semplicità di cui Alcibiade si dimostrò capace quando viveva a Sparta, primeggiando anche in quella energica, sobria, frugale  eujtevleia che del resto faceva  parte dello stile alto degli Ateniesi come ebbe a dire il Pericle di Tucidide: in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.  (II, 40, 1).
Anche questo aspetto della distinzione ateniese, e di Alcibiade, trova una corrispondenza nel dandy baudelairiano:"il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di distinzione , la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi"[28].
Altrettanto afferma Tacito del suo elegantiae arbiter :"  Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam,  praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur"[29]  le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.

Alcibiade preoccupava Crizia che lo conosceva bene per essere stato suo condiscepolo alla "scuola" di Socrate, e perciò mise in allarme gli Spartani che pure non ne ignoravano le capacità.
Sicché Lisandro, il vincitore della grande guerra fratricida del Peloponneso, ricevette  l'ordine di eliminarlo da parte degli Efori, sia che volessero fare cosa gradita ad Agide il re spartano del quale Alcibiade aveva ingravidato la moglie, sia che pure loro ne temessero l'intelligenza e l'attitudine per le cose grandi:" ei[te kajkeivnwn fobhqevntwn th;n ojxuvthta kai; megalopragmosuvnhn tou' ajndrov""[30] .
 Il dandy moderno è antidemocratico ed è visto con sospetto dalla democrazia che tutto livella:"Ma purtroppo la marea crescente della democrazia, che tutto invade e tutto pareggia, avvolge nell'oscurità giorno per giorno questi ultimi rappresentanti dell'orgoglio umano e versa fiotti di oblio sulle tracce di questi prodigiosi mirmidoni", afferma Baudelaire[31]; e D'Annunzio in Il piacere  denuncia "il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente"; un nubifragio sotto il quale "va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte" (p. 38). Alcibiade fu allontanato due volte dal popolo, che pure lo considerava stratego straordinario come abbiamo visto, poi venne combattuto dagli oligarchi e perseguitato dai Trenta tiranni. Agli uomini eccezionali invero nessun potere è favorevole poiché tutti i governi hanno una componente tirannica e tendono a livellare le teste secondo il suggerimento di Trasibulo, tiranno di Mileto a Periandro tiranno di Corinto:" oiJ uJpetivqeto Qrasuvboulo" tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein "[32], gli suggeriva di ammazzare quelli che si distinguevano tra i cittadini.

Nemmeno i personaggi della letteratura sono  sempre favorevoli agli uomini straordinari.
Nelle Baccanti  di Euripide il Coro nel Primo Stasimo canta che Dioniso odia chi non si prende cura di tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari:'"ajpevcein prapivda frevna te;;;;;;-perissw'n para; fwtw'n"(vv.427-428).
Nell'Antigone è Ismene, la sorella dapprima timorosa e sottomessa agli ordini di Creonte ad affermare:"obbedirò a coloro che sono arrivati al potere. Infatti il/fare cose straordinarie (to; ga;r perissa; pravssein) non ha senso, proprio nessuno" (vv. 67-68).  Altrettanto incline alla sottomissione è Crisotemi, la femmina acquiescente, la sorella sbiadita che dà risalto all'Elettra di Sofocle:"tw'n kratouvntwn ejsti; pavnt' ajkousteva" (Elettra, v. 340), bisogna obbedire in tutto a quelli che comandano. 
 Tra le  espressioni favorevoli agli uomini straordinari ne riporto una di Seneca:"fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum…iste homo non est unus e populo, ad salutem spectat " (epist., 10, 1 e 3), evita la folla, evita la compagnia di poche persone e anche quella di una sola…questo non è uno dei tanti, mira alla salvezza dell'anima.
 Infine Madame Bovary detesta la mediocrità del marito in tutte le manifestazioni di lui, comprese quelle erotiche:"si persuase facilmente che nella passione di Charles per lei non vi era nulla di eccessivo" ; quindi si ripeteva:"Dio mio, ma perché mai mi sono sposata?" (p. 36).

Straordinario fu Alcibiade, e fece paura anche ai suoi stessi compagni di partito:  aveva passioni più grandi di quanto consentissero le sue ricchezze, sia per l'allevamento dei cavalli, sia per le altre spese,  e molti lo temevano per le sue stravaganze, per la grandezza e l'eccentricità delle sue vedute, ci racconta Tucidide[33]. D'Annunzio ricorda questa descrizione di antimediocrità quando in Maia  gli pone la domanda:"E qual gioia/ti parve più fiera?", quindi gli attribuisce la risposta:"La gioia/d'abbattere il limite alzato".
 Lisandro dunque mandò un messaggio a Farnabazo il quale incaricò del misfatto alcuni parenti suoi. Alcibiade ebbe dei sogni premonitori, ma, lo abbiamo imparato da Tacito e ancor più dall'esperienza personale, " quae fato manent , quamvis significata, non vitantur "[34], ciò che spetta al destino, sebbene rivelato non si evita.
Le versioni della sua morte sono due: in ogni caso egli morì con una donna e per fuggire alle fiamme che possono evocare  la sua vita tumultuosa. Chi fosse questa femmina umana, non ha importanza. Fu certo l'ultima di una serie molto lunga comprendente etere, schiave prigioniere di guerra, ragazze di buona famiglia e regine, come la moglie del re spartano Agide, sedotte tutte dalla "genialità della sensualità", dalla "potenza demoniaca della sua sensualità"[35].
Questa volta Alcibiade, pur essendo l'erotico che mangia l'esca senza farsi prendere all'amo, si lasciò prendere; forse perché egli tendeva non solo al piacere  ma anche al potere[36], e se il primo scopo, con qualche sforzo, poteva ancora raggiungerlo, il secondo oramai gli era sfuggito per sempre.
Plutarco dunque racconta che, secondo alcuni, i sicari diedero fuoco alla casa dove egli abitava, in Frigia, con l'etera Timandra. Alcibiade si lanciò fuori e gli assassini, non osando avvicinarsi, lo colpirono vilmente da lontano, finché la vittima designata cadde. Timandra, nei limiti delle sue possibilità, gli diede onorevole sepoltura. In questa versione c'è una donna, una cortigiana, che si occupa delle esequie del seduttore. Nell'altra, la presenza femminile, di una ragazza, è la causa della morte di questo don Giovanni antico. "Sua passion predominante", si ricorderà il libretto di Da Ponte, "è la giovin principiante"[37].
Della stessa razza è anche Boccadoro di H. Hesse: "E sebbene avesse un senso molto delicato della bellezza ed amasse sopra tutto le fanciulle giovanissime, nello sboccio della loro primavera, si lasciava tuttavia commuovere e sedurre anche dalle donne meno belle e non più giovani. Nelle sale da ballo rimaneva talvolta accanto ad una ragazza matura e scoraggiata, che nessuno voleva e che lo conquistava per le vie della compassione non solo, ma anche di una curiosità sempre desta"[38].
  Ebbene il figlio di Clinia aveva forse sedotto una ragazza di buona famiglia e i fratelli di lei, non sopportando l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre ne saltava fuori attraverso il fuoco ("dia; tou' puro;" ejxallovmenon",Vita di Alcibiade ,  39, 9). Queste fiamme mi danno l'occasione per un'ultima citazione di Baudelaire:"il carattere della bellezza del dandy consiste soprattutto in quell'aria fredda che gli viene dalla ferma risoluzione di non commuoversi; si direbbe un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare"[39].
Anche Don Giovanni di Mozart-Da Ponte, come Alcibiade, alla fine dell'opera, scompare nel fuoco:"Da quel tremore insolito.../Sento...assalir...gli spiriti.../Donde escono que' vortici/ di foco pien d'orror!... "[40]. Ebbene quel fuoco interno[41]  fuoriuscì prima di spegnersi, divampò e uccise l'uomo.
 Cornelio Nepote ci informa che allora Alcibiade aveva circa quarant'anni ("Alcibiades circiter quadraginta natus diem obiit supremum "[42]), ma nel 404 doveva averne qualcuno di più. Stava comunque declinando quella sua giovinezza e follia che sembrava essere oltre i limiti naturali ("hJ ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei'jnai"[43] ) ed era stata vantata da lui stesso di fronte al popolo prima della spedizione in Sicilia. Alcibiade aveva fatto "della giovinezza il proprio cavallo di battaglia"[44].  Viene da pensare che un personaggio come questo giovane  leone allevato[45] in casa dell'altro leone[46] il quale aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade[47], non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla propria giovinezza. Lord Henry avrebbe potuto rivolgere anche a lui, nei momenti d'oro ricordati da Tucidide, le parole dette a Dorian Gray:"Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni da vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi, o che dovete accontentarvi di quelle banali vittorie che la memoria del vostro passato renderà più amare delle sconfitte. Ogni mese che passa vi avvicina a qualche cosa di orrendo. Il tempo è geloso di voi, e si accanisce sui vostri colori di giglio e di rosa. Le vostre tinte appassiranno, le guance si faranno cave, si appannerà il vostro sguardo. Soffrirete tremendamente...Godete della vostra giovinezza finché la possedete! Non sprecate il tesoro dei vostri giorni ascoltando la gente noiosa, cercando di consolare i predestinati all'insuccesso, donando la vostra vita agli incolti, ai mediocri, ai volgari...Vivete! Vivete la meravigliosa vita che è in voi! Nulla deve andar perduto per voi. Cercate continuamente nuove sensazioni. Non abbiate paura di nulla...Un nuovo edonismo! Di questo ha bisogno il nostro secolo. Potreste esserne il simbolo visibile. Nulla è vietato alla vostra persona. Il mondo è vostro, per una stagione...Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora...Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"[48].

 Probabilmente fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori della sua giovinezza, per non arrivare all'età del Casanova di Arthur Schnitzler[49] che Alcibiade volle morire  in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta dall' Eros fulminatore[50] che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi gentilizi



 

[1] Eschilo, Agamennone 160; Euripide, Troiane , 885.  aggiungi l Eracle 1263.
[2] E. Auerbach, Studi su Dante, p.12.
[3] =omnes.
[4] Plutarco (50 ca-125 ca d. C.),  Vita di Alcibiade , 16.
[5] Huysmans lo definisce:" personaggio indeciso e ondeggiante che si muove come un'ombra cinese, con mosse da marionetta" (Controcorrente, p. 42)..
[6] 1821-1867,
[7] Curiosità estetiche  (uscite postume nel 1869)   trad. it. in Il Sistema Letterario , Ottocento , di Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p. 1150.
[8] Plutarco, Vita di Alcibiade , 37.
[9] 99 ca-24 ca a. C.
[10] Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades , 9, 3.
[11] Baudelaire (1821-1867), op. cit., p. 1151.
[12] Del 1889.
[13] D'Annunzio, Il Piacere , pp. 42-43.
[14] D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.
[15] Plutarco, op. cit., 23, 4- 5.
[16] Op. cit.,  1, 4.
[17] Del 56 a. C.
[18] S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 158.
[19]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Quarto trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 40..
[20]S. Kierkegaard,  Diario del seduttore (1843) , trad. it. Rizzoli, Milano, 1974, pp. 23 e 139
[21] S. Kierkegaard, In vino veritas (1845), p. 92.
[22] Baudelaire, op. cit., p. 1151.
[23] Plutarco, op. cit. , 38.
[24] Annales , XVI, 18.
[25] Plutarco, op. cit., 38, 4.
[26] Lisia (445 ca-365 ca a. C.), XII, 19.
[27] Op. cit., p. 1150
[28] Op. cit., pp. 1150-1151 
[29] Annales , XVI, 18.
[30] Plutarco, op. cit., 38, 6.
[31] Op. cit., p. 1152. I mirmidoni sono i soldati di Achille.
[32] Erodoto (485 ca- dopo il430 a. C.), V, 92.
[33] VI, 15.
[34] Historiae , I, 18.
[35] S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Primo, , trad. it. Adelphi, Milano, 1976, p. 172.
[36] Si vede dall'episodio della moglie di Agide, Timea, che Alcibiade sedusse mentre il marito era assente per una spedizione militare. Ella rimase in cinta e non lo negò (" Timaivan ga;r th;n  [Agido" gunai'ka tou' basilevw" strateuomevnou kai; ajpodhmou'nto" ouJvtw dievfqeiren, wJvste kai; kuvein ejx jAlkibiavdou kai; mh; ajrnei'sqai"), anzi in privato chiamava "Alcibiade" il figlio il cui nome ufficiale era Leotichide. Il seduttore soleva dire che lo aveva fatto, non per offendere Agide nè perché vinto dal piacere, ma perché i suoi discendenti regnassero su Sparta:"oJvpw" Lakedaimonivwn basileuvswsin oiJ ejx aujtou' gegonovte" "(Plutarco, op. cit. 23) Si vede dunque da questo episodio che la "passion predominante" del nostro personaggio era comandare e che il sedurre era strumentale al fine di dominare. Insomma "luxuriosus, dissolutus, libidinosus "(Cornelio Nepote, op. cit , 1) ma  prima di tutto ambizioso. Di lui in effetti Tucidide scrive, tra l'altro:"kai; mavlista strathgh'saiv te ejpiqumw'n" , VI, 15, e bramando al di sopra di tutto comandare. Il che non toglie che fosse un seduttore di razza.
[37] Don Giovanni , I, 5. Un collegamento con il Don Giovanni , e con Le nozze di Figaro , ugualmente di Mozart-Da Ponte, viene fatto anche per Andrea Sperelli:"Egli aveva in sé qualche cosa di Don Giovanni e di Cherubino: sapeva essere l'uomo di una notte erculea e l'amante timido, candido, quasi verginale.( Il piacere , p. 19)
[38] H. Hesse, Narciso e Boccadoro (del 1930),  p. 250.
[39] Baudelaire, op. cit., p. 1152.
[40] Don Giovanni  di Mozart-Da Ponte, II, 19. "Un'opera di getto, un'opera perfetta gli uomini non l'hanno più fatta dopo il Don Giovanni "H. Hesse, Il lupo della steppa. (del 1927) p. 265)
[41] O quella exacerbatio cerebri  di cui parla S. Kierkegaard nel Diario del seduttore ( p. 22),
[42] Alcibiades , 10, 6.
[43] Tucidide, VI, 17.
[44] J. de Romilly, Alcibiade , p. 23.
[45] Cfr. Aristofane, Rane , 1431.
[46] Pericle, di cui Plutarco (Vita di Pericle , 3) racconta che la madre Agariste, prossima a partorirlo, sognò di generare un leone.
[47] Tucidide (460 ca-400ca a. C.) II, 41.
[48] O. Wilde (1854-1900), Il ritratto di Dorian Gray (del 1891), in Wilde Opere , trad. it. Mondadori, Milano, 1982, p. 32.
[49] Il quale "a cinquantatre anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore andava lentamente spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più dal giovanile piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine dell'avanzante vecchiaia" Il ritorno di Casanova , trad. it., Bompiani, Milano, 1982, pp. 1-2.
[50] Plutarco,  Vita di Alcibiade , 16.

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