Erodoto |
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Ma torniamo a Otane di Erodoto (III, 80, 6)
La cosa più grave è questa: "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te
ajkrivtou"" (III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta
le donne e manda a morte senza giudizio. "Così il persiano Otane riassume
ciò che è in sostanza il motivo comune fra i Greci per l'opposizione alla
tirannide"[1].
Nelle tragedie il
tiranno è il paradigma mitico di questo principio ( Serse nei Persiani di Eschilo, Creonte di Sofocle
e di Euripide nelle Supplici).
Invece il governo del popolo ha il nome più bello,
l’uguaglianza davanti alla legge: “plh̃qoς
de; a[rcon prw̃ta me;n ou[noma
pavntwn kavlliston e[cei, ijsonomivhn (6), poi esercita a sorte le
magistrature (pavlw/ me;n ajrca;ς a[rcei ) e ha un potere soggetto a
controllo (uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei)
e presenta tutte le deliberazioni del consiglio all’assemblea pubblica (bouleuvmata de; pavnta ejς to; koino;n ajnafevrei). I bouvleumata non sono khruvgmata, ordinanze, editti. Otane dunque propone la democrazia, perché nella massa deve
stare ogni potere.
Megabizo invece parlò in favore dell’oligarchia ( Erodoto,
III, 81). Accetta la critica alla tirannide ma non l’elogio del popolo. Infatti
dice non c’è niente di più stupido (oujdevn
ejsti ajxunetwvteron, cfr. sunivhmi),
né più prepotente ( uJbristovteron)
di una moltitudine buona a nulla (oJmivlou
ajcrhivou).
Il monarca è caratterizzato dall’ybris, il dh̃moς è
sfrenato (ajkovlastoς)
La moltitudine non ha imparato niente da altri e non conosce
da sé nulla di buono, e sconvolge lo Stato scagliandosi a[neu novou simile a un fiume invernale (ceimavrrw/ potamw̃/ i[keloς, 81, 2).
D'Annunzio in Il
piacere denuncia "il grigio diluvio democratico odierno, che molte
belle cose e rare sommerge miseramente"; un nubifragio sotto il quale
"va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica
nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa
tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte" (p. 38).
Dunque, aggiunge Megabizo, il potere va affidato a un gruppo
ristretto di uomini migliori (ajndrw̃n tw̃n
ajrivstwn)
Nelle Supplici di
Euripide, l’araldo tebano di Creonte parla contro la democrazia: La massa è
dominata dal demagogo che gonfia i discorsi e li rigira a proprio profitto. Del
resto il popolo che non sa tenere in
piedi i propri discorsi (mh; diorqeuvwn
lovgou"), come potrebbe tenere dritta la città? ( ojrqw'" eujquvnein povlin, 411-418)
Ciano nel suo Diario ha scritto che Mussolini diceva: “il
popolo non sa mai quello che vuole, tranne guadagnare molto e lavorare poco”
(22 maggio 1938)
Poi: “Solo un paese vile, brutto, insignificante può essere
democratico.
Un popolo forte ed eroico tende all’aristocrazia” (24 giugno
1938)
Di nuovo Erodoto. Per ultimo parlò Dario. Approva Megabizo
sulla democrazia, lo confuta sull’oligarchia.
Secondo lui il sistema migliore è la monarchia anche se tw̃/
lovgw/, a parole sono ottime tutte e tre.
Non c’è niente di meglio di un uomo ottimo il quale con il
suo senno (gnwvmh/, III, 82, 2)
guida tutto il popolo ed è irreprensibile ajmwvmhtoς.
Nell’oligarchia invece gli oligarchi giungono a grandi inimicizie, da cui
nascono stragi, quindi si passa alla monarchia che così si rivela il regime
migliore. Quando invece comanda il dh̃moς (dhvmou
te au\ a[rcontoς, III, 82, 4) è impossibile che non sopravvenga la
malvagità (ajduvnata mh; ouj kakovthta
ejggivnesqai) e i malvagi instaurano tra loro filivai ijscuraiv, salde amicizie, poiché danneggiano gli
interessi comuni cospirando tra loro.
Questo avviene finché li fa cessare uno che viene proclamato
monarca. E ancora una volta si vede wJς hJ mounarcivh kravtiston.
Del resto per farla breve: a noi la libertà chi l’ha data?.
-kovqen hJmi'n hJ
ejleuqerivh ejgevneto kai; teu' dovnto" ; (III, 82, 5) Non il
popolo né l’oligarchia ma un monarca. Cfr. il rispetto di Erodoto per le
culture diverse
Nei capitoli 96-102 del I libro Erodoto racconta che Deioce
prima fu chiamato dai Medi a fare il giudice, poi per volontà del suo popolo
divenne re.
Deioce fu un giudice giusto e come re unificò il popolo dei
Medi. Suo figlio Fraorte sottomise i Persiani. Venne poi sconfitto dagli Assiri,
ma suo figlio Ciassarre (625-585) potenziò il regno
Manteniamo dunque la
monarchia concluse Dario (III, 82, 5). Vennero dati dunque questi 3 pareri e
gli altri quattro aderirono all’ultimo.
Otane che voleva dare ai Persiani l’isonomia, sconfitto, non
volle entrare in lizza per diventare re, e disse: “ejgw; me;n nun uJmĩn
oujk enagwnieũmai: ou[te ga;r
a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw” (III, 83, 2).
In Erodoto c’è, come in Eschilo, una logica aperta al
contrasto: lo storiografo conferisce nobiltà a Otane e pure allo spartano
Demarato che era al servizio di Serse e disse al re che ai Greci è sempre stata
compagna assidua penivh, la povertà,
mentre la virtù (ajrethv) è un
acquisto successivo, operato attraverso la saggezza (ajpo; te sofivhς) e leggi severe (kai; novmou ijscuroũ)
Avvalendosi di queste, la Grecia si difende dalla povertà e dalla tirannide
(VII, 102, 1).
Quanto agli Spartani in particolare, essi sono liberi, ma
non del tutto (ouj pavnta ejleuvqeroiv
eijsi, VII, 104, 4) perché su di loro comanda la legge ( e[pesti ga;r sfi despovthς novmoς).
Mazzarino riconosce alla cultura dei Greci una maggiore
disponibilità a considerare e accettare punti di vista diversi tra loro Così in
Erodoto: c'è la "tirannide" dei Greci nemica di Dike; ma c'è anche la
"tirannide" di Deioce[2]
dal quale i Medi hanno avuto kòsmos e
unità : “La nostra logica è
rettilinea, astratta: quella dei Greci è sempre aperta al contrasto. Nell'Oresteia di Eschilo Divka Divkai (xymbaleî) "Dika si scontrerà con Dika"[3]:
ci possono essere due Dikai, due Giustizie nel caso dell'Oresteia , quella "matriarcale" di Clitennestra ( e delle
Erinni, a cui il ghénos di Eschilo non può sacrificare) contro quella
"patrilinea" di Oreste omìa
, e la "tirannide" di Ciro, dalla quale i Persiani ricevono
"libertà", eleutherìa
"[4].
Per quanto riguarda la prepotenza del popolo, cfr. Senofonte
(Elleniche II) e Polibio (Storie VI).
Il popolo che rivendica il diritto di fare ciò che vuole.
La battaglia delle Arginuse e il processo agli strateghi (
tarda estate del 406 a. C.). Teramene.
Di fatto però continua la guerra tra i Greci : gli Ateniesi
con grande sforzo misero insieme centocinquanta navi per la loro ultima
vittoria. La battaglia avvenne presso le tre isolette Arginuse situate tra
Mitilene di Lesbo e la costa asiatica. Callicratida fu sconfitto e, caduto in
mare scomparve ("ajpopesw;n eij"
th;n qavlattan hjfanivsqh", Elleniche
, I, 6, 33) ma anche ai comandanti vincitori toccò una sorte non buona: il
vento e una tempesta impedirono che si portasse soccorso alle navi danneggiate.
Fatto che indusse gli Ateniesi a destituire gli strateghi tranne Conone. Invece
elessero Adimanto e Filocle. Quindi sei strateghi, tra cui Pericle il Giovane,
figlio di Pericle e di Aspasia, e Trasillo, furono arrestati e accusati,
soprattutto da Teramene, poiché era giusto che rendessero conto del motivo per
cui non avevano raccolto i naufraghi: “dikaivou"
ei\nai lovgon uJposcei'n diovti oujk ajneivlonto tou;" nauagouv""
( I, 7, 4).
A proposito della condanna a morte del figlio di Pericle si
può notare che il padre non poté, o non volle, trasmettere il proprio potere al
figlio: “Uomini come Pericle costituirono certamente un’élite politica, ma non
era un’élite capace di perpetuare se stessa; ad essa si accedeva per meriti
pubblici, specialmente in seno all’Assemblea; era aperta a tutti, e per
continuare a farne parte era necessaria un’attiva presenza continua”[5].
“ A ruling group is a
ruling group so long as it can nominate its successors”, una classe dirigente
continua ad essere tale soltanto fino a quando è in grado di nominare i propri
successori”[6].
Secondo Orwell non importa che questi siano i figli: “Il Partito non si
preoccupa di perpetuare una linea di discendenza sanguigna, ma di perpetuare se
stesso”.
Ma non dura per molte generazioni la trasmissione del potere
dei tiranni: a Cipselo succedette Periandro, poi basta.
Teramene “il
coturno”, continua ad essere il personaggio peggio che ambiguo e camaleontico
che abbiamo già conosciuto attraverso Tucidide: infatti proprio a lui, e a
Trasibulo, che erano trierarchi, ossia comandanti di triremi, gli strateghi
avevano ordinato di soccorrere le navi danneggiate (I, 6, 35). Gli strateghi
nella loro difesa, breve poiché non fu concesso loro il tempo di parlare stabilito
dalla legge "kata; to; novmon"(I,
7, 5), ricordarono di avere appunto ordinato a Teramene e Trasibulo di
soccorrere i naufraghi, ma non volevano incolparli solo perché venivano
accusati da loro, anzi ribadivano che era stata la violenza della tempesta a
impedire il recupero: “ajlla; to;
mevgeqo" tou' ceimw'no" ei\nai to; kwlu'san thvn ajnaivresin"(I,
7, 6).
“Gli strateghi volevano in definitiva salvare tutti,
diluendo le responsabilità fra se stessi e i trierarchi a loro subordinati; ma
è proprio Teramene che, ad evitare anche ogni possibile sviluppo negativo,
parte all’attacco, calcando la mano sulla responsabilità degli strateghi, i
quali finiscono necessariamente schiacciati tra il furore del popolo e le
accuse del subordinato”[7].
Già gli accusati stavano convincendo l'assemblea, quando il
dibattito venne aggiornato dopo tre giorni di festa, e per la volta seguente i
seguaci di Teramene prepararono uomini vestiti di nero e rasati a pelle ("pareskeuvsan ajnqrwvpou" mevlana iJmavtia
e[conta" kai ejn crw' kekarmevnou"[8]",
I, 7, 8) perché si presentassero in assemblea come se fossero parenti dei
morti. Quindi convinsero il consigliere Callisseno a formulare una proposta di
condanna a morte. Si presentò perfino un tale a dire che si era salvato sopra
un barile di farina (favskwn ejpi;
teuvcou" ajlfivtwn swqh'nai, I, 7, 11) e che i naufraghi morendo lo
avevano incaricato di accusare gli strateghi di mancato soccorso.
Un episodio che mostra la prepotenza del popolo è quello della condanna
sommaria degli strateghi pur vincitori della battaglia delle Arginuse (406).
La difesa fatta da Eurittolemo mise in rilievo l’illegalità
della proposta di Callisseno di condannare a morte gli strateghi senza
distinguere le responsabilità individuali e denunciò Teramene come colui che
avrebbe dovuto raccogliere i naufraghi, mentre nell’assemblea precedente il
processo, il Coturno aveva accusato gli strateghi (o{~ ejn th'/ protevra/ ejkklhsia/ kathvgorei tw'n strathgw'n,
Senofonte, Elleniche, 1,7, 31)
Durante il processo ci fu dunque un tentativo di difendere
gli strateghi, ma nella massa era stato inoculato l'odio e il desiderio del
capro espiatori ed essa gridava che era grave se qualcuno non permetterva al
popolo di fare quanto voleva ("to; de;
plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon
pravttein o} a]n bouvlhtai", Senofonte, Elleniche, I, 7, 12)."E' la rivendicazione che riecheggia
minacciosamente in assemblea ad Atene durante il processo popolare contro i
generali delle Arginuse", ed è "la formula che caratterizza, secondo
Polibio, la degenerazione della
democrazia (VI, 4, 4: “ quando il popolo è padrone di fare quello che
vuole")”.[9]
Sentiamo quindi Polibio: “paraplhsivw~
oujde; dhmokrativan, ejn h|/ pa'n plh'qo~ kuvriovn ejsti poiei'n o[ ti pot j
a]n aujto; boulhqh'/ kai; proqh'tai” (6, 4 , 4), similmente non è
democrazia quella in cui la massa sia padrona di fare tutto ciò che voglia e
preferisca; invece, continua Polibio, lo è quella presso la quale è
tradizionale e abituale venerare gli dèi, onorare i genitori, rispettare gli
anziani, obbedire alle leggi; presso tali comunità, quando prevale il parere
dei più (o{tan to; toi'~ pleivosi dovxan
nika'/), questo bisogna chiamare democrazia.
Il fatto che Polibio più avanti scriva (9, 23, 8) che ai
tempi di Pericle ad Atene gli atti crudeli erano pochi (ojlivga me;n ta; pikrav) mentre prevalevano quelli buoni e
santi (polla; de; ta; crhsta; kai; semnav)
fa pensare che lo storico considerava se non “vanificata”, certo “contenuta” e
limitata da Pericle, la prepotenza del plh'qo~
nel primo periodo della democrazia radicale.
Aristotele nella Politica
(1292a) scrive che dove non comandano le leggi non c’è costituzione: o{pou ga;r mh; novmoi a[rcousin, oujk e[sti
politeiva.
Nella Costituzione
degli Ateniesi (41) Aristotele passa in rassegna 11 regimi succeduti in
Atene. Biasima la riforma di Efialte che ridusse i poteri dell’Areopago. Da
allora i governi commisero più errori a causa dei demagoghi. Dopo la tirannide
dei Trenta, il popolo si è reso padrone assoluto di ogni cosa.
Anche Cicerone biasima questo potere eccessivo: “Si vero populus plurimum potest omniaque
eius arbitrio reguntur, dicitur illa libertas, est vero licentia” ( de rep., 3, 23), se poi il popolo ha il
massimo potere e tutto viene retto secondo il suo arbitrio, quella si chiama libertà,
ma è piuttosto licenza.
continua
[1]C.
M. Bowra, Mito E Modernità Della
Letteratura Greca , p. 170.
[2] Il quale ridusse a unità il popolo dei Medi e lo
governò. (Erodoto, Storie, I, 101).
Venne scelto come re dotato di potere assoluto poiché era stato capace di porre
termine alle ruberie e ai disordini con i suoi giudizi (Erodoto, I, 96 ss.)
(ndr)
[3]Coefore
461:" [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka".
[4]S.
Mazzarino, Il pensiero storico classico
, I, p. 175.
[5]
Moses I. Finle, La democrazia degli
antichi e ei moderni, p. 26.
[6]
G. Orwell, 1984, p. 219.
[7]
D. Musti, Storia greca, p. 447.
[8]Participio
perfetto medio di keivrw.
[9]Canfora,
Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica
, Volume I, Tomo II, p. 835.
Giovanna Tocco
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