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martedì 3 maggio 2016

Essere cittadino. Merano, 23 aprile 2016. Parte V

Tucidide

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Torniamo alle Storie di Tucidide.

Il torneo oratorio di Sparta 432.
I Corinzi parlano degli Ateniesi con l’acume dell’odio alla I assemblea (non plenaria) dei delegati della lega Peloponnesiaca che si tenne a Sparta nel 432
Per tutta la vita essi si affaticano tra prove e pericoli-meta; povnwn kai; kinduvnwn mocqoũsi e godono pochissimo di quello che hanno, perché sempre acquistano-dia; to; aijei; ktãsqai, e non considerano una festa altro che fare ta; devonta, quello che devono, e una sventura non meno una tranquillità inattiva che un’attività penosa ( I, 70)
Anche nella tecnica prevale la scoperta più recente. Così nella politica, che è una tecnica, ci vogliono sempre innovazioni: pollh̃ς th̃ς ejpitecnhvsewς deĩ (I, 71).
Voi Spartani non vi rinnovate. I Corinzi accusano gli Spartani di immobilismo.

Quindi parlarono gli Ateniesi invitati a questo convegno.
Rivendicano i loro meriti nelle guerre persiane, soprattutto nella seconda: ci misero il maggior numero di navi, lo stratego più intelligente[1] e l’impegno più risoluto proqumivan ajoknotavthn (I. 74).

Al nostro successivo potenziamento siamo stati costretti. kathnagkavsqhmen dal timore (malivsta uJpo; devouς) , dall’onore (e[peita kai; timh̃ς) e dall’utile (u{steron kai; wjfelivaς). E’ la logica del potere.
Quindi proclamano il diritto del più forte.
 E’ stabilito da sempre che il più debole sia sopraffatto da più forte (aijei; kaqestw̃toς to;n h{ssw ujpo; toũ dunatwtevrou kateivrgesqai, I, 76) e noi ne siamo degni. Noi esercitiamo la supremazia con moderazione metriavzomen.

I processi
Abbiamo fama di amare i processi: filodikeĩn dokoũmen (I, 77), e lo riconosciamo: quelli che possono fare violenza infatti non hanno bisogno di processi biavzesqai ga;r oi|ς a}n ejxh̃/ , dikavzesqai oujde;n prosdevontai (I, 77).
Per la mania dei processi Le Nuvole di Aristofane del 422.

Il primo discorso di Pericle del 431 (Tucidide, Storie, I, 140-144)
Socrate nel Fedro afferma che probabilmente Pericle è stato il più perfetto nell’oratoria: “kunduneuvei, w\ a[riste, eijkovtw~ oJ Periklh`~ pavntwn telewvtato~ eij~ th;n rJhtorikhn genevsqai ” (269e)

Tucidide introduce questo discorso scrivendo che Pericle era prw`to~ jAqhnaivwn , il primo degli Ateniesi e il più capace di parlare e di agire: “levgein te kai; prassein dunatwvtato~.

 Essere cittadini significa anche avere delle capacità: in primis quella di parlare in modo persuasivo e di agire conseguentemente. La politikh; tevcnh è anche rJhtorikh; tevcnh

 Nel 427, Diodoto parlando contro Cleone, dice che i discorsi sono maestri dei fatti (lovgoi didavskaloi tw`n pragmavtwn III, 42, 2).

Pericle chiede di non cedere agli Spartani (mh; ei[kein, I, 140, 1).

Tucidide si rifà a un’idea razionale dell’uomo e della storia e, come poi Cesare e dà poco spazio ai motivi irrazionali delle imprese.
Svetonio ricava “il dado è tratto” da Asinio Pollione.

Però Tucidide non elimina del tutto il para; lovgon: a volte la tuvch conduce i fatti para; lovgon appunto contro il ragionato calcolo.
Non bisogna cedere alle richieste degli Spartani di abrogare il decreto di Megara e di togliere l’assedio a Potidea, altrimenti arriveranno altri ordini
Sono i capitali , le eccedenze che sostengono le guerre (aiJ periousivai tou`~ polevmou~ ajnevcousin) e i Peloponnesiaci ne sono privi.
Senza denaro non si colgono le occasioni le quali non aspettano (oiJ kairoi; ouJ menetoiv, I, 142, 1), sarà importante dominare il mare e gli Spartani non possono poiché la nautica è fatta di tecnica e di capitali.
(Cfr, l’ajcrhmativa di, I, 11. Essa inficiava la grandezza e la potenza della flotta contro Troia).

Non importa se i campi verranno danneggiati; basta che si salvino le vite umane, poiché sono gli uomini ad acquistare le cose, non le cose gli uomini. Grande cosa è il dominio sul mare: “mevga ga;r to; th̃ς qalavsshς kratoς (I, 143, 3).
 L’oligarca della Costituzione degli Ateniesi ha tutt’altro punto di vista “ad Atene la canaglia ha preso il potere perché è il popolo che fa andare le navi: “oJ ejlauvnwn ta;ς naũς”.

Pericle conclude il primo discorso ricordando che i loro padri che pure non avevano tante risorse e anzi abbandonarono quelle che possedevano, affrontarono i Medi con l’intelligenza (gnwvmh/) più che con la fortuna (plevoni h] tuvch/), con il coraggio più grande della potenza (tovlmh/ meivzoni h] dunavmei) I, 144, 4.
Si vede che entra anche l’elemento irrazionale.
Gli Ateniesi votarono come lui volle. 

Secondo discorso di Pericle
Lovgoς ejpitavfioς (II, 35-46) tenuto nell’inverno 431-430.
La lode dei caduti sta nelle loro gesta, non nelle parole dell’oratore che deve solo trovare parole adeguate ai fatti.
Solo i pepaideuomevnoi sono capaci di farlo.
Chi parla è spesso portato a straparlare: è difficile infatti parlare con misura (calepo;n ga;r to; metrivwς eijpeĩn, II, 35, 2).
Di chiacchierare sono capaci tutti, ma come dice Pelasgo nelle Supplici di Eschilo: “makra;n ge me;n dh; rJh̃sin ouj stevrgei povliς (273).
Gli ascoltatori provano invidia e non credono a ciò che supera la loro mediocrità.
Pericle cercherà comunque di seguire la tradizione e di incontrare le aspettative degli uditori.
Questo stratego del resto poteva pure permettersi di contraddire i gusti del suo popolo e provocarlo fino all’ira pro;ς ojrghvn in quanto era chiaramente incorruttibile riguardo al denaro : “ diafanw̃ς ajdwrovtatoς genovmenoς kateĩce to; plh̃qoς ejleuqevrwς” (II, 65).
Teneva in pugno il popolo lasciandolo libero.

Torniamo al lovgoς ejpitavfioς. Gli abitanti dell’Attica sono autoctoni da sempre.
I loro padri hanno conquistato l’impero (ajrchvn) non senza fatica (oujk ajpovnwς) e i figli lo hanno accresciuto (II, 35, 2) rendendo Atene aujtarkestavthn, assolutamente in grado di badare a se stessa.
Del resto l’autarchia assoluta non è possibile come capisce il Duvskoloς di Menandro quando cade in un pozzo (credevo di essere aujtavrkhς, 713 ss.)
La grandezza di Atene è dovuta e alla sua costituzione (politeiva) e ai suoi costumi (trovpoi), detto in breve, poiché Pericle non vuole makrhgoreĩn, parlare prolissamemente.
Polibio ripeterà queste formule siccome Tucidide ejnomoqevthse, legiferò (cfr. Luciano)

Ne paragrafo , II, 37, 1 delle Storie di Tucidide troviamo il paradigma storico della nostra Costituzione.

Noi, dice Pericle abbiamo una costituzione esemplare (paravdeigma) e degna di essere imitata. Si chiama democrazia è c’è una condizione di uguaglianza (to; i[son) per tutti. Si viene eletti alle cariche pubbliche secondo la stima del valore (kata; de; th;n ajxiwvsin) né uno viene preferito alle cariche per il partito di provenienza (oujk ajpo; mevrouς) più che per il valore (to; plevon ejς ta; koina; h] ajp j ajreth̃ς), né del resto secondo il criterio della povertà (oujd j au\ kata; penivan) se uno può fare qualche cosa di buono per la città, ne è stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (ajxiwvmatoς ajfaneiva/ kekwvlutai).

Sentiamo allora la nostra Costituzione.
Articolo 1: L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
L’articolo 3 è forse il più noto: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di condizioni personali e sociali
Comma B. E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese.

Giovenale nella III satira scrive invece che i Quiriti poveri sarebbero già dovuti emigrare a falangi serrate (agmine facto)
Debuerant olim tenues migrare Quirites
Haut facile emergunt quorum virtutibus opstat
Res angusta domi, sed Romae durior illis
Conatus. Magno hospitium miserabile, magno
Servorum ventres, et frugi cenula magno (vv. 164-167), non facilmente emergono quelli alle cui virtù è di ostacolo la scarsezza del patrimonio, a Roma è troppo duro lo sforzo per loro. Un domicilio miserabile è caro, caro è il ventre dei servi, cara una modesta cenetta.

Veniamo al Menesseno di Platone.
Sarebbe stata Aspasia a suggerire il discorso sui morti a Pericle.
La donna dice che nessuno è stato escluso per povertà (peniva/), né per oscurità dei padri, né d’altra parte per condizioni opposte è stato ritenuto degno di onore (238d)
 “La costituzione, se è buona, alleva uomini valorosi, se è cattiva invece dei malvagi. Quella che chiamano democrazia di fatto è un’aristocrazia con il consenso della massa (e[sti de; th̃/ ajlhqeiva/ metj eujdoxivaς plhvqouς ajristokrativa (238d). Noi abbiamo sempre avuto dei re. (Il secondo arconte che presiedeva al culto, aveva il titolo di re)
Anche la costituzione ateniese è in qualce modo mikthv.
Il popolo assegna cariche e potere a chi gli sembra essere il migliore: nessuno è stato escluso (ajphlevlatai oujdeivς) per debolezza, povertà, oscurità dei padri, né per motivi opposti (oujde; toĩς ejnantivoiς) è stato onorato. C’è un solo limite (ei|ς o{roς): ha il potere e le cariche (krateĩ kai; a[rcei) chi ha la reputazione di uomo saggio o buono (oJ dovxaς sofo;ς h} ajgaqo;ς ei\nai (238d).


continua




[1] Temistocle a Salamina (480)

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