Tucidide |
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Torniamo alle Storie
di Tucidide.
Il torneo oratorio di Sparta 432.
I Corinzi parlano degli Ateniesi con l’acume dell’odio alla
I assemblea (non plenaria) dei delegati della lega Peloponnesiaca che si tenne
a Sparta nel 432
Per tutta la vita essi si affaticano tra prove e pericoli-meta; povnwn kai; kinduvnwn mocqoũsi e godono pochissimo di quello che
hanno, perché sempre acquistano-dia; to;
aijei; ktãsqai, e non
considerano una festa altro che fare ta;
devonta, quello che devono, e una sventura non meno una tranquillità
inattiva che un’attività penosa ( I, 70)
Anche nella tecnica prevale la scoperta più recente. Così
nella politica, che è una tecnica, ci vogliono sempre innovazioni: pollh̃ς
th̃ς ejpitecnhvsewς deĩ (I,
71).
Voi Spartani non vi rinnovate. I Corinzi accusano gli
Spartani di immobilismo.
Quindi parlarono gli Ateniesi invitati a questo convegno.
Rivendicano i loro meriti nelle guerre persiane, soprattutto
nella seconda: ci misero il maggior numero di navi, lo stratego più
intelligente[1]
e l’impegno più risoluto proqumivan
ajoknotavthn (I. 74).
Al nostro successivo potenziamento siamo stati costretti. kathnagkavsqhmen dal timore (malivsta uJpo;
devouς) , dall’onore (e[peita kai;
timh̃ς) e dall’utile (u{steron kai;
wjfelivaς). E’ la logica del potere.
Quindi proclamano il diritto del più forte.
E’ stabilito da
sempre che il più debole sia sopraffatto da più forte (aijei; kaqestw̃toς to;n h{ssw ujpo; toũ dunatwtevrou kateivrgesqai, I, 76) e noi
ne siamo degni. Noi esercitiamo la supremazia con moderazione metriavzomen.
I processi
Abbiamo fama di amare i processi: filodikeĩn dokoũmen (I, 77), e lo riconosciamo: quelli che
possono fare violenza infatti non hanno bisogno di processi biavzesqai ga;r oi|ς a}n ejxh̃/
, dikavzesqai oujde;n prosdevontai (I, 77).
Per la mania dei processi Le Nuvole di Aristofane del 422.
Il primo discorso di Pericle del 431 (Tucidide, Storie, I, 140-144)
Socrate nel Fedro
afferma che probabilmente Pericle è stato il più perfetto nell’oratoria: “kunduneuvei, w\ a[riste, eijkovtw~ oJ Periklh`~
pavntwn telewvtato~ eij~ th;n rJhtorikhn genevsqai ” (269e)
Tucidide introduce questo discorso scrivendo che Pericle era prw`to~ jAqhnaivwn , il primo degli Ateniesi e il più capace di parlare
e di agire: “levgein te kai; prassein dunatwvtato~.
Essere cittadini significa anche avere delle
capacità: in primis quella di parlare in modo persuasivo e di agire
conseguentemente. La politikh; tevcnh è anche rJhtorikh; tevcnh
Nel 427, Diodoto parlando contro Cleone, dice che i discorsi sono maestri dei fatti (lovgoi didavskaloi tw`n pragmavtwn III, 42, 2).
Pericle chiede di non cedere agli Spartani (mh; ei[kein, I, 140, 1).
Tucidide si rifà a un’idea razionale dell’uomo e della
storia e, come poi Cesare e dà poco spazio ai motivi irrazionali delle imprese.
Svetonio ricava “il dado è tratto” da Asinio Pollione.
Però Tucidide non elimina del tutto il para; lovgon: a volte la tuvch conduce i fatti para; lovgon appunto contro il ragionato
calcolo.
Non bisogna cedere alle richieste degli Spartani di abrogare
il decreto di Megara e di togliere l’assedio a Potidea, altrimenti arriveranno
altri ordini
Sono i capitali , le eccedenze che sostengono le guerre (aiJ periousivai tou`~ polevmou~ ajnevcousin)
e i Peloponnesiaci ne sono privi.
Senza denaro non si colgono le occasioni le quali non
aspettano (oiJ kairoi; ouJ menetoiv,
I, 142, 1), sarà importante dominare il mare e gli Spartani non possono poiché
la nautica è fatta di tecnica e di capitali.
(Cfr, l’ajcrhmativa
di, I, 11. Essa inficiava la grandezza e la potenza della flotta contro Troia).
Non importa se i campi verranno danneggiati; basta che si
salvino le vite umane, poiché sono gli uomini ad acquistare le cose, non le
cose gli uomini. Grande cosa è il dominio sul mare: “mevga ga;r to; th̃ς qalavsshς kratoς
(I, 143, 3).
L’oligarca della Costituzione degli Ateniesi ha tutt’altro
punto di vista “ad Atene la canaglia ha preso il potere perché è il popolo che
fa andare le navi: “oJ ejlauvnwn ta;ς naũς”.
Pericle conclude il primo discorso ricordando che i loro
padri che pure non avevano tante risorse e anzi abbandonarono quelle che
possedevano, affrontarono i Medi con l’intelligenza (gnwvmh/) più che con la fortuna (plevoni h] tuvch/), con il coraggio più grande della potenza
(tovlmh/ meivzoni h] dunavmei) I,
144, 4.
Si vede che entra anche l’elemento irrazionale.
Gli Ateniesi votarono come lui volle.
Secondo discorso di Pericle
Lovgoς ejpitavfioς (II, 35-46) tenuto
nell’inverno 431-430.
La lode dei caduti sta nelle loro gesta, non nelle parole
dell’oratore che deve solo trovare parole adeguate ai fatti.
Solo i pepaideuomevnoi
sono capaci di farlo.
Chi parla è spesso portato a straparlare: è difficile
infatti parlare con misura (calepo;n ga;r
to; metrivwς eijpeĩn, II, 35, 2).
Di chiacchierare sono capaci tutti, ma come dice Pelasgo
nelle Supplici di Eschilo: “makra;n ge me;n dh; rJh̃sin ouj stevrgei povliς (273).
Gli ascoltatori provano invidia e non credono a ciò che
supera la loro mediocrità.
Pericle cercherà comunque di seguire la tradizione e di
incontrare le aspettative degli uditori.
Questo stratego del resto poteva pure permettersi di
contraddire i gusti del suo popolo e provocarlo fino all’ira pro;ς
ojrghvn in quanto era chiaramente incorruttibile riguardo al denaro : “ diafanw̃ς
ajdwrovtatoς genovmenoς kateĩce
to; plh̃qoς ejleuqevrwς” (II, 65).
Teneva in pugno il popolo lasciandolo libero.
Torniamo al lovgoς
ejpitavfioς. Gli abitanti dell’Attica sono autoctoni da sempre.
I loro padri hanno conquistato l’impero (ajrchvn) non senza fatica (oujk ajpovnwς) e i figli lo hanno
accresciuto (II, 35, 2) rendendo Atene aujtarkestavthn,
assolutamente in grado di badare a se stessa.
Del resto l’autarchia assoluta non è possibile come capisce
il Duvskoloς di Menandro quando cade
in un pozzo (credevo di essere aujtavrkhς,
713 ss.)
La grandezza di Atene è dovuta e alla sua costituzione (politeiva) e ai suoi costumi (trovpoi), detto in breve, poiché Pericle
non vuole makrhgoreĩn, parlare prolissamemente.
Polibio ripeterà queste formule siccome Tucidide ejnomoqevthse, legiferò (cfr. Luciano)
Ne paragrafo , II, 37, 1 delle Storie di Tucidide troviamo il paradigma storico della nostra
Costituzione.
Noi, dice Pericle abbiamo una costituzione esemplare (paravdeigma) e degna di essere imitata. Si
chiama democrazia è c’è una condizione di uguaglianza (to; i[son) per tutti. Si viene eletti alle cariche pubbliche
secondo la stima del valore (kata; de; th;n
ajxiwvsin) né uno viene preferito alle cariche per il partito di
provenienza (oujk ajpo; mevrouς) più
che per il valore (to; plevon ejς ta; koina; h] ajp j ajreth̃ς), né del
resto secondo il criterio della povertà (oujd
j au\ kata; penivan) se uno può fare qualche cosa di buono per la città,
ne è stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (ajxiwvmatoς
ajfaneiva/ kekwvlutai).
Sentiamo allora la nostra Costituzione.
Articolo 1: L’Italia è una repubblica democratica fondata
sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione”.
L’articolo 3 è forse il più noto: “Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di religione, di condizioni personali e sociali
Comma B. E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e
sociale del paese.
Giovenale nella III satira scrive invece che i Quiriti
poveri sarebbero già dovuti emigrare a falangi serrate (agmine facto)
Debuerant olim tenues migrare Quirites
Haut facile emergunt quorum virtutibus opstat
Res angusta domi, sed
Romae durior illis
Conatus. Magno
hospitium miserabile, magno
Servorum ventres, et
frugi cenula magno (vv. 164-167), non facilmente emergono quelli alle cui
virtù è di ostacolo la scarsezza del patrimonio, a Roma è troppo duro lo sforzo
per loro. Un domicilio miserabile è caro, caro è il ventre dei servi, cara una
modesta cenetta.
Veniamo al Menesseno
di Platone.
Sarebbe stata Aspasia a suggerire il discorso sui morti a
Pericle.
La donna dice che nessuno è stato escluso per povertà (peniva/), né per oscurità dei padri, né d’altra
parte per condizioni opposte è stato ritenuto degno di onore (238d)
“La costituzione, se
è buona, alleva uomini valorosi, se è cattiva invece dei malvagi. Quella che
chiamano democrazia di fatto è un’aristocrazia con il consenso della massa (e[sti de; th̃/ ajlhqeiva/ metj eujdoxivaς
plhvqouς ajristokrativa
(238d). Noi abbiamo sempre avuto dei re. (Il secondo arconte che presiedeva al
culto, aveva il titolo di re)
Anche la costituzione ateniese è in qualce modo mikthv.
Il popolo assegna cariche e potere a chi gli sembra essere
il migliore: nessuno è stato escluso (ajphlevlatai
oujdeivς) per debolezza, povertà, oscurità dei padri, né per motivi
opposti (oujde; toĩς ejnantivoiς) è stato onorato. C’è un solo
limite (ei|ς o{roς): ha il potere e le cariche (krateĩ kai; a[rcei)
chi ha la reputazione di uomo saggio o buono (oJ
dovxaς sofo;ς h} ajgaqo;ς
ei\nai (238d).
continua
Bello,lo stampo e lo studio... Giovanna Tocco
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