Platone (Raffaello, Scuola di Atene) |
Fedone
Composto tra il 387 e il 367, come il Simposio.
Fedone racconta a Echecrate le ultime ore di Socrate
Le anime che non si sono liberate dall’elemento tellurico
praticano gozzoviglie, lussurie e ubriacature a dismisura e si calano eij" ta; o[nwn gevnh nelle razze dei
somari e di simili animali (82) . Cfr, L’asino
d’oro di Apuleio, Pinocchio di
Collodi.
Invece quelli che preferiscono ingiustizia, tirannide e
rapine assumono forme di lupi e sparvieri
I più felici sono quelli che praticano le virtù pubbliche e
politiche che si chiamano temperanza e giustizia. Questi diventeranno api o
vespe o formiche o torneranno a essere uomini misurati. Per l’ape animale
reputato cfr. Il giambo antifemminista di Simonide
Arrivano a forma divina solo quelli che hanno amato la
conoscenza. Questi si tengono lontani da tutti i desideri del corpo che è una
terribile prigione
Socrate manda via Santippe che lo disturba. Dice a Critone: “w\ Krivtwn ajpagevtw ti" oi[kade, qualcuno
la porti a casa. Alcuni familiari di Critone la portarono via mentre gridava e
si percuoteva.
Il corpo dunque è un impedimento dell’anima.
Conoscere è ricordare. Infatti siamo passati sulla terra più
volte. Socrate come i cigni vuole fare i discorsi più belli prima di morire.
I cigni quando si accorgono di dover morire cantano più e
meglio che nel passato, lieti di andare dalla divinità di cui sono servitori, Apollo.
Gli uomini calunniano i cigni per la loro paura della morte, e dicono che cantano
per il dolore, mentre nessun uccello canta per dolore. Io mi sento loro
fratello e come loro sono stato provvisto della divinazione da Apollo (85)
Socrate provò entusiasmo poi disillusione per Anassagora.
Nel Fedone, Socrate
racconta che provò interesse per le dottrine dei fisici. Andò a scuola da
Archelao, discepolo di Anassagora, e sentì dire che c'è una mente, ordinatrice
e causa di tutte le cose, e questo gli piacque; però poi leggendo i libri di
Anassagora si accorse che quell'uomo non si avvaleva affatto della mente, non
gli assegnava alcun principio di causalità nell'ordine dell'universo, ma
presentava come cause l'aria, l'etere e l'acqua. Egli dunque si era messo alla
lettura di Anassagora con grande aspettativa, ma poi rimase deluso poiché il
filosofo il più delle volte riconduceva tutto a cause materiali come gli altri
fisici, e non era la Mente (Nou'") il
principio informatore dell'universo. Sperava di avere trovato un maestro che
spiegasse le cause kata; nou'n (97d),
ma poi leggendo il libro di Anassagora oJrw'
a[ndra tw/' me; n nw'/ oude; n crwvmenon (98b) , vedo che l’uomo non si
avvale della mente.
Il mito geografico del destino delle anime.
La terra è sferica e si trova al centro dell’universo. Noi
uomini abitiamo in delle grotte dentro la terra. Più interno è il Tartaro con i
4 fiumi: Oceano, Acheronte, Piriflegetonte e Cocito.
L’Acheronte sfocia nella palude Acherusiade dove si
raccolgono molte anime di morti.
Il giudizio dei morti 113c - 114c
L’anima se ne va all’Ade portando con sé nient’altro plh; n th paideiva" te kai; trufh`"”, che la sua educazione e il regime di vita.
Ogni morto viene portato dal suo demone nel luogo del raduno
dove vengono giudicati. La via ha molte biforcazioni e trivii, scivsei" te kai;, triovdou"
pollav" (108)
L’anima buona segue il demone, la cattiva viene trascinata (cfr.
Seneca)
Ogni anima è assegnata al luogo che le si addice,
Noi da vivi abitiamo in cavità della terra (toi'" koivloi") dal Fasi alle colonne d’Ercole e stiamo intorno al
mare come formiche o rane intorno a uno stagno. L’aria che respiriamo non è
quella che sta sotto il cielo stellato ma non ce ne accorgiamo. Non ci
solleviamo per debolezza e pigrizia (uJp j ajsqeneiva" kai; braduth'to" 109e.
Nella terra c’è una voragine (cavsma)
particolarmente grande: il Tartaro.
Qui confluiscono tutti i fiumi, e di qui defluiscono.
Lo menziona Omero nell’VIII dell’Iliade quando Zeus minaccia di gettarvi gli dèi che aiuteranno i
Greci o i Troiani (v. 14)
I quattro fiumi più importanti tra quanti entrano nel
Tartaro e ne escono sono l’Oceano, il più grande (mevgiston) che percorre il cerchio più esterno (ejxwtavtw/ rJevon peri; kuklw/ 112e) , poi
l’Acheronte che scorre in senso contrario e dopo essersi inabissato finisce
nella palude Acherusiade dove arriva la maggior parte dei defunti.
Questi dopo una permanenza sono rimandati tra i viventi
Poi c’è il Piriflegetonte che forma una palude ribollente (cfr.
flevgw, brucio)
Poi lo Stige che forma la palude Stigia. (cfr. stugevw, odio)
Viene nominato anche il Cocito (cfr. kwkuvw, grido di dolore) che si getta nel Tartaro dalla parte
opposta del Piriflegetonte 113d.
In Dante
il Flegetonte è un lago bollente di color rosso sangue dove
sono immersi i violenti (e’ son tiranni/che dier nel sangue e nell’aver di
piglio”, XII, 104 - 105.
Deriva dal veglio di Creta, il paese guasto (Inf, XIV 73 sgg.).
L’Acheronte è sulla soglia dell’Inferno. Solo gli ignavi non
possono passarlo.
Il Cocito sta nel cerchio più basso ed è è gelato. Ci sono i
traditori (XXXI) (cfr. kwkuvw, piango).
I fiumi infernali escono dalle fessure delle parti di
argento, rame, ferro del corpo del gran veglio.
I morti (teteleuthkovte")
condotti dal demone vengono giudicati. Alcuni sono vissuti bene e
santamente, altri male, altri mediocremente. I mediocri vanno nella palude
Acherusiade a purificarsi
Quelli che appaiono incurabili per l’enormità delle loro
colpe oi[ d j a[n dovxwsin ajnivatw"
e[cein dia; ta; megevqh tw'n ajmarthmavtwn (113e) vengono gettati nel
Tartaro da dove non escono più. Ve li getta un destino appropriato (hJ proshvkousa moi'ra rJivptei eij" to; n
Tavrtaron) e non ne escono più.
I curabili che si sono pentiti stanno un anno nel Tartaro, poi
gli omicidi vanno verso il Cocito, i violenti contro i genitori vanno nel
Piriflegetonte. Poi tornano nella palude Acherusiade e chiedono perdono alle
vittime. Se le persuadono, passano oltre e smettono di soffrire (ejkbaivnousiv te kai; lhvgousi tw'n kakw'n, 114b)
altrimenti tornano nel Tartaro. Quelli vissuti santamente oJsivw" salgono nelle regioni
superiori della terra. I filosofi vivono senza corpo in dimore più belle delle
altre.
Sostenere questo non si addice a chi ha intelligenza (ouj prevpei nou'n e[conti, 114d, detto
ironicamente) , ma siccome l’anima è immortale vale la pena di correre il
rischio secondo me moi dokei' kai; a[xion
kinduneu'sai. Il rischio è bello kalo;
" ga; r oJ kivnduno" 114d e dobbiamo incantare noi stessi con
queste cose.
Perciò mi dilungo sul mito: dio;
dh; e[gwge kai; pavlai mhkuvnw to; n mu'qon.
Può essere fiducioso per la propria anima l’uomo che ha
dedicato la vita all’apprendimento ed è vissuto con temperanza, giustizia, coraggio,
libertà.
Io ora sono chiamato dal destino, direbbe un eroe tragico. (115)
Cfr. Lucrezio I tormenti cosiddetti infernali sono qui sulla
terra
hic Acherusia fit
stultorum denique vita (De rerum
natura, III, 1023
Sicché Tantalo rappresenta la paura degli dèi,
Tizio la sofferenza amorosa,
Sisifo l’ambizione del potere,
le Danaidi
l’insaziabilità,
Menone
composto
nel 387 come manifesto programmatico della scuola.
Imparare è in generale reminiscenza manqavnein ajnavmnhsi" o[lou ejstivn
Socrate dice a Menone
che ci sono uomini e donne addottrinati nelle cose divine. L’ha sentito da
sacerdoti e sacerdotesse e l’ha letto in Pindaro
Il lirico tebano scrive che nelle isole dei beati spirano brezze
dall’Oceano e a[nqema crusou' flevgei 132, ardono
fiori d’oro.
Profeti e poeti affermano che l’anima dell’uomo è immortale
fasi; ga; r th; n yuch; n tou' ajnqrwvpou ei\nai
ajqavnaton (81b) . Per questo bisogna vivere una vita il più possibile
pia.
Poi cita Pindaro (fr, 133 Maehler): “ manda di nuovo nella
luce del sole quelli che hanno pagato il debito dei loro antichi peccati. ”
L’anima dunque ha visto il mondo di qua e quello di là e ha
appreso tutto. Ogni vita allora può far riemergere quanto ha appreso nelle
precedenti. E siccome tutta la natura è imparentata con se stessa (a[te ga; r th'" fuvsew" ajpavsh"
suggenou'" ou[sh", 82d) , ricordare una sola cosa fa emergere
tutto il resto se l’anima è coraggiosa e non si stanca di cercare, infatti
cercare e imparare è in generale reminiscenza: “to;
ga;; r zhtei'n a[ra kai; manqavnein ajnavmnhsi" o[lou ejstivn (81d)
Allora non dobbiamo affidarci a questo ragionamento eristico
(ou[koun dei' peivpesqai toutw// ejristikw/'
lovgw
giovanni ghiselli
C arissimo Gianni ,la tua conferenza in medio teca è piaciuta. Grazie perchè con il tuo lavoro rendi accessibili dei capolavori.Più ti conosco e più ti stimo. Giovanna Tocco
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