Polibio, rampa del palazzo del parlamento di Vienna Alois Duell, 1899 |
Appendice
Monarchia-Regno-Tirannide-Aristocrazia-Oligarchia-Democrazia-Oclocrazia.
Passaggio dal regno alla tirannide, quindi all'aristocrazia che degenera in
oligarchia. Polibio e Lucrezio, quindi Platone e Aristotele
Polibio
L'aristocrazia nasce come reazione alla tirannide che è la
corruzione del regno. Questo costituisce la correzione e l'evoluzione della
monarchia, mentre la tirannide è l'involuzione del regno. I re anticamente una
volta scelti invecchiavano nella loro funzione regale (ejnegevraskon tai'" basileivai")
fortificando e cingendo di mura località importanti ed acquistando territori
("tovpou" te diafevronta"
ojcurouvmenoi kai; teicivzonte" kai; cwvran kataktwvmenoi",
VI, 7, 4.
Lucrezio
Cfr. i vv. del De rerum natura : “condere coeperunt urbis arcemque locare/ presidium reges ipsi sibi
perfugiumque " (V, 1108-1109).
Nel poema di Lucrezio i reges
corrispondono a una fase intermedia tra il movnarco"
e il basileuv" che in Polibio
si evolve un poco alla volta dal primo ("basileuv"
ejk monavrcou lanqavnei genovmeno"", VI, 6, 12) quando la
ragione ("oJ logismov"")
prenda la supremazia al posto dell'istinto e della forza bruta .
In Lucrezio infatti per essere re e per ottenere il favore
di questi re contano tanto l'istinto, la bellezza e la forza quanto l'ingegno e
il possesso della tecnologia.
La decadenza viene dalla res
e dall’aurum.
Ma vediamo alcuni
versi del De rerum natura :
Di giorno in giorno sempre
di più con i nuovi mezzi e con il fuoco
insegnavano a cambiare completamente il modo di vivere e il
vitto
quelli che si distinguevano per ingegno e avevano vigoroso
coraggio ("ingenio qui praestabant
et corde vigebant " V, 1107). Cominciarono a fondare città e a porvi
le rocche i re stessi, come presidio e rifugio per sé, e greggi e campi
divisero e li assegnarono secondo l'aspetto di ciascuno e le forze e l'ingegno
("pro facie cuiusque et viribus
ingenioque ", V,1111) molto infatti contava l'aspetto e le forze
valevano ("nam facies multum valuit
viresque vigebant ", V, 1112) .
"Posterius res inventast aurumque repertum,/quod
facile et validis et pulchris dempsit honorem" si trovò la roba e fu
scoperto l'oro che facilmente ai forti e ai belli tolse il potere (V,
1113-1114).
L'impostazione politica generale tra i due autori
naturalmente è diversa poiché Polibio è ben lontano dal criticare la proprietà
privata e la sua distinzione, ci ricorda Canfora, è di un genere
"caratteristico del pensiero antidemocratico nella sua forma più
evoluta"[1].
Ma questo lo vedremo più avanti a proposito della dhmokrativa secondo Polibio (VI, 4, 4).
Intanto riferisco qualche pensiero dallo Zibaldone di Leopardi
“ I re da principio erano più che altro i condottieri degli
eserciti. La persona del generale si è divisa da quella del principe, e i re
hanno lasciato di essere guerrieri, e non si sono vergognati di non saper
comandare alle proprie armate, né diriggere e adoperar la forza del proprio
regno, non tutto ad un tratto, ma appoco appoco, e in proporzione che il mondo
e le cose umane hanno perduto il loro vigore ed energia naturale, e che
l’apparenza ha preso il luogo della sostanza” (pp. 1911-1912).
Più avanti il
Recanatese afferma che la monarchia è il governo sia della società primitiva
sia di quella "pienamente corrotta", mentre "una società capace
di repubblica durevole, non può essere che leggermente o mezzanamente corrotta
(come la moderna)". Così "apparentemente, si avvicinano i due
estremi, di società primitiva, di cui non è proprio altro stato che la
monarchia; e di società totalmente guasta, di cui non è propria che l'assoluta
monarchia". Apparentemente, poiché la società primitiva non ammette la
monarchia dispotica; in quella guasta "non può durar che una monarchia
assoluta cioè dispotica"(3517).
Di nuovo Polibio
I primi a gestire il regno garantivano sicurezza ai sudditi
e nello stesso tempo non suscitavano invidia poiché avevano un tenore di vita
simile a quello del popolo.
Ma i loro eredi si
abbandonarono al lusso e alla lussuria sfrenata e a tale comportamento
seguirono invidia e ostilità odio e ira, per cui dal regno nacque la tirannide
ed ebbe inizio la disgregazione e la cospirazione contro i capi, non da parte
dei peggiori ("oujk ejk tw'n
ceirivstwn") ma dei più nobili, magnanimi e coraggiosi poiché sono
uomini del genere a non poter assolutamente sopportare le prepotenze dei capi
("dia; to; tou;" toiouvtou"
h{kista duvnasqai fevrein ta;" tw'n ejfestwvtwn u{brei""
, VI, 7, 9). Quando questi, appoggiati dalla massa, cacciano i tiranni, si
instaura l'aristocrazia, ossia il potere dei migliori cui il popolo grato
affida il governo. Essi si comportano bene: non consideravano nulla più
importante del pubblico interesse amministrando gli affari pubblici e privati
"khdemonikw'" kai; fulaktikw'""(VI,
8, 3) con premura e con attenzione. La degenerazione del regime buono avviene,
di nuovo, quando il potere passa dai padri ai figli i quali, resi arroganti
dall'autorità e dal prestigio dei genitori, si abbandonano ai vizi cui induce
il potere ereditato: alcuni all'avidità del denaro, altri all'ubriachezza e ai
bagordi, altri a violenza contro le donne e a ratti di fanciulli.
Così i figli cambiano l'aristocrazia in oligarchia
scatenando nel popolo sentimenti cattivi simili a quelli che hanno fatto cadere
la tirannide; sicché la caduta finale ("to;
tevlo" th'" katastrofh'"", VI, 8, 6) degli oligarchi
è simile a quella dei tiranni. Segue la democrazia
Questo mutamento costituzionale che parte dalla classe
dirigente era già stato descritto da Platone del quale, come di alcuni altri
filosofi, Polibio si riconosce debitore dicendo che hanno analizzato i
cambiamenti naturali e vicendevoli delle costituzioni con maggior rigore
("ajkribevsteron", VI, 5,
1) che lui stesso.
Allora vediamo qualche passaggio dell'VIII libro della Repubblica di Platone. Socrate, parlando
con Glaucone, si chiede in che modo un'aristocrazia produce una timocrazia dove
prevale l'ambizione e un amore del denaro ancora occulto: quando esso diventa
palese si passa all'oligarchia.
Dunque "pa'sa
politeiva metabavllei ejx aujtou' tou' e[conto" ta;" ajrcav""
(545d), ogni costituzione muta proprio per via di chi ha il potere. All'inizio
c'è un errore nel calcolo del numero nuziale da parte dei guardiani, quindi
verranno generati figli come non si dovrebbe "oujk eujfuei'" oujd j eujtucei'""(546d) di
qualità e di sorte non buona i quali stimeranno meno del dovuto l'educazione
"musicale" posponendola alla ginnastica.
La conseguenza sarà una costituzione mediana tra
l'aristocratica e l'oligarchica, la timocratica appunto, diretta da uomini
educati non bene per avere trascurato la vera Musa dei ragionamenti e della
filosofia e avere stimato la ginnastica come più veneranda della
"musica". Essi, sotto il dominio del lato irascibile, ameranno il
denaro, il potere e la contesa. Segue un quadro del giovane timocratico,
carente di educazione, quindi estraneo alle Muse, per niente desideroso di
parlare, sebbene capace di ascoltare, ambizioso, amico della ginnastica e della
caccia, quindi anche delle ricchezze, poiché è rimasto privo dell'ottimo
custode "movno"...swth;r
ajreth'""(549b) solo salvatore della virtù: il ragionamento
mescolato alla "musica".
Invero l'impostazione platonica mi sembra assai diversa da
quella di Polibio in quanto il filosofo dà la massima importanza all'educazione
nella cui carenza vede la causa del cambiamento negativo.
A volte il giovane diviene ambizioso per la spinta della
madre che si lagna di non essere tra le prime della città ( cfr. le Leggi di Platone 694d, e Lady Macbeth)
e critica la scarsa ambizione del marito, e magari viene anche aizzato dai
servi. E' sempre un fatto di cattiva educazione che consegue a una cattiva
genetica. Allora il ragazzo, tirato da due forze, l'elemento razionale ("to; logistikovn", 550b) del padre e
quello appetitivo e irascibile ("tov
te ejpiqumhtiko;n kai; to; qumoeidev"") degli altri, affida se
stesso all'elemento battagliero e irascibile e diviene un uomo superbo e
ambizioso: “uJyhlovfrwn te kai;
filovtimo" ajnhvr".
Questo è l'uomo timocratico.
Quindi si passa all'oligarchia, la costituzione " ejn h| oiJ me;n plouvsioi a[rcousin, pevnhti de;
ouj mevtestin ajrch'""(550D), in cui i ricchi comandano, il
povero invece non ha alcuna parte del potere.
Il passaggio avviene con la sempre maggiore valutazione del
denaro: “Jv o{{sw/ a]n tou'to timiwvteron
hJgw'ntai, tosouvtw/ ajreth;n ajtimotevran"(550e), quanto più
considerano pregevole questo tanto meno pregevole la virtù, e, subito dopo,
quando in una città vengono pregiati la ricchezza e i ricchi, saranno più
spregiati la virtù e i buoni.
Sicché agli uomini battaglieri e ambiziosi della timocrazia,
succedono, nell’oligarchia, gli amanti degli affari e del denaro ("filocrhmatistai; kai; filocrhvmatoi"(551a),
ammiratori dei ricchi e spregiatori dei poveri che saranno esclusi dal potere e
costituiranno uno stato nello stato. Sull'anima dell'uomo oligarchico al posto
dell'ambizione e dell'elemento irascibile ("to;
qumoeidev"", 553c) comanda, come il grande re, l'elemento
appetitivo e avido di ricchezze ("to;
ejpiqumhtikovn te kai; filocrhvmaton") il quale, insieme con
l'elemento irascibile ha asservito e messo a terra anche quello razionale
("tov...logistikovn",
553d). Platone continua con una serie di note psicologiche e di immagini che
nel suo epigono Polibio mancano e che meritano di essere conosciute dagli
studenti, almeno dai miei studenti.
L'uomo oligarchico dunque è un individuo arido ("aujcmhrov"", 554a) che non ha
mai volto l'anima all'educazione, altrimenti non avrebbe posto a capo del coro
un cieco, ossia Pluto, il dio della ricchezza, che era ritenuto cieco.
E la mancanza di educazione genera nell'anima passioni
parassitarie, alcune da pitocco, altre da malfattore, sicché un uomo del genere
sarà in discordia con se stesso, avido e sperperatore, ingiusto e ipocrita. La
vera virtù dell'anima concorde e armonizzata con se stessa sarà lontana da lui.
Nel resto dell'VIII libro della Repubblica
Platone spiega come si passa dallo stato oligarchico a quello democratico, poi
a quello tirannico.
E' interessante notare che nell’VIII libro della Repubblica
di Platone la rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;" ajnh;r pevnh" hJliwvmeno"
(556d) il quale, schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con
molta carne altrui (paratacqei;" ejn
mavch/ plousivw/ ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka"
ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà, e capisce che
non vale nulla, quindi che non deve obbedirgli poiché il potere di
quell’individuo pallido e grasso non è naturale.
Agesilao mostrava nudi ai suoi soldati i prigionieri pallidi
e grassi per significare la mollezza dei nemici.
Anche qui i giovani si corrompono per l'insipienza dell'educazione
paterna di j janepisthmosuvnhn trofh`~ patrov~ ( Repubblica,
568b).
La tranvalutazione lessicale (cfr. Tucidide III, 82, 4)
Nello stato democratico gli appetiti (ejpiqumivai) prendono possesso dell'acropoli
dell'anima del giovane, poi questa viene occupata da parole e opinioni false e
arroganti (yeudei'" dh; kai;
ajlazovne"… lovgoi te kai;
dovxai 560c) le quali chiamando il pudore stoltezza (th;n me;n aijdw' hjliqiovthta ojnomavzonte"),
lo bandiscono con disonore; chiamando la temperanza viltà (swfrosuvnhn [2]
de; ajnandrivan), la buttano fuori coprendola di fango (prophlakivzonte" ejkbavllousi), e
mandano oltre confine la misura e le ordinate spese (metriovthta de; kai; kosmivan dapavnhn) persuadendo che sono
rustichezza e illiberalità (ajgroikivan
kai; ajneleuqerivan 560d). E non basta. I discorsi arroganti con l'aiuto
di molti inutili appetiti transvalutano pure, ma in positivo, i vizi,
immettendoli nell'anima e chiamano la prepotenza buona educazione (u{brin me;n eujpaideusivan
kalou'nte" ), l'anarchia libertà (ajnarcivan
de; ejleuqerivan), la
dissolutezza magnificenza (ajswtivan de;
megaloprevpeian), e l'impudenza
coraggio (ajnaivdeian de; ajndreivan
560e-561).
L’uomo così corrotto
vive a casaccio, e la sua vita non è regolata da ordine (tavxi") né da alcuna necessità (ajnavgkh). Si capovolgono pure i rapporti
umani: il padre teme il figlio, il maestro lo scolaro, i vecchi imitano i
giovani, per non sembrare inameni e autoritari (i[na
mh; dokw'sin ajhdei'" ei\nai mhde; despotikoiv, 563 b).
Gli schiavi comprati diventano liberi come i padroni che li
comprano.
Gli stessi animali non obbediscono più ai padroni: le cagne
diventano tali quali le padrone, i cavalli e gli asini danno di cozzo a chi non
si scansa e tutte le altre cose diventano mesta;
ejleuqeriva", piene di libertà.
Di qui nasce la tirannide.
Infatti to; a[gan ti
poie'n, il fare qualcosa nella misura del troppo, produce un mutamento
nel senso opposto nei regimi politici come nelle stagioni, nelle piante e nei
corpi. La libertà eccessiva hJ a[gan
ejleuqeriva sembra convertirsi in nient’altro che eij" agan douleivan per l’individuo e
per lo Stato.
continua
[1]Op.
cit., p. 344.
[2] Nelle Nuvole di Aristofane il Discorso Giusto
dà inizio alla sua parte del disso;" lovgo"
ricordando che la swfrosuvnh una volta era tenuta in conto come la quintessenza
dell'educazione antica (vv. 961 sgg.). Al tempo dell'ajrcaiva paideiva (v. 961) infatti la castità (swfrosuvnh, v. 962) era tenuta in gran conto: nessuno modulando
mollemente la voce andava verso l'amante facendo con gli occhi il lenone a se
stesso (980).
[3]Antologia Della Letteratura Greca , III,
pp. 343-344.
Giovanna Tocco
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