NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 18 maggio 2016

Il mito. Il mito nell'epica e nella lirica. Apollonio Rodio. Parte IV

Polibio, rampa del palazzo del parlamento di Vienna
Alois Duell, 1899

Appendice
Monarchia-Regno-Tirannide-Aristocrazia-Oligarchia-Democrazia-Oclocrazia. Passaggio dal regno alla tirannide, quindi all'aristocrazia che degenera in oligarchia. Polibio e Lucrezio, quindi Platone e Aristotele

Polibio
L'aristocrazia nasce come reazione alla tirannide che è la corruzione del regno. Questo costituisce la correzione e l'evoluzione della monarchia, mentre la tirannide è l'involuzione del regno. I re anticamente una volta scelti invecchiavano nella loro funzione regale (ejnegevraskon tai'" basileivai") fortificando e cingendo di mura località importanti ed acquistando territori ("tovpou" te diafevronta" ojcurouvmenoi kai; teicivzonte" kai; cwvran kataktwvmenoi", VI, 7, 4.

Lucrezio
 Cfr. i vv. del De rerum natura : “condere coeperunt urbis arcemque locare/ presidium reges ipsi sibi perfugiumque " (V, 1108-1109).
Nel poema di Lucrezio i reges corrispondono a una fase intermedia tra il movnarco" e il basileuv" che in Polibio si evolve un poco alla volta dal primo ("basileuv" ejk monavrcou lanqavnei genovmeno"", VI, 6, 12) quando la ragione ("oJ logismov"") prenda la supremazia al posto dell'istinto e della forza bruta .
In Lucrezio infatti per essere re e per ottenere il favore di questi re contano tanto l'istinto, la bellezza e la forza quanto l'ingegno e il possesso della tecnologia.
La decadenza viene dalla res e dall’aurum.
 Ma vediamo alcuni versi del De rerum natura :
 Di giorno in giorno sempre di più con i nuovi mezzi e con il fuoco
insegnavano a cambiare completamente il modo di vivere e il vitto
quelli che si distinguevano per ingegno e avevano vigoroso coraggio ("ingenio qui praestabant et corde vigebant " V, 1107). Cominciarono a fondare città e a porvi le rocche i re stessi, come presidio e rifugio per sé, e greggi e campi divisero e li assegnarono secondo l'aspetto di ciascuno e le forze e l'ingegno ("pro facie cuiusque et viribus ingenioque ", V,1111) molto infatti contava l'aspetto e le forze valevano ("nam facies multum valuit viresque vigebant ", V, 1112) .
"Posterius res inventast aurumque repertum,/quod facile et validis et pulchris dempsit honorem" si trovò la roba e fu scoperto l'oro che facilmente ai forti e ai belli tolse il potere (V, 1113-1114).
L'impostazione politica generale tra i due autori naturalmente è diversa poiché Polibio è ben lontano dal criticare la proprietà privata e la sua distinzione, ci ricorda Canfora, è di un genere "caratteristico del pensiero antidemocratico nella sua forma più evoluta"[1]. Ma questo lo vedremo più avanti a proposito della dhmokrativa secondo Polibio (VI, 4, 4).
Intanto riferisco qualche pensiero dallo Zibaldone di Leopardi
“ I re da principio erano più che altro i condottieri degli eserciti. La persona del generale si è divisa da quella del principe, e i re hanno lasciato di essere guerrieri, e non si sono vergognati di non saper comandare alle proprie armate, né diriggere e adoperar la forza del proprio regno, non tutto ad un tratto, ma appoco appoco, e in proporzione che il mondo e le cose umane hanno perduto il loro vigore ed energia naturale, e che l’apparenza ha preso il luogo della sostanza” (pp. 1911-1912).
 Più avanti il Recanatese afferma che la monarchia è il governo sia della società primitiva sia di quella "pienamente corrotta", mentre "una società capace di repubblica durevole, non può essere che leggermente o mezzanamente corrotta (come la moderna)". Così "apparentemente, si avvicinano i due estremi, di società primitiva, di cui non è proprio altro stato che la monarchia; e di società totalmente guasta, di cui non è propria che l'assoluta monarchia". Apparentemente, poiché la società primitiva non ammette la monarchia dispotica; in quella guasta "non può durar che una monarchia assoluta cioè dispotica"(3517).

Di nuovo Polibio
I primi a gestire il regno garantivano sicurezza ai sudditi e nello stesso tempo non suscitavano invidia poiché avevano un tenore di vita simile a quello del popolo.
 Ma i loro eredi si abbandonarono al lusso e alla lussuria sfrenata e a tale comportamento seguirono invidia e ostilità odio e ira, per cui dal regno nacque la tirannide ed ebbe inizio la disgregazione e la cospirazione contro i capi, non da parte dei peggiori ("oujk ejk tw'n ceirivstwn") ma dei più nobili, magnanimi e coraggiosi poiché sono uomini del genere a non poter assolutamente sopportare le prepotenze dei capi ("dia; to; tou;" toiouvtou" h{kista duvnasqai fevrein ta;" tw'n ejfestwvtwn u{brei"" , VI, 7, 9). Quando questi, appoggiati dalla massa, cacciano i tiranni, si instaura l'aristocrazia, ossia il potere dei migliori cui il popolo grato affida il governo. Essi si comportano bene: non consideravano nulla più importante del pubblico interesse amministrando gli affari pubblici e privati "khdemonikw'" kai; fulaktikw'""(VI, 8, 3) con premura e con attenzione. La degenerazione del regime buono avviene, di nuovo, quando il potere passa dai padri ai figli i quali, resi arroganti dall'autorità e dal prestigio dei genitori, si abbandonano ai vizi cui induce il potere ereditato: alcuni all'avidità del denaro, altri all'ubriachezza e ai bagordi, altri a violenza contro le donne e a ratti di fanciulli.
Così i figli cambiano l'aristocrazia in oligarchia scatenando nel popolo sentimenti cattivi simili a quelli che hanno fatto cadere la tirannide; sicché la caduta finale ("to; tevlo" th'" katastrofh'"", VI, 8, 6) degli oligarchi è simile a quella dei tiranni. Segue la democrazia

Questo mutamento costituzionale che parte dalla classe dirigente era già stato descritto da Platone del quale, come di alcuni altri filosofi, Polibio si riconosce debitore dicendo che hanno analizzato i cambiamenti naturali e vicendevoli delle costituzioni con maggior rigore ("ajkribevsteron", VI, 5, 1) che lui stesso.
Allora vediamo qualche passaggio dell'VIII libro della Repubblica di Platone. Socrate, parlando con Glaucone, si chiede in che modo un'aristocrazia produce una timocrazia dove prevale l'ambizione e un amore del denaro ancora occulto: quando esso diventa palese si passa all'oligarchia.
Dunque "pa'sa politeiva metabavllei ejx aujtou' tou' e[conto" ta;" ajrcav"" (545d), ogni costituzione muta proprio per via di chi ha il potere. All'inizio c'è un errore nel calcolo del numero nuziale da parte dei guardiani, quindi verranno generati figli come non si dovrebbe "oujk eujfuei'" oujd j eujtucei'""(546d) di qualità e di sorte non buona i quali stimeranno meno del dovuto l'educazione "musicale" posponendola alla ginnastica.
La conseguenza sarà una costituzione mediana tra l'aristocratica e l'oligarchica, la timocratica appunto, diretta da uomini educati non bene per avere trascurato la vera Musa dei ragionamenti e della filosofia e avere stimato la ginnastica come più veneranda della "musica". Essi, sotto il dominio del lato irascibile, ameranno il denaro, il potere e la contesa. Segue un quadro del giovane timocratico, carente di educazione, quindi estraneo alle Muse, per niente desideroso di parlare, sebbene capace di ascoltare, ambizioso, amico della ginnastica e della caccia, quindi anche delle ricchezze, poiché è rimasto privo dell'ottimo custode "movno"...swth;r ajreth'""(549b) solo salvatore della virtù: il ragionamento mescolato alla "musica".
Invero l'impostazione platonica mi sembra assai diversa da quella di Polibio in quanto il filosofo dà la massima importanza all'educazione nella cui carenza vede la causa del cambiamento negativo.
A volte il giovane diviene ambizioso per la spinta della madre che si lagna di non essere tra le prime della città ( cfr. le Leggi di Platone 694d, e Lady Macbeth) e critica la scarsa ambizione del marito, e magari viene anche aizzato dai servi. E' sempre un fatto di cattiva educazione che consegue a una cattiva genetica. Allora il ragazzo, tirato da due forze, l'elemento razionale ("to; logistikovn", 550b) del padre e quello appetitivo e irascibile ("tov te ejpiqumhtiko;n kai; to; qumoeidev"") degli altri, affida se stesso all'elemento battagliero e irascibile e diviene un uomo superbo e ambizioso: “uJyhlovfrwn te kai; filovtimo" ajnhvr".
Questo è l'uomo timocratico.

Quindi si passa all'oligarchia, la costituzione " ejn h| oiJ me;n plouvsioi a[rcousin, pevnhti de; ouj mevtestin ajrch'""(550D), in cui i ricchi comandano, il povero invece non ha alcuna parte del potere.
Il passaggio avviene con la sempre maggiore valutazione del denaro: “Jv o{{sw/ a]n tou'to timiwvteron hJgw'ntai, tosouvtw/ ajreth;n ajtimotevran"(550e), quanto più considerano pregevole questo tanto meno pregevole la virtù, e, subito dopo, quando in una città vengono pregiati la ricchezza e i ricchi, saranno più spregiati la virtù e i buoni.
Sicché agli uomini battaglieri e ambiziosi della timocrazia, succedono, nell’oligarchia, gli amanti degli affari e del denaro ("filocrhmatistai; kai; filocrhvmatoi"(551a), ammiratori dei ricchi e spregiatori dei poveri che saranno esclusi dal potere e costituiranno uno stato nello stato. Sull'anima dell'uomo oligarchico al posto dell'ambizione e dell'elemento irascibile ("to; qumoeidev"", 553c) comanda, come il grande re, l'elemento appetitivo e avido di ricchezze ("to; ejpiqumhtikovn te kai; filocrhvmaton") il quale, insieme con l'elemento irascibile ha asservito e messo a terra anche quello razionale ("tov...logistikovn", 553d). Platone continua con una serie di note psicologiche e di immagini che nel suo epigono Polibio mancano e che meritano di essere conosciute dagli studenti, almeno dai miei studenti.
L'uomo oligarchico dunque è un individuo arido ("aujcmhrov"", 554a) che non ha mai volto l'anima all'educazione, altrimenti non avrebbe posto a capo del coro un cieco, ossia Pluto, il dio della ricchezza, che era ritenuto cieco.
E la mancanza di educazione genera nell'anima passioni parassitarie, alcune da pitocco, altre da malfattore, sicché un uomo del genere sarà in discordia con se stesso, avido e sperperatore, ingiusto e ipocrita. La vera virtù dell'anima concorde e armonizzata con se stessa sarà lontana da lui. Nel resto dell'VIII libro della Repubblica Platone spiega come si passa dallo stato oligarchico a quello democratico, poi a quello tirannico.

E' interessante notare che nell’VIII libro della Repubblica di Platone la rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;" ajnh;r pevnh" hJliwvmeno" (556d) il quale, schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con molta carne altrui (paratacqei;" ejn mavch/ plousivw/ ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka" ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà, e capisce che non vale nulla, quindi che non deve obbedirgli poiché il potere di quell’individuo pallido e grasso non è naturale.
Agesilao mostrava nudi ai suoi soldati i prigionieri pallidi e grassi per significare la mollezza dei nemici.
 Nella democrazia il giovane assume un atteggiamento parassitario, da fuco.
Anche qui i giovani si corrompono per l'insipienza dell'educazione paterna di j janepisthmosuvnhn trofh`~ patrov~ ( Repubblica, 568b).

La tranvalutazione lessicale (cfr. Tucidide III, 82, 4)

Nello stato democratico gli appetiti (ejpiqumivai) prendono possesso dell'acropoli dell'anima del giovane, poi questa viene occupata da parole e opinioni false e arroganti (yeudei'" dh; kai; ajlazovne"lovgoi te kai; dovxai 560c) le quali chiamando il pudore stoltezza (th;n me;n aijdw' hjliqiovthta ojnomavzonte"), lo bandiscono con disonore; chiamando la temperanza viltà (swfrosuvnhn [2] de; ajnandrivan), la buttano fuori coprendola di fango (prophlakivzonte" ejkbavllousi), e mandano oltre confine la misura e le ordinate spese (metriovthta de; kai; kosmivan dapavnhn) persuadendo che sono rustichezza e illiberalità (ajgroikivan kai; ajneleuqerivan 560d). E non basta. I discorsi arroganti con l'aiuto di molti inutili appetiti transvalutano pure, ma in positivo, i vizi, immettendoli nell'anima e chiamano la prepotenza buona educazione (u{brin me;n eujpaideusivan kalou'nte" ), l'anarchia libertà (ajnarcivan de; ejleuqerivan), la dissolutezza magnificenza (ajswtivan de; megaloprevpeian), e l'impudenza coraggio (ajnaivdeian de; ajndreivan 560e-561).
 L’uomo così corrotto vive a casaccio, e la sua vita non è regolata da ordine (tavxi") né da alcuna necessità (ajnavgkh). Si capovolgono pure i rapporti umani: il padre teme il figlio, il maestro lo scolaro, i vecchi imitano i giovani, per non sembrare inameni e autoritari (i[na mh; dokw'sin ajhdei'" ei\nai mhde; despotikoiv, 563 b).
Gli schiavi comprati diventano liberi come i padroni che li comprano.
Gli stessi animali non obbediscono più ai padroni: le cagne diventano tali quali le padrone, i cavalli e gli asini danno di cozzo a chi non si scansa e tutte le altre cose diventano mesta; ejleuqeriva", piene di libertà.
Di qui nasce la tirannide.
Infatti to; a[gan ti poie'n, il fare qualcosa nella misura del troppo, produce un mutamento nel senso opposto nei regimi politici come nelle stagioni, nelle piante e nei corpi. La libertà eccessiva hJ a[gan ejleuqeriva sembra convertirsi in nient’altro che eij" agan douleivan per l’individuo e per lo Stato.

Canfora ci ricorda che "contro la teoria platonica polemizza Aristotele nel V libro della Politica (1316a1-39) e mette in luce la varietà, o meglio la non univocità di direzione delle metabolaiv (1316a18-23): “Perché il mutamento della costituzione perfetta deve avvenire in direzione della costituzione di tipo laconico? Il più delle volte le costituzioni si mutano nel loro contrario più che in direzione di un tipo ad esse affine. E la stessa cosa può ripetersi anche per gli altri mutamenti costituzionali: secondo Platone (Repubblica 544D-545C) dalla costituzione di tipo laconico si passa a quella oligarchica, da questa alla democrazia e dalla democrazia alla tirannide. E tuttavia si possono avere anche mutamenti in senso opposto, per esempio dalla democrazia all'oligarchia, più facilmente che dalla democrazia alla monarchia". Canfora nota ancora che "Aristotele è troppo approfondito conoscitore delle concrete vicende delle varie città greche (le 158 Politeiai !) per credere davvero alla possibilità di un unico schema, di un'unica direzione di cambiamento: basti pensare alla puntigliosa precisione con cui nel capitolo 41 della Costituzione di Atene elenca le ben undici metabolaiv che si sono verificate in Atene, dalla mitica suddivisione in tribù dovuta a Ione alla restaurazione democratica del 403 (un caso concreto di compimento non tirannico del "ciclo"). Ma la critica aristotelica all'VIII libro della Repubblica è ingenerosa e anche faziosa. In realtà Platone...non mostra di intendere come un rigoroso ciclo unidirezionale quella rassegna critica di costituzioni...D'altra parte alcuni 'anelli' del processo descritto da Platone coincidono esattamente con lo schema tracciato da Polibio: ad esempio il trapasso dall'aristocrazia alla timocrazia o quello dalla democrazia alla tirannide; e analoga è la persuasione-di entrambi- che gli elementi del mutamento risiedano nei gruppi dirigenti (545D). Si può dunque dire, schematizzando, che la più plausibile risposta al quesito intorno alle fonti della teoria polibiana del ciclo costituzionale sia che si tratta, in sostanza, dell'VIII libro della Repubblica platonica ma letto alla maniera in cui lo leggeva (irrigidendolo) Aristotele. Polibio ha, sulla scia di Aristotele, assunto la successione tracciata da Platone come un itinerario storico-genetico...Merito di Platone è l'introduzione dei "doppi", delle forme "degenerate" accanto a quelle pure. E' lì l'origine della teoria del mutamento...Non a caso la spinta verso il mutamento viene dalla pleonexiva, dal comportamento prevaricatore del gruppo dominante, mentre la reazione a tale degenerazione dà vita a nuove forme politiche... Ma la radice più remota di una tale riflessione" continua Canfora "è da cercarsi...nel dibattito costituzionale erodoteo"[3].


continua


[1]Op. cit., p. 344.
[2] Nelle Nuvole di Aristofane il Discorso Giusto dà inizio alla sua parte del disso;" lovgo" ricordando che la swfrosuvnh una volta era tenuta in conto come la quintessenza dell'educazione antica (vv. 961 sgg.). Al tempo dell'ajrcaiva paideiva (v. 961) infatti la castità (swfrosuvnh, v. 962) era tenuta in gran conto: nessuno modulando mollemente la voce andava verso l'amante facendo con gli occhi il lenone a se stesso (980).
[3]Antologia Della Letteratura Greca , III, pp. 343-344.

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