NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 27 maggio 2016

IL MITO. Il mito in Platone. Parte II

simposio


Simposio

Il Simposio è un dialogo platonico composto presumibilmente fra il 387 e il 377 a. C. ma ambientato nel 416 in casa del poeta Agatone il giorno dopo che questo ha vinto le gare drammatiche con la sua prima tragedia rappresentata alle Lenee - febbraio - secondo Ateneo (Deipnosofisti, 217A) .
La scena introduttiva è da collocarsi tra il 404 e il 400.
Apollodoro racconta quello che gli ha raccontato Aristodemo su quella serata.

Intermezzo dedicato al tragediografo Agatone
Per Agatone, Cfr. Aristofane le Tesmoforiazuse del 411 (come la Lisistrata) .
Euripide va con un suo parente da Agatone. Il parente dice di non averlo mai visto. Euripide fa: eppure tu l’hai inculato (kai; mh;n bebivnhka~ suv, ma non te ne ricordi (35) . - binevw.
Appare il servo di Agatone che annuncia il padrone con grande prosopopea: il signore dai bei canti che si accinge (mevllei) …Euripide completa con mw`n binei`sqai; a farsi fottere, forse?
Il servo illustra l’arte raffinata del padrone che tornisce e incolla.
Euripide mormora e fa i bocchini (kai; laikavzei, lat. fellat)
Il parente si annuncia come uno pronto a infilzare il servo e il poeta armonioso con il suo bischero (to; pevo~) arrotondato
Euripide come vede uscire Agatone cita l’Edipo re (v. 738) o Zeus che cosa vuoi fare oggi di me?
Euripide spiega che le donne vogliono ucciderlo poiché kakw`~ aujta;~ levgw (84) , dico male di loro.
Vorrebbe che andasse Agatone travestito a difenderlo.
Esce Agatone sdraiato in un letto trasportato da un carrello. E’ vestito da donna
Euripide dice : dov’è? Io qui non vedo uomini, vedo solo Cirene, una famosa cortigiana famosa per le dodici posizioni (cfr. Rane, 1327)
Agatone canta inni pieni di luoghi comuni del lirismo corale e tragico, in onore di Febo e di Artemide
Il parente cita un verso dalla Licurgia di Eschilo: Licurgo chiede da dove venga Dioniso oJ guvnni~ il donno (136) , l’uomo effeminato.

Secondo Proust gli uomini-donna  sono i discendenti di quegli abitanti di Sodoma che furono risparmiati dal fuoco celeste.

Il parente non capisce se Agatone qhluvmorfo~ o ajrsenovqhlu~ sia maschio o femmina. Non vede to; pevo~ e non vede ta; titqiva (143)
Agatone risponde che lui fa gunaikei`a dravmata (150) drammi muliebri, e il suo corpo ne ha preso la forma.
Il parente gli chiede: e quando scrivi la Fedra, cavalchi? (152)
Agatone risponde che è la mivmhsi~ a procurarci quello che non abbiamo.
Il parente dice: allora chiamami quando fai dei satiri , collaborerò standoti dietro con il bischero ritto (ejstukwv~, da stuvw) .
Agatone ribatte che un poeta rozzo e peloso è indecente. Ibico, Anacreonte e Alceo portavano la mitra e sfoggiavano eleganze ioniche. Frinico era bello e si vestiva con gusto.

Frinico scrisse La conquista di Mileto (492) da parte dei Persiani. Fece piangere il pubblico e venne multato. L’arconte del 492 fu Temistocle che assegnò il coro alla tragedia e ne trasse vantaggio perché voleva una grande flotta da opporre alla Persia
Frinico nel 476 rappresentò le Fenicie con il dolore delle vedove dei marinai fenici della flotta persiana.

Agatone dunque ha cura di se stesso (171) perché vuole comporre drammi belli.
Euripide chiede il favore al collega. Non ci va lui personalmente poiché è poliov~ (canuto) e ha la barba pwvgwn j e[cw (190)
Agatone invece ha un bel viso, è bianco, ben rasato, ha la voce da donna gunaikovfwno~ (192) ed è bello
Agatone risponde citando il v. 191 dell’Alcesti quando il padre si rifiuta di morire al posto del figlio.
Le disgrazie si sopportano non con gli artifici ma con il soffrire.
Euripide allora gli fa: tu rotto in culo hai il culo aperto non con le parole ma con il subire (200 - 201) .
Agatone dice che le donne lo ucciderebbero, credendo che voglia rapire la Cipride femminile
E il parente risponde: ma che rapire, farti fottere piuttosto binei`sqai (206) 206) .
Il parente si offre lui. Euripide chiede un rasoio (xurovn - to;) ad Agatone che se ne porta sempre uno dietro.
Euripide lo rade e gli mette uno specchio davanti. Allora il parente dice che vede Clistene, un famoso invertito. Negli Acarnesi si legge che Clistene è uno che ha depilato il culo focoso (qermovboulon prwktovn)
Poi Euripide depila il parente nel prwktov~ con la fiamma, quindi chiede ad Agatone iJmavtion, tunica kai; strovfion e reggipetto. Non dirmi che non ce li hai.
Agatone dà una tunica color zafferano e il parente trova che ha un buon profumo di cazzo piccolo (hJdu; g j o[zei posqivou, v. 253) .

Nelle Rane, Aristofane dà notizia della partenza di Agatone che verso il 408 andò in Macedonia dal re Archelao. Dioniso dice di lui ajgaqo;~ pohth;~ kai; poqeino;~ toi`~ sofoi`~ (84) un buon poeta e rimpianto dai saggi.

Torniamo a Platone
Il Simposio mostra una gara oratoria tra sette "uomini di alta e insigne personalità"[1], più una donna estranea al convito : la sacerdotessa Diotima di Mantinea, la "celebre professoressa dell'amore"[2] che ha istruito Socrate. Ed è proprio il maestro di Platone "colui che riporta la vittoria nell'agone oratorio, una vittoria che val più dell'applauso tributato il giorno prima ad Agatone da più di trentamila spettatori nel teatro (Symp. 175e) "[3].

 Il tema è l'elogio di Eros. I sette personaggi che dialogano "rappresentano figure emblematiche delle differenti correnti della cultura europea"[4].
Vediamo in breve i contenuti dei loro discorsi.

Fedro parla per primo (178 a 6 - 180 b8) ed è il path;r tou' lovgou (177 d 5) , padre del discorso. Alcune delle sue idee, espresse sinteticamente "come nelle ouvertures delle opere"[5] vengono sviluppate più avanti da Socrate. Amore è il più antico fra gli dèi, sostiene questo giovane oratore[6], e offre agli uomini i doni maggiori. Il sentimento che lega gli amanti suscita in loro vergogna per le cose turpi e li rende generosi fino all'abnegazione. Quindi Eros ha anche un aspetto politico, e perfino militare, positivo: se una città o un esercito fossero formati di amanti e amati essi verrebbero governati in maniera perfetta in quanto si terrebbero lontano dalle turpitudini e gareggerebbero tra loro in nobile ambizione. Solo chi ama è disposto a morire per un altro, e non esclusivamente gli uomini ma anche le donne: lo testimonia Alcesti la figlia di Pelia.

Segue il discorso di Pausania (180 c 4 - 185 c 3) che fu un discepolo del sofista Prodico e giustifica l'Eros pederastico.
 Amore non è unico ma duplice come Afrodite: c'è un Eros Uranio o Celeste, connesso ad Afrodite Urania, figlia del Cielo, quindi derivato solo dal maschio; e c'è un Eros Pandemio, Volgare, legato ad Afrodite Pandemia figlia di Zeus e Dione.
Soltanto l'amore celeste deve essere elogiato. Quello volgare infatti ama i corpi più delle anime e si volge tanto ai fanciulli quanto alle donne; inoltre agisce a casaccio senza tendere al bene. Chi segue Eros Celeste invece ama i maschi nei quali ammira la natura più forte e l'intelligenza più viva, l'anima più che il corpo, e tende al perfezionamento dell'amato. E' dunque buona cosa che l'amato conceda i propri favori all'amante in vista della sapienza e della virtù.

Quindi parla il medico Erissimaco (185 e 6 - 188 e 4) . Eros è una forza cosmica universale. Quando è bello, consiste nell' accordo e nell' armonia dei contrari in senso naturalistico. Questo scienziato ammette la duplicità di Eros e distingue pure lui un Amore bello, Celeste, quello della Musa Urania, da uno Volgare, quello di Polimnia. Il primo produce armonia e salute, il secondo, essendo disarmonico, provoca disordine, danni, sopraffazioni e distruzioni. Cfr. amare e bene velle in Catullo.
la componente sensuale avulsa da quella affettiva, viene chiarita bene dal distico finale del carme 72 :"Qui potis est?, inquis. Quod amantem iniuria talis/ cogit amare magis, sed bene velle minus " (vv. 7 - 8) , come può essere?, chiedi. Poiché una tale offesa costringe l'amante ad amare di più ma a voler bene di meno.
Il passaggio dall'uno all'altro amore viene sentito e dichiarato dal passionale Dimitri Karamazov:"questo amore mi tortura, mi tortura!...Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[7].

Leopardi nella Storia del genere umano sostiene che il massimo della felicità e della forza amorosa è concessa da "Amore, figliuolo di Venere Celeste". E spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione fosse in alcuno uomo ai migliori tempi".
Cfr. la trasfusione delle anime nel Satyricon :"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus. haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79) , che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni mortali. così io cominciai a morire.


continua



[1] W. Jaeger, Paideia 2, p. 303.
[2] R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 86.
[3] W. Jaeger, Paideia 2, p. 302.
[4] Giovanni Reale (a cura di) Platone, Simposio, p. XXII.
[5] Giovanni Reale, op. cit., p.XXIV
[6] Cui Socrate nel Fedro, un altro dialogo sull'amore dice:"Sei sublime Fedro nel tuo entusiasmo per i discorsi…a parte Simmia di Tebe, tutti gli altri li vinci di gran lunga" (242b) .
[7]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del 1880) , p. 709.

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