Giusto di Gand e Pedro Berruguete, Virgilio |
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L’impolitico. Tucidide, Plutarco, Euripide, Omero, Properzio e
l’elegia amorosa latina. Virgilio.
Tucidide II, 40, 2
Il cittadino-polivthς, non può non partecipare alla
vita della povliς.
Solo noi consideriamo (nomivzomen)
non tranquillo ( oujk ajpravgmona)
ma inutile (ajll j ajcreĩon-creiva, “vantaggio) chi non prende
parte alla vita politica (tov te mhde;n tw̃nde metevconta).
Plutarco ricorda che tra le leggi di Solone era sorprendente
quella che sanciva l’ajtimiva, la
privazione dei diritti civili, per chi in caso di sedizione non si fosse
schierato da nessuna parte (Vita di
Solone, 20, 1)
Alla direttiva del mevtecein
gli oligarchici contrapposero l’esaltazione della vita privata con il ta; eJautoũ
pravttein,
I professori fascisti, ancora nel dopoguerra, dicevano: a
scuola non si deve fare politica.
Euripide polemizza contro questa tendenza all’astensionismo
politico. Il Ciclope del suo dramma satiresco afferma che il suo dio è la
pancia e biasima i legislatori che con le leggi hanno complicato la vita umana
( oiJ de; tou;ς novmouς-
e[qento poikivllonteς ajnqrwvpwn
bivon, Ciclope, 338-339)-
Omero scrive che i Ciclopi non hanno assemblee deliberanti,
non leggi: vivono sule cime dei monti in grotte profonde, ciascuno fa legge
alla moglie e ai figli e non si curano l’uno dell’altro (qemisteuvei de; e[kastoς-paivdwn hjd j ajlovcwn, oujd j ajllhvlwn
ajlevgousi, Odissea, IX,
114-155)
Un’esistenza precivile, da vero Ciclope.
Cfr. la tradizione elegiaca latina dove l’amore sottrae il
poeta ai negotia del civis e del miles, collocandolo nella nequitia,
nella inettitudine.
Il servitium alla domina è un’inversione rispetto alla
tradizione romana: viene imposto dalla tirannide di Amor, il quale, scrive Properzio nella prima elegia, gli oppresse
il capo calcandolo con i piedi “ donec
me docuit castas odisse puellas/ improbus
et nullo vivere consilio (I, 1, 5-6).
A proposito di amor
improbus cfr. Virgilio, Eneide,
VI, 412: “Improbe amor, quid non mortalia
pecora cogis?’”
II, 40, 2
Non riteniamo i discorsi un danno per le azioni (ouj tou;ς
lovgouς toĩς e[rgoiς
blavbhn), ma piuttosto è un danno non essere informati con la parola
prima di agire
L’orgoglio della diversità
II, 40, 3
Calcoliamo i rischi in maniera molto precisa, eppure osiamo.
Anche in questo ci
distinguiamo dagli altri (diaferovntwς kai; tovde e[comen).
C’è l’orgoglio della propria diversità
“Ma ecco, non bisogna essere come gli altri”. suggerisce
Alioscia Karamazov allo studente Kolia[1].
“Continuate, dunque, a essere diverso dagli altri; anche se doveste rimanere
solo, continuate lo stesso”[2].
"Della nostra esistenza dobbiamo rispondere a noi
stessi, di conseguenza vogliamo agire come i reali timonieri di essa e non
permettere che assomigli ad una casualità priva di pensiero…E' così provinciale
obbligarsi a delle opinioni che, qualche centinaio di metri più in là già
cessano di obbligare…Al mondo vi è un'unica via che nessuno oltre a te può
fare: dove porta? Non domandare, seguila"[3].
Di nuovo il rischio
II, 40, 3
Conosciamo
lucidamente gli aspetti terribili e quelli piacevoli della vita e non per
questo ci tiriamo indietro dai rischi ta;
te deina; kai; hJdeva safevstata gignwvskonteς kai; dia; taũta mh;
ajpotrepovmenoi ejk tw̃n kinduvnwn”.
Viene in mente il dionisiaco e pure l’apollineo di Nietzsche
"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di
fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà,
come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della
vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva
e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…
Con il termine apollineo si esprime: l'impulso verso il
perfetto essere per sé, verso l'"individuo" tipico, verso tutto ciò
che semplifica, pone in rilievo, rende forte… Lo sviluppo ulteriore dell'arte è
legato all'antagonismo di queste due forze artistiche della natura così
necessariamente come lo sviluppo ulteriore dell'umanità è legato
all'antagonismo dei sessi. La pienezza della potenza e la moderazione, la più
alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa:
l'apollinismo della volontà ellenica"[4].
Tucidide II, 40, 4
Siamo il contrario dei più anche per quanto riguarda l’ajrethv: infatti ci procuriamo gli amici
non ricevendo il bene, ma facendolo ( ouj
ga;r pavsconteς eu\ , ajlla; drw̃nteς).
Gli Ateniesi sono
eroi dell’attività.
Cfr. Edipo l’eroe della passività e Prometeo dell’attività
(Nietzsche)
La gratitudine
Chi fa del bene conserva cavrin,
gratitudine, mentre chi lo riceve è lento a contraccambiare e teme di non
potere farlo (II, 40, 4).
La cavriς è un
valore molto forte della cultura greca (cfr. Teognide, l’Eracle di Euripide dove Teseo dice “cavrin
de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn” 1223.
Oppure il Giulio Cesare di Shakespeare: “ ingratitude more strong than traitor’s
arms/quite vanquished him: then …great Caesar fell” (III, 2)
O il Tito Andronico
dove Tamora ex regina dei Goti dice a Saturnino di prendere tempo prima di
annientare Tito che lo ha aiutato nell’ascesa al trono: rischierebbe troppo: “for ingratitude/which Rome reputes to be a
heinous sin (I, 1), un peccato odioso.
II, 40, 5
Noi siamo i soli che portiamo aiuto a uno senza timore (ajdew̃ς
tina; wjfeloũmen) non più
per il calcolo dell’utile (ouj toũ xumfevrontoς mãllon logismw̃̃/) che per fiducia nella libertà.
II, 41, 1
Riassumendo dico che l’intera città è scuola dell’Ellade (xunelwvn te levgw thvn te pãsan povlin th̃ς j Ellavdoς paivdeusin
ei\nai), una città dove ciascuno può conservare la propria persona
indipendente a (to; swvma au[tarkeς[5],
una specie di habeas corpus) con la
massima eleganza (meta; carivtwn malist
j) e con versatilità (eujtrapevlwς) aperta a molti generi di formazione.
eujtravpelo" è versatile (cfr. trevpw)
II, 42, 2
Questo non è un vanto di parole (ouJ lovgwn kovmpoς) ma verità di fatti (e[rgwn ajlhvqeia). Lo dimostra la potenza
stessa della città (aujth; hJ duvnamiς povlewς
shmaivnei).
La potenza (duvnamiς)
è molto più del potere (kravto~)
Nelle Baccanti di Euripide Tiresia dice a Penteo: “mh; to; kravto~ au[cei duvnamin ajnqrwvpoi~ e[cein, v. 310),
non credere che il potere abbia potenza per gli uomini, Così come il sapere non
ha sapienza "to; sofo;n d j ouj sofiva"
(Baccanti, v. 395),
La ajlhvqeia, “non
latenza” e la “non dimenticanza” dei fatti è la potenza della città.
II, 41, 3
La nostra è l’unica città che arriva alla prova più forte
della fama –ajkoh̃ς kreivsswn- e non viene biasimata né dai
nemici né dai sudditi poiché non è mai indegna del suo ruolo.
Un ruolo di comando
Il ruolo del capo
Caratteristiche e doveri di chi comanda
Senofonte nella Ciropedia
(I, 3, 1) sostiene che il capo di buona natura si distingue per la rapidità
nell’apprendere e per l’eleganza e il coraggio con cui agisce. Si può comandare
solo sapendolo fare (ejpistamevnw~).
Comandare sugli uomini è un fatto di ejpisthvmh,
è difficile, poiché sono animali riottosi. Ciro il Vecchio sapeva farlo
Platone nella Repubblica fa dire a Socrate che un capo vero e genuino ("tw'/ o[nti ajlhqino;" a[rcwn",
347d) deve cercare non il proprio utile, bensì quello dei governati.
Nel Politico,
Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è solo quella
di prendersi cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia
dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b).
Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali,
dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn,
tecnica dell’allevamento, non basilikh;n
kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica.
Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura
(ejpimevleian) di uomini bipedi che
liberamente l’accettano (eJkousivwn
dipovdwn, 276d ).
Manzoni ne I
Promessi Sposi afferma la persuasione "di ciò che nessuno il quale
professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità
d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio ( XXII cap.).
Così in effetti aveva insegnato un discepolo
di Zenone ad Antigono Gonata re di Macedonia, figlio di Demetrio Poliorcete
(276-239) cui "il regnare apparve un "onorevole servire", e[ndoxo" douleiva (Eliano, Var. hist. II 20)"[6].
Seneca nel De
Clementia sostiene che la tanto celebrata felicità del principe consiste
nel dare salvezza a molti, nel richiamare la vita dalla morte stessa e nel
meritare la corona civica con la clemenza: “Felicitas
illa multis salutem dare et vitam ab ipsa morte revocare et mereri clementia
civicam "(III, 24, 5).
Tra i moderni, in E. Fromm troviamo una posizione simile a
quella, già indicata, di Manzoni: “Il capo non è soltanto la persona
tecnicamente più qualificata, come deve essere un dirigente, ma è anche l'uomo
che è un esempio, che educa gli altri, che li ama, che è altruista, che li
serve. Obbedire a un cosiddetto capo senza queste qualità sarebbe viltà"[7].
Non proprio questo però era il
ruolo dell’Atene di Pericle nei confronti delle città suddite.
continua
[1]
Quello che rifiutava i classici. Evidentemente glieli facevano male. Ecco cosa
dice questo studente ad Alioscia: “Le lingue classiche (…) non sono che una
misura di polizia (…) Esse sono ste introdotte nell’insegnamento per rintuzzare
e spegnere ogni potere dell’intelligenza (…) Io studio il latino perché devo
farlo (…) ma in cuor mio disprezzo il classicismo e tutte queste “infamie” (…)
Tutti i classici sono tradotti in tutte le lingue; dunque, non occorre
assolutamente la lingua latina per studiarli; ne consegue che essa altro non è
che una misura di polizia per rintuzzare le intelligenze. Come potrebbe,
dunque, non essere una bassezza? (I
Fratelli Karamazov, V, 10, 5)
[2] F. Dostoevskij, I
fratelli Karamazov, V, 10, 6. Cito
spesso questo romanzo, tante volte quante l’Odissea,
o quasi. Mi conforta in questa scelta l’amico Piero Boitani: “Per il mio
compleanno, sul finire di quell’anno 1’anno 1968…mi feci regalare da una coppia
di amici l’Odissea greca nell’edizione
oxoniense dell’Allen: la conservo ancora, naturalmente, con il loro biglietto
di auguri per segnalibro. Da allora, e per almeno dieci anni, ho riletto il
poema, nell’originale e in traduzione italiana o inglese, ogni anno: insieme ai
Fratelli Karamazov, era il mio
libro-e lo è rimasto” (P. Boitani, L’ombra
di Ulisse, p. 45).
[3]
F. Nietzsche, Considerazioni inattuali
III (1874), Schopenhauer come educatore, p 167.
[4]
F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14, p. 216.
[5] Per quanto riguarda l’aujtavrkeia,
il bastare a se stesso, Cnemòne, il Duvskoloς di
Menandro, dopo essere caduto nel pozzo, capisce di avere sbagliato credendosi aujtavrkhς (714) e ritenendo di non avere bisogno di nessuno.
Ha voluto pensarlo vedendo l’egoismo degli altri, l’attenzione che tutti
rivolgono al profitto. Era regredito in una esistenza precivile, da Ciclope
[6]Pohlenz,
La Stoa , p. 33.
[7]Psicanalisi Della Società Contemporanea
, p. 299.
Giovanna Tocco
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