NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 10 maggio 2016

Essere cittadino. Merano, 23 aprile 2016. Parte VIII

Giusto di Gand e Pedro Berruguete, Virgilio

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L’impolitico. Tucidide, Plutarco, Euripide, Omero, Properzio e l’elegia amorosa latina. Virgilio.

Tucidide II, 40, 2
 Il cittadino-polivthς, non può non partecipare alla vita della povliς.
Solo noi consideriamo (nomivzomen) non tranquillo ( oujk ajpravgmona) ma inutile (ajll j ajcreĩon-creiva, “vantaggio) chi non prende parte alla vita politica (tov te mhde;n tw̃nde metevconta).
Plutarco ricorda che tra le leggi di Solone era sorprendente quella che sanciva l’ajtimiva, la privazione dei diritti civili, per chi in caso di sedizione non si fosse schierato da nessuna parte (Vita di Solone, 20, 1)
Alla direttiva del mevtecein gli oligarchici contrapposero l’esaltazione della vita privata con il ta; eJautoũ pravttein,
I professori fascisti, ancora nel dopoguerra, dicevano: a scuola non si deve fare politica.
Euripide polemizza contro questa tendenza all’astensionismo politico. Il Ciclope del suo dramma satiresco afferma che il suo dio è la pancia e biasima i legislatori che con le leggi hanno complicato la vita umana ( oiJ de; tou;ς novmouς- e[qento poikivllonteς ajnqrwvpwn bivon, Ciclope, 338-339)-
Omero scrive che i Ciclopi non hanno assemblee deliberanti, non leggi: vivono sule cime dei monti in grotte profonde, ciascuno fa legge alla moglie e ai figli e non si curano l’uno dell’altro (qemisteuvei de; e[kastoς-paivdwn hjd j ajlovcwn, oujd j ajllhvlwn ajlevgousi, Odissea, IX, 114-155)
Un’esistenza precivile, da vero Ciclope.

Cfr. la tradizione elegiaca latina dove l’amore sottrae il poeta ai negotia del civis e del miles, collocandolo nella nequitia, nella inettitudine.
Il servitium alla domina è un’inversione rispetto alla tradizione romana: viene imposto dalla tirannide di Amor, il quale, scrive Properzio nella prima elegia, gli oppresse il capo calcandolo con i piedi “ donec me docuit castas odisse puellas/ improbus et nullo vivere consilio (I, 1, 5-6).
A proposito di amor improbus cfr. Virgilio, Eneide, VI, 412: “Improbe amor, quid non mortalia pecora cogis?’”

II, 40, 2
Non riteniamo i discorsi un danno per le azioni (ouj tou;ς lovgouς toĩς e[rgoiς blavbhn), ma piuttosto è un danno non essere informati con la parola prima di agire

L’orgoglio della diversità
 II, 40, 3
Calcoliamo i rischi in maniera molto precisa, eppure osiamo.
 Anche in questo ci distinguiamo dagli altri (diaferovntwς kai; tovde e[comen).
C’è l’orgoglio della propria diversità

“Ma ecco, non bisogna essere come gli altri”. suggerisce Alioscia Karamazov allo studente Kolia[1]. “Continuate, dunque, a essere diverso dagli altri; anche se doveste rimanere solo, continuate lo stesso”[2].
"Della nostra esistenza dobbiamo rispondere a noi stessi, di conseguenza vogliamo agire come i reali timonieri di essa e non permettere che assomigli ad una casualità priva di pensiero…E' così provinciale obbligarsi a delle opinioni che, qualche centinaio di metri più in là già cessano di obbligare…Al mondo vi è un'unica via che nessuno oltre a te può fare: dove porta? Non domandare, seguila"[3].

Di nuovo il rischio
II, 40, 3
 Conosciamo lucidamente gli aspetti terribili e quelli piacevoli della vita e non per questo ci tiriamo indietro dai rischi ta; te deina; kai; hJdeva safevstata gignwvskonteς kai; dia; taũta mh; ajpotrepovmenoi ejk tw̃n kinduvnwn”.

Viene in mente il dionisiaco e pure l’apollineo di Nietzsche
"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…
Con il termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso l'"individuo" tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte… Lo sviluppo ulteriore dell'arte è legato all'antagonismo di queste due forze artistiche della natura così necessariamente come lo sviluppo ulteriore dell'umanità è legato all'antagonismo dei sessi. La pienezza della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa: l'apollinismo della volontà ellenica"[4].

Tucidide II, 40, 4
Siamo il contrario dei più anche per quanto riguarda l’ajrethv: infatti ci procuriamo gli amici non ricevendo il bene, ma facendolo ( ouj ga;r pavsconteς eu\ , ajlla; drw̃nteς).
Gli Ateniesi sono eroi dell’attività.
Cfr. Edipo l’eroe della passività e Prometeo dell’attività (Nietzsche)

La gratitudine
Chi fa del bene conserva cavrin, gratitudine, mentre chi lo riceve è lento a contraccambiare e teme di non potere farlo (II, 40, 4).

La cavriς è un valore molto forte della cultura greca (cfr. Teognide, l’Eracle di Euripide dove Teseo dice “cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn” 1223.
Oppure il Giulio Cesare di Shakespeare: “ ingratitude more strong than traitor’s arms/quite vanquished him: then …great Caesar fell” (III, 2)
O il Tito Andronico dove Tamora ex regina dei Goti dice a Saturnino di prendere tempo prima di annientare Tito che lo ha aiutato nell’ascesa al trono: rischierebbe troppo: “for ingratitude/which Rome reputes to be a heinous sin (I, 1), un peccato odioso.

II, 40, 5
Noi siamo i soli che portiamo aiuto a uno senza timore (ajdew̃ς tina; wjfeloũmen) non più per il calcolo dell’utile (ouj toũ xumfevrontoς mãllon logismw̃̃/) che per fiducia nella libertà.

II, 41, 1
Riassumendo dico che l’intera città è scuola dell’Ellade (xunelwvn te levgw thvn te pãsan povlin th̃ς j Ellavdoς paivdeusin ei\nai), una città dove ciascuno può conservare la propria persona indipendente a (to; swvma au[tarkeς[5], una specie di habeas corpus) con la massima eleganza (meta; carivtwn malist j) e con versatilità (eujtrapevlwς) aperta a molti generi di formazione. eujtravpelo" è versatile (cfr. trevpw)
II, 42, 2
Questo non è un vanto di parole (ouJ lovgwn kovmpoς) ma verità di fatti (e[rgwn ajlhvqeia). Lo dimostra la potenza stessa della città (aujth; hJ duvnamiς povlewς shmaivnei).
La potenza (duvnamiς) è molto più del potere (kravto~) Nelle Baccanti di Euripide Tiresia dice a Penteo: “mh; to; kravto~ au[cei duvnamin ajnqrwvpoi~ e[cein, v. 310), non credere che il potere abbia potenza per gli uomini, Così come il sapere non ha sapienza "to; sofo;n d j ouj sofiva" (Baccanti, v. 395),

La ajlhvqeia, “non latenza” e la “non dimenticanza” dei fatti è la potenza della città.

II, 41, 3
La nostra è l’unica città che arriva alla prova più forte della fama –ajkoh̃ς kreivsswn- e non viene biasimata né dai nemici né dai sudditi poiché non è mai indegna del suo ruolo.
Un ruolo di comando

Il ruolo del capo
Caratteristiche e doveri di chi comanda
Senofonte nella Ciropedia (I, 3, 1) sostiene che il capo di buona natura si distingue per la rapidità nell’apprendere e per l’eleganza e il coraggio con cui agisce. Si può comandare solo sapendolo fare (ejpistamevnw~). Comandare sugli uomini è un fatto di ejpisthvmh, è difficile, poiché sono animali riottosi. Ciro il Vecchio sapeva farlo

 Platone nella Repubblica fa dire a Socrate che un capo vero e genuino ("tw'/ o[nti ajlhqino;" a[rcwn", 347d) deve cercare non il proprio utile, bensì quello dei governati.
Nel Politico, Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è solo quella di prendersi cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b).
Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn, tecnica dell’allevamento, non basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica.
Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura (ejpimevleian) di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d ).

 Manzoni ne I Promessi Sposi afferma la persuasione "di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio ( XXII cap.).
 Così in effetti aveva insegnato un discepolo di Zenone ad Antigono Gonata re di Macedonia, figlio di Demetrio Poliorcete (276-239) cui "il regnare apparve un "onorevole servire", e[ndoxo" douleiva (Eliano, Var. hist. II 20)"[6].

Seneca nel De Clementia sostiene che la tanto celebrata felicità del principe consiste nel dare salvezza a molti, nel richiamare la vita dalla morte stessa e nel meritare la corona civica con la clemenza: “Felicitas illa multis salutem dare et vitam ab ipsa morte revocare et mereri clementia civicam "(III, 24, 5).

Tra i moderni, in E. Fromm troviamo una posizione simile a quella, già indicata, di Manzoni: “Il capo non è soltanto la persona tecnicamente più qualificata, come deve essere un dirigente, ma è anche l'uomo che è un esempio, che educa gli altri, che li ama, che è altruista, che li serve. Obbedire a un cosiddetto capo senza queste qualità sarebbe viltà"[7].

Non proprio questo però era il ruolo dell’Atene di Pericle nei confronti delle città suddite.


continua



[1] Quello che rifiutava i classici. Evidentemente glieli facevano male. Ecco cosa dice questo studente ad Alioscia: “Le lingue classiche (…) non sono che una misura di polizia (…) Esse sono ste introdotte nell’insegnamento per rintuzzare e spegnere ogni potere dell’intelligenza (…) Io studio il latino perché devo farlo (…) ma in cuor mio disprezzo il classicismo e tutte queste “infamie” (…) Tutti i classici sono tradotti in tutte le lingue; dunque, non occorre assolutamente la lingua latina per studiarli; ne consegue che essa altro non è che una misura di polizia per rintuzzare le intelligenze. Come potrebbe, dunque, non essere una bassezza? (I Fratelli Karamazov, V, 10, 5)
[2] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, V, 10, 6.  Cito spesso questo romanzo, tante volte quante l’Odissea, o quasi. Mi conforta in questa scelta l’amico Piero Boitani: “Per il mio compleanno, sul finire di quell’anno 1’anno 1968…mi feci regalare da una coppia di amici l’Odissea greca nell’edizione oxoniense dell’Allen: la conservo ancora, naturalmente, con il loro biglietto di auguri per segnalibro. Da allora, e per almeno dieci anni, ho riletto il poema, nell’originale e in traduzione italiana o inglese, ogni anno: insieme ai Fratelli Karamazov, era il mio libro-e lo è rimasto” (P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 45).
[3] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III (1874), Schopenhauer come educatore, p  167.
[4] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14, p. 216.
[5] Per quanto riguarda l’aujtavrkeia, il bastare a se stesso, Cnemòne, il Duvskoloς di Menandro, dopo essere caduto nel pozzo, capisce di  avere sbagliato credendosi aujtavrkhς (714) e ritenendo di non avere bisogno di nessuno. Ha voluto pensarlo vedendo l’egoismo degli altri, l’attenzione che tutti rivolgono al profitto. Era regredito in una esistenza precivile, da Ciclope 
[6]Pohlenz, La Stoa , p. 33.
[7]Psicanalisi Della Società Contemporanea , p. 299.

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