Odissea Libro I: Atena e Telemaco |
Odissea I
Atena travestita da Mente re dei
Tafi si reca da Telemaco per farlo crescere e indurlo a cercare il padre mentre
la sua casa è occupata e saccheggiata dai proci, i pretendenti superbi mnhsth're" ajghvnore".
Corrispondono agli inglesi che
mangiano il rostbeef fatto con la
carne degli animali irlandesi
I proci e[donte" fqinuvqousin oi\kon, mangiando mandano in
rovina la casa (250). Atena consiglia il ragazzo di andare prima a Pilo per
interrogare il saggio Nestore, poi a Sparta, para;
xanqo; n Menevlaon.
Gli dice che non deve fare il
bambino poiché non ne ha più l’età. La dea fa al ragazzo l’esempio di Oreste.
Anche Dedalus dipende dalla madre, pur
morta
Telemaco, dopo le ammonizioni
ricevute, trova il coraggio di opporsi alla madre la quale vorrebbe impedire a
Femio di cantare i nostoi che la fanno soffrire. Ma Telemaco le dice: lascialo
fare siccome ajoidh; neotavth è il
più apprezzato dagli uomini. Penelope stupefatta dal coraggio del figlio tornò
nelle sue stanze. Dedalus invece per ora non cresce.
Eolo il giornale pp. 162-204- 104- VII capitolo
In the Heart of Hibernian metropolis
Detto ironicamente. Before the Nelson’s pillar, davanti alla
colonna di Nelson trams slowed i tram
rallentavano e i furgoni postali di sua Maestà portavano sui fianchi E. R. le
iniziali regali. Segni della dominazione inglese. Siamo nella redazione di un
giornale, Freeman’s Journal. Cupi
tonfi dei barili di Guinness rotolati fuori dai magazzini poi cupi tonfi delle
macchine thumping thump. Machines smash fracassano-a man to atoms if they
got him caught. Rule the world
today, oggi governano il mondo 165-106.
Bloom cerca di procurare inserzioni
pubblicitarie al giornale. Le macchine sembrano avere preso la mano all’uomo. Un
settimanale si regge sulle inserzioni pubblicitarie e sulle notizie accessorie,
non sulle notizie stantie della gazzetta ufficiale 165
Its the ads and side features sell- fa vendere un settimanale- a weekly. 106
Ancora thump, thump thump delle macchine. Se a quello che le controlla
prende un colpo, continuerebbero a sferragliare lo stesso a stampare di qua e
di là, su e giù print it over and over and
up and back 107. Want a cool head, ci vogliono nervi
saldi. Bloom viene umiliato e offeso. Vide il volto giallastro del proto, mi
pare che abbia un po’ di itterizia. Intanto la macchina sferraglia clink it. clank it. Chilometri di carta.
Impacchetteranno la carne.
Cfr. Catullo 95, 7-8
at Volusi annales Paduam morientur ad ipsam
et laxas scombris saepe dabunt tunicas.
Ma
gli Annali di Volusio morranno lì a Padova e forniranno larghi involucri per
incartocciare gli sgombri
Mi
permetto di segnalare un riuso da me fatto di questi versi
La lettera del marito,
utile per incartare le noccioline o, forse, gli sgombri
Poi continuai: “Kaisa
volentieri(1) morirei, piuttosto che rinunciare a te”.
Intanto stavo seduto
con il braccio destro, ingessato, che pendeva verso il pavimento. Con quel
gesto di resa volevo mimare la desolazione di un topos ricorrente nelle arti
figurative: risale a un sarcofago romano con la morte di Meleagro e viene
riusato da Raffaello nella Deposizione
dove si vede il braccio esanime del Cristo defunto, abbandonato nell’impotenza
della morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie
mani la mano di Gesù(2). Ero deciso a recitare un’altra volta la commedia della
simulazione di credere che la bella immacolata non potesse essere disposta a
commettere il delitto erotico dell’infedeltà coniugale. Dovevo anche
dissimulare il fatto che ero convinto del contrario, senza farle escludere del
tutto, però, che lo speravo ardentemente.
Sicché dissi queste
parole quasi ridicole;
“Ti parlerò in modo
ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla tua persona. Ho riflettuto
mentre scendevo e salivo le scale. Una catabasi non proprio infernale
e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te, amore mio.
Ho elaborato con il
pensiero le percezioni impresse sui sensi.
Tu, come un angelo
mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata, e ora quest’anima
appena risorta non può procedere senza di te, ma rischia di tornare ad
aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto buio come il Tartaro, compiendo,
per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro che una sinistra e
inconcludente congerie di gesti insensati.
Eppure credo sia
meglio soffocare nel petto questo sentimento d’amore, povero amore mio chiuso
nell’animo senza speranza, piuttosto che fare torto alla tua immagine, senza
dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa, fedele, cara al marito, al
figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. A me più di tutti”.
Così la adulavo
senza decenza. E data la sua attenzione, non smettevo, anzi rincaravo la dose
fino al ridicolo pieno, e oltre.
La provocavo per
vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se mi avrebbe chiesto di
non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi spalancati, un lieve
sorriso, e non parlava. Finché lei stava zitta, io non dovevo smettere.
“Sì, preferisco fare
del male a me stesso: soffocare la felicità immaginata solo guardando i tuoi
occhi pieni di vita, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli
luminosamente neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di
donna maritata cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione
speciale, religiosa, quella riservata alle spose sante. Io santo purtroppo non
sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro veneratore di Priapo
e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia sussurrato amen, insomma
ho menato una vita da briccone coribantico, ma, da quando ti ho vista, sono
diventato un pentito, un penitente, un convertito dalla carne allo spirito, dal
naturale al soprannaturale del quale vedo un riflesso chiaro, meraviglioso
nella tua icona veneranda”.
Quasi credevo a quanto
dicevo recitando forse neanche male. E quasi piangevo. O per lo meno gli occhi
mi si velavano di un liquido equivoco tra il sentimentale, rossa umidità di
cuore, e l’umidità fremente della libidine che, dentro di me, nera, pelosa e
massiccia, scalpitava davvero con furia impudica (3) e tirava forte verso
la pelle bianchissima, liscia di lei.
Certo è che Kaisa lo
capiva e la cosa non le dispiaceva, anche perché celebrando la sua fedeltà, le
toglievo comunque ogni timore di essere importunata: se avesse risposto che il
marito faceva bene a fidarsi di lei, poiché la amava del tutto riamato, la
preda agognata e mancata mi avrebbe fatto fuggire con la coda tra le gambe e le
orecchie abbassate. Siccome un cagnaccio pieno di zecche, bastonato e sciancato.
Invece disse: “Tu non
mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.
E mi accarezzò la mano
destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così sperticati perché fino ad
ora non hai trovato una donna del tuo stampo, della tua levatura, capace di
respirare il bello e l’arte, come sei solito fare tu”.
“Ce l’ho fatta”, pensai
e dissi:
“Infatti sentivo
questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo tu potresti colmare. Tu
respiri il bello e me lo ispiri”. E aggiunsi: “se solo guardo te, tutto il
resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio di
gioia”.
La commedia funzionava
perché era fatta non solo di calcoli, pose e citazioni, ma anche e soprattutto
di simpatia autentica, forte, reciproca.
CONTINUA
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