lunedì 18 agosto 2025

La nascita della tragedia di Nietzsche Capitolo XIII. I maestri che pungolano come tafani.


 

Socrate di Platone: antiistintivo-questo non è del tutto falso- e antimistico-questo non è vero.

 

Diogene Laerzio II, 5, 18 scrive: “Si credeva che Socrate avesse collaborato con Euripide nella composizione delle tragedie”

Dai partigiani del “buon tempo antico” quali Aristofane i due nomi venivano pronunciati insieme quando si trattava di enumerare i corruttori del popolo: l’influsso della loro malizia aveva minato l’antica e quadrata valentia di corpo e d’anima dei tempi di Maratona e aveva intristito le forze fisiche e spirituali.

 

Nelle commedie di Aristofane questi due personaggi sono portatori di alcuni disvalori : Euripide sarebbe misogino e ateo (le Tesmoforiazuse) corruttore del popolo (cfr. le Rane); Socrate  il  sofista ciarliero (Nuvole).

 

 Leopardi

Socrate nei dialoghi platonici dà sempre scacco matto ai sofisti.

perciò Leopardi lo considera il più sofista di tutti.

E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[1] e de' fuchi[2] e d'ogni ornamento ascitizio[3] e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone, 3474).

 

 

I maestri che pungolano come tafani

 

Leopardi nello Zibaldone (3474) pone questa domanda retorica su Socrate: “ che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?”

 

Socrate nella propria difesa  raccontata da Platone risponde a siffatta accusa, che evidentemente girava nell’Atene di quegli anni. Il vecchio maestro  ricorda ai giudici e ai cittadini presenti al processo che i suoi accusatori sostengono tra l’altro, che il loro accusato è un abile parlatore, tanto abile da essere tremendo nell’eloquio deino;~  levgein-(Platone, Apologia di Socrate 17 b).

Socrate  risponde a questa critica dicendo  che se essere parlatore terribilmente bravo significa dire la verità, in questo caso lui lo è.

La verità infatti è terribile per chi poco o nulla di vero dice come questi calunniatori che lo accusano di essere un um uomo empio  e di corrompere i  giovani . Costoro fanno discorsi e pronunciano parole abbellite, mentre lui l’accusato, non usa parole imbellettate e falsificate dal trucco lovgou~ kekosmhmevnou~, bensì, chiarisce subito: “ascolterete da parte mia  discorsi detti alla buona, con i termini che capitano: “ajll’ ajkouvsesqe eijkh`/ legovma toi`~ ejpitucou`sin ojnovmasin- (17c).

Tuttavia, aggiunge più avanti, sarete pungolati. Poiché  mi trovo messo da un dio accanto alla nostra polis come vicino a un cavallo grande e di razza, ma piuttosto pigro a causa della sua mole e bisognoso di essere stimolato da un tafàno (30c-31a).

 

Pure io o fatto e tuttora faccio  il tafàno che sprona e punge tanto parlando quanto scrivendo.

 

 

Nietzsche conferma la connessione aristofanesca  tra Euripide e Socrate.

Socrate disse che aveva scoperto di essere l’unico di sapere di non sapere niente, mentre negli altri trovava la presunzione del sapere. Vide che gli altri facevano i loro compiti solo per istinto.

Cherefonte andato a Delfi chiese se esistesse qualcuno più sapiente di Socrate. La Pizia rispose nessuno ( ajnei`len hJ Puqiva mhdevna, Apologia, 21 a). Socrate dà ragione alla Pizia poiché  interrogando diversi politici e uomini che avevano fama di essere sapienti, si era accorto che non lo erano e nemmeno se ne rendevano conto.

Tali sono i poeti e gli indovini che non fanno ciò che fanno per sapienza ma per doti naturali e ispirazione ouj sofiva/ , ajlla; fuvsei tini; kai; ejnqousiavzonte~ (Apologia 22c).  

Nel Fedro del resto la manìa poetica non viene considerata un difetto, anzi.

Gli artigiani conoscevano il loro mestiere ma avevano la presunzione di essere sapienti anche in altre cose e questa presunzione occultava la loro competenza. Dunque ne sapevano tutti meno di me. Del resto davvero sapiente è solo il dio, e la Pizia ci dice che la sapienza umana vale poco o nulla (Apologia di Socrate, 23a).

Vide che quegli uomini non avevano un’idea giusta e sicura nemmeno della loro professione e che la esercitavano solo per istinto.

“Solo per istinto. Con questa espressione tocchiamo il cuore e il centro della tendenza socratica” (La nascita della tragedia, capitolo 13).

  

Socrate procede con disprezzo e con aria di superiorità quale precursore di una cultura e di un’arte di altra specie. Costui osa rinnegare la cultura greca di Omero, Pindaro, Eschilo, Fidia, Pericle. Quale forza demoniaca era la sua?  A lui il coro degli spiriti più nobili deve gridare:

“Ahi, Ahi,

col tuo pugno potente

tu hai distrutto il mondo bello e possente

che precipita nella rovina” (vv. 1607-1612)

E’ il coro invisibile degli spiriti della prima parte del Faust, nello Studio (II) e si rivolge  a  Faust il quale parla con Mefistofele, il figlio del Caos che serra maligno il pugno di ghiaccio.  

Socrate è visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la coscienza in una creatrice-una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come l’individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico[4].

Quest’idea non verrà rinnegata più avanti da Nietzsche come altri aspetti[5] di questo scritto giovanile.  In Ecce homo[6] il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci-il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l’arte greca.

L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa che mina la vita![7].

In Ecce homo “quasi alla fine della sua vita lucida, Nietzsche  scrive: “Io non sono un uomo, sono dinamite”[8].

Una chiave per spiegare la natura di Socrate ci viene data dal fenomeno del suo demone, una voce che lo dissuadeva sempre. Cfr. Apologia 31   dove Socrate dice che in lui c’è qei`ovn ti kai; daimovnion , una voce –fwnhv ti~- che quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, protrevpei de; ou[pote, mentre non mi spinge mai.

Questo mi impedisce di occuparmi di politica.

 

L’influenza di Socrate dissolveva gli istinti. Socrate volle la propria condanna a morte e le andò incontro con quella stessa calma con cui si allontanò dal simposio per ultimo (Simposio 223 c-d).

Platone si gettò ai piedi dell’immagine di Socrate morente.

 

Villa Fastiggi  18 agosto 2025  ore 9, 52 giovanni ghiselli

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[1] Da calamistrum, “ferro per arricciare i capelli” (ndr).

[2] Da fucus, “tintura rossa” (ndr).

[3] Da ascisco, “annetto” (ndr).

[4] La nascita della tragedia , p. 92.

[5] Hegeliani e schopenhaueriani

[6] Del 1888.

[7] F. Nietzsche, Ecce homo, La nascita della tragedia, 1.

[8] Ecce homo, “Perché sono un destino”, 1


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