Anton von WernerRitratto immaginario di Ovidio |
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Per una pratica corretta dell'amore è
indispensabile la lettura del poeta il quale si definisce difensore della
libertà con riferimento al fatto che un rapporto erotico malato, ossia privo di
bene velle, diviene una tirannide del più forte: "Publicus assertor dominis suppressa levabo/pectora: vindictae quisque
favete suae " (vv. 73 - 74) , pubblico liberatore solleverò i cuori
oppressi dai tiranni: ciascuno favorisca la sua liberazione. - Publicus assertor: l'espressione
appartiene all'ambito giuridico e designa l'assertor
libertatis il quale toccava lo schiavo con la bacchetta di affrancamento (vindicta) davanti a un magistrato e al dominus e lo poneva in libertà. - dominis suppressa: Ovidio è un
liberatore come l'Epicuro di Lucrezio che affrancò la vita umana quando giaceva
"in terris oppressa gravi sub
religione" (De rerum natura,
I, 63), schiacciata in terra sotto l'opprimente superstizione.
Invocazione ad Apollo inventore della
poesia e della medicina (cfr. Paiavn, guaritore) da parte di Ovidio che è poeta d’amore
e curatore dall’amore
"Te precor incipiens; adsit tua laurea nobis, /carminis et medicae, Phoebe,
repertor opis; / tu pariter vati, pariter succurre medenti; / utraque tutelae
subdita cura tuae est" (vv. 75 - 78) , ti invoco all'inizio; mi assista
il tuo alloro, Febo, inventore della poesia e della medicina; tu vieni in aiuto
sia del poeta sia del guaritore; l'una e l'altra cura sono soggette alla tua
tutela. - Te…tua…tu…tuae: anafora (con
poliptoto) dei pronomi personali e degli aggettivi possessivi, tipica del
linguaggio della preghiera. - Phoebe:
Febo Apollo viene invocato come guaritore anche dal Coro nella Parodo dell'Edipo re (v. 154) . Qui il vates Ovidio assume una funzione simile
a quella del mavnti" Tiresia nelle
tragedie di Sofocle. "Conclude il proemio didascalico una preghiera ad
Apollo, che troverà una precisa corrispondenza nell'epilogo (vv. 811 - 814) "[1].
Inizio della cura
Ora procediamo facendo una scelta di
versi particolarmente significativi.
Non si deve perdere tempo. Iniziare
subito la cura
Se l'amore può diventare una malattia anche
grave, bisogna capire presto quale legame diventerà deleterio e togliergli il
tempo: "Nam mora dat vires: teneras
mora percoquit uvas/et validas segetes, quae fuit herba, facit " (vv. 83
- 84) , infatti il tempo fornisce le forze: il tempo fa maturare bene le uve
acerbe e rende spighe rigogliose quella che era erba. Il tempo porta a
maturazione i frutti dei campi e pure quelli della sventura, dunque, prima di
offrire il collo a un giogo amoroso bisogna prevederne gli sviluppi: "Quale sit quod amas, celeri circumspice
mente, /et tua laesuro subtrahe colla iugo " (vv. 89 - 90) , abbraccia
con rapido sguardo la qualità di quello che ami, e togli via il collo da un
giogo che potrà ferirti.
E' importante individuare in fretta la
malattia poiché in amore, come in ogni attività, è decisiva l'intelligenza del
tempo: "Principiis obsta: sero
medicina paratur /cum mala per longas convaluere moras " (vv. 91 - 92)
, opponiti agli inizi, tardi si procura la medicina quando il male si è
rafforzato attraverso lunghi indugi. - convaluere=convaluerunt,
perfetto arcaico di convalesco.
Insomma: antiquus amor cancer est, un vecchio amore è un cancro, come si
legge nel Satyricon (42, 7) .
Quindi Ovidio usa il paragone con la
ferita (vulnus v. 101) che va
medicata subito. Le cure del medico della malattia amorosa, lo stesso terapeuta
Ovidio, comunque non mancheranno nemmeno ai malati cronici. Segue il tovpo" della
passione incendio che va spento appena divampato, oppure quando le sue forze si
sono oramai esaurite (vv. 117 - 118) . Si tratta di cogliere il momento
opportuno, secondo il precetto posto da Isocrate nel manifesto della sua scuola:
"tw'n
kairw'n mh; diamartei'n " (Contro
i sofisti, 16) , non fallire le occasioni. "Nell'arte di amare, come
nella navigazione e nell'agricoltura, è principio fondamentale la scelta dei
tempi adatti (I 397 ss.) ; il principio, naturalmente, vale anche per i Remedia (vv. 131 s.) …La scelta del
momento opportuno, del kairov" è il fine della saggezza relativistica; ma
questa saggezza serve anche per consolarsi, per liberarsi dal dolore della
sconfitta"[2].
Anche la medicina è più o meno l'arte di
cogliere il momento giusto: "Temporis
ars, medicina fere est" (v. 131) . Perciò, suggerisce Ovidio, continuando
ad assimilare l'amore a una malattia e la propria cura a quella del medico, quando
ti sembrerà di essere medicabilis (136)
, curabile dalla mia arte, fugias otia
(v. 137) , evita gli ozi, poiché questi invitano all'amore: "haec ut ames faciunt " v. 138) .
Riferisco l'esempio mitico che viene
allegato: quello di Egisto la cui attività seduttiva nei confronti della donna
sposata Clitennestra è descritta e biasimata da Omero nel III canto dell'Odissea: Nestore racconta che mentre gli
eroi della guerra troiana erano laggiù a compiere molte imprese, quello se ne
stava tranquillo nella parte più sicura (eu[khlo" mucw'/, v. 263) di
Argo che nutre cavalli e molto cercava di sedurre con le parole (qevlgesken e[pessin, v. 264) [3] la moglie di Agamennone la quale dapprima
rifiutava l'indegno misfatto poiché aveva un'anima nobile ed era sorvegliata da
un aedo di fiducia del suo sposo, ma alla fine cedeva (vv. 265 - 272) .
L'interpretazione di Ovidio non è troppo
diversa da quella di Omero: "Quaeritis
Aegisthus quare sit factus adulter; /in promptu causa est; desidiosus erat
" (vv. 161 - 162) , volete sapere perché Egisto divenne adultero? il
motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare.
Gli
altri Greci infatti facevano la guerra e ad Argo non c'erano processi a
impegnarlo. Dunque: "Quod potuit, ne
nil illic ageretur, amavit " (v. 167) , fece quello che poté per non
stare là senza far niente: fece l'amore. Anche Madame Bovary divenne adultera
poiché si annoiava: "per lei, ecco, l'esistenza era fredda come un solaio
esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la
tela nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (p. 36) .
La campagna distrae dall’ossessione
amorosa
Un bel diversivo che ricrea la mente
abbattuta dall'amore sono i campi e e il desiderio di occuparsene: "rura quoque oblectant animos studiumque
colendi (v. 169) . Segue la descrizione di una campagna più amena che
faticosa: "Poma dat autumnus; formonsa
est messibus aestas; /ver praebet flores; igne levatur hiemps " (vv. 187
- 188) , l'autunno dà la frutta; l'estate è bella per le messi; la primavera
offre fiori; l'inverno è alleviato dal fuoco.
Non è detto però, che la natura bella
allontani i pensieri d'amore o mitighi il dolore dell'assenza della creatura
amata, né nella realtà effettuale, né nella poesia.
Petrarca nel sonetto (CCLXVI) ci dice che il
paesaggio ridente non molcisce l'affanno ma contrasta con il suo stato d'animo
e ne esulcera il dolore per la perdita di Laura: "Ridono i prati, e 'l
ciel si rasserena; /Giove s'allegra di mirar sua figlia; /l'aria et l'acqua et
la terra è d'amor piena; /ogni animal d'amar si riconsiglia. /Ma per me, lasso,
tornano i più gravi/sospiri, che del cor profondo tragge/quella ch'al ciel se
ne portò le chiavi; /et cantar augelletti, et fiorir piagge/e 'n belle donne
honeste atti soavi/sono un deserto, et fere aspre et selvagge" (CCCX, vv. 5
- 14) .
La corrispondenza paesaggio stato
d'animo insomma può definirsi per analogia, come nel sonetto XXVIII "Solo et
pensoso i più deserti campi" (XXXV) , ma anche per opposizione come nei
versi citati sopra.
In Herman Hesse l'inverno suggerisce il
pensiero dell'opposizione tra la natura e lo stato d’animo: "
Lo colpì il contrasto fra l'inquietudine
del suo cuore e la placida rassegnazione del mondo invernale: come campi e
boschi, colli e lande s'abbandonavano tranquilli, con mansuetudine commovente, al
sole, al vento, alla pioggia, alla siccità, alla neve; con che dolce e bella
pazienza aceri e frassini portavano il loro carico invernale! Non era possibile
diventar come loro, imparare da loro?"[4].
Tornando ai Remedia di Ovidio, una volta che il piacere della campagna ha
cominciato a incantare l'animo, Amore se ne va annullato con le ali indebolite
(vv. 197 - 198) . Infatti "Rura
quoque oblectant animos studiumque colendi; /quaelibet huic curae cedere cura
potest " (vv. 169 - 170) , anche i campi e l'amore dell'agricoltura
divertono lo spirito; qualsiasi preoccupazione può cedere a questa occupazione.
La caccia
Segue il consiglio di praticare la
caccia (v. 199 e sgg.) , esercizio consigliato da diversi altri autori, Senofonte,
Polibio, Machiavelli p. e., per altre ragioni: principalmente quella di tenere
in esercizio il fisico[5].
Ovidio scrive: "Vel tu venandi studium cole: saepe
recessit/turpiter a Phoebi victa sorore Venus " (Remedia, vv. 199 - 200) , oppure tu coltiva la passione per la
caccia: spesso si è ritirata Venere vergognosamente vinta da Diana sorella di
Febo. Cfr. l’Ippolito di Euripide
dove invece è Artemide che perde.
Mutatio
locorum
Un aiuto per dimenticare può venire
anche da un lungo viaggio senza voltarsi indietro: se l'amore è una guerra sia
guerra scitica[6],
o partica: "tempora nec numera nec
crebro respice Romam, /sed fuge; tutus adhuc Parthus ab hoste fuga est
" (vv. 224 - 225) . non contare i giorni e non voltarti spesso a guardare
Roma, ma fuggi, ancora il Parto si mette al riparo con la fuga.
Le metafore della caccia e della guerra
sono impiegate non solo per suggerire la fuga dall'amore ma, nell' Ars amatoria, anche per la ricerca
amorosa: "Il pregio maggiore dell'opera sta senza dubbio nel suo raffinato
impianto metaforico: l'amore è descritto come caccia e come guerra, e queste
immagini sono sviluppate con rigorosa coerenza (bagni, portici e spettacoli
come terreni di caccia, doni e dolci parole come esche, appostamenti sotto la
porta dell'amata come assedi)"[7].
Già Properzio aveva affermato l'opportunità
della ritirata altrove per salvarsi dalla pena amorosa: "Magnum iter ad doctas proficisci cogor
Athenas/ut me longa gravi solvat amore via. /Crescit enim assidue spectando
cura puellae: /ipse alimenta sibi maxima praebet Amor. /Omnia sunt temptata
mihi, quacumque fugari/ possit; at ex omni me premit ipse deus. / (…) Unum erit
auxilium: mutatis Cinthya terris/Quantum oculis, animo tam procul ibit amor. /
Nunc agite, o socii, propellite in aequore navem "III, 21, 1 - 6; 8 - 10)
, sono costretto a partire per un grande viaggio verso la dotta Atene perché un
lungo tragitto mi liberi da quest'amore opprimente. Cresce infatti
continuamente osservandola il tormento della ragazza: Amore si fornisce da solo
l'alimento più grande. Le ho tentate tutte, da qualunque parte si potesse
mettere in fuga; ma da ogni parte mi opprime lo stesso dio…resterà solo un
rimedio: mutato luogo, Cinzia, quanto dagli occhi tanto lontano andrà Amore dal
cuore. Ora avanti, compagni, spingete nel mare la nave.
Da questi autori dunque è stato
ribaltato il topos dell'inutilità della mutatio
locorum che si trova in Orazio: "Caelum,
non animum, mutant qui trans mare currunt/strenua nos exercet inertia
" (Epistole, 1, 11, 27 - 28) , cambiano
il cielo, non lo stato d'animo quelli che corrono al di là del mare, un'irrequieta
indolenza ci tiene in ansia; quindi Seneca scriverà: " Animum debes mutare, non caelum. Licet
vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster, "terraeque
urbesque recedant"[8],
sequentur te quocumque perveneris vitia " (Ep. a Lucilio, 28, 1) , l'animo devi cambiare, non il cielo. Anche
se avrai attraversato il mare immenso, anche se, come dice il nostro Virgilio, "terre
e città si allontanano", dovunque sarai giunto ti seguiranno i vizi. E
ancora: " Nullum tibi opem feret
iste discursus; peregrinaris enim cum adfectibus tuis et mala te tua
sequuntur…Quid ergo? animum tot locis fractum et extortum credis locorum
mutatione posse sanari? Maius est istud malum quam ut gestatione curetur... Nullum
est, mihi crede, iter quod te extra cupiditates, extra iras, extra metus sistat
" (Ep. a Lucilio, 104, 17 - 19) , questo correre qua e là non ti porterà
nessun vantaggio; infatti vai in giro con le tue passioni e i tuoi vizi ti
seguono… che dunque? credi che l'animo in tanti luoghi ferito e slogato possa
sanarsi col cambiar luogo? Il male è troppo grande per essere guarito con una
passeggiata... Non c'è viaggio, credimi, che ti metta al riparo dalle passioni,
dall'ira, dal timore.
Tra i contemporanei il già citato
Galimberti dubita che il viaggiare da turisti possa davvero scuoterci l'anima: "La
gente viaggia (diceva Orazio: "Non è cambiando il cielo che si cambia
animo") probabilmente per un bisogno di evasione, per dare una scossa alla
propria condizione psicologica. Evasione vuol dire "uscir fuori", ma
non mi pare che nei viaggi si esca davvero fuori". Infatti è tutto
prenotato, codificato, previsto. "Del viaggio perdiamo dunque l'ultimo
scrigno segreto che potrebbe offrirci: lo spaesamento"[9].
Ovidio al contrario pensa
che cento distrazioni (centum solacia)
avranno la forza di allontanare l'affanno. Ma non devi avere fretta di tornare,
ammonisce, altrimenti "inferet arma
tibi saeva rebellis Amor/quidquid et afueris, avidus sitiensque redibis, /et
spatium damno cesserit omne tuo " (vv. 246 - 248) , Amore pronto a
ricominciare la guerra ti porterà contro le armi crudeli, e nonostante tutto il
tempo nel quale sarai stato lontano, tornerai bramoso e assetato e lo spazio
attraversato andrà perduto con tuo danno.
continua
[1]
Ovidio, Rimedi contro l'amore, a cura di C. Lazzarini, p. 133.
[2]
A. La Penna, Da Lucrezio a Persio, p. 192.
[3]Per
un commento a questi versi vedi il mio Ulisse,
il figlio, le donne, i viaggi, gli amori, con la scheda "Il seduttore
intellettuale. Egisto".
[4]
H. Hesse, Narciso e Boccadoro (del 1930) , p. 193.
[5]Cfr.
la scheda su "La caccia" appunto nel mio Storiografi Greci, Loffredo, Napoli, 1998, p. 193 - 196.
[6]Nel IV libro delle Storie
Erodoto racconta la fallita spedizione di Dario contro gli Sciti descrivendo i
costumi di questo popolo e il loro modo di guerreggiare: facevano terra
bruciata e si allontanavano, una strategia non molto diversa da quella dei
Russi descritti da Tolstoj che in Guerra
e pace definisce ancora " piano di guerra scitica" quello
"mirante ad attirare Napoleone nelle regioni interne della Russia"
(p. 1031) .
[7]
D. Puliga (a cura di) Poesia classica Latina, p. 429.
[8]Eneide III, 72, quando i Troiani si
allontanano dalla Tracia.
[9]
La lampada di Psiche, p. 48 e p. 51.
Sei sempre interessante.
RispondiEliminaAlessandro