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venerdì 18 dicembre 2015

I "Remedia amoris" di Ovidio, Parte VI


Giacomo Di Chirico, Quinto Orazio Flacco

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Orazio
Dicevamo che pure Orazio e Ovidio si sono espressi in questo tovpo" il quale effettivamente può trovare risonanze in tutti gli uomini di tutti i tempi.
Il Venosino nella Satira I 3 afferma che le brutture e i difetti dell'amante ingannano l'innamorato cieco e addirittura proprio quelle imperfezioni gli piacciono (vv. 38 - 40) . Si deve porre mente a questo per imparare un poco di indulgenza verso le manchevolezze del prossimo. Il locus è utilizzato come exemplum di tolleranza. La conclusione della satira è che se compatiremo, verremo compatiti. Si vede come un argomento può essere impiegato per dare insegnamenti opposti.
Lo stesso poeta può usare il medesimo tovpo" in libri diversi per sostenere una tesi e quella contraria.


Ovidio
Così fa Ovidio che nei Remedia amoris apre gli occhi sui difetti delle donne suggerendo perfino di accentuarli con il pensiero, mentre nell'Ars amatoria consiglia di guardarsi bene soprattutto dal rinfacciare alle ragazze le loro imperfezioni (parcite praecipue vitia exprobrare puellis, II, 640) : a molti fu utile avere fatto finta di non vedere. Questo vale per non disgustare le donne le quali anzi vanno adulate.

Con l'adulazione si può sedurre persino una vestale. Dostoevskij, Flaubert, Ovidio.
 L'adulazione funziona sempre quando si vuole compiacere una donna. Sentiamo Svidrigàilov il " vecchio libertino incancrenito" di Delitto e castigo che ha "una specie di scintilla sempre accesa nel sangue": "... finalmente feci ricorso al mezzo supremo e infallibile per soggiogare il cuore femminile, il mezzo che non fallisce mai e che agisce decisamente su tutte le donne, senza eccezione. Niente al mondo è più difficile della sincerità e più facile dell'adulazione... per quanto infantilmente grossolana possa essere l'adulazione, almeno per metà essa sembra senz'altro vera. E questo vale per gente di ogni livello e di ogni ceto sociale. Con l'adulazione si può sedurre perfino una vestale"[1].

Non è difficile essere creduti quando si adula, suggerisce Ovidio nel primo libro dell'Ars amatoria: "Nec credi labor est: sibi quaeque videtur amanda/pessima sit, nulli non sua forma placet " (vv. 611 - 612) e non è difficile essere creduto: a ognuna sembra di essere degna di amore, sia pure pessima, a nessuna dispiace il suo aspetto.

Sentiamo il seduttore di Madame Bovary: "Finalmente lo hai davanti, il tesoro tanto cercato: risplende, scintilla. Eppure dubiti ancora, non osi crederci: ne resti abbagliato come all'uscita dalle tenebre alla luce" (p. 118) .

Ovidio nel II libro dell'Ars amatoria afferma che chiudere un occhio sui difetti dell'amante è utile non solo alla conquista ma anche al mantenimento del rapporto il quale riceve lunga vita dalla transigenza fondata a sua volta sull'abitudine: "Quod male fers, adsuesce: feres bene: multa vetustas/leniet; incipiens omnia sentit amor " (vv. 647 - 648) , a quello che sopporti male, abituati: sopporterai bene: la lunga durata allevierà molte cose difficili; l'amore all'inizio fa caso a tutto.
 Lo stesso passare del tempo toglie tutte le pecche del corpo, e quello che era un difetto smette di esserlo con la dilazione. Sapere aspettare serve, ma anche l'uso intelligente delle parole è funzionale a questo scopo.
Ovidio dunque nell' Ars amatoria presenta come astuzia da usare quello che Lucrezio considera un errore da evitare: "Nominibus mollire licet mala: "Fusca" vocetur, /nigrior Illyricā cui pice sanguis erit; /si paeta est, "Veneri similis"; si rava, "Minervae"; /sit "gracilis", macie quae male viva sua est; /dic "habilem", quaecumque brevis, quae turgida, "plenam"; /et lateat vitium proximitate boni " (, II, vv. 657 - 662) , i difetti si possono attenuare con le parole: "abbronzata" si chiami quella che avrà vene più nere della pece illirica; se è un pò strabica, "simile a Venere"; se ha gli occhi grigi, "a Minerva"; sia "gracile" quella che, del tutto esaurita, è viva per poco, chiama "maneggevole" chiunque sia corta; quella gonfia, "piena", e si nasconda il difetto con il pregio più vicino.
 Le parole insomma servono ad avvicinare e conservare la donna.


L’accentuazione dei difetti nei Remedia amoris.
Viceversa nei Remedia Amoris il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.
"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit. /"Quam mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae"/ (nec tamen, ut vere confiteamur, erant) ; / "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae"/ (et tamen, ut vere confiteamur erant) /"quam brevis est" (nec erat) , "quam multum poscit amantem"; /haec odio venit maxima causa meo. / Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit. / Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle tuum. /"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur; /in gracili "macies" crimen habere potest. /Et poterit dici "petulans" quae rustica non est; /et poterit dici "rustica", si qua proba est " (vv. 315 - 330) , mi ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male - dicevo - le gambe della mia donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano) ; "quanto non sono belle le braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è corta" (e non lo era) , quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è abbronzata "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa. - quam multum poscit (v. 321) : ecco il difetto più odioso per l'amante poiché l'utile è valutato più del bello e del buono. Una riflessione che si trova anche in Machiavelli il quale consiglia al suo principe di evitare quello che anche secondo lui è il difetto più odioso: "ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio"[2]. Citeremo ancora l'autore de Il Principe poiché Ovidio è il maestro, se vogliamo il cattivo maestro, dello sganciamento di un'attività dalla morale. - et mala sunt vicina bonis (v. 323) :: " Unnatural vices/are fathered by our heroism. Virtues/ are forced upon us by our impudents crimes "[3], afferma il classicista Eliot, vizi innaturali hanno come padre il nostro eroismo. Virtù ci sono imposte dai nostri impudenti delitti.
Già Machiavelli aveva indicato questa confusione di virtù magari deleterie e vizi che possono creare il bene: "se si considerrà bene tutto, si troverà qualche cosa che parrà virtù, e, seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo" [4]. - in peius (v. 325) : il pessimismo è quasi sempre legato a frustrazioni vitali, soprattutto amorose e di salute.


Denigrazione della donna nel Secretum del Petrarca
Un'eco di questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente: "Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68) , sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile
. - rustica (vv. 329 e 330) : la rusticitas che può essere cosa buona o cattiva a seconda di come la si prende.
A volte, controbatto, la seduzione della bellezza femminile o maschile, insomma l'inganno di Cipride, porta aiuto a chi subisce o lo infligge: così è nel poema di Apollonio Rodio dove Fineo consiglia agli Argonauti: cercate l'aiuto della dea Cipride che inganna: in lei infatti sta il compimento glorioso delle vostre fatiche (Argonautiche, II, 423 - 424) . Ma già Saffo chiede aiuto ad Afrodite invocandola come dolovploke, tessitrice di inganni (I D, v. 2) .


Continuiamo ancora con Ovidio il quale consiglia pure di mettere in imbarazzo l'amata spingendola in situazioni dove non si trovi a suo agio: "Quin etiam, quacumque caret tua femina dote, /hanc moveat, blandis usque precare sonis: / exige uti cantet, si qua est sine voce puella; /fac saltet, nescit si qua movere manum; /barbara sermone est, fac tecum multa loquatur; /non didicit chordas tangere, posce lyram; /durius incedit, fac inambulet; omne papillae/pectus habent, vitium fascia nulla tegat; /si male dentata est, narra, quod rideat, illi; /mollibus est oculis, quod fleat illa refer " (Remedia Amoris, 331 - 340) , anzi, di qualsiasi qualità sia priva la tua donna, pregala continuamente con toni di lusinga che eserciti questa: pretendi che canti, se è una ragazza senza voce; falla danzare, se è una che non sa muovere una mano; se è rozza nel modo di esprimersi, falla parlare molto con te; non ha imparato a toccare le corde, chiedile di suonare la lira; cammina goffamente, falla passeggiare; i capezzoli occupano tutto il petto, nessun reggiseno copra il difetto; se ha una dentatura brutta, raccontale qualcosa di cui rida; se è di occhi piagnucolosi, dille qualcosa di cui pianga. - precare (v. 332) : imperativo di precor.
Viene consigliata una diabolica, sistematica distruzione della creatura oggetto di amore - odio, conseguenza dell'amare senza bene velle e della cattiva competizione tra i sessi.
Secondo Cesare Pavese questa strategia è concepita e messa in atto sistematicamente dal "popolo nemico" delle donne per annientare gli uomini: "Una donna che non sia una stupida, presto o tardi, incontra un rottame umano e si prova a salvarlo. Qualche volta ci riesce. Ma una donna che non sia una stupida, presto o tardi trova un uomo sano e lo riduce a rottame. Ci riesce sempre"[5].




continua



[1]F. Dostoevskij, Delitto e castigo, pp. 531 e sgg.
[2]Il Principe, 17.
[3]Gerontion, vv. 47 - 49) .
[4]Il Principe, 15.
[5]Il mestiere di vivere, 3 agosto 1937. 

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