NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 20 dicembre 2015

Valerio Varesi, "Lo stato di ebbrezza"

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Valerio Varesi
Lo stato di ebbrezza, Frassinelli, 2015


Riporto qui sotto  le parole dette presentando questo romanzo di Valerio Varesi nella libreria Scandellara la sera del 15 dicembre 2015

L’ebbrezza è quella della maggioranza del popolo italiano ubriacato in un’orgia di ignoranza, un miscuglio grottesco di voluttà e crudeltà che fa pensare al barbarico pregreco di cui parla Nietzsche in La nascita della tragedia (cap. 2)
Un abisso immenso separa i Greci dionisiaci dai barbari orgiastici le cui  feste consistevano in una esaltata sfrenatezza sessuale, in un’orribile miscuglio di voluttà e crudeltà, vero beveraggio delle streghe.

Il I capitolo, Rien ne va plus, mette in rilievo la tirannide dell’economia e la corruzione attiva e passiva degli economisti. E’ la razza affaristica il gevno" crhmatistikovn della Repubblica di Platone (441), quello che dovrebbe essere subordinato al bouleutikovn, i politici cui spetta prendere le decisioni e all’ejpikourhtikovn, costituito dagli ausiliari militari 
“Per quanto parli di economia, il nostro tempo è un dissipatore: sperpera la cosa più preziosa, lo spirito”[1].

II capitolo
La muta del pelo
Il protagonista e io narrante Domenico Nanni ha frequentato il Galvani, il “liceo dei fighetti (…) Non che mi piacesse granché quell’ambiente di signorini e quel vecchiume di professori che entravi fresco al ginnasio e uscivi dal liceo con la muffa. Ma ci aveva pensato l’euforia del Sessantotto a tenerci svegli” (p. 8)
Una critica azzeccata a chi mortifica la cultura che va resa viva. Cultura è potenziamento della natura
Et ideo ergo adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri quia nihil ex his quae in usu habemus aut audiunt au vident” (Satyricon, I, 3) dice Encolpio, l’io narrante del romanzo di Petronio, che accosto non per caso a Domenico Nanni. Il romanzo di Varesi ha non pochi aspetti che ricordano  il  Satyricon, il capolavoro che dipinge con lingua da orafo i vizi di una civiltà decrepita.  

III capitolo
Il riflusso
Nanni attraverso varie spinte entra all’Avvenire, il giornale dei vescovi.
Le raccomandazioni italiche risalgono al rapporto mafioso tra il patrono e il cliente codificato già nelle XII tavole del 450 a. C.
La I Bucolica virgiliana è la storia di una raccomandazione.
“Tutto volgeva indietro in quel primo scorcio degli Ottanta” (p. 15).
Acta retro cuncta (Oedipus 367), scrive Seneca maestro e vittima di Nerone. A forza di andare indietro si diventa gamberi.

Poi c’è il ricordo della notte fra il 12 e il 13 giugno del 1981, la morte di un bambino resa e vissuta come uno spettacolo.

IV capitolo
Alfredino: la tragedia diventa spettacolo
“Realtà e finzione sono intercambiabili se la realtà è trattata come spettacolo” (p. 18). Uomini e donne diventano maschere prive di interiorità. Varesi evoca a ragione i circenses e la “pelosa compiacenza nell’osservare il dolore degli altri” (p. 20).

V capitolo
A Fra’, che te serve?
Varesi Ricorda Evangelisti, “quel grottesco maggiordomo di Andreotti” e il palazzinaro Caltagirone che gli dice: “A Fra’, che te serve?” (p. 25) Insomma: “era l’intera politica a essersi venduta”. Altro vizio italico.
Nel Bellum Iugurthinum di Sallustio, Giugurta viene a sapere “omnia Romae venalia esse” (20) e allontanandosi dall’Urbe, esclamò: “urbem venalem et mature perituram, si emptorem invenerit” (35)
I giornali facevano parte del coro in quanto tenuti stretti nelle mani dei padroni: “I giornali sono dei padroni e stanno in piedi con la pubblicità fatta dai padroni” (p. 27), dice il personaggio Cavicchi il quale “Non vedeva che rovine”.

VI capitolo
La dolce vita
Varesi ricorda l’82 con l’uccisione del generale Dalla Chiesa di Pio La Torre e di Roberto Calvi “tutt’e tre ammazzati dalla mafia contoterzista dei politici” (p. 33)
Nanni si fa comprare anche lui da un pezzo grosso delle cooperative, uno che “reclamava una complicità con quelle frasi smozzicate da balbuziente” (p. 35) E’ un modus loquendi che presuppone e pretende intesa sui luoghi comuni di un ambiente.   

VII capitolo
La febbre dell’oro
Varesi coglie i punti cruciali della storia, la nostra storia.
Il sindacato “fatto a polpette” (p. 41) dalla marcia dei 40 mila a Torino nell’ 80. Il nichilismo seguito alla laicizzazione che a Pasolini non piaceva e non aveva tutti i torti, dice il compagno Tugnoli. Poi l’educazione alla volgarità attraverso la televisione: la pubblicità, il processo del lunedì di Aldo Biscardi (p. 44)

VIII capitolo
Oltre la linea d’ombra
Nanni si accoppia con Susanna che “non voleva cambiare il mondo, ma adattarcisi” (p. 51). Come Odisseo questa donna, tutt’altro che stupida, si rende complice della realtà. Una sua sentenza è che “da Spartaco in poi nessuno è mai riuscito a schiodare il potere di sella. Meglio infiltrarlo, fingere di assecondarlo” (p. 51)

IX  capitolo
Svendita totale
Calcaterra incarnava l’essenza dei socialisti anni Ottanta: la totale rimozione della storia, la fuga in mondi artificiali per non vederne lo schifo” (p. 54). Calcaterra docet: “Dobbiamo imparare dagli americani a dir balle! Hanno massacrato un intero popolo, gli hanno rubato la terra, la cultura, il cibo (…) eppure son riusciti a fare della più grande nefandezza dell’umanità un racconto eroico” (p. 56). La storia come serbatoio di modelli.
La politica come farsa: “vengono dall’avanspettacolo i migliori leader (…) Reagan non è che un attore. Gli hanno scritto il copione quelli della scuola di Chicago e lui l’interpreta, fa il cattivo” (p. 57)
Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che  avesse recitato bene la farsa della vita, quindi volle degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti-e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite. La “corta buffa”[2] era giunta al termine.

X capitolo
L’orgia del potere
Nanni va a vivere a Roma con Susanna nel giugno dell’83
Craxi imperversava “attraverso la grancassa del Biscione” (61) con le sue pause, con la sua arroganza monumentale che prevaleva sulla magrezza di Berlinguer e sulle “facce meste degli infidi chierichetti democristiani” (62).

XI capitolo
Bettino: un uomo solo al comando
Susanna era l’incarnazione degli anni Ottanta (p. 74). Tutto era lottizzato. La tessera contava molto più della capacità: “ Anche per i chirurghi vien prima del bisturi” (p. 77).
“Martelli, il delfino belloccio, la menava col profitto, il merito, il non vergognarsi del potere e della ricchezza” (p. 79). Nell’84 “finiva il fidanzamento tra i socialisti e la classe operaia. L’occasione era stata il funerale della scala mobile, l’estremo saluto ai salari agganciati ai prezzi. Le tutte blu non contavano più un cazzo” (p. 80)

XII capitolo
Il trionfo
Il PSI era il partito più di moda: gli stilisti erano tutti lì: Krizia, Versace, Armani, Fiorucci e altri “La forma, l’apparire son la cifra dei tempi e i socialisti ne sono la versione politica” (p. 87)
In definitiva, come scrive Simonide citato da Adimanto, un fratello di Platone, nella Repubblica l'apparire violenta anche la verità:" to; dokei'n...kai; ta;n ajlavqeian bia'tai" ( 365c).
Nell’Oreste di Euripide il protagonista riconosce che l’apparenza prevale anche se è lontana dalla verità: “krei`sson de; to; dokei`n, ka]n ajlhqeiva~ ajph`/”(v. 236)
Susanna parla di un destino che sovrasta tutti, quasi fosse un’Elena o un’Andromaca.
Craxi e la sua cricca imperversavano: Balzamo, Cicchitto, De Michelis, Amato, l’architetto Panseca.
Gli italiani amano l’uomo forte: “Un popolo di camerieri sempre pronti a intascar la mancia per l’affaruccio e a condividere il piccolo broglio bisbigliato all’orecchio” (p. 91).
 Un popolo di clienti e di lenoni. Se va bene, guardiani di Musei (cfr. Leopardi)

XIII capitolo
Vucciria Italia
Nanni e Susanna vanno in crisi come coppia. Lui era un venduto timorato, con degli scrupoli; lei no

XIV capitolo
La grande greppia
Comunque Nanni si compra un macchinone, una Maserati Quattroporte. Il bello di averlo “negli anni Ottanta era che in tanti sognavano di avercelo anche loro”. Per fregare il povero bisogna insegnargli ad ammirare e imitare il ricco. Poi mettergli in testa che le cose non necessarie sono necessarie.
“Il bisogno va creato” (p. 110). C’è la schiera dei politici venduti. I più miseri erano “certi funzionaretti con le grisaglie lise che se tanto finivi per portarli al ristorante, poi ti chiedevano due bottiglie di Chianti a fine pasto o il wisketto per la suocera” (p. 112).
“Dopo i leoni che si spolpavano le pezzature grosse, arrivavano le iene, gli sciacalli, i licaoni e famiglie al completo di volatili necrofili” (p. 112). Tutto era greppia oramai.
E i politici erano bestiame al pascolo::  boskhvmata,
Poi il consumismo dei poveracci: il gregge di quelli che “il sabato pomeriggio si mettevano tutti in fila alla cassa come alla processione del santo patrono a chieder la grazia di sputtanarsi mezzo stipendio” (p. 114). Continua era l’istigazione all’acquisto. Radio e televisioni private vivevano di questo. Gli stilisti dettavano legge
Nanni e Susanna facevano parte di quel gioco.

XV capitolo
L’occupazione e il gioco di prestigio
Bettino era il modello dei più: fino all’eloquio sincopato con silenzi tanto lunghi da sembrare colpi apoplettici (p. 116). La mafia era dappertutto: si bene calculum ponas, clientela ubique est (cfr. il Satyricon)
Craxi che si firmava Ghino di Tacco aveva la “brutale sfrontatezza” (p. 119) di rivendicare  la propria furfanteria.
La Borsa è la più grande bisca truffaldina che sia mai stata messa in piedi. La Casbah di Algeri era un collegio di scolopi al confronto” (p. 121)
Banchieri, finanzieri e industriali insegnavano che si poteva essere delinquenti nella legalità.

XVI capitolo
L’edonismo reaganiano
Primo Levi dopo essere sopravvissuto ad Auschwitz, non aveva sopportato questi nuovi orrori e si era suicidato. Giorgio Ambrosoli era stato ucciso in quanto colpevole di ostinata onestà. Sparivano i fatti ingoiati dallo specchio deformante del loro racconto.

XVII capitolo
Che spettacolo la guerra!
I cavalieri d’industria s’ingrassavano vendendo mitraglie.
Ares è da sempre il cambiavalute dei corpi ( Eschilo, Agamennone 458).
Il mondo disumanizzato ci spinge a uscire dalla dimensione umana. La guerra incentivava il mercato. “Eran le bombe a svuotare gli scaffali del mercato” (p. 136).
 Guerra santa proclamavano gli empi massacratori. Cfr. Alessandro Magno in Curzio Rufo: “famā bella constant” (8, 8, 15)

XVII capitolo
Realpolitik di fine regime
Siamo alla fine degli anni Ottanta che “andavano spegnendosi come un dopocena” (p. 138). Si era capito che la mafia era un modus vivendi. Era ed è uno degli antiqui mores, il più tenace

XIX capitolo
La gastropolitica
Varesi racconta come mangiavano i comunisti e i democristiani.
I primi in osterie anonime, i secondi alla mensa di un convento dove le carmelitane con le cuffie alate scivolavano intorno al tavolo veloci che parevano sui pattini. Immagine felliniana

XX capitolo
La finanza al potere
Il destino di intere generazioni viene privatizzato da finanza e affaristi. Nessun controllo, nessuna verifica, nessuna scuola (cfr. Mirabella che in televisione disse dum docunt (sic!) discunt)

XXI capitolo
Crolla il muro, muore la politica
Muore anche la madre di Nanni: “non ci sarà mai più nessuno così rassicurante, carezzevole, amorevole. Mai più  chi ti ama per sempre (p. 161). Amor matris: genitivo soggettivo e oggettivo.
Susanna lo lascia, Il cinismo del mondo aveva atrofizzato l’attitudine ai sentimenti. Cade il muro di Berlino, Occhetto alla Bolognina celebra il funerale del PCI. La cosiddetta  svolta era in realtà il gettito nella discarica di 68 anni di storia

XXII capitolo
La società civile ha una brutta faccia
Nanni prova simpatia per il comunismo perdente. E’ il luogo comune inverso che pare più elegante. Il Garofano è imbolsito e passa di moda
“Non c’è niente di più modaiolo e volubile dei buoni borghesi” (cfr. la satira La sesquiplebe di Alfieri)

XXIII capitolo
Piccolo mondo antico
Proliferano gli Arabi: “ci conquisteranno con le pace delle loro donne” (p. 180.
Cfr. Augusto che apostrofa senatori e cavalieri chiamandoli assassini della loro stirpe  in quanto no si sposavano e non facevano figli ( Cassio Dione, 56, 4, 1)

XXIV capitolo
Il crollo
Il profitto diventa il metro universale del bene, la perdita la misura del male. Non è dunque l’uomo misura di tutte le cose (cfr. Protagora), né, tanto meno, Dio (cfr. Tolstoj, Guerra e pace )

XXV capitolo
Il capolinea della prima Repubblica
Il santuario dei socialisti, l’hotel Raphael adorno di edera come le baccanti, viene sconsacrato nel  j93 dal lancio delle monetine sull’idolo che cade.

XXVI capitolo
La politica in canottiera
Arriva Berlusconi a incarnare lo spirito del tempo. E’ il disangelista della pubblicità “più figa per tutti!” (p. 201). Guidava un partito personale, perfettamente antidemocratico

XXVII capitolo
Abbassare la puzza
La nuova moda comporta” un’ indulgenza plenaria per tutti i più loschi vizi: il disprezzo per tutto ciò che è pubblico, l’ammirazione per le furbizie, il fastidio per le norme e l’attitudine a eludere i doveri (p. 208)

XXVIII
Il sogno interrotto
A Bologna c’è il trasloco simbolico della sede dei DS dal palazzo storico via Barberia al palazzone  della ultraperiferica via Rivani

XXIX capitolo
La nostalgia di noi
Lo sfacelo politico, l’universale confusione: D’Alema uno con la faccia del vigile carogna, cinguettava con Berlusconi (p. 225)

XXX capitolo
Vita privata
I rifondatori comunisti venivano invitati nelle trasmissioni televisive berlusconiane perché seminassero zizzania nell’opposizione.
Bertinotti con la faccia da ferroviere laureato fuori corso era onnipresente.
Nanni si mette con Carmen che era cattolica e aveva vent’anni di meno: lei vedeva l’alba mentre lui già udiva i rondoni della sera (p. 229)
Alla fine si erano sposati. Don Edmondo, il prete con il quale Nanni dialoga,  gli dice che la Chiesa è santa e meretrice

XXXI  capitolo
Battaglia navale
Il prete dice pure che gli islamici sanno cosa vogliono, noi no: “Coi figli e le armi: così intendono  batterci” (p. 236).  Così andò tra i barbari germanici  e i Romani tanto tempo fa.

XXXII capitolo
La mattanza genovese
Berlusconi è presentato come uno che non ha mai avuto alle spalle i poteri forti: “un poveraccio disprezzato dai grandi della finanza che continua a bussare ai loro club ma non lo fanno entrare “ (p. 244)

XXXIII capitolo
C’è solo il tempo presente
L’11 settembre non è solo quello del 2001.
“L’11 settembre di ventotto anni prima erano stati gli yankee a scatenare l’inferno su Santiago del Cile appoggiando il colpo di Stato del fascista Pinochet. Esportavano la democrazia anche allora come avevano fatto in Medio Oriente! Gliela sganciavano dai bombardieri, dagli elicotteri Apache, che avevano il nome di un popolo annientato un secolo prima. La loro breve storia si riduceva a un rosario di carneficine: non erano mai riusciti a schiodarsi dall’essere sceriffi” (p. 253).

XXXIV capitolo
Tutti Porcellum
La banche sono i luoghi della fregatura istituzionalizzata: “ mi sembrano il posto meno adatto per andar a cercare illusioni. Appena ci entravi annusavi subito l’odor di fregatura e ti veniva naturale camminare rasente i muri” (p. 260)
Nanni fa “un lavoro di consulenza” in una banca appunto. Doveva decidere quali progetti si potevano finanziare”
I giovani che li presentavano “vedevano nel prossimo solo consumatori, l’indistinta massa mercantile da convincere. Erano soli di fronte al mondo come tanti Teseo nel labirinto (…) per me era angosciante dover scegliere chi era dentro e chi era fuori (…) Tutto doveva essere commisurato alla scala vasta del mercato. ” (p. 261)
Il mercato dunque misura del bene e del male.
“Una molecola risolutrice di un problema di cosmetica valeva mille volte di più di una formula per la cura di una malattia rara”.
La cosmetica migliore è la ginnastica, e non quella della palestra ma quella della corsa sui campi o delle montagne scalate con la bicicletta.
“Si finiva per finanziare stronzate d’alto gradimento. I giochino per cellulari con le musichette a istupidirti per un intero viaggio in treno, occhiali ripiegabili a gomitolo …il trionfo del superfluo commerciabile. A colpi di stronzate prodotte in serie si finiva anestetizzati senza più pecepire la differenze. Si era tutti risucchiati in una gigantesca pozza di neghittosità, nel brodo della coltura dell’apatia. Era un corpo morto l’Italia. Cfr. l’ ’amhcaniva e l’ impotentia.

XXXV
Il guscio vuoto della democrazia
“Della democrazia non restava ormai che il guscio (…) coi partiti a sfidarsi per finta ognuno con la propria giacchetta colorata” (p. 271). Il kravto" non stava e non sta più nel dh'mo", il popolo  non è sovrano e il cittadino è diventato suddito dei padroni del mercato.

XXXVI
Passaggio di consegne
Siamo arrivati al 2006. “il Mortadella sudava a litri per tenere assieme la sua armata di smandrappati (…) alla guida dei democratici di sinistra, un emaciatissimo Fassino coi vestiti sventaglianti come su una gruccia (…) Piuttosto che attaccarlo gli avresti fatto una trasfusione. Gli altri sembravano attori caratteristi di Cinecittà. Tra quelli della Margherita, in cui erano confluiti il Partito popolare, i democratici e Rinnovamento italiano, spiccava la faccia di Lamberto Dini, così simile a certi anfibi che pareva sempre nella vana attesa di un bacio principesco” (p. 275).
A questo punto Nanni finisce in una sedia a rotelle: “forse la vertigine indotta da quel cadere a precipizio mi aveva chiuso gli occhi mentre viaggiavo nella nebbia dalle parti di Lodi. Grazie al muso lungo della Macerati mi ero salvato a metà, dalla cintola in su. Le gambe no, quelle erano andate: frattura lombare della colonna e un futuro a rotelle” (p. 275)
E’ una paralisi anche simbolica della situazione generale, un poco come quella sessuale di Encolpio nel Satyricon: “paralysin cave" (129, 6).  
“A suo modo l’incidente mi aveva messo di fronte qualcosa che stava accadendo. Ero stato l’attore inconsapevole del divenire. Il vecchio Hegel sarebbe stato fiero di me” (p. 276)

XXXVII capitolo
Dignità l’è morta
Sergio De Gregorio, eletto nella lista dell’Italia dei valori, era passato col Berlusca per tre milioni. S’era capito allora che valori intendesse! (...)  Non sarebbe bastato l’Alberto Sordi nel pieno della forma a rappresentare l’Italia del 2007. Quella che raccontava lui era ancora capace di vergognarsi dei propri vizi”

XXXVIII capitolo
E’ tempo di un uomo solo al comando
“Non c’è niente di più abietto delle banche e della finanza”, mi ripeteva Corlaita. “Io li conosco bene! I peggiori istinti nascono lì…Una congrega di genuini delinquenti…”
Poi: “La vanità d’apparire non inventava mai nient’altro che cafonerie”
Con la paralisi il rapporto tra Nanni e Carmen naturalmente cambia, e, paradossalmente, non del tutto in peggio: “Non ho mai capito bene in cosa consistesse amare. Era un concetto confuso che sconfinava troppe volte nell’impulso. Forse lo si poteva capire solo togliendo di mezzo la spinta degli ormoni com’era capitato a me. Solo se vuoi l’altro a prescindere dal coito puoi capire di amare davvero. Con Carmen era stato così. Alla sera ci sussurravamo in faccia il nostro desiderio di baci e castità”. Al coito somatico si è sostituito quello spirituale, una specie di koivth  kardiva" ejn pneuvmati, ricordando la circumcisio cordis in spiritu dell’apostolo Paolo (Ad Romanos, 2, 29). E pure Hegel con l’idealismo che consiste “nel non riconoscere il finito come un vero essere”[3].   

XXXIX
La scommessa di Pascal
“Per la seconda volta era arrivata tra le costole del Mortadella un’amichevole coltellata (…) La sinistra sa essere feroce coi meritevoli. Che poi di sinistra, con Veltroni, non era rimasto granché. Ai tanti che ancora si struggevano di falce e martello, bandiere rosse e mitologia proletaria, aveva propinato un bel rosario di slogan kennediani”
Propinare, per chi nol lo sapesse, significa propriamente “dare da bere”, e in tanti se l’erano bevuta la propaganda
“Come se l’America di Kennedy non fosse stata un covo di razzisti e di democratici col cannone a far stage di Vietnamiti”
Il partito che era stato di Gramsci, Togliatti e Berliguer, cambiava nome via via che cambiava pelle e identità.
“Dopo che Occhetto aveva staccato l’insegna affissa da Togliatti, era nato il PDS, il Partito democratico della sinistra. Poi D’Alema aveva semplificato la ragione sociale in DS, democratici di sinistra. Perlomeno sopravviveva la parola “sinistra”. Ma Veltroni l’amerikano se n’era liberato con la scioltezza di un ballerino vergognandosi di quella tinta fuori moda. Un’anticaglia ‘sto rosso carminio! Chi non era democratico nell’Italia del  terzo millennio? Tutti. Anche il postfascista La Russa che celebrava i caduti di Salò, Anche il sindaco di Roma Alemanno che in piena nostalgia littoria si cimentava nel patetico esercizio di separare il fascismo dalle leggi razziali”.
Nanni riprende il dialogo con don Edmondo.
“Lei è il grande Inquisitore”, tentavo di prenderlo per il culo”
Un accostamento tra Dostoevskij, Torquemada e il sermo vulgaris. Accosto ancora una volta, e forse non del tutto arbitrariamente, questo romanzo di Valerio Varesi al Satyricon di Petronio.
Edmondo ricorda a Nanni e a tutti noi la scommessa di Pascal: “uno può anche pensare che non esista Dio, ma se c’azzecca non guadagna nulla e se sbaglia perde tutto”   
Similmente, Platone fa dire a Socrate: “kalo;ς ga;r oJ kivndunoς” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. E’ il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale.

XL
La scomparsa dei fatti
“Andava in macerie l’intera grammatica della vita comune. Non c’era più linguaggio perché le parole avevano cambiato significato, non c’erano più numeri perché ciascuno aveva i suoi, non c’era più storia perché tutti se la raccontavano a piacimento. Infine s’era sciolta la realtà sotto mille sguardi corrosivi. Non restava che la poltiglia chiassosa scodellata ogni sera dalla tv come la sbobba d’una mensa carceraria”.
Il cambiamento del significato delle parole, viene denunciato da diversi autori.
Leggiamone qualcosa
Nei conflitti interni molti valori  si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira[4], quando ci fu una  tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin   tw`n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.

Queste parole sono commentate da Montaigne nel capitolo XXIII[5] dei Saggi: " Si leggono nelle nostre stesse leggi, fatte per rimediare a quel primo male[6], l'insegnamento e la giustificazione di ogni sorta di cattive imprese; e ci accade quel che Tucidide narra delle guerre civili del suo tempo che per favorire i pubblici vizi li battezzavano con nuovi nomi più dolci, per scusarli, temperando e ingentilendo la loro vera qualità"[7].

"Un'audacia " ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane.  Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)"[8].

Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone , parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
Nella Pharsalia di Lucano è il potere delle armi rabbiose che porta a questa trasfigurazione delle parole:"Imminet armorum rabies, ferrique potestas/confundet ius omne manu, scelerique nefando/nomen erit virtus, multosque exībit in annos/hic furor" (I, 666-669), incombe la rabbia delle armi, e il potere del ferro sfigurerà ogni diritto con la violenza, e virtù sarà il nome di delitti nefandi, e questo furore durerà molti anni.

E ancora: nel Macbeth di Shakespeare la moglie di Macduff viene invitata a fuggire da un messaggero, prima che arrivino i sicari del tiranno, e risponde: “Whither should I fly?-I have done no harm. But I remember now.- I am in this earthly world where to do harm-is often laudable; to do good, sometime-accounted dangerous folly” (IV, 2), dove dovrei scappare? Io non ho fatto del male. Ma ora ricordo. Io sono in questo basso mondo dove fare il male è spesso lodevole; fare il bene, talora è considerata pericolosa follia.

Torniamo a Varesi: “Restavano solo due cose realmente riconosciute come universali: i soldi e la fica”.

XLI
Il delirio della fine
Siamo arrivati alle orge berlusconiane con tanto di escort, lenoni e utilizzatori finali. “Le più maliziose finiscono alla Rai, nei consigli regionali, provinciali, in Parlamento! La repubblica delle troie!”
Poi il “festival dell’harem a palazzo Grazioli”, e Scaloja “generaletto formato mezzolitro tutto scatti e sguardo torvo”, e Fini che “urla indignato: “Che fai, mi cacci?”  Infine la consigliera regionale Minetti mandata in questura a liberare “la nipote di Mubarak”.
“Val più la legge o la voce del padrone? Mai successo in   jsto Paese che vincessero i codici sui don Rodrigo!”
“Perché vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente”[9].
In parlamento c’è cagnara: “Dalla televisione arrivano delle urla…Al centro c’è il prestigiatore Paniz con la sua faccia da gallinaccio. Intorno a lui un’aureola di capponi a becchettare la granaglia del padrone. Sono gli armigeri della menzogna (…) E’ il Copernico di Belluno a squadernarci un mondo sotto gli occhi (…). Altri sghignazzano  “Paniz  però è inossidabile, certo della verità più di Mosé. Distribuisce le tavole. Montecitorio è il Sinai dove il signore di Arcore gliele ha consegnate apparendo circonfuso di fiamme tra i banchi come nel roveto biblico. E’ scandalo? Certo che lo è, ma è la parola del signore, l’unto! I discepoli proni pronunciano il loro giuramento di fede: crediamo perché è assurdo! Son come Tertulliano loro! Soni mistici di Arcore, gli apostoli di palazzo Grazioli, le vestali di villa Certosa! Uno la fede ce l’ha o non ce l’ha…Loro son stati toccati dalla grazia…Fanno parte della civitas dei… Molte folgorate sul talamo, altri sulla via per procura. Su tutti giganteggia Paniz, il grande condottiero oltre le colonne d’Ercole del mondo conosciuto. Guida un’astronave verso un cosmo incognito. E’ Ulisse che va incontro all’angoscia di esplorare nuovi scenari, giungle, mari e popoli dei quali non si conoscono i nomi”
Domenico Nanni, l’io narrante, perde le forze e scivola dalla sedia . “ Sono ormai un sacco docile alla gravità che si affloscia sul tappeto. Tra un po’ le rotelle schizzeranno indietro togliendomi ogni appoggio e io sarò steso, scodellato proprio ai piedi della televisione. Quel che vedo sullo schermo è l’unico elemento che mi ricongiunge al mondo dal quale mi pare di congedarmi. Ecco, precipito. Le gambe inerti s’impuntano e scivolo di schiena”.  Gli rimane la memoria del passato “il legame col vecchio mondo e il suo puzzo di nostalgia” Il nuovo appare in televisione  “che posso contemplare dal basso della mia impotenza. E’ l’annunciazione dell’altrove dove stiamo entrando. E di quell’epifania si fa messaggero Paniz, novello arcangelo. Sì, Karima Heyek, detta Ruby Rubacuori, è la nipote di Mubarak!. L’han giurato, si sono accese le luci verdi di Montecitorio! La verità è acclarata, votata in Parlamento, consacrata dai verbali, incisa nella storia…E’ Paniz a piantare la bandiera come il primo pioniere nelle sodaglie dell’Oklahoma. Le caravelle del Berlusca  sono arrivate nel nuovo mondo e lui è Colombo persuasore degli increduli.
E’ il grande guazzabuglio.
Poi il romanzo si chiude con queste parole: “ Io non vedo che nebbia, un unico color buio come il canarino cui chiudono la gabbia. Finalmente riposo. E’ il mondo parallelo con la sua forza persuasiva ad avere vinto, E tutto sommato mi consola l’amarezza che questa vittoria sia anche un po’ mia”


Riassunto e commento di giovanni ghiselli
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[1] Nietzsche, Aurora, III, 179.
[2] Dante, Inferno, VII, 61.
[3] Remo Bodei, La civetta e la talpa,  Il Mulino, Bologna, 2014, p. 283
[4]  427-425 a. C.
[5] Della consuetudine e del non cambiar facilmente una legge accolta.
[6] Le prime faziosità (n.d. r.).
[7] Montaigne, Saggi (del 1585), p. 156.
[8] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42-43.
[9] I promessi sposi, II.

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