Amore fugge da Psiche Francois-Edouard Picot (1817) |
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Ora veniamo a Ovidio: "Hortor et ut pariter binas habeatis
amicas/fortior est, plures si quis habere potest " (vv. 441 - 442) , vi
consiglio di avere contemporaneamente due amanti per volta, è più forte uno se
può averne diverse. Può succedere addirittura, anzi succede spesso, aggiungo, che
l'amante serva a riconquistare l'amore del coniuge, moglie o marito, assaliti
dal timore di perdere il compagno fino a quel momento trascurata. Gli adultèri,
anzi gli amanti negli adultèri, non poche volte hanno il merito di salvare le
coppie stanche.
Svevo dà il suggerimento opposto: "Un'amante
in due è l'amante meno compromettente"[1].
Ovidio fa esempi mitici di amori nuovi
che scacciano amori vecchi: a Tereo sarebbe piaciuta la bella moglie "sed melior clausae forma sororis erat "
(v. 460) , ma era più bello l'aspetto della sorella rinchiusa. Un paradigma non
troppo felice a dire il vero, poi altri assai meno noti. "Il nuovo
catalogo di exempla mitici è redatto
all'insegna del preziosismo, sia nella scelta dei miti - alcuni dei quali poco
diffusi - sia nelle soluzioni lessicali"[2].
Quindi l'autore, con buon gusto, sente
il peso dell'erudizione neanche tanto calzante e si affretta a sintetizzare: "Quid moror exemplis quorum me turba fatigat?
/Successore novo vincitur omnis amor " (vv. 461 - 462) , perché perdo
tempo con esempi di cui la calca mi stanca? ogni amore viene vinto da uno nuovo
che gli succede.
Poi però gli viene in mente un exemplum più noto, efficace, e tale che
gli consente un motto arguto: quello di Agamennone il quale, costretto da
Calcante a lasciare Criseide, nel prendersi la somigliante e quasi omonima
Briseide, avrebbe detto: "Est - ait
Atrides - illius proxima forma, /et, si prima sinat syllaba, nomen idem
" (vv. 475 - 476) , ce n'è una - disse l'Atride - vicinissima a lei per
bellezza, e, se la prima sillaba lascia fare, il nome è il medesimo.
La seconda moglie in effetti di solito
assomiglia alla prima anche se è più giovane. E' quasi una legge.
Achille me lo deve consentire, continua
Agamennone, poiché sono re: se restassi senza donna, Tersite potrebbe prendere
il mio posto. La storia dell'Atride capo della spedizione troiana in sé è assai
tragica e notissima non solo per l'Iliade
ma anche per la sua frequente presenza nella tragedia.
Ebbene Ovidio utilizza una vicenda del
genere per consigliare di ridere sopra le perdite e i fallimenti, se non si
vuole accrescere il dolore con il dolore e il danno con il danno.
"Ergo adsume novas auctore Agamennone flammas, /ut tuus in bivio
distineatur amor. /Quaeris ubi invenias? Artes tu perlege nostras: /plena
puellarum iam tibi navis erit " (vv. 485 - 488) , quindi, sotto
l'esempio autorevole di Agamennone, accogli nuove fiamme, perché il tuo amore
si divida ad un bivio. Chiedi dove si trovano? Leggi attentamente la mia Ars: subito la tua nave sarà piena di
ragazze. - auctore, come il Discorso
Ingiusto delle Nuvole di Aristofane
utilizza Zeus per autorizzare l'adulterio, così Ovidio si avvale di Agamennone,
senza dare peso alla sua brutta fine. - in
bivio: in questo bivio, diversamente da quello di Eracle, non è necessario
scegliere, anzi si devono seguire, a turno, entrambe le strade. - navis: di solito è allegoria dello stato,
qui sembra rappresentare la domus dei
sogni del libertino.
La barca quale simbolo di uno stato d'animo
ondeggiante sui flutti delle contraddizioni conseguenti all'amore si trova nel
sonetto CI del Canzoniere di Petrarca:
" O viva morte, o dilectoso male, /come puoi tanto in me, s'io nol
consento? / Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio. /Fra sì contrari vènti
in frale barca/mi trovo in alto mar senza governo, /sì lieve di saver, d'error
sì carca/ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio, /e tremo a mezza state, ardendo
il verno" (CXXXII, 7 - 14) .
Viene raccomandato il simulare.
Ovidio
quindi suggerisce varie simulazioni: fingiti freddo quando ardi come se fossi
dentro l'Etna, fingiti sano (et sanum
simula, 493) perché non si accorga se hai qualche dolore, e ridi quando
dovresti piangere. Insomma: "Quod
non est, simula positosque imitare furores; /sic facies vere quod meditatus
eris " (vv. 497 - 498) , fingi quello che non è, e simula che i furori
siano deposti, così farai davvero quello che avrai meditato. - simula: l'amante deve essere dunque
grande simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, come il Catilina di
Sallustio e il principe di Machiavelli per il quale " non può… uno signore
prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni
contro". Forse pure Ovidio potrebbe aggiungere "se li uomini fussino tutti
buoni, questo precetto non sarebbe buono, ma poiché sono tristi e non la
osserverebbero a te, tu ancora non l'hai ad osservare a loro"[3].
"Intrat amor mentes usu, dediscitur usu; /qui poterit sanum fingere, sanus
erit " (vv. 503 - 504) , l'amore entra nel pensiero con l'abitudine, con
l'abitudine si disimpara; chi potrà fingersi guarito, sarà guarito. - usu... usu: l'amore e i pensieri d'amore,
come tutte le altre attività umane, dipendono dalla pratica. - sanus erit: la maschera con il tempo
diventa volto. A volte non è nemmeno necessario tenerla a lungo: " Non
bisogna mai dire per gioco che si è scoraggiati, perché può accadere che ci
pigliamo in parola"[4].
Il paraklausivquron anomalo
Seguono consigli sul comportamento da
tenere davanti alla "ianua clausa
" (v. 506) , la porta chiusa. Ovidio si pone fuori dal paraklausivquron topico: esorta
l'amante respinto a sopportare: "feres.
/Nec dic blanditias nec fac convicia posti/nec latus in duro limine pone tuum. /Postera
lux aderit; careant tua verba querelis, /et nulla in vultu signa dolentis habe.
/ Iam ponet fastus, cum te languere videbit; /hoc etiam nostra munus ab arte
feres " (vv. 506 - 512) , sopporta, non dire parole carezzevoli e non
fare cagnara con l'uscio, e non stendere il fianco sulla dura soglia. Verrà il
giorno seguente; le tue parole siano senza lagnanza, e non avere in volto
nessun segno di uomo dolente. Subito deporrà la superbia quando ti vedrà
indifferente; anche questo dono ricaverai dalla mia arte. - nec... nec: Ovidio utilizza il tovpo" del lamento
davanti alla porta chiusa in maniera anomala. Questi loci possono essere impiegati, al pari di strumenti sintattici o
lessicali, in contesti vari e con significati diversi. - languere: sembra che Ovidio stimi graditi e interessanti per le donne
il languore e l'indifferenza, mentre secondo altri punti di vista la donna è
molto attirata dal desiderio priapesco.
Del resto l'autore sa che le persone
sono varie e dunque: "Nam quoniam
variant animi, variabimus artes; /mille mali species, mille salutis erunt
" (525 - 526) , infatti siccome sono vari i caratteri, varieremo i
consigli; mille sono le forme del male, mille saranno quelle della guarigione. Il
poeta consiglia quella "flessibilità", che ora è tanto di moda nel
campo lavorativo. Corrisponde nella sfera erotica a quella che Guicciardini
chiama "discrezione". In certi casi può essere risolutiva la sazietà,
fino alla noia: " Taedia quaere mali:
faciunt et taedia finem " (v. 539) , cerca la noia del male, anche la
noia pone la fine.
Altre volte può essere utile far cessare la
diffidenza: "Fit quoque longus amor,
quem diffidentia nutrit; /hunc tu si quaeres ponere, pone metum " (vv.
543 - 544) , diventa lungo anche un amore che la diffidenza nutre; se vorrai
deporlo, metti via il timore. In questo caso chiaramente si amava non la
persona ma la diffidenza e il sospetto suscitati da lei. La paura di perdere
una donna è un grande incentivo a volerla: "Plus amat e natis mater plerumque duobus, /pro cuius reditu, quod gerit
arma, timet " (vv. 547 - 548) , tra due figli la madre di solito ama
più quello sul cui ritorno, siccome è in guerra, ha timore.
Cfr. Proust: Swann si innamorò di Odette
dopo che una sera non l’ebbe trovata dai Verdurin dove andava di solito. Intervennero
sospetto e gelosia.
"Quod
sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor", Amores,
2, 20, 36)
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e
scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa
e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi: Teocrito
nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si
stacca dal cardo quando la bella estate arde: "kai; feuvgei filevonta
kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17) , e fugge chi ama e chi non ama
lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non
inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75) , femmina ovina o umana
che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che
deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato
letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia
cosiddetta postfilosofica: "Post - filosofici sono questi poeti, nel senso
che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e
nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un
carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si
rivolgono con amore al particolare"[5].
Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era
comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello
della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia
è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia
al particolare"[6] (p. 141) . La poesia postfilosofica dunque non
racconta più l'universale. Post - filosofica o almeno postilluministica sarebbe
anche quella di Goethe: " Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una
svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che
ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il
razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma
l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo
moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia
minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà
la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"[7].
"Un
epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per
l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi
incontentabili stolti: " Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e
non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "Meus est amor huic similis: nam/transvolat
in medio posita et fugientia captat " (Sermones, 1, 2, 107s.) . Ed è proprio questo epigramma di Callimaco
che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta
relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la
tormentata forma dell'amore elegiaco: quod
sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor
(2, 20, 36)"[8],
evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse,
della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza.
Catullo cerca di sfuggire obstinata
mente (8, 11) a questa legge che nega la realtà dell'amore facendone un'utopia:
"nec quae fugit sectare, nec miser
vive " (8, 10) , non dare la caccia a quella che fugge e non vivere da
disgraziato.
Nell' Hercules Oetaeus attribuito a Seneca, la nutrice di Deianira per
consolare la sua alumna le dice che Iole ridotta oramai a schiava è una preda
oramai troppo facile per Ercole e, quindi, non più ambita: "illicita amantur; excidit quidquid licet"
(v. 357) , sono amate le cose non consentite, tutto quello che è concesso
decade.
Nella Gerusalemme liberata leggiamo: "Ma perché istinto è de l'umane
genti/che ciò che più si vieta uom più desìa, /dispongon molti ad onta di fortuna/seguir
la donna come il ciel s'imbruna" (V, 76) .
Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina,
in un monologo. "Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9)
.
Una situazione analoga troviamo ne Il giocatore di Dostoevskij dove il
protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini: "Lei sa
bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e
ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei
dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo
so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so
neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non
è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[9].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di
vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto: "Qualsiasi essere
amato - anzi, in una certa misura, qualsiasi essere - è per noi simile a Giano:
se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra
perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"[10].
L'analogia con il cacciatore può essere
estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più
amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando
furioso: "La verginella è simile alla rosa, /ch'in bel giardin su la
nativa spina/mentre sola e sicura si riposa, /né gregge né pastor se le avicina;
/l'aura soave e l'alba rugiadosa, /l'acqua, la terra al suo favor s'inchina: /gioveni
vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate. //Ma non sì tosto
dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde, /che quanto avea dagli
uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde. /La vergine che 'l
fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de', /lascia altrui
còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I,
42 - 43) .
William Shakespeare,
Le allegre comari di Windsor, II, 2 (1602)
Love like a shadow flies when substance love pursues; /pursuing
that that flies, and flying what pursues”
L'amore come un'ombra fugge quando
l'amore reale lo insegue, inseguendo quello che fugge, fuggendo chi l'insegue.
Meno noti sono forse il sentimento e la
riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna
Karenina: "Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già
tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha
strappato e distrutto"[11].
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia: "
Il mio sogno è nutrito d'abbandono, /di rimpianto. Non amo che le rose/ che non
colsi"[12].
Sentiamo infine C. Pavese: "Ma questa è
la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care
la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[13].
continua
[1]
La coscienza di Zeno, p. 331.
[2]Ovidio,
Rimedi contro l'amore, a cura di
Caterina Lazzarini, p. 154.
[3]
Il Principe, XVIII.
[4]
C. Pavese, Il mestiere di vivere, 5 agosto 1940.
[5]
Bruno Snell, La cultura greca e le
origini del pensiero europeo, p. 372.
[6]
Aristotele, Poetica, 1451b.
[7]Snell,
La cultura greca e le origini del
pensiero europeo, p. 371.
[8]G.
B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi
contro l'amore, p. 43.
[9]
F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[10] M. Proust, La prigioniera, p. 183.
[11]
L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[12]
Cocotte, vv. 67 - 69.
[13]
Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.
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