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Anche il più incolto dei politici e il più rozzo dei
giornalisti deve ricorrere, magari senza saperlo, all’uso di topoi, loci, argumenta della classicità greca e latina, poiché il debito
culturale e linguistico che abbiamo con gli autori greci, spesso mediati da quelli latini, è
immenso, difficilmente misurabile neppure dagli specialisti di antichistica.
Il linguaggio politico. Erodoto e il dibattito
costituzionale
Intanto è inevitabile da parte di tutti l’uso di parole di
stampo greco comuni a ogni lingua di Europa e frequentissime, come democrazia,
oligarchia, monarchia, tre distinti regime delineati in modo già chiaro nel
dibattito costituzionale delle Storie
di Erodoto.
Lo storiografo di Alicarnasso scrive che vennero pronunciati
alcuni discorsi incredibili per alcuni Greci: lovgoi
a[pistoi me;n ejnivoisi JEllhvnwn (III,
80, 1).
Tali lovgoi a[pistoi
vennero pronunciati, nel 522 a .
C. da Otane, Megabizo e Dario, tre nobili persiani che potevano succedere a
Cambise.
“In un passo delle sue Storie, Erodoto sostiene molto
chiaramente che prima di Clistene la democrazia politica era stata “inventata”
in Persia da uno dei dignitari persiani implicati nella congiura che aveva
abbattuto l’usurpatore, il falso Smerdis. Erodoto si lamenta del fatto che i
Greci, durante le sue letture pubbliche, non avevano accettato questa
informazione molto netta e dettagliata (III, 80). Un grande storico della
Grecia e della Persia, David Asheri,
ha scritto bene in proposito che in questo passo Erodoto ha di mira, in maniera
velata, il pregiudizio tipicamente ateniese (più in generale greco) che la
democrazia sarebbe un’ “invenzione” greca[1]”[2].
Più avanti (VI, 43) Erodoto scrive che ci
sono dei Greci i quali non credono che Otane abbia consigliato il regime
democratico per i Persiani. Ebbene costoro saranno sorpresi nel sentire che
Mardonio quando, nel 492, giunse nella Ionia, ne depose i tiranni e istituì
nelle città governi democratici.
Otane propugnò un cambiamento di regime dicendo che non è
cosa piacevole né buona (ou[te ga;r hJdu;
ou[te ajgaqovn, 80, 2) che uno di loro
diventasse re dopo che la magofoniva
aveva soppresso il falso Smerdi e altri magi.
Il vero Smerdi, figlio di Ciro il fondatore dell’impero, lo
aveva ucciso Pressaspe per ordine di un altro figlio di Ciro, il suo successore Cambise il quale aveva fatto un sogno ingannevole.
Smerdi dunque era stato ammazzato da
Pressaspe che poi si era ucciso. Cambise era morto dopo essersi ferito,
involontariamente, da solo.
-Avete visto l’ybris
di Cambise- continuò Otane- poi quella del Mago.
Al monarca è lecito (e[xesti)
fare quello che vuole senza renderne conto (ajneuquvnw/
poievein ta; bouvletai).
Questa affermazione rientra nel biasimo della tirannide assai
diffuso nella letteratura antica (Erodoto, Eschilo, Sofocle, Euripide, Platone,
Tacito)
Questo monarca dunque non è diverso dal tiranno delle tragedie.
Nei Persiani di
Eschilo, Serse, figlio e successore di Dario, morto nel 485, conduce uomini privi di libertà e non deve
rendere conto dei propri atti, nemmeno degli insuccessi.
Il grande re pur se
sconfitto, non è tenuto a rendere conto alla città " oujc uJpeuvquno"
povlei" (v. 213), come lo è uno stratego eletto dal popolo.
Il fatto di “non rendere conto” dunque caratterizza il
monarca persiano e il tiranno greco.
Eschilo contrappone al potere assoluto il sistema
democratico di Atene quando la regina
madre Atossa domanda ai vecchi dignitari chi sia il pastore e il padrone
dell'esercito greco.
Allora il corifeo risponde:"ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi" (v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi
né sudditi.
Il tiranno è anche
incestuoso e zoppo
Diogene Laerzio I, 7) riferisce da Aristippo (Della lussuria degli antichi in realtà
di ignoto autore del III a. C.) che Periandro si unì con la madre Crateia
innamorata di lui.
Periandro ha in comune con Edipo anche la zoppia razziale
(cfr. Labda nonna di Periandro e
Labdaco, nonno di Edipo)
La zoppia del tiranno
La
tirannide, sovranità claudicante, non può procedere a lungo nel suo successo.
L'oracolo, che aveva dato via libera a Cipselo per aprirgli la porta del
potere, aveva fissato, fin dall'inizio, il termine al di là del quale la
discendenza di Labda, non diversamente da quella di Laio, non avrebbe avuto il
diritto di perpetuarsi. "Cipselo, figlio di Eezione, re dell'illustre
Corinto" aveva proclamato il dio; ma per aggiungere subito:"lui e i
suoi figli, ma non più i figli dei suoi figli"[3]. Alla terza
generazione, l'effetto della "pietra rotolante" uscita dal ventre di
Labda non si fa più sentire [4]. Per la stirpe
dei claudicanti, istallati sul trono di Corinto, è venuto il momento in cui il
destino vacilla, precipita, sprofonda nella sventura e nella morte"[5].
A
proposito della zoppìa del tiranno, Periandro
dunque era figlio di Cipselo, nato da una Bacchiade zoppa (cwlhv, V, 92 b), Labda, che nessun membro di
questa oligarchia dominante Corinto voleva sposare. La sposò invece uno di
origine Lapita, Eezione il quale, siccome non nascevano figli, andò a
interrogare l'oracolo di Delfi. La
Pizia rispose che Labda era già incinta e avrebbe partorito
un masso rotondo[6]
che si sarebbe abbattuto sui governanti punendo Corinto.
Umberto
Curi ricorda che “Labdaco è nome che deriva direttamente dalla lettera
dell’alfabeto greco labda (l),
usata abitualmente in età arcaica, per l’asimmetria fra le due “gambe” del
segno grafico , come simbolo dello zoppo, come zoppo sarà Edipo, nipote di Labda-co (Endiadi, Figure della duplicità, p. 25 n. 13)
Zoppicante è anche the
bloody king (IV, 3), il re sanguinario di Shakespeare, Riccardo III il quale si presenta dicendo di
essere:"so lamely and unfashionable/That
dogs bark at me, as I halt by them "(I, 1), così claudicante e goffo
che i cani mi latrano contro quando gli passo.
Varoufakis e la tirannide dell’Unione europea.
In “la
Repubblica ” del 19 settembre 2015 c’è un articolo di
Christian Salmon tradotto da Fabio
Galimberti, intitolato “La primavera di Atene ha messo a nudo la tirannia
dell’Unione” (p. 21). Ebbene l’ex ministro greco Varoufakis indica la
quintessenza della tirannide nel non rendere conto, non essere uJpeuvquno", sottoposta a un
rendiconto
“La
Primavera di Atene ha dimostrato, anche agli europei che non
erano d’accordo con il nostro governo, che tutte le decisioni importanti
vengono prese da organismi che non rendono conto a nessuno, privi di
trasparenza, dittatoriali, che non rispettano nessun principio di legalità, che
agiscono nell’ombra, che nutrono solo disprezzo verso la democrazia. E allora i
tempi sono maturi per portare il trittico della rivoluzione francese, libertà,
uguaglianza-fratellamza, a livello europeo, e aggiungere a esso
tolleranza-trasparenza-diversità”. Si pensi alla tolleranza di Erodoto.
Essere cittadino,
polivthς, dunque, anche con un ruolo direttivo, significa rendere conto alla povliς.
Al monarca, continua Otane, viene l’u{briς dai beni
presenti, mentre l’invidia gli è connaturata dall’origine in quell’uomo: fqovnoς
de; ajrch`qen ejmfuvetai ajnqrwvpw/.
E’ sua ogni malvagità (e[cei pa`san kakovthta, III,
80, 4) che compie
per arroganza e invidia.
Più avanti Erodoto racconta la
storia di Trasibulo di Mileto, Periandro di Corinto e Policrate di Samo.
Periandro, dopo la lezione di Trasibulo che gli aveva insegnato con un gesto
simbolico a tagliare le teste eccellenti, manifestò ai cittadini ogni malvagità
: “pãsan
kakovthta ejxevfane ejς tou;ς polivtaς (V; 92, h)
Eppure il tiranno non dovrebbe essere invidioso poiché ha
tutti i beni.
Invece, e torniamo al discorso di Otane, invidia i cittadini migliori,
si compiace dei peggiori (caivrei de; toi`si kakivstoisi tw`n astw`n)
ed è ottimo ad accogliere le calunnie ( diabola;ς de; a[ristoς ejndevkesqai, III, 80, 4).
Il tiranno nella storia
romana e nella tragedia greca
Cfr. Tiberio e Domiziano in Tacito.
Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l'invidia e la paura ai suoi Cesari:
Tiberio (14-37) temeva dai migliori un pericolo per sé, dai peggiori disonore
per lo stato (ex optimis periculum sibi,
a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales
, I, 80).
Lo storiografo denuncia anche l’ipocrisia di Tiberio il
quale si serviva di formule antiche per nascondere scelleratezze recenti : “Proprium id Tiberio fuit scelera nuper
reperta priscis verbis obtegere” (4, 19).
La letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da
Alceo che esulta per la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco
"to;n kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal padre ignobile,
a Platone che certamente non
risparmia biasimi al turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini,
"mequstikov",
ejrwtikov", melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di
animo sostanzialmente servile:"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e).
Questa considerazione che sembra
paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei
confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà sostiene che" l'impotenza dà luogo
all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in
grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e
dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama
di potere" (p. 144).
continua
[1]
Erodoto, Le Storie, libro III, La Persia ,
Fondazione Valla, Milano, 1990, p. 297.
[2]
L. Canfora, La democrazia. Storia di
un’ideologia, p. 17.
[3]Erodoto,
V, 92, e 8-9.
[4]Erodoto,
V, 92, e 2. Così le streghe del Macbeth
promettono il regno al signore di Glamis, ma la successione ai figli di
Banquo (I, 3).
[5]Vernant
e Vidal-Naquet, Mito e tragedia due ,
pp. 39, 48 e 49.
[6]
Erodoto, V, 92 b 2
interessante Giovanna Tocco
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