NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 16 dicembre 2015

Topoi greci antichi nel linguaggio di politici e giornalisti italiani di oggi. I parte

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Anche il più incolto dei politici e il più rozzo dei giornalisti deve ricorrere, magari senza saperlo, all’uso di topoi, loci, argumenta della classicità greca e latina, poiché il debito culturale e linguistico che abbiamo con gli autori  greci, spesso mediati da quelli latini, è immenso, difficilmente misurabile neppure dagli specialisti di antichistica.

Il linguaggio politico. Erodoto e il dibattito costituzionale

Intanto è inevitabile da parte di tutti l’uso di parole di stampo greco comuni a ogni lingua di Europa e frequentissime, come democrazia, oligarchia, monarchia, tre distinti regime delineati in modo già chiaro nel dibattito costituzionale delle Storie di Erodoto.
Lo storiografo di Alicarnasso scrive che vennero pronunciati alcuni discorsi incredibili per alcuni Greci: lovgoi a[pistoi me;n ejnivoisi   JEllhvnwn (III, 80, 1).

Tali lovgoi a[pistoi vennero pronunciati, nel 522 a. C. da Otane, Megabizo e Dario, tre nobili persiani che potevano succedere a Cambise.
“In un passo delle sue Storie, Erodoto sostiene molto chiaramente che prima di Clistene la democrazia politica era stata “inventata” in Persia da uno dei dignitari persiani implicati nella congiura che aveva abbattuto l’usurpatore, il falso Smerdis. Erodoto si lamenta del fatto che i Greci, durante le sue letture pubbliche, non avevano accettato questa informazione molto netta e dettagliata (III, 80). Un grande storico della Grecia e della Persia, David Asheri, ha scritto bene in proposito che in questo passo Erodoto ha di mira, in maniera velata, il pregiudizio tipicamente ateniese (più in generale greco) che la democrazia sarebbe un’ “invenzione” greca[1][2]
Più avanti (VI, 43) Erodoto scrive che ci sono dei Greci i quali non credono che Otane abbia consigliato il regime democratico per i Persiani. Ebbene costoro saranno sorpresi nel sentire che Mardonio quando, nel 492, giunse nella Ionia, ne depose i tiranni e istituì nelle città governi democratici.

Otane propugnò un cambiamento di regime dicendo che non è cosa piacevole né buona (ou[te ga;r hJdu; ou[te ajgaqovn, 80, 2) che uno di loro  diventasse re dopo che la magofoniva aveva soppresso il falso Smerdi e altri magi.
Il vero Smerdi, figlio di Ciro il fondatore dell’impero, lo aveva ucciso Pressaspe per ordine di un altro figlio di Ciro, il suo successore  Cambise  il quale aveva fatto un sogno ingannevole. Smerdi dunque era stato ammazzato da  Pressaspe che poi si era ucciso. Cambise era morto dopo essersi ferito, involontariamente, da solo.
-Avete visto l’ybris di Cambise- continuò Otane- poi quella del Mago.
Al monarca è lecito (e[xesti) fare quello che vuole senza renderne conto (ajneuquvnw/ poievein ta; bouvletai).

Questa affermazione rientra nel biasimo della tirannide assai diffuso nella letteratura antica (Erodoto, Eschilo, Sofocle, Euripide, Platone, Tacito)
Questo monarca dunque non è diverso dal tiranno delle tragedie.

Nei Persiani di Eschilo, Serse, figlio e successore di Dario, morto nel 485,  conduce uomini privi di libertà e non deve rendere conto dei propri atti, nemmeno degli insuccessi.
Il grande re  pur se sconfitto, non è tenuto a rendere conto alla città " oujc uJpeuvquno" povlei" (v. 213),  come  lo è uno stratego eletto dal popolo.
Il fatto di “non rendere conto” dunque caratterizza il monarca persiano e il tiranno greco.
Eschilo contrappone al potere assoluto il sistema democratico di Atene  quando la regina madre Atossa domanda ai vecchi dignitari chi sia il pastore e il padrone dell'esercito greco.
Allora il corifeo risponde:"ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi"  (v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi né sudditi.

 Il tiranno è anche incestuoso e zoppo
Diogene Laerzio I, 7) riferisce da Aristippo (Della lussuria degli antichi in realtà di ignoto autore del III a. C.) che Periandro si unì con la madre Crateia innamorata di lui.
Periandro ha in comune con Edipo anche la zoppia razziale (cfr. Labda nonna di Periandro  e Labdaco, nonno di Edipo)

La zoppia del tiranno
La tirannide, sovranità claudicante, non può procedere a lungo nel suo successo. L'oracolo, che aveva dato via libera a Cipselo per aprirgli la porta del potere, aveva fissato, fin dall'inizio, il termine al di là del quale la discendenza di Labda, non diversamente da quella di Laio, non avrebbe avuto il diritto di perpetuarsi. "Cipselo, figlio di Eezione, re dell'illustre Corinto" aveva proclamato il dio; ma per aggiungere subito:"lui e i suoi figli, ma non più i figli dei suoi figli"[3]. Alla terza generazione, l'effetto della "pietra rotolante" uscita dal ventre di Labda non si fa più sentire [4]. Per la stirpe dei claudicanti, istallati sul trono di Corinto, è venuto il momento in cui il destino vacilla, precipita, sprofonda nella sventura e nella morte"[5].
A proposito della zoppìa del tiranno, Periandro dunque era figlio di Cipselo, nato da una Bacchiade zoppa (cwlhv, V, 92 b), Labda, che nessun membro di questa oligarchia dominante Corinto voleva sposare. La sposò invece uno di origine Lapita, Eezione il quale, siccome non nascevano figli, andò a interrogare l'oracolo di Delfi. La Pizia rispose che Labda era già incinta e avrebbe partorito un masso rotondo[6] che si sarebbe abbattuto sui governanti punendo Corinto.
Umberto Curi ricorda che “Labdaco è nome che deriva direttamente dalla lettera dell’alfabeto greco labda (l), usata abitualmente in età arcaica, per l’asimmetria fra le due “gambe” del segno grafico , come simbolo dello zoppo, come zoppo sarà Edipo, nipote di Labda-co (Endiadi, Figure della duplicità, p. 25 n. 13)
Zoppicante è anche the bloody king  (IV, 3), il re sanguinario di Shakespeare, Riccardo III   il quale si presenta dicendo di essere:"so lamely and unfashionable/That dogs bark at me, as I halt by them "(I, 1), così claudicante e goffo che i cani mi latrano contro quando gli passo.



Varoufakis e la tirannide dell’Unione europea.

In “la Repubblica” del 19 settembre 2015 c’è un articolo di Christian Salmon  tradotto da Fabio Galimberti, intitolato “La primavera di Atene ha messo a nudo la tirannia dell’Unione” (p. 21). Ebbene l’ex ministro greco Varoufakis indica la quintessenza della tirannide nel non rendere conto, non essere uJpeuvquno", sottoposta a un rendiconto
La Primavera di Atene ha dimostrato, anche agli europei che non erano d’accordo con il nostro governo, che tutte le decisioni importanti vengono prese da organismi che non rendono conto a nessuno, privi di trasparenza, dittatoriali, che non rispettano nessun principio di legalità, che agiscono nell’ombra, che nutrono solo disprezzo verso la democrazia. E allora i tempi sono maturi per portare il trittico della rivoluzione francese, libertà, uguaglianza-fratellamza, a livello europeo, e aggiungere a esso tolleranza-trasparenza-diversità”. Si pensi alla tolleranza di Erodoto.

Essere cittadino, polivthς, dunque, anche con un ruolo direttivo, significa  rendere conto alla povliς.

Al monarca, continua Otane, viene l’u{briς dai beni presenti, mentre l’invidia gli è connaturata dall’origine in quell’uomo: fqovnoς de; ajrch`qen  ejmfuvetai ajnqrwvpw/.

E’ sua ogni malvagità (e[cei pa`san kakovthta, III, 80, 4)  che   compie  per arroganza e invidia.

Più avanti Erodoto racconta la storia di Trasibulo di Mileto, Periandro di Corinto e Policrate di Samo. Periandro, dopo la lezione di Trasibulo che gli aveva insegnato con un gesto simbolico a tagliare le teste eccellenti, manifestò ai cittadini ogni malvagità : “pãsan kakovthta ejxevfane ejς tou;ς polivtaς (V; 92, h)


Eppure il tiranno non dovrebbe essere invidioso poiché ha tutti i beni.

Invece, e torniamo al discorso di Otane, invidia i cittadini migliori, si compiace dei peggiori (caivrei de; toi`si kakivstoisi tw`n astw`n) ed è ottimo ad accogliere le calunnie ( diabola;ς de; a[ristoς ejndevkesqai, III, 80, 4).

Il tiranno nella storia romana e nella tragedia greca

 Cfr. Tiberio e Domiziano in Tacito.

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l'invidia e la paura ai suoi Cesari: Tiberio (14-37) temeva dai migliori un pericolo per sé, dai peggiori disonore per lo stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales , I, 80).
Lo storiografo denuncia anche l’ipocrisia di Tiberio il quale si serviva di formule antiche per nascondere scelleratezze recenti : “Proprium id Tiberio fuit scelera nuper reperta priscis verbis obtegere” (4, 19).

La letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che esulta per la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal padre ignobile, a Platone che certamente non risparmia biasimi al   turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica  (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov", ejrwtikov", melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile:"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e). Questa  considerazione che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà  sostiene che" l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere" (p. 144).



continua




[1] Erodoto, Le Storie, libro III, La Persia, Fondazione Valla, Milano, 1990, p. 297.
[2] L. Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, p. 17.
[3]Erodoto, V, 92, e 8-9.
[4]Erodoto, V, 92, e 2. Così le streghe del Macbeth  promettono il regno al signore di Glamis, ma la successione ai figli di Banquo (I, 3).
[5]Vernant e Vidal-Naquet, Mito e tragedia due , pp. 39,  48 e 49.
[6] Erodoto, V, 92 b 2

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