John William Waterhouse, Circe |
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Non servono incantesimi e venefici
Gli incantesimi della magia non servono,
altrimenti Medea e Circe avrebbero avuto successo. La via del veneficio è
vecchia: "Ista veneficii vetus est
via; noster Apollo/innocuam sacro carmine monstrat opem " (v. 251, con
l'allitterazione che sembra soffiare e spazzar via gli incantesimi sulfurei) . La
terapia giusta sono i versi sacri (sacrum
carmen) del poeta Ovidio ispirato da
Apollo (v. 252) .
La figlia del Sole non chiese molto a Ulisse: solo
un differimento della partenza: "Ne
properes, oro; spatium pro munere posco " (v. 277) , ti prego di non
avere fretta, domando un poco di tempo per dono, e gli propose un amore con la
pace nella quale solo lei aveva ricevuto ferita: "hic amor et pax est, in qua male vulneror una " (v. 283) , e
gli promise il dominio sulla sua isola: "totaque sub regno terra futura tuo est " (v; 284) . Intanto
l'amante preparava la partenza.
"Ardet et adsuetas Circe decurrit ad artes; /nec
tamen est illis adtenuatus amor. / Ergo,
quisquis opem nostra tibi poscis ab arte, /deme veneficiis carminibusque fidem " (vv. 287
- 290) , brucia Circe e ricorre ai consueti incantesimi, né tuttavia da quelli
è attenuato l'amore. Quindi, chiunque tu sia che chiedi aiuto all'arte nostra, togli
fiducia ai veneficii e alle formule magiche.
E' questo il motivo dei favrmaka usati
soprattutto dalle donne ma non sempre efficaci.
Nel IV canto dell'Odissea, Elena getta
nel vino un farmaco quale antidoto al dolore, all'ira, e oblio di tutti i mali
(vv. 220 - 221) . L'aveva avuto in Egitto la cui terra produce farmaci, molti
buoni e molti tristi mescolati ("favrmaka, polla; me; n ejsqla; memigmevna, polla;
de; lugrav",
v. 230) .
La donna è non di rado maga ed esperta
di droghe. Questo favrmakon di Elena non sembra creare effetti permanenti poiché chi
la prende si anestetizza per un giorno ("ejfhmevrio" ", v. 223) . Buoni sono i favrmaka (v. 718) contro
la sterilità promessi a Egeo da Medea la nipote di Circe, terribile maga
esperta di "kaka; favrmak j e favrmaka luvgr j "[1] farmachi cattivi e tristi, forieri di oblio.
La donna antica viene spesso accusata di
essere una maga, oppure una sporcacciona come le Cretesi Pasife e sua figlia
Fedra.
Christa Wolf presenta una Circe calunniata dal
potere, bella e sofferente quanto Medea: "Incontrammo la donna sulla riva,
si lavava in mare i capelli rossi fiammanti e la veste bianca, le leggemmo sul
viso solcato, tremendo, che sembrava sapere chi stava arrivando…anche lei era
stata scacciata, quando col suo gruppo di donne era seriamente insorta contro
il re e la sua corte, che aizzarono la gente contro Circe, le addossarono
crimini da loro stessi commessi e riuscirono ad affibbiarle la fama di maga
malvagia, a toglierle qualsiasi fiducia, al punto che lei non riuscì a fare
nulla, assolutamente più nulla"[2].
Fattucchiere e streghe.
Simeta ne Le incantatrici di Teocrito vuole avvincere l'uomo che le sfugge (II,
v. 3) il bell’atleta Delfi, con filtri (favrmaka) degni di Circe, di Medea, e dell'assai
meno conosciuta maga Perimede (vv. 15 - 16) . Nel prepararli chiede
l'assistenza di Ecate.
Interessante l'interpretazione che dà Menalca,
un pastore poeta dell'idillio IX di Teocrito, degli uomini stregati dai filtri
di Circe: sono quelli indifferenti alle Muse (vv. 35 - 36) che vengono
trasformati in bestie dal beveraggio (potw`/, v. 36) della maliarda.
Maga o mago non sono titoli necessariamente
vituperosi: "Persarum lingua magus est qui nostra sacerdos " si
difende dall'accusa di esserlo Apuleio nel De
Magia (25) , nella lingua dei Persiani è mago quello che nella nostra il
sacerdote. Nel romanzo dello stesso autore tuttavia ci sono maghe terribili
come Meroe, quella ostessa anziana, seppure alquanto graziosa, saga…et divina [3],
maga e indovina, che mutò un suo amante fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab insequentibus se praecisione genitalium
liberat "[4],
poiché questo animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con
il recidersi i testicoli. La Tessaglia pullula di queste donne, maghe o streghe
o sacerdotesse, lamiae streghe
appunto, [5], vampiri,
furie notturne[6],
deterrimae versipelles [7], striges [8] che strappano le viscere ai lattanti
incustoditi o "strigae…mulieres
plussciae, sunt Nocturnae, et quod sursum est, deorsum faciunt " (Satyricon, 63) , streghe, femmine che la
sanno lunga, creature della Notte, e quello che sta su lo fanno andare giù.
Tali creature spesso propinano droghe le
quali portano dimenticanza all'uomo che per un motivo o per l'altro non deve
ricordare.
Si sottrae a tali incantesimi Odisseo il
quale sa bene che, se ricordare è dolore, pure dimenticare è dolore, ed evita
le droghe e costruisce la sua identità sulla pienezza della coscienza. Cfr. Odissea
X 301 ss. Con il favrmakon mwvlu che Ermes dà a Odisseo.
Donna di droghe è anche lady Macbeth, "
fra le figure tratteggiate da Shakespeare la più imponente e quella che meglio
ispira un ammirato terrore"[9].
Questa donna resa assassina dall'ambizione le usa per coprire il delitto
addormentando i servi posti a guardia del re da assassinare: " I have drugged their possed " (II, 1)
, io ho drogato le loro bevande.
Bisogna mettere in rilievo i difetti
della donna.
Quindi Ovidio consiglia di fissare la
mente sui difetti e i misfatti della donna scellerata (sceleratae facta puellae, v. 299) e su tutti gli svantaggi (omnia damna, v. 300) conseguenti: è
avida (avara, 302), ha avuto tanti
regali e non si accontenta mai del bottino, tradisce i giuramenti, mi ha fatto
giacere tante volte davanti alla porta, ama altri e sdegna di essere amata da
me, le notti che non dà a me le gode un venditore ambulante (institor, v. 306) .
Fa qui capolino il locus della donna che preferisce l'uomo rude, il gladiatore o lo
zingaro, alla persona civile. Lo ritroveremo in Giovenale che nella VI satira
nota come per la matrona romana adultera il nome e la funzione di gladiator sia un segno di bellezza e
supremazia, anche se quel bruto ha la faccia sfregiata, una protuberanza nel
naso e gli occhi lacrimosi per un acre malum: "Sed gladiator erat; facit hoc illos Hyacinthos, /hoc pueris patriaeque,
hoc praetulit illa sorori/atque viro: ferrum est quod amant " (vv. 110
- 112) , ma era un gladiatore, e questo li rende dei Giacinti, questo coso ha
preferito colei ai figli e alla patria, questo alla sorella e al marito: è il
ferro che amano. Evidentemente gli uomini della classe dirigente erano
diventati troppo molli.
Ovidio nei Remedia amoris consiglia di mettere in rilievo i difetti fisici
dell'amata, trovandoli anche quando non ci sono.
Excursus
su Lucrezio
Lo stesso aveva fatto Lucrezio nel IV libro
del De rerum natura.
"Nigra melīchrus est, immunda et foetida acosmos " (v. 1160) , la nera ha l'incarnato di miele, la
lercia e puzzolente è trasandata. - nigra:
la pelle scura era apprezzata molto meno della candida.
Catullo mette la carnagione chiara tra
le doti fisiche gradite a molti, ma non sufficienti secondo lui, quando mancano
la venustas, la grazia, e la mica salis, il grano di sale, a
costituire una bella donna. Tale è solo Lesbia: "Quintia formosa est multis, mihi candida, longa, recta est…Lesbia
formosa est " (86, 1 - 2, 5) , Quinzia per molti è bella, per me di
carnagione chiara, lunga, diritta…Lesbia sì che è bella.
Il Creonte della Medea di Grillparzer, rimpiangendo la figlia fatta morire dalla
rivale, gli sembra di vederla: "così bianca, così bella, scendere leggera
tra le nere rovine" (atto V) .
L' Antigone
di Anouilh non è sicura di essere desiderata veramente da Emone per il suo
aspetto, meno attraente di quello della sorella: "Sono nera e magra. Ismene
è rosa e dorata come un frutto"[10].
Ma il fidanzato, forse perché impazzito, l'ha preferita all'altra figlia di
Edipo.
-
melīchrus: è traslitterazione dell'aggettivo
greco melivcrou" composta da mevli (miele) e crova (carnagione)
.
Questo travisamento ricorda
l'idealizzazione dell'innamorato Buceo nel X idillio di Teocrito: "Suvran kalevontiv tu
pavnte", /ijscna; n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron" (X, vv.
26 - 27) , tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore del
miele.
-
immunda: formato da in, prefisso
negativo, e mundus, pulito. Significa
sciatto e sudicio. Una curiosità: Cicerone, deluso dal comportamento di Pompeo
che pensava solo a fuggire, lo paragona a quelle donne immundae, insulsae, indecorae, sudicie, sciocche, brutte che ci
distolgono dall'amarle (Att. 9, 10, 2)
. - foetida: è quella che foetet, puzza, la portatrice di foetor trasfigurata in acosmos (traslitterazione
di a[kosmo", disordinato)
che qui dovrebbe indicare la neglegentia
sui, l' apparente noncuranza di sé; insomma una trasandatezza elegante.
"caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas " (v. 1161) , quella
con gli occhi glauchi è un simulacro di Pallade, la nervosa e legnosa una
gazzella". - Palladium: corrisponde
al greco Pallavdion, statua di
Pallade che infatti Omero chiama glaukw'pi", dagli occhi lucenti. Nel nostro contesto
gli occhi chiari, tra il verde e l'azzurro, non sono considerati un pregio.
-
dorcas: traslitterazione del greco dorkav", gazzella e
capriolo, animali agili, eleganti.
"parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal " (1162) , la
piccina, la nana, è una delle grazie, tutta sale puro. - parvula: cfr. "la piccina è ognor vezzosa" della lista
del Don Giovanni di Mozart - Da Ponte
(I, 5) , ma questo è il seduttore per il quale conta non l'individualità della
donna bensì quello che tutte le donne hanno in comune.
Compie
la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel Misantropo (1666) di Moliere che aveva tradotto il De rerum natura prima del 1660: "La
nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita stretta e libere
movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta, che è fornita
di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole trascurarsi; la
gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di celesti
splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è
spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di
buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è
molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata"[11].
-
charĭton mia: traslitterazione
di carivtwn
miva,
una delle Cariti o Grazie. - tota merum
sal (con clausola monosillabica) : noi usiamo piuttosto il pepe per una
persona piccola ma non insignificante, mentre della inespressiva e insipida
diciamo "non sa di nulla".
Anche per Catullo, come abbiamo visto, il
sapore di una donna è dato dal suo sale: "nulla in tam magno est corpore mica salis " (86, 4) , in un
corpo tanto grande non c'è un granello di sale. Il sapore ovviamente viene
dallo spirito.
"magna atque immanis catǎplexis plenaque honoris " (1163) , la
mostruosamente grande è un incanto pieno di maestà. - immanis: formato da in - prefisso
negativo e manus=bonus, quindi
mostruoso. - cataplexis: traslitterazione
di katavplhxi",
che
ha la radice del verbo plhvssw, colpisco. - honoris: cfr. "è la grande maestosa", (Don Giovanni, I, 5) .
"Balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est " (v. 1164) , la
balbuziente, non sa parlare, cinguetta, la muta è riservata. - balba: abbiamo visto che la donna deve
essere silenziosa; la balbuziente invece appare spregevole qui e ancor più
nella ripresa dantesca: "mi venne in sogno una femmina balba" (Purgatorio, XIX, 7) . - traulizei: traslittera traulivzei con ei
pronunciato i.
-
muta pudens: il mutismo è un silenzio
eccessivo e anche qui un difetto è ribaltato in pregio.
"at flagrans odiosa loquacula lampadium fit " (1165) . - ma
quella che sputa fuoco odiosa, chiacchierona diventa una fiammetta. - flagrans: una megera o un'erinni
fiammeggiante. - Lampadium: traslittera
lampavdion, diminutivo
di lampav", fiaccola.
"Ischnon eromenion tum fit, cum vivere non quit/prae macie; rhadine
verost iam mortua tussi " (1166 - 1167) , diventa uno snello tesorino,
quando non può vivere per la magrezza; poi è delicata quella che crepa dalla
tosse. - Ischnon eromenion =ijscno; n ejrwmevnion=snello
amoruccio. - rhadine =rJadinhv.
"questo quadro ironico e
caricaturale delle illusioni dell'amante... è accentuato dalla conservazione
delle parole greche, altrove nel poema costantemente rese nelle equivalenti
forme latine"[12].
Ivano Dionigi segnala pure che questo motivo, già presente in Platone (Rsp. 474d) , Teocrito 10, 26 sg., già
citato, e nell'Anthologia Palatina, "sarà caro alla letteratura posteriore
(Orazio, serm. I, 3, 38 sgg.; Ovidio, ars 2, 657 - 662; rem. am. 315 sgg.) , fino a riaffiorare nel Misanthrope di Moliere (2, 5) ".
Platone
nella Repubblica (474 e) scrive per
l’amatore professionista il simovς (camuso) è ejpivcariς
(carino) , to; grupovn, l’incurvatura del naso è basilikovn, regale, e chiama ajndrikouvς, virili, i bruni mevlanaς,
i bianchi figli degli dèi.
L’amante
vezzeggiatore (ejrasth; ς ujpokorizovmenoς) tira fuori tutti i pretesti per non rifiutare nessuno
di quelli che sono nel fiore dell’età (w[ste
mhdevna ajpobavllein tw̃n
ajnqouvntwn ejn w[ra/) .
Il termine melivclwroς è povihma di un
amante vezzeggiatore.
Ancora un paio di versi poi vediamo
quali parole ci appulcrano Orazio e Ovidio.
"At tumida et mammosa Ceres est ipsa ab Iaccho, /simula Silena ac
Saturast, labeosa philema " (vv. 1168 - 1169) , ma la turgida e
pocciona è Cerere stessa sgravata da Iacco, la camusa una Silena o una Satira, la
labbrona un bel bacio. - tumida: questa,
che è gonfia (tumet) e con tette
enormi viene interpretata come un'incarnazione della Magna Mater dopo che ha partorito Iacco "divinità associata ai
culti eleusini di Demetra; è probabile che Lucrezio identifichi Iacco con Liber (divinità italica corrispondente
al greco Dioniso) , nato da Cerere (Cicerone, De natura deorum II, 24, 62)
. "Ab Iaccho è espressione molto densa con ab causale ("a causa di
Iacco", appena partorito) o temporale ("subito dopo" aver
partorito) "[13].
-
simula: diminutivo di sima ricavato
dal greco simov",
camuso
- Silena: ai sileni rappresentati con
zampogna o flauto viene assimilato Socrate, che infatti aveva il naso camuso, dal
bell' Alcibiade il quale era affascinato dal maestro nonostante la bruttezza, nel
Simposio platonico (215) .
Simula Silena costituiscono " una
iunctura non solo allitterante ma anche omeoptotica, isosillabica e
parafonica"[14].
- labeosa: formato da labea, labbro, + il suffisso - osus che,
presente pure in mammosa, significa grandezza. - philema: traslitterazione di fivlhma, bacio.
continua
[1]Odissea, X, 213 e 236.
[2]
Medea, p. 103.
[3]
Apuleio, Metamorfosi, I, 8
[4]Apuleio, Metamorfosi, I, 9.
[5]Apuleio,
Metamorfosi, I, 17.
[6]
Cfr nocturnas…Furias in Apuleio, Metamorfosi, I, 19
[7]
Metamorfosi II, 22. Sono perfide streghe capaci di trasformarsi in quodvis
animal, qualsiasi animale ut ipsos etiam oculos Solis et Iustitiae
facile frustrentur; nam et aves et rursum canes et mures, immo vero etiam
muscas induunt, in modo da ingannare facilmente perfino gli occhi del Sole
e della Giustizia; infatti rivestono forme di uccelli, altre volte di cani e
topi, anzi poi addirittua di mosche. Poco dopo (25) Telifrone che deve
custodire un cadavere viene preso di mira da una donnola (mustela) la
quale lo fissa con sguardo acutissimo fino a turbarlo spingendolo a gridare.
[8]
Strix sarebbe un uccello notturno che
succhia il sangue. Strigi chiamate così "quod horrendum stridere nocte
solent" (Ovidio, Fasti, VI, 140) perché di notte sogliono stridere
orrendamente.
[9] A. C. Bradley, op. cit., p. 399.
[10]
Antigone (del 1942) , p. 78.
[11]
Molière, Il misantropo, II, 4.
[12]I.
Dionigi, op. cit., p. 414.
[13]G.
B. Conte, Scriptorium Classicum, 5,
p. 59.
[14]I.
Dionigi, op. cit., p. 415.
La modernità di questi testi è in credibile...Giovanna Tocco
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