440-
mevga":
la grandezza di Ettore non è solo quella del "marito buono" e degno,
già segnalata e contrapponibile alla meschinità dell'"eterno marito"
alla Dostoevskij o alla Flaubert che incontreremo più avanti, ma è pure quella
dell'eroe epico il cui imperativo è "primeggiare sempre".
Il modello dell'uomo eroico che, avido di
gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il
figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade, il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza
umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del
combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"(
VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i
padri ai figli (nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al
v.784, Peleo ad Achille).
Nietzsche
fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica
precipua dei Greci antichi: "Poiché il volere vincere e primeggiare è un
tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di
uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica
e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi
senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della
gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione
interna"[1].
Alla
nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda
Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni: "muvqwn te rJhth'r j
e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[2], a
essere dicitore di parole ed esecutore di opere
Cfr.
Seneca: Sapientia non est in litteris: res tradit, non verba
(Ep. 88, 32)
Magna et
spatiosa res est sapientia (33)
441-
ejmoiv… mevlei: è il
motto dell'uomo morale.
Don
Milani in L'obbedienza non è più una
virtù scrive: "Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande - I CARE. E' il contrario esatto del motto
fascista - Me ne frego" (p. 34).
442-
aijdevomai: questo
verbo e l'intera espressione di Ettore quella che Dodds definisce Culture of shame, "Civiltà di
vergogna". In essa "il bene supremo non sta nel godimento di una
coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima... La più potente
forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto
dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[3], dice
Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi
aperti"[4].
443-
kako;" w{" : anastrofe per w}" kakov". Il kakov", come
viene spiegato immediatamente dopo è il vile che fugge davanti al nemico,
l'ingeneroso che non rischia la vita per la salvezza della patria. In Teognide kakov" è l’uomo
sleale e irriconoscente.
444-
qumov": è in Omero "ciò che provoca le
emozioni...In molti punti quando si parla della morte è detto che il qumov"
abbandona l'uomo...Sappiamo che quest'organo determina anche i movimenti del
corpo, ed è quindi naturale dire che esso, nel momento della morte, abbandona
le ossa e le membra coi loro muscoli... La gioia ha generalmente sede nel qumov"... Inoltre
è generalmente il qumov" che fa agire l'uomo...Se qumov" è in
genere la sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione,
dell'ira e così via, dunque di tutti i moti dell'animo, tuttavia può trovar
sede talvolta nel qumov" anche la conoscenza...Quando si dice che qualcuno
sente qualcosa, kata;
qumovn,
qumov" è in
questo caso un organo e noi possiamo tradurre la parola con "anima",
ma dobbiamo tenere presente che si tratta dell'anima soggetta alle
"emozioni".
Però
anche qumov" verrà in
seguito a determinare una funzione (e allora potremo tradurre la parola con
"volontà" o "carattere") e anche la funzione singola:
dunque anche quest'espressione ha un significato più esteso di quanto non
abbiano le nostre parole "anima" e "spirito".
Nel
modo più chiaro appare ciò nell'Odissea
(IX, 302) dove Ulisse dice: e{tero" dev me qumo;" e[ruken:"
un altro qumov" mi
trattenne", e qui dunque qumov" si riferisce a un particolare moto
dell'animo"[5].
Con qumov" sono composte le parole che
designano due delle tre parti dell'anima nella Repubblica di Platone: qumoeidhv" è l'elemento irascibile che deve
essere alleato con il logistikovn, la componente razionale, nel presiedere all' ejpiqumhtikovn, l'
elemento appetitivo, la parte maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e),
la più ignobile, il cavallo nero.
445prwvtoisi: :
dativo lungo ionico. Esprime l'esigenza eroica del primeggiare di cui si diceva
sopra
-446ajrnuvmeno" :
participio di a[rnumai. Lo
stesso verbo nella medesima forma si trova nel proemio dell'Odissea a proposito del protagonista il
quale " soffrì molti dolori sul mare nell'animo suo,/cercando di salvardee
la sua vita e il ritorno dei compagni-."( ajrnuvmeno" h{n te yuch;n kai; novston eJtaivrwn, v. 5).
Più
concretamente "l'uomo" del secondo poema antepone la vita a tutto il
resto. Qui, nell’Iliade, Ettore vuole
cercare di conservare la grande gloria del padre (patro;" te mevga
klevo")
e la sua stessa.
Non
per niente Nietzsche ha trovato nei versi omerici il ribaltamento della
sapienza silenica:"Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi
stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi
simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce
al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si
potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di
tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire
comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per
Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana
come le foglie, per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del
più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a
giornata[6]. Nello
stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così
impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il
lamento si trasforma in un inno in sua lode"[7].
447-kata; frevna: frhvn è il
diaframma , la membrana che si avvolge attorno al cuore (Iliade , XVI, 481) e regge il fegato (Odissea , IX, 301), o, secondo Aristotele (PA. 672b 11) separa
cuore e polmoni. Dovrebbe essere dunque la sede dello qumov" di cui
si è detto sopra.
448/ ojlwvlh/:
congiuntivo del perfetto intransitivo di o[llumi.
Polibio
nel XXXVIII libro delle sue Storie
ricorda che Scipione emiliano assistendo alla distruzione di Cartagine[8] scoppiò
in lacrime e, pensando come la fortuna di ogni città cambi invariabilmente,
citò questi due versi (448-449), quindi all'amico storiografo che lo
interrogava rispose facendo il nome della sua patria per la quale temeva quando
rifletteva sul rapido destino delle cose umane.
451a[nakto":
genitivo di a[nax , è un basileuv"
potenziato, sia nei poemi omerici sia nelle tavolette micenee della Lineare B.
Per
fare un esempio del rapporto tra il greco miceneo e quello di Omero, nei poemi a[nax ( Iliade , I, 7) si alterna con basileuv" (Iliade , I, 9, in entrambi i casi è Agamennone),
ma solo il primo termine può essere attribuito alla divinità; nella Lineare B
invece il corrispondente del secondo termine, qasireu(s) , indica un capo di minore importanza:"capi ,in senso lato e modesto, e forse
nella fattispecie semplici capi officina"[9].
Sul
rapporto tra i significati di basileuv" e a[nax riferisco anche la posizione di E.
Benveniste :" in Omero, un personaggio può essere contemporaneamente basileùs e wànaks : un titolo non contraddice l'altro, come si vede nell'Odissea (XX 194[10]).
Inoltre, solo wànaks serve da
qualificazione divina: l'invocazione a Zeus Dodoneo, uno dei testi più solenni
dell'Iliade , comincia così:"Zeu' a[na..."
(XVI 233).
Un dio non è mai chiamato basileùs . Basileùs è invece largamente diffuso nella società degli uomini;
non solo Agamennone, ma una folla di personaggi minori ricevono questo titolo.
Vi sono anche dei gradi, una specie di gerarchia, tra i basileis , a giudicare dal comparativo basileùteros , e dal superlativo basileùtatos , mentre wànaks non
comporta in Omero nessuna variazione paragonabile a questa. Tranne il mic. wanaktero- , il cui senso resta incerto,
il titolo di wànaks denota una
qualità assoluta...Il fatto è che solo wànaks
designa la realtà del potere regale; basileùs
è ormai solo un titolo tradizionale che detiene il capo del génos , ma che non corrisponde a una
sovranità territoriale e che molte persone possono possedere nello stesso luogo
(Od. I 394). Una sola città, quella
dei Feaci, non contava meno di tredici basilh'e" (VIII 390). Personaggio rispettato,
il basileùs godeva di certe
prerogative all'interno dell'assemblea, ma l'esercizio del potere spetta al wànaks che lo esercita solo, ed è quanto
indica anche il verbo wanàsso -. Ne
danno prova anche espressioni che si sono conservate come nomi propri: Iphi-anassa 'che regna con potenza',
nome della figlia di Agamennone. Il femminile (w)anassa è l'epiteto di dee come Demetra, Atena. Così quando
Ulisse vede per la prima volta Nausicaa, la chiama a[nassa[11],
credendola una dea"[12].
L'autore parte dalla considerazione che "La situazione rispettiva del basileùs e del wànaks nell'epopea omerica corrisponde bene a quella che
caratterizza questi due personaggi nella società micenea".
CONTINUA
[4] E. Dodds, I greci e l'irrazionale, p. 30.
[5]B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 30 e sgg.
[6] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491.
[7] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. III.
[8] Avvenuta nel 146 a. C.
[9]D. Musti, Storia greca , p. 85.
[10] e[oike devma" basilh'ïï a[nakti
, sembra all'aspetto un sovrano, esclama il bovaro Filezio vedendo Ulisse pur
senza riconoscerlo.
Leggeremo
questo canto per intero.
[12]E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , pp. 303 e 304.
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