Il Coro delle Troiane
di Seneca esclude la sopravvivenza dopo la vita: tempus nos avidum devǒrat et Chaos (400).
Shakespeare in Pericle, principe di Tiro (1608) scrive
“Time ‘s the king of men;/He’s both their
parent and he is their grave,/And gives them what he will, not what they crave”
(II, 3), il Tempo è il re degli uomini, è insieme il loro padre e la loro
tomba, e dà loro ciò che vuole, non quello che essi chiedono.
Nella prima scena di Love’s
Labour’ s lost[1], Ferdinando re di Navarra
definisce il tempo “cormorant devouring
Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.
Ogni cosa scema, nutrendo di sé altri corpi.
Questo mondo non c’è stato sempre e finirà. Le storie più
antiche sono il bellum thebanum e i funera Troiae (326) i lutti di Troia.
Perché non risalgono più indietro? La terra è ancora recente
recens natura mundi (331, ma più avanti dirà il contrario).
Anche questa ratio
reperta est nuper (335) dottrina della natura- e io sono il primo primus/ nunc ego sum in patrias qui
possim vertere voces (337) .
Vertere è un
tradurre liberamente. Verbum de verbo
exprimere, letteralmente.
Per non finire, per essere eterni, non si deve risentire
degli urti. Immortali infatti sono gli atomi e il vuoto sicut inane est- quod manet intactum neque ab ictu fungitur hilum (357-358)
né subisce i colpi. Anche l’universo è eterno perché è infinito non c’è un
fuori luogo quo dissiliant (362) dove
gli atomi possano saltare né ci sono corpi che possano gettarsi su di loro e
dissolverli con un urto abbastanza forte
Sicut summarum summa est aeterna, neque extra
Qui locus est quo
dissiliant neque corpora sunt quae
Possint incidere et
valida dissolvere plaga (361-363)
Dunque la leti ianua
, la porta della morte, non è chiusa al cielo né alla terra né al sole sed patet immani et vasto respectat hiatu
(375) ma è aperta e li osserva con una enorme, mostruosa spalancatura.
Cose mortali che hanno avuto un principio avranno una fine.
Le immense membra del mondo lottano tra loro (380), l’acqua
il fuoco in particolare. Il mito di Fetonte, pur lontano da una corretta
ragione, racconta un assalto del fuoco, la storia di Deucalione e Pirra, un
tentativo dell’acqua.
Per Fetonte cfr. Ovidio met.
2, 1-400; per Deucalione e Pirra Ovidio met.
1, 313-415. In Igino come in Lucrezio le due favole sono correlate e
giustapposte. Deucalione era figlio di Prometeo, Pirra di Epimeteo e Pandora.
All’inizio c’era il caos poi un ordo ma non disposto sagaci
mente (420).
Prima c’era tempestas
e moles, una congerie di semi di ogni
specie e confuse battaglie. Poi le particelle simili cominciarono a
congiungersi con le simili coepēre
paresque cum paribus iungi (444), e dunque a separarsi il cielo dalla
terra, dal mare. Allora l’etere si levò sopra la terra. Il sole e la luna
stanno a mezz’aria, meno pesanti della terra, più dell’etere.
La terra si avvallò dove i corpi celesti si ritirarono e
subentrò il mare.
L’etere è la parte più alta e leggera del cielo e non ha perturbazioni.
Lucrezio ritiene,
come Epicuro che la terra sia ferma al centro del mondo e i corpi celesti
in movimento (geocentrismo).
L’eliocentrismo
di Copernico (1473-1543) era stato già sostenuto da Eraclide Pontico del IV e Aristarco di Samo del III sec. a. C.
Eraclide Pontico (‛Ηρακλείδης
ὁ Ποντικός). Filosofo e scienziato
greco di Eraclea Pontica (sec. 4º a. C.); scolaro di
Platone e di Speusippo, scrisse opere etiche, fisiche, grammaticali, retoriche,
storiche, letterarie e anche un trattato di musica. Molte di esse erano scritte
in forma di dialogo, sul modello di Platone. Ma il nome di E. resta soprattutto
legato alle sue geniali idee astronomiche. Nel Περὶ τῶν
ἐν οὐρανῷ ("sulle cose [che sono] in cielo") E.
suppose infatti che i corpi celesti non fossero "incastonati" in sfere
cristalline, secondo l'ipotesi generalmente accettata nell'antichità, ma si
"librassero" nell'etere; spiegò il moto apparente delle "stelle
fisse" con un moto rotatorio compiuto dalla Terra in circa 24
ore attorno al proprio asse da occidente a oriente; infine (ed è forse la cosa
più importante) sostenne che Mercurio e Venere ruotassero intorno
al Sole, mentre la Terra
sarebbe stata al centro della rotazione degli altri pianeti: tale sistema, conosciuto
nel Medioevo tramite Calcidio e Macrobio ma raramente accolto, fu ripreso nel
sec. 16º da T. Brahe (1546-1601) . È
discussa l'influenza che la dottrina di E. può aver esercitato nella formazione
della teoria copernicana.
Cfr. “maledetto sia Copernico” di Pirandello (Il fu Mattia Pascal)
“Io dico che quando la terra non girava, e l’uomo, vestito
da greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di
sé e tanto si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire
accetta una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si
legge in Quintiliano, come voi m’avete insegnato, che la storia doveva essere
fatta per raccontare e non per provare?
La terra “Per tanti anche adesso non gira. L’ho detto
l’altro giorno a un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? Ch’era una
buona scusa per ubriachi (…) Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato
l’umanità, irrimediabilmente (…) storie di vermucci ormai, le nostre”
(Premessa)
Cfr. Don Ferrante il quale pensava che la peste dipendesse
da “quella fatale congiunzione di Saturno con Giove” Mentre i signori medici
dicono con faccia tosta “non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri…E
tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! Brucerete Giove? Brucerete
Saturno?
His fretus, non
prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a
morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle” (Manzoni, I pronessi sposi, XXXVII).
C’è un aria che muove le stelle le quali sparse per il cielo
pascono i loro corpi ignei (525).
Il sole. La luna e le stelle, data l’ejnavrgeia, l’evidenza dell’ai[sqhsiς,
della sensazione, non sono molto diverse nelle dimensioni da come ci appaiono.
Pitagora confortato
dalla matematica e perfino Democrito attento alla geometria non affermava
questo.
Sentiamo Cicerone: “Sol
- il sole - Democrito magnus videtur quippe
homini erudito in geometriaque perfecto, huic a costui (Epicuro) pedalis fortasse, forse della misura di
un piede; tantum enim esse censet,
quantus videtur, vel paulo aut maiorem aut minorem. Ita quae mutat ea corrumpit
quae sequitur sunt tota Democriti, atomi, inane, imagines quae ei[dwla
nominant (De finibus, I, 20).
CONTINUA
Tocco Giovanna
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