NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 1 aprile 2018

Shakespeare, "Riccardo III". Parte 5

Richard, del ducato di York



Margherita constata la vanità del titolo e del potere della regina Elisabetta: “poor shadow,-skovtoς- painted-pingere-picta- queen… a queen in jest – Origin. a story, a merry tale res gestae, la storia, una regina per burla, una sollevata in alto per essere buttata giù (IV, 4. 83ss.).

Il primo coro delle donne di Micene dell’Agamennone si rivolge alla fallax Fortuna: con grandi beni inganni e collochi sull’orlo dei precipizi i posti più alti in precipiti dubioque locas/ excelsa nimis (58-59).
La Fortuna fa girare precipitosamente le sorti dei re (praecipites regum casus/ Fortuna rotat (71-72), i quali metui cupiunt metuique timent (72), vogliono essere temuti e lo temono. La notte non offre loro il suo placido seno né il sonno che placa le cure scioglie il loro animo dagli affanni-non curarum somnus domitorpectora solvit” 75-76)
 Quindi: “quidquid in altum fortuna tulit,/ ruitura levat (vv. 101-102)
Allora: felix medio quisquis turbae (Agamennone, 104)
Nella Fedra il quarto coro: minor in parvis Fortuna furit (1123)

 Nel prologo di questa tragedia Tieste ricorda i delitti dei Pelopidi dalla cena di Tantalo e conclude Versa natura est retro (34).

Cfr. la spada di Damocle in Cicerone (Tusc. V, 61-62)
cum quidam ex eius adsentatoribus, Damŏcles, commemoraret in sermone copias eius, opes, maiestatem dominationis, rerum abundantiam, magnificentiam aedium regiarum, negaretque umquam beatiorem quemquam filisse: "Cupisne igitur - inquit - o Damocles, quoniam te haec vita delectat, ipse eam degustare et fortunam experiri meam?" Cum ille se cupere dixisset, Dionysius collocari iussit hominem in aureo lecto, strato puicherrimo textĭli stragulo (tappeto), magnificis operibus picto, abacosque (tavoli) compluris ornavit argento auroque caelato. Tum ad mensas servos delectos iussit consistere eosque nutum illius intuentes diligenter ministrare. Aderant unguenta, coronae; incendebantur odores, mensae conquisitissimis epulis extruebantur. Fortunatus sibi Damocles videbatur. In hoc medio apparatu fulgentem gladium e lacunari saetā equinā aptum demitti iussit , ut impendēret illius beati cervicibus. Itaque nec pulchros ìllos mìnìstratores aspiciebat nec plenum artis argentum nec manum porrigebat in mensam, iam ipsae deflŭebant coronae; denique exoravit tyrannum, ut abire liceret, quod iam beatus nollet esse.

La duchessa di York maledice suo figlio Riccardo: “bloody thou art; bloody will be thy end” (IV, 4, 195).
Come Coriolano, seppur non proprio nella stessa maniera e con esiti diversi, Riccardo si lascia rimproverare solo dalla madre: Duchess: Hear me a word, for I shall never speak to thee again.
Richard: So (IV, 4, 181-182)

Il sangue in Eschilo e nel Manzoni. La mano sporca di sangue non si lava.
Versare il sangue a terra è un peccato irredimibile
Il coro dell'Agamennone nel terzo stasimo canta:"una volta caduto a terra-to; ga;r ejpi; ga'n peso;n a[pax) , nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019-1021).
Una domanda retorica che afferma la sacralità della vita umana e trova un correlativo cristiano in questa del Manzoni che mette in evidenza la mano:" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica, VII)

Nella Parodo delle Coefore il Coro canta: "Tutti i canali convogliati in un'unica via, bagnando la strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente a purificarla" (vv.72-74). Nella lamentazione funebre che conclude il primo episodio, Oreste ribadisce: "infatti se uno versa tutti i libami in cambio di una sola goccia di sangue, vano è il travaglio: così è il detto" (Coefore, vv. 520-521).

Nel Macbeth il protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa: Will all great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'oceano del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare facendo del verde un unico rosso (II, 2).

Il modello di questo passo si trova nella Fedra di Seneca dove Ippolito, sentendosi contaminato dalla matrigna, dice:" quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o silvae, o ferae! " (vv.715-718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre con tutto l'Oceano potrebbe purificare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!

Lady Macbeth in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal misfatto: "A little water clears us of this deed " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia di Shakespeare[1].
Più avanti la stessa donna che, aizzando il marito al tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa malata dal crimine sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand ", tutti i balsami d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1). Fa il gesto di lavarsi le mani che non si nettano mai: “yet here’s a spot (…) Out damned spot!”, vcia macchia maledetta
E il doctor: “unnatural deeds do breed unnatural troubles” (V, 3) atti contro natura producono turbamenti innaturali

Poi Riccardo convince la regina vedova Elisabetta la propria cognata, vedova di Edoardo IV ad aiutarlo a sposarne la figlia Elisabetta. Dice tra l’altro che le morti da lui provocate erano predestinate: “all unavoided is the doom-qevmiς law, from tivqhmi- of destiny” ( IV, 4, 218) , il decreto del destino è inevitabile, alla nascita dei bambini ammazzati erano avverse le stelle.

Cfr Echilo, Agamennone :"to; mevllon h{xei" (v. 1240), il futuro verrà. Lo dice Cassandra.
Nel terzo stasimo dell’Alcesti di Euripide, il coro commenta dicendo kreivsswn oujde;n j Anavgkaς hu\ron (965-966), niente ho trovato più forte della Necessità.

Riccardo dice alla cognata che deve annegare (drown) nel Lete del suo animo adirato- in the Lethe of thy angry- anger, collera, Lat. angor- soul” il ricordo dei torti che ella pensa siano stati arrecati da lui.
Cfr. to; th'ς Lhvqhς pedivon in Platone Rp. 621A, il mito di Er.
La ajlhvqeia però nega lhvqh.
Riccardo promette che la ragazza sarà la sola vincitrice. Caesar’s Caesar, il Cesare di Cesare.
Alla fine Elisabetta cede e Riccardo commenta: si è arresa la sciocca, changing-cambio-are- woman! (431).

Cfr. Virgilio:”varium et mutabile sempre –femina (Eneide, IV, 569-570).

Quando si aspetta notizie non buone, Riccardo reagisce come Renzi: “out on you, owls!- lat. ululo. Nothing but songs of death? (IV, 4, 507)

Poi c’è la battaglia finale con Richmond progenie della Casa di Lancaster (V, 3) che vince e sposerà Elisabetta di York.
La notte prima della battaglia Riccardo, come Bruto, è tormentato dagli spettri degli assassinati e dalla “coward conscience, how dost thou afflict-adflictus- me!”, adflīgo, getto a terra
Tutti gli spettri delle sue vittime gli rinfacciano i delitti e concludono despair-despēro- and die (V, 3).

Riccardo però prova a darsi animo Richard loves Richard, that is, I and I, Riccardo ama Riccardo e io sono io (V, 3, 184)
Cfr. I am Antony yet (Antonio e Cleopatra III, 3) e Medea superest di Seneca (Medea, 166)
Cesare non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I rather tell thee what is feared-rather than I fear; for always I am Caesar (Giulio Cesare, I, 2) E’ il darsi animo dei personaggi di Shakespeare

Si lamenta che nessuno avrà pietà di lui, del resto nemmeno lui ce l’ha per se stesso: and if I die, no soul will pity me- and wherefore should they, since that I myself –find in myself no pity to myself? (202-204)
 Si fa tuttavia coraggio dicendo che se non splende il sole non è un brutto segno: lo stesso cielo accigliato con me guarda con occhio triste anche lui , Richmond the self-same heaven –that frowns on me looks sadly upon him (287-288)
Cfr. Alessandro Magno
che la coscienza è una parola usata dai codardi e inventata in origine per fare paura ai forti: Conscience is but a word-lat. verbum, that cowards-lat. cauda probabily named from the bob-tailed hare, lepre dalla coda tagliata.- use, devis’d a first to keep the strong—straggovς- tightly twisted, strettamente intrecciato (complesso)- in awe timore e soggezione – [acoς pena- (V, 3, 310-311)
La coscienza dunque come strumento di potere, al pari della religio.
E' la ragione già svelata da Crizia, sofista e tiranno sanguinario, (460-403 a. C.) nel dramma satiresco Sisifo che contiene la teoria razionalistica dell'utilità politica della religione la quale è un'invenzione geniale e valida a frenare i male intenzionati con la paura dei castighi poiché le leggi non bastavano a inceppare i malvagi quando agivano di nascosto:"mi sembra che prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i malvagi ci fosse uno spauracchio ("ti dei'ma") anche se fanno o parlano o pensano qualche cosa furtivamente ("lavqra/")[2].


CONTINUA


[1] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma musicato da Verdi diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e monde son" (Macbeth, I atto). 
[2] Sono parole di un frammento (25 D. K.) del dramma satiresco, una quarantina di versi tramandati da Sesto Empirico, filosofo scettico della seconda metà del II secolo d. C.

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