re Numa |
Il
re Numa che decise di infondere il timore degli dèi (“deorum metum iniciendum ratus est” (Livio, I, 19, 4), cosa
efficacissima per la massa ignorante e rozza di quei tempi.
L'XI
capitolo del I libro dei Discorsi sopra
la prima deca di Tito Livio (1517) di Machiavelli verte sulla religione dei Romani: tra questi
il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle
obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del
tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per
più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che
facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani
disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva
la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe , a mantenere gli
uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale
principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa
otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono
introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può
introdurre quella... E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie
in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero
accettate". Quindi Machiavelli tra
i legislatori che "ricorrono a Dio" nomina Licurgo e Solone. Infine
tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione
introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città,
perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla
buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza
del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio
di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio,
conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe
che sopperisca a' defetti della religione".
A
questo proposito cfr. Polibio sulla deisidaimoniva che è servita a tenere insieme lo
stato romano.
In
effetti uno dei grandi errori dei capi dell’Unione Sovietica è stato il
tentativo di sopprimere la religione in un popolo tradizionalmente pio
Nell’ultimo atto il famoso grido
che smonta il potere regale: a horse!a
horse! My kingdom for a horse! (V, 5). (Probably a runner, cf. Lat currere sup. cursum)
Richmond, il vincitore, fa un
discorso finale nel quale auspica una nuova età dell’oro: come abbiamo
solennemente giurato
We will-velle-
unite-unire, unitus, unus- the white rose-rJovdon, rosa- and the red-eJruqrov",
ruber,
uniremo la rosa bianca (York) e la rossa (Lancaster).
York
e Lancaster furono divisi dall’odio e dal clima della totale peccaminosità: the brother- fravthr-frater- blindly shed-orig. to separate-scivzw scindo.- the
brother’s blood;-the father pathvr-pater- rashly slaughter’d his own son-uiJovς-;/the
son compelled-compello-spingo a forza- been butcher to the sire-is a variant of O. F. senre<L. senior”
(24-26) il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello, il padre ha
sconsideratamente macellato il proprio figlio, il figlio è stato costretto a
farsi macellaio del padre.
Anche
Lucrezio identifica l’età peggiore, quella della compiuta peccaminosità, con il
tempo delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti:
quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli
averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su
strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque" (De rerum natura, III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.
All this
divided-divĭdo-divīsit York and Lancaster/ - in their dire-deinovς-dirus-
division”
tutto questo divise York e Lancaster nella loro crudele rivalità.
Richmond
and Elisabeth dunque the true-
succeeders-succēdo- of each- royal-regālis- House, autentici successori di
ciascuna casa reale
By God’s
fair ordinance conjoin-coniungo- together, si congiungano per fausto decreto
di Dio. and their heirs-heres-ēdis, God,
if Thy will-velle- be so- e il loro eredi, Dio, se tale è il tuo volere, enrich (unless the Teut. base rik- is merely
borrowed from the Celtic rīg-cf L- rex )- the time to come, with smooth-fac’d
peace, arricchiscano l’avvenire con la pace dal volto disteso, with smiling- meidiavw----
plenty- plenitas, plenus- -pivmmplhmi-plh'qoς- and fair prosperous- prosperus- days, con
ridente abbondanza e radiosi giorni di prosperità.
Abate the
edge-ajkivς-acies-
of traitors-traditor postclassico in Tacito Hist 4, 24- cfr. proditor, gracious-gratia- lord, smussa la lama dei traditori,
grazioso signore that would- reduce far
tornare-redūco- these bloody days
again-and make poor-pauper- England weep in streams-rJevein-rJeu'ma flusso-
of blood-
che vorrebbero ricondurre quei giorni sanguinosi, e fare piangere torrenti di
sangue alla povera Inghilterra.
Si
torna dall’età del ferro a quella dell’oro come nella IV Bucolica di Virgilio e nel Carmen
saeculare di Orazio.
Al contrario nelle Opere e i giorni di Esiodo e nel primo libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Il
pericolo di una regressione c’è sempre nella storia come nella vita
individuale.
Now civil-civilis- wounds are stopp’d-stupa e stuppa-stuvph,stuppei'on- stoppa-,
peace lives again- that she may-mhcanhv- long live here. God
say Amen,
ora le ferite della guerra civile sono chiuse, torna a vivere la pace. Che
possa vivere a lungo qui, Dio dica amen.
Nell'Eneide
la decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi
delle ricchezze:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic
placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor[1]
aetas/et belli rabies et amor successit habendi " (VIII, 324-327 è
Evandro che racconta), i secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[2]:
così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette
l'età scolorita e la furia di guerra, e l'amore del possesso.
L'età
dell'oro ovviamente, secondo la profezia di Anchise, ritornerà con Augusto: “ Augustus
Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata per arva/
Saturno quondam" (Eneide VI,
vv. 792-794), Cesare Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio
l'età dell'oro su cui regnò nei campi arati un tempo Saturno.
Già nel primo libro Giove profetizza il
rinnovamento dei tempi dovuto all’impero e senza fine e alla pace stabiliti da
Augusto: “imperium sine fine dedi. Quin
aspera Iuno (279)… consilia in melius
referet mecumque fovebit/Romanos rerum dominos gentemque togatam (281-282)… “(291)Aspera tum positis mitescent saecula bellis,/cana Fides et Vesta, Remo
cum fratre Quirinus[3]/iura dabunt;
dirae ferro et compagibus artis/claudentur Belli portae; Furor impius
intus/saeva sedens super arma et centum vinctus aënis/post tergum nodis fremet
horridus ore cruento” (Eneide, I,
279 sgg.), ho assegnato un impero
senza fine. Anzi la dura Giunone volgerà in meglio i propositi e con me
favorirà i Romani signori del mondo e la gente vestita di toga[4]…allora,
deposte le guerre, diventeranno miti le età feroci, e la Fede veneranda e Vesta, e,
con il fratello Remo, Quirino daranno le leggi; le atroci porte della guerra
verranno chiuse con stretti serrami di ferro; l'empio Furore dentro, seduto
sopra le armi crudeli, e legato dietro la schiena con cento nodi di bronzo,
fremerà orribile nel volto insanguinato.
Orazio nel Carmen saeculare[5]
celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam
Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet,
apparetque beata pleno/Copia cornu"[6],
già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore
antico e la Virtù
messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.
Aggiunta
semiseria
La
morte si annuncia con il freddo agli arti inferiori.
La
via più breve per scendere nell’Ade, dice Eracle a Dioniso che vuole andare
negli inferi a recuperare Euripide, è il suicidio: corda e sgabello per
impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la cicuta.
Dioniso:
ma è gelata e intirizzisce gli stinchi (Rane,
125-126).
Cfr.
il Fedone 118 quello che gli aveva
dato il veleno, risalendo con la mano dal piede al ventre, faceva vedere come
Socrate si raffreddava e irrigidiva: “ejpedeivknuto o{ti yuvcoitov te kai; phvgnuto”.
Cfr. Enrico V (1599) con la morte di Falstaff
raccontata dall’ostessa: “So a’bade me
lay more clothes on his feet - pouvς - pes: I put my hand-palma into the bed and felt
them, and they were as cold-congeal-gelidus- as any stone - stiva - pietruzza;
then I felt to his knees - govnu - genu -, and so upward, and upward, and all was as cold
as any stone” (II, 3, 20-25).
FINE
[1] Nell’Oedipus di Seneca la Tebe ammorbata dagli scelera del re è colpita dall’aridità,
dalla siccità e pure dallo scolorimento che significano sterilità e
morte:"Deseruit amnes humor
atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inǒpi nuda
vix undā vada "(Oedipus,
vv.41-43), l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce;
l'Ismeno scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi. La
malattia toglie umore e colore alla vita prima di annientarla: "Il sole
della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia" A. Camus, La
peste, p. 87.
[2] Saturno (cfr. redeunt Saturnia regna di Bucolica
IV, v. 6) che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium,
"his quoniam latuisset tutus in oris " (Eneide, 8, v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste
contrade.
[3] Il fratricidio è
rimosso. Poco posteriore alla IV ecloga (scritta nel 40 a . C. anno della pace di
Brindisi tra Ottaviano e Antonio e del consolato di Asinio Pollione) è l'Epodo 16 di Orazio composto probabilmente "dopo che Sesto Pompeo nel 38 ha ricominciato la sua
guerra sul mare, minacciando di affamare l'Italia"[3].
Roma che i tanti nemici esterni non riuscirono a distruggere, prevede cupamente
il poeta, "impia perdemus devoti
sanguinis aetas "(v. 9), la distruggeremo noi, generazione empia nata
da un sangue maledetto, con riferimento al fratricidio primigenio di Romolo.
Anche la funzione della donna è ribaltata rispetto al messianico testo
virgiliano dove la madre è rappresentata ridente: alle donne, con ricordo
archilocheo che avrà un seguito in Tacito, si addice il luctus che il vir, cui si confà la virtus, deve evitare:"vos quibus est virtus, muliebrem tollite
luctum " (v. 39), voi che avete coraggio virile togliete di mezzo il
lamento da femmine. Si dovrà volare al di là dei lidi etruschi, verso le isole
felici dell'Oceano. In quei luoghi la terra è generosa, gli animali produttivi,
il clima mite, le donne pudiche poiché non hanno avuto il cattivo esempio di
quella sporcacciona di Medea:"Non
huc Argoo contendit remige pinus/neque impudica Colchis intulit pedem
" (vv. 59-60), qua non ha diretto la rotta la nave con i rematori di Argo,
né la svergognata donna di Colchide vi ha messo piede.
[4] La toga è la divisa del romano in pace, è
"quell'indumento così fortemente marcato, dal punto di vista dell'identità
e dell' "appartenenza" romana, da costituire una vera e propria
"uniforme de la citoyennetè" (. F. Dupont, La vie quotidienne
du citoyen romain sous la république, Hachette, Paris, 1989, p. 290) .La toga costruisce il corpo del cittadino
alla maniera di una veste rituale…". (M. Bettini, Le orecchie di
Hermes, p. 345).
[5] Del 17 a. C.
[6] Vv. 57-60. E' una strofe saffica
formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.
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