sabato 18 gennaio 2025

Ifigenia 253 O cameretta che già fosti un porto.


 

 O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne”
[1],

 

Terminato questo pensiero, ero arrivato a recuperare l'automobile.

Più tardi in albergo mi preparai per l'incontro. Volevo piacerle. Mi

lavai,  mi feci la barba, mi vestii sotto e sopra con cura particolare.

Poi scesi dal portiere a chiedere la chiave della stanza dove

avrebbe dormito la signorina. Avevo preso una seconda camera

per non dare alle zie la certezza e la prova della nostra

intimità. Si sarebbero  informate, quindi scagliate contro la “ragazzaccia”, dissoluta, sfacciata, ricca solo di libidini inaudite.

 La stanza era  luminosa, con vista sui monti pallidi che, posti a oriente, la sera si tingono di rosa, come una donna che vuole incontrare l'amante.

Però la chiave non serrava bene la porta.

"Qui non si può fare l'amore con tranquillità-pensai-, brutto

segno".

Dopo l'ispezione andai a cenare, quindi partii per la stazione di

Trento. Durante il viaggio lungo una sessantina di chilometri, fantasticavo.

Immaginavo che dentro l'automobile, di fianco a me ci fosse una

bambina bella, bruna, vivace, simile a ifigenia e, in meglio,

anche a me.

La nostra creatura immaginaria mi domandava:

"Dove andiamo, gianni?"

"Alla stazione di Trento,cocca, incontro alla mamma", rispondevo.

"E' bella la mamma?"

"Sì, amore, molto. Tua madre è una donna straordinaria: la più bella e

intelligente del mondo".

"Più bella di me?", voleva sapere, con rivalità tipicamente

femminile.

"No tesoro", rispondevo con qualche imbarazzo, benché sia portato a

corteggiare le femmine umane di ogni età, condizione e razza,

poiché in tutte trovo qualcosa di interessante e degno di essere

indagato, come in me stesso.

 "Lei è la  migliore di tutte le donne; tu sei  la cittina più bella del mondo e la luce dei miei occhi".

Se avessi avuto una figlia l’avrei corteggiata in questa maniera. probabilmente è  per questo che Päivi o Dio, chiunque egli sia, non me l’ha data.

"Sì, ma a te chi piace di più?"

"Mi piacete entrambe", concludevo da gesuita, senza dire che

l’adulta mi  piaceva di più perché con lei facevo l'amore. E

perché  era ancora reale.

Così tenni occupato il cervello durante il viaggio da Moena a

Trento dove arrivai poco prima del treno. La mia donna ne scese con aria da attrice di successo. Era bella e sicura di sé. Quanto mutata da quella che era arrivata in ritardo un anno prima, da me che la disprezzavo!

Mi raccontò dei suoi progressi all'Antoniano e del suo ottimo

insegnante. "Ottimo ma non attraente-aggiunse subito-: ha la

pancia".

"Meno male", borbottai. Poi dissi che l'avevo pensata molto, nel

bene e nel male.

"Non pensarmi troppo-ribatté-soprattutto nel male, perché dopo

vengono fuori le scenate telefoniche come quella di ieri che

francamente mi ha turbata parecchio".

Non risposi: non volevo indagare sull'argomento con il rischio di

precipitare nell'angoscia scoscesa; piuttosto bisognava fare l'amore

innumerevoli volte, fino allo sfinimento e magari allo svenimento.

Però compresi che la mia brutta telefonata era stata presa male sul serio.

Quando, verso mezzanotte, arrivammo alla Campagnola, salimmo

subito in camera mia e facemmo l'amore due volte; la seconda con

una certa fatica. Quindi   disse che aveva sonno e voleva andare a dormire.

"Va bene-bisbigliai-, vestiamoci. Ti accompagno". La seguii fino

alla porta della stanza assegnata a lei, senza dire altro. La salutai e tornai nella mia cameretta che non era “un porto a le gravi tempeste mie diürne”.

Ricordato Petrarca per nobilitare la mia pena,
mi spogliai e mi infilai nel letto. Mi chiedevo quale fosse il

significato dell'accaduto. Mi tornò ancora in mente il nostro

rivederci dell'anno precedente, il primo marzo del 1980. L'incontro

alla stazione di Trento, il viaggio fino a Bologna, poi il sesso nel

mio grande letto. Due orgasmi pure quella sera, due miseri

orgasmi.

Allora con dolore e con pianto l’amante aveva notato che io non l'amavo

più: infatti nel marzo del '79 l'amore lo facevamo sei, otto volte, ed

erano altrettanti tripudi moltiplicati per due.

Ahi vani conti! Perché li facevo? Mi domanderete magari irritati.

Perché non c’era molto altro tra noi due. Il sesso era l’unica sostanza abbondante nel nostro amore.

"Adesso è lei che non mi ama-pensai-. Devo farglielo notare".

Saltai fuori dal letto, mi rivestii, e tornai in camera sua, di corsa,

per domandarle se il mio ragionamento filava. Sapevo bene che

non faceva una grinza.

Rispose che le due situazioni non erano uguali: l'anno

prima eravamo arrivati alle dieci di sera, a Bologna, dove

avevamo a disposizione una casa con talamo matrimoniale; lì a

Moena era quasi l'una, il giaciglio era singolo, un po’ cigolante, e noi

dovevamo stare attenti a non fare rumore per via delle zie

inevitabili, capaci di controllarci perfino lassù: bastava una

telefonata. Sapeva che Anna Maria,  la proprietaria dell’albergo era una nipote acquisita della zia Giulia.

Sofismi, calo, adulterazione della passione: she has lost her

passion 13

"Va bene" dissi, per niente convinto. "In effetti è tardi. Vado a

dormire. Ci vediamo domani".

Nel cuore sentivo che quella ragazza, bella, aspirante al successo,

stava diventando una donna, e come tale non mi voleva più: non

aveva altra ragione che l'esame da attrice  per restare con me: non

tanto bello  né giovane quanto lei, né ricco, né famoso. Mi mancavano i

numeri per una ragazza siffatta. Invece di dormire, mi inabissavo

nel naufragio della mia sorte. Non tenevo conto che i talenti miei erano più preziosi, rari e duraturi dei suoi.

 

.


 

Bologna 18  gennaio 2025 ore 18, 06 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Petrarca, Canzoniere, CCXXXIV.

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