venerdì 24 gennaio 2025

La Storia ancella della Sociologia? O la Sociologia come realizzazione della Storia? Dalla mediazione di Simmel alla Storia sociale contemporanea. Di Giuseppe Moscatt.

di
Giuseppe Moscatt
 

1. Il dilemma: la fine della Storia o la resa dei conti con la sociologia? Metafisica e Realismo a confronto

Il difficile rapporto fra Storia e Sociologia non cessa di essere presente nel dibattito culturale. L'evoluzione della conoscenza storica e di quella sociologica continua fra diffidenze reciproche e la tolleranza sembrava essere stata mantenuta agli inizi del '900, quando il mondo di ieri stava per crollare per guerre, epidemie e carestie postcapitaliste. Ma oggi la crisi ambientale ed emigratoria, matrice delle medesime emergenze, è tornata ad essere motivo d'ansia per l'intero globo terracqueo. Il problema rimane da sempre nell'agenda delle società civili.
In ogni epoca di mutamenti sociali – Vico disse dalle origini del mondo - i filosofi della Storia e gli stessi storici antichi avevano svalutato l'idea di un fine della Storia, mantenendo però una posizione disinteressata sulle file che reggevano le sorti degli uomini, credendo solo nel caos evolutivo. Rispettosi si era delle Scienze Fisiche e poco attenti alle Scienze Umane, almeno fino al Rinascimento e all'Umanesimo - i secoli XV e XVI - dove nasce la figura dello scienziato osservatore del mondo e analizzatore dei segreti della Natura. Leonardo ne fu un esempio.
Quanto agli storici e i filosofi politici - Razionalisti e Illuministi - erano stimolati dalla Riforma Protestante e dalla Controriforma cattolica, nonché delle scoperte geografiche e della nuova filosofia della conoscenza da Cartesio a Galileo. Essi negavano sempre di più la visione cristiana di Agostino e Tommaso che consideravano la Storia un processo circolare nelle mani della Provvidenza Divina, denso di disordinate tappe di regresso e progresso, comunque retto dal Cielo e finalizzato alla vittoria del Bene sul Male.
Un finalismo di speranza derivato da un cauto ottimismo per la natura buona dell'uomo in sé a somiglianza di un Dio disceso nel mondo a salvarlo dal Peccato originale e a riportarlo in un mondo migliore. Se Io penso dunque sono e che il mondo migliore esistente era il migliore possibile, da Cartesio a Leibnitz, ma anche la libertà di pensiero e la cultura scientifica di Newton, Galilei e di Condorcet, insieme alle libertà di Voltaire, era mutata ora la prospettiva. Il Progresso irreversibile diventava la nuova stella che guiderà il mondo moderno nei secoli a venire. Hegel, principe dei filosofi romantici di primo'800, nelle sue Lezioni sulla filosofia della Storia (1837), lo considerava l'espressione assoluta dell'Umanità, che a tappe successive vissute dai vari popoli, si libererà dall'oppressione dei Cavalieri dell'Apocalisse, senza alcun intervento esterno metafisico. Disegno che Marx adatterà alla lotta e alle conquiste della classe operaia verso il Comunismo e che Spencer, uno dei fondatori delle Scienze Umane Positive, da buon discepolo di Darwin, rinveniva concretamente già nell'evoluzione concreta della Scimmia a Uomo.
Nasceva quindi un ideale ideologico e scientifico lineare, una legge assoluta dell'evoluzione delle società umane, suffragata dalle impetuose conquiste della scienza e della tecnica di fine '800. Una filosofia dall'ottimismo reale che prescindeva dall'agostinismo e dal tomismo punitivo cristiano, cui si sostituiva un ordine nuovo mondiale, la società capitalista industriale, dove la conoscenza sociale è affidata alla massa, il gruppo o la classe, l'uno nel sistema sociologico di Comte (1708-1857), l'altra nel socialismo di Marx (1867), tutti pensatori che mettevano a terra lo Spirito Assoluto di Hegel. Inoltre, prende forma la mitologia del Progresso Salvatore dell'Umanità degli economisti classici empirici anglosassoni da Smith a Ricardo.
La Rivoluzione industriale e la riforma dei rapporti di produzione - successive alle note coordinate politiche della Rivoluzione Francese del 1789 - costituirono l'idea di Progresso che marchierà la cultura occidentale per più di 50 anni fino alla Prima Guerra Mondiale. Gli storici tedeschi - Ranke, Mommsen, Troeschl, ma anche gli italiani Pasquale Villari e Antonio Labriola, nonché gli Spaventa e lo stesso Croce, senza contare il Renan e il Michelet - seguiranno più o meno tale ottica e saranno i corifei della scuola storicista, deterministicamente tutti rivolti al Benessere Sociale di un futuro più certo, senza guerre, malattie e carestie, un treno rapido verso la Pace e la Sicurezza mondiale, dove i Sociologi sarebbero gli architetti che con riga e compasso tracciavano ferrovie e palazzi delle nuove metropoli, per esempio la Parigi imperiale di Hausmann e la Berlino di Wallot agli ordini di Bismarck.
Di fronte all'ondata storicista e positivista, alzava la voce Schopenhauer (1788-1860) che svalutava l'unilaterale lettura progressista col suo pessimismo storico e cosmico. E Hartmann (1869) opponeva la filosofia dell'Inconscio, per cui lo sviluppo umano positivo ne era notevolmente imprigionato e che generava una diffusa infelicità anticipando di decenni Freud. Senza contare Nietzsche che rinverdiva il Vico dei ricorsi storici, dove il tempo è visto ancora come un circolo chiuso e che qualificava il presunto Progresso come un eterno ritorno dell'eguale che disillude l'uomo e ne mortifica ogni speranza di cambiamento. Naturalmente, Spencer, Comte ed Engels, ma anche i liberali Lombroso e Veblen, i primi grandi sociologi, invadevano il terreno degli storici, nonché dagli scienziati evoluzionisti: per esempio il Maine, giurista della scuola inglese e vittoriana, peraltro inviso al romantico e storico Carlyle. Essi influenzarono gli storici tedeschi Niebuhr e Mommsen, entrambi fautori della conoscenza storica lineare verso l'alto, progressisti in politica, in economia e nella ricerca tecnologica. Il loro ottimismo della Ragione, per esempio di Westermarck, pur ammettendo che la civiltà aveva dato segni regressivi - per esempio il Medioevo barbarico - li qualificavano una semplice parentesi irripetibile. E quindi il ricorso vichiano non era mai del tutto eguale, convinto piuttosto di una breve curvatura intermedia, che presto risaliva verso l'apice, come se la guerra boera, oppure le crisi politiche e sociali di fine secolo fra '800 e '900, fossero una parziale stortura dovuta a contingenze temporanee presto sanate.
Illusioni che le cronache di Zweig e il saggio di Thomas Mann - Considerazioni di un impolitico (1918), connesse alla Grande Guerra - saranno intrise di un forte senso di spaesamento e di insicurezza che la Sociologia tradizionale non era più idonea a contenere. Il contrasto fra Storia e Sociologia, l'una pessimista e prevalente già negli anni '20 come vera vincitrice del primo Conflitto Mondiale; l'altra come chimera transeunte e Scienza Sociale insufficiente a sanare le difficoltà persistenti; andava risolto per altre vie come vedremo fra breve.
 
2. Il conflitto dei Saperi e la Resurrezione di una Metafisica della Storia
La chiave di volta per la separazione delle scienze storiche dalle scienze sociali doveva invece derivare da una scelta ordinatoria e di metodo conoscitivo. Occorreva una chiara distinzione di questi Saperi delle Scienze fisiche e naturali, le cui caratteristiche andavano euristicamente selezionate. Sarà necessaria la competenza filocartesiana di Wilhelm Dilthey (1833-1911), già legato ad Hegel, a proporre alla cultura europea una revisione di un confronto già aspro. Gli storici Ranke e Labriola aderiranno presto a favore della linea storica; von Liebig e Lombroso passeranno alla visione opposta. È evidente che il metodo ordinatorio proposto qui è necessariamente semplificato e perciò ci scusiamo coi lettori.
Cominciamo dunque dal Ranke. Nelle sue conferenze del 1854, in piena ascesa della Prussia, ricondusse la Storia sul piano dei fatti da quelle delle idee Hegeliane, attraverso la primazia delle fonti scritte e la loro comparazione. Inoltre negò alla Storia la semplice narrazione di eventi che sarebbe piuttosto una Cronologia. Quanto poi allo svolgersi razionale della Storia, dimostrò la presenza di un filo logico spirituale in capo ad un'etica personale immanente, cioè reale e fenomenica estensiva da un passaggio all'altro, un cammino non per salti o contraddizioni, com'era la crescita dell'Uomo. Nondimeno, Ranke negava la mera sommatoria di fatti cui la scienza positiva aspira, né ammetteva un'indagine che partisse dal particolare all'universale. Eppure, tale filosofia della Storia tendeva ad un obiettivo unitario, il Dio che si è manifestato nella Storia e che scopriremo all'ultimo delle cose, ricadendo nell'apriorismo religioso di cui il precursore Vico era stato proprio accusato dal Razionalismo.
Ma il neokantismo di Dilthey e lo storicismo di Ranke venivano perpetuati in Italia da Antonio Labriola (1843-1904), che aderì ai canoni di Ranke raffinava nella sua filosofia della storia (1887), col fatto che ingrandiva il ruolo della persona negli eventi storici. Babeuf, Robespierre, Charlotte Corday, per esempio, vennero da lui esaminati non soltanto in termini deterministici; ma anche evidenziava il fatto che la ragione economica era il vero motore della Storia. Tornando dal maestro e conterraneo Vico, Antonio Labriola, giudicò la storia una linea spezzata, che cambia spesso direzione e che non sappiamo dove andrà a finire... la storia la fanno gli uomini spinti da certe passioni, puniti da specifiche circostanze, che operano con le connesse speranze, spesso per illusione per inganni altrui. Anzi, nella monografia su frà Dolcino, non accoglieva la posizione del Manifesto di Marx sull'origine della borghesia nel medioevo e invece faceva leva sull'ideologia del movimento apostolico che non propagandava alcuna lotta di classe. Vale a dire una chiara differenza fra Storia della Chiesa e Storia del Cristianesimo.
Del resto, la domanda post illuminista di una critica della ragione storica diretta a regolare la conoscenza di un mondo spirituale - negata da Kant - andava risolta, anche perché le Scienze della Natura esigevano una loro autonomia, soprattutto perché le scuole romantiche avevano privilegiato la natura ancillare dello Spirito. Sarà proprio Wilhelm Dilthey a distinguere il mondo storico - sociale dalla realtà naturale. Nella sua Introduzione alle scienze dello spirito (1883), l'autore renano considerava l'uomo l'attore principale della realtà storica, mentre il disegno del mondo stesso si sarebbe conquistato anche con il sapere spirituale.
Questo però necessitava di un metodo particolare, ben diverso da quello riservato alle scienze naturali, operazione che già Vico aveva proposto in età illuminista. Cioè era la separazione fra soggetto e oggetto della conoscenza a fare la differenza. Nondimeno, essa condizionava rigore e certezza nella ricerca delle cose spirituali, un metodo però inapplicabile alla Sociologia. In altri termini, la Metafisica, ricacciata dalle scienze della natura, tornava in gioco quando si pretendeva di ricostruire il mondo spirituale adottando presupposti astratti che influenzavano il procedere preciso e univoco delle materie scientifiche. Invece, per Dilthey era l'esperienza concreta che svincolava la Sociologia da tali apriorismi indimostrati, che a loro volta invece indicavano la via maestra delle scienze dello Spirito dove appunto occorre una psicologia che delimitasse l'azione del soggetto interessato all'evento storico.
Così la creazione e la interpretazione della Storia era fondata dalla psiche del soggetto interessato all'evento storico, un legame spirituale con l'evento che circolarmente dominava la storia stessa. Una connessione orizzontale fra i soggetti e un rapporto verticale fra mondo e gruppi sociali, dove la Sociologia spiega la Storia, mentre questa prende atto dello sviluppo sociale, che muta in direzione del Progresso migliorativo di cui si disse.
Una attenta riflessione che faceva della Storia passata una sorta di ancella subordinata alla Sociologia. C'era il rischio di vedere la fine della Storia stessa, visto che sfumava in un movimento di masse dal tutto asservita ai soggetti dominanti, perché psicologicamente forti nel trascinarle nella loro visione del mondo proprio perché figlia del mutamento delle situazioni storiche e sociali. Una storia ancella della Sociologia, determinista e materialista senza via di scampo verso un presunto Progresso morale spesso rivoluzionario e travolgente di costumi e presupposti. Oppure una Sociologia schiava dello spirito creativo di un trascinatore - o di una classe dirigente - che si pone alla guida delle masse stesse solleticando le loro aspettative e speranze, portandole il più delle volte al disastro della Nazione. Una mediazione ideologica necessitava proprio al sorgere del secolo ventesimo denso di preoccupazioni.
Si è detto però che anche le scienze positive subiscono l'effetto di un notevole rilancio, non solo per la ricostruzione di Dilthey, quanto e soprattutto di un ignoto giovanotto di Darmstadt, Justus von Liebig, lettore di Kirkegaard. Costui scrisse un saggio critico contro l'ineguaglianza delle scienze naturali e della chimica in Prussia (1840). Obiettivo delle sue rampogne, fra il serio e il faceto - ricordiamo che Liebig era anche un poeta amico di von Platen - era la filosofia della Natura di un professore austriaco filoprussiano, tale Meissner, che spiegava le pestilenze, come il vaiolo o la peste bubbonica, con il movimento delle stelle, con un linguaggio geroglifico risalente alla Bibbia riservato a pochi credenti. Liebig reagisce vigorosamente con l'adozione di una sola lingua per una comunicazione aperta a tutti, vale a dire gli schemi di Newton, Lavoisier e Galileo con l'annessa adozione di un metodo creativo e la ricerca di un metodo matematico e antifilosofico. E così pure una scuola chimica applicata e la scelta di un'economia a coltura non invasiva, ma intensiva. Insomma, una chimica per l'Uomo e non un Chimica fatta dall'Uomo! Cioè una Scienza Naturale che olisticamente studiasse il ciclo generale del mondo animato, il rapporto fra le componenti della terra, dell'acqua, dell'aria e del fuoco, gli elementi che consentono la vita delle piante e degli animali. E quindi, dallo sviluppo della chimica dall'agricoltura all'industria, la nascita di un'economia integrata locale e mondiale, con la pace e l'amicizia fra gli scienziati, primi fra tutti fra gli odiati Francesi e le opposte diffidenze prussiane.
Infatti, nel 1867, è a Parigi l'Esposizione internazionale dell'Industria su invito di Napoleone III, con l'Inghilterra di Palmerston e della Regina Vittoria. Non solo: per dare più sapore ai cibi, bandirà un concorso di idee per trarre componenti liquidi della carne, dopo aver letto e visitato il Sudamerica di Humboldt, il grande geografo. E un chimico tedesco vincerà la gara e il famoso dado di brodo troverà quindi dall'Uruguay e dall'Argentina fonte di guadagno, perché col suo capitale comprerà bovini in quantità che dalle loro pelli e dal loro grasso il dado sarà estratto e condirà i cibi dell'occidente.
Einstein, studiando la sua lunga vita (1803-1873), vedrà in lui un uomo sereno, in pace dopo gravi ambasce, ma fiducioso per la sua capacità di sfruttare la Natura a favore dell'Uomo. Per il maggiore scienziato del '900, Liebig sarà lo scienziato buono e allegro che sostituirà la cupa figura del mago che in età medievale aveva inoculato tanto terrore nella gente comune a vantaggio del Potere della Chiesa e dell'Impero. Pari ottimismo, nel Dio/Progresso incuterà fra la gente più colta di fine '800 l'Italiano Cesare Lombroso (1835-1909). Professore di Psichiatria a Pavia, direttore del manicomio criminale di Pesaro, inventore della c.d. antropologia criminale. Questi vive decenni di fama mondiale per avere sconfitto le personalità criminali, risalendo scientificamente alla loro causalità descrivendo una fauna delinquenziale umana. Scopre cioè tare e anomalie somatiche. Nel suo saggio principale (l'uomo delinquente, studiato in rapporto all'antropologia, alla medicina e alle discipline carcerarie, 1876) deterministicamente collegherà rigidamente dette irregolarità fisiche alla capacità delinquenziale - per esempio, a seguito dell'esame fisico dei Briganti che avevano insanguinato le campagne meridionali e che aveva misurato fisicamente durante la loro detenzione carceraria – trovando una stretta collaborazione col giurista penalista Raffaele Garofalo. Il loro archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali - pubblicato nel 1880 - rappresentò la fonte del diritto penale dell'Italia liberale al punto da influenzare il primo codice penale del Regno, varato dallo Zanardelli nel 1890, rivolto allo scopo di ricostruire in senso positivista tutta la legislazione penale.
Eppure, come Ranke, era ricaduto nel materialismo, quando l'acribia documentale lo aveva portato a selezionare fonti da fonti in nome del soggetto attore dell'evento, scartando ipotesi reali che ledevano la sua fama di scienziato. Così anche Lombroso interpretò aprioristicamente le patologie della condotta criminale, perché non riuscì a spiegare la relazione causale malattia/crimine in soggetti sani di corpo; oppure, quando non riuscì a motivare i delitti senza movente economico che primeggiavano piuttosto nelle classi agiate.
Certamente lo studio concreto dell'Uomo delinquente e la Vittimologia, lo attiravano per un senso spirituale comunque intercorrente fra soggetto attivo e passivo del crimine. Se la scuola di Lombroso fu giudicata troppo negativamente dalle correnti psicanalitiche, è anche vero che il Positivismo esasperato da tale ideologia produsse una reazione intellettuale spiritualista che domandava all'inizio del '900 un ritorno all'ordine metafisico di ispirazione cristiano-agostiniana. È noto che Cousin, Rosmini e Bergson - qui citati in ordine storico - rivendicarono la primazia dell'Idea e la presenza nel reale di un elemento spirituale. Urgeva ritrovare una mediazione culturale fra la decadenza del Positivismo in Scientismo; e il declino delle Scienze Storiche divenute cronache prive di significato universale.
 
3. La sociologia da Comte (1830-1860), come Fisicità della Storia
Non c'è chi non vede come le questioni storiche sollevate siano strettamente connesse ad un peculiare sviluppo di una branca della filosofia. Molti la chiamarono, dopo Agostino, Filosofia della storia. In età classica, da Tucidide a Tacito, fino a Seneca, oltre alla mera narrazione cronistica degli eventi umani, si cominciò a dare al termine Historia un valore oggettivo e separarla dalla Natura, una realtà esterna all'attività umana. Tutto quello che stava fra mera cronologia e la fisicità, veniva già indicato come cultura, cioè una storia della terra, un insieme di res mixtae fra biologia, geologia e storia umana, un tentativo riuscito di Aristotele quando qualificava come Storico colui che descrive fatti particolari, distinto dal filosofo esperto di Universali e dotato di verità, non di fantasia e di miti riservati al Poeta.
Platone, peraltro approfondì il carattere unitario, cioè la caduta dell'Uomo dalla realtà dell'età dell'oro, all'età attuale del dolore, ma orientato al ritorno del dolce passato, attraverso varie epoche, un eterno ritorno che ciclicamente si ripete nel tempo. Sarà però Agostino a fare un salto di qualità: forte dell'esperienza di S. Paolo, il filosofo mediterraneo distingue tre periodi senza alcun ritorno, l'età che genera la Legge, quella della Legge e quella sotto la Grazia. Non più ripetizione all'infinito, ma un cammino di Progresso verso Dio.
Lo spartiacque era Cristo incarnato. L'Uomo era chiamato a collaborare a questo grande progetto, però assistito da Dio per uscire dalla città dell'Uomo alla città di Dio. Nulla ora è più causale, ma tutto è determinato da Dio e a condizione della adesione dell'Uomo. È il salto della Provvidenza che regolava una Storia Universale, per 15 secoli la storiografia medievale e moderna fino a Voltaire. L'illuminismo spazza via ogni concezione del ciclo storico fondato sulla teologia e apre all'idea immanentista di Progresso, dove è sviluppata l'idea di crescita verticale dello spirito umano.
Kant e Hegel nell'800 romantico videro un'evoluzione lineare dal mondo orientale dei Dittatori e nel mondo occidentale classico delle libertà delle Repubbliche antiche (in particolare, Costant per la Rivoluzione Inglese, Francese e Americana, intese come un ritorno positivo alla Roma repubblicana) e poi il mondo medievale cristiano - germanico, fino alle monarchie moderne che si perpetuava anche dopo le grandi Rivoluzioni. Era l'alleanza laica fra le classi dirigenti monarchiche nazionali e le nuove classi dirigenti borghesi capitaliste nella forma sociale istituzionale della Restaurazione.
Kant, nell'idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (la Pace Perpetua), anticipò l'idea della astuzia della ragione, principio post illuminista che sostituiva la Provvidenza Cristiana nella ideale crescita dall'Umanità, un laico disegno sociale estraneo alla coscienza degli uomini e dei popoli, diretto al miglioramento della Società civile. Una mano invisibile che regolava la nascita dell'età capitalista moderna già abbozzata dagli economisti inglesi nel '700, da Smith a Ricardo e che Hume, Hobbes e Locke ricavavano in seguito alla riconosciuta Rivoluzione Industriale e politica del loro Paese, dove Capitale e Democrazia parlamentare costituivano istituzioni sociali che tendevano finalisticamente alla immanenza di una Storia che superava i loro progetti politici.
Qui cresceva e si sviluppava organicamente il pensiero di August Comte (1798-1857).
Durante il periodo napoleonico fino alla fine del secondo impero francese, il filosofo di Montpellier, fin dal Corso di filosofia positiva al calendario positivista, si dedicò al comportamento sociale dell'Uomo. Individuò anche un secondo salto di qualità, dato dal passaggio del pensiero di Agostino, al secondo balzo in avanti della cultura umana, il Rinascimento (sec. XVI secolo) e con la conseguente Rivoluzione industriale di metà '700.
Un periodo mobile, che la scuola storica di Burkhardt battezzò come moderna e che ha come cardini la nascita della scienza sociale dei fatti storici, che si allineava sempre più al metodo scientifico cartesiano delle scienze naturali. Comte ora crederà in una storia con riga e compasso, fondata da leggi scientifiche che regolano la società. Questi e il citato Spencer assumono la paternità del secondo balzo in avanti, dove l'Io è parte della realtà esterna che però necessita di un metodo di indagine analogo a quello di Galileo.
È questo il cuore del suo messaggio. Una scienza del fatto senza alcun condizionamento morale. E dunque il ricercatore storico moderno dovrebbe scendere nell'indagine senza alcun apriorismo spirituale. Deve essere positivo e mai normativo. Un disvelamento dell'Uomo in sé e quindi emetterà giudizi di fatto privi di valori che ne potrebbero inficiare i risultati. Una Scienza cioè empirica, materialista e critica dei valori come li trova, spazzando via ignoranza e superstizione. Un'azione di disboscamento neutrale e di legami con la società dei costumi che ingabbiava l'uomo naturale (chiari i riferimenti a Bayle e a Rousseau). Inoltre, il ricercatore positivo deve uscire dagli ambiti ristretti e risalire a una classe numerosa di soggetti interessati al fenomeno che vuole verificare nel suo movimento.
Di qui una prima differenza fra Storia e Sociologia, cioè l'abbandonare il soggetto singolo e il verificare invece come e quanti siano i soggetti coinvolti. La negazione dello spirito storicista, dunque, che faceva capo a un soggetto trascinante, quel grande uomo che Carlyle aveva indicato nella figura dell'Eroe, scendendo nel particolare della sua azione. Per esempio Cristo, Cesare, Lutero, Napoleone, ecc. ecc. La Sociologia inizierà da un gruppo numeroso di casi e da un'età ben definita, generalizzando per tipi.
Ormai, per Comte, nell'età della Borghesia, del Capitale, delle Nazioni e della Democrazia, la Storia non deve più limitarsi a un processo circolare e legata da un unico episodio di base. Se si deve fare Sociologia, necessita un processo inverso, dal particolare all'universale e quindi guarderà al presente per dare prove di Progresso. Tutta la Storia diventa così contemporanea, visto che l'oggi è un tassello di avvenire e di crescita dell'Uomo, spogliato da residui storici morali religiosi e ormai depurato dal passato oscuro e ignorante. Se dunque, la Sociologia ha reso ancella la Storia passata, perché continuare a fare storia? Perché non perseguire l'imperialismo del fatto, al pari del concetto di forza che regge le relazioni sociali fra Stati (siamo negli anni dell'ascesa della Germania prussiana e della Grandeur di napoleone III)?
Storia e filosofia diventano scienze sociali del passato. Al massimo quelle aree del sapere fungono da materie integrative, come un sapere residuale che funge da mera introduzione di un Sapere assoluto che addirittura pensa di leggere il passato anche senza archeologia. Perfino l'economia marginalista volgeva attenzione ai gesti del consumatore, dato costante dell'analisi macroeconomica che ormai ha spostato l'attenzione dal produttore - il c.d. imprenditore - ai soggetti destinatari dei beni idonei a soddisfare le necessità della società civile.
A poco a poco, a un'economia del semplice scambio, succede l'economia di massa che consente la lunga durata dell'Impresa. Dunque, una sociologia economica, che diventa una sociologia giuridica e poi politica. Una vita per gli altri concreta, utile e migliore. Dopo l'età teologica (era dei Re) e l'età dei popoli (età del Diritto e della filosofia), ora per Comte ha inizio l'età dell'industria, in virtù dell'uomo che ha cessato di credere e che sarà l'età del sapere prevedere. Tutto sarà relativo, ma tutto diverrà rischioso per l'uomo e la società, come un secolo dopo dirà Zygmunt Bauman che chiamerò l'oggi l'età della società liquida, purtroppo considerata incerta e insicura.
 
4. Dallo scientismo materialista alla reazione dello Spiritualismo (1899-1918)
Limiti di spazio ci inducono a restringere il campo di analisi alla realtà di uno dei paesi più industrializzati, la Germania Imperiale, dove la saggistica economica e l'azione relativa andavano di pari passo alle conquiste scientifiche. Lorenz Oken (1809) e Ignaz Troxler (1806), di cui si ricordano vari manuali di filosofia della Natura. Medici e professori di medicina e filosofia della natura; come Rudolf Virchow e Hermann von Helmholtz. Chirurghi e anatomopatologi; Heinrich Hertz, fisico fondatore della radiotecnica; Robert Bunsen e Wilhelm Ostwald, chimici scopritori dei nuovi metalli utili per i macchinari industriali; Ludwig Boltzmann, primo scopritore della fecondazione artificiale, Carl Benz, Gottlieb Daimler ed Eugen Diesel, ingegneri meccanici che saranno legati allo sviluppo dell'industria automobilistica.
Scienziati al seguito delle università prussiane e bavaresi, da Würzburg a Heidelberg, da Berlino a Jena; scienziati che influenzarono l'ideologia positivista e che si posero al servizio della politica di Potenza di Bismarck e Guglielmo II, come già Ranke e Mommsen erano stati mobilitati per rinnovare le scuole storiche. Per esempio, Rudolf Wagner - cugino del compositore e neurochirurgo - paragonò la creatività del pianista a quella dello scienziato sociale che mette in moto il cervello col pensiero. Come per Carl Vogt, che vide nel cervello la fonte fisica del pensiero, come il fegato che secerne la bile.
Ed Ernst Haeckel, il più famoso di questa corrente scientista tedesca, che negli Enigmi dell'Universo (1899), in armonia all'ideologia materialista, alla maniera degli scettici ellenisti, dichiarerà come il problema dell'immortalità dell'anima è un fattore inconoscibile e dunque inutile. Tesi che fa insorgere negli stessi anni il principe degli spiritualisti germanici, il volontarista ed estremista Friedrich Nietzsche, che, aderendo alla volontà metafisica di Schopenhauer - vecchio avversario della logica movimentista di Hegel - moltiplicò le spinte istintive del sé - l'anima che si voleva distruggere - conferendole un’estrema forza cieca contro il mondo. Una lotta continua dello Spirito umano contro il mondo, cioè la famosa volontà di Potere. Per Nietzsche, non c'è alcuna morale perché non esiste alcun determinismo né morale né scientifico. Occorre invece porsi al di là del bene e del male, fuori dalla vita grigia e perfetta della vita comune, tramutandola ed espandendola contro ogni limite per l'avvento del Superuomo, naturalmente l'uomo dello Spirito, non certo l'Uomo prigioniero della morale o della Natura.
 
5. La mediazione di Simmel (1892-1916)
Torniamo però al problema iniziale, vale dire quello della critica della conoscenza storica, che l'autore ora succitato esaminò nei problemi della filosofia della storia, questione devastata dallo scontro fra Storici idealisti e Storici positivisti, in relazione alle concezioni su cui ci siamo dilungati. Simmel, professore a Berlino fin dal 1901, respinse la causalità naturale, cioè la relazione netta fra valori e fatti legati allo sviluppo della civiltà. Senza i documenti necessari - cosa non affatto infrequente - come aveva notato il Ranke paladino della documentazione scritta - non si fa Storia, oppure si fa soltanto Romanzo. Che fare allora? Ecco il suo chiaro ritorno alla Psicologia degli attori dell'evento, un'analisi spirituale che gli permette di rivivere e rileggere l'età che intende studiare. Una sorta di immedesimazione storica che si apre a ogni frammento del mondo, dalla religione alla filosofia, dall'arte alla scienza. Saperi che devono convivere, ognuno col suo metodo di interpretazione.
Ma nell'Uomo il problema si complica. Se i mondi sono diversi, quale mediazione? Di certo, la mediazione è semplice nelle aree scientifiche naturali; ma come procedere nell'area umanistica classica? Simmel allora si pone a ricercare un senso comune, una biologia possibile nella vita dell'anima, senza cadere nel volontarismo estremo di Nietzsche, o nello scientismo di Spencer. Modello di mediazione gli appare la concezione di Goethe che appare meno creativa, ma più riflessiva, ovvero quella di Rembrandt per il Rinascimento. Nelle due biografie che di costoro scrive, rilevava la loro preferenza per la vita quotidiana, campo di analisi per scegliere la loro progressione il falso e il vero.
Certamente, un'azione pratica che però non dimenticava la posizione evoluzionista anche dello Spirito, che Bergson aveva maturato dalla parte neoidealista, come nel caso di un artista come Pirandello, che nelle sue commedie già conosceva la dinamica intuizionista legata alla logica dei contrari e la concezione dello storico di Nietzsche, che dovrebbe lottare contro chi guarda al passato come un limite da superare per poter vivere in pace. Ma questo non si avrà se non ci sarà la coscienza - conclude Simmel - che noi siamo il frutto delle passate generazioni. Onde, Simmel propone una Sociologia che delimiti i confini dei Saperi, come la grammatica per ogni lingua, oppure come la geometria per l'aritmetica, senza cioè entrare nel contenuto delle singole scienze. Una scienza semantica, un esperanto che descriva le forme. Una prospettiva che già Weber e Horkheimer stavano perfezionando alla fine del Primo Conflitto Mondiale e che oggi consente, materia per materia, di distinguere il metodo, ivi compresi i limiti della Storia e della Sociologia.
 
6. Le pretese degli Storici e le giuste esigenze dei Sociologi. Dalla macrosociologia alla microsociologia contemporanea
Da quanto premesso, la Sociologia - o meglio la c.d. Macrosociologia delle origini di quel sapere - viveva di tensioni che polarizzavano gli intellettuali europei, peraltro divisi da questioni politiche ed economiche connesse in modo mai visto dopo il Primo Conflitto Mondiale.
Mentre destra e sinistra si confrontavano per la conquista del potere a danno del sistema democratico liberale; mentre le economie fluttuavano fra crisi di produzione e cadute di domanda, oppure nel magnificare gli eccessi dello Stato socialista e nel rimediare alla crisi capitalista; di fronte alla secolarizzazione delle religioni e all'impetuoso evolversi dei costumi; Storici e Sociologici discutevano sulla Sociologia coma una nuova Provvidenza, non ancora svalutata da un sottile male oscuro, che aveva prodotto la Grande Guerra, il Comunismo, la crisi del '29 e la fine della morale e dell'Io, con i tre maestri del dubbio - Marx, Freud, Nietzsche - che avevano distrutto il valore del Progresso di primo '900.
L'eterna domanda del Valore o del Fatto, la effettiva prevalenza del Bene o dell'Utile, dividevano la speranza di redenzioni del mondo. Da Gentile a Veblen, da Weber a Gramsci, sperimentare, provare, dubitare. Si usciva dalle convinzioni per acquisire responsabilità e si spingevano gli storici o a mediare fra opposte ideologie; od a ricercare quel linguaggio comune dei Saperi invocato da Simmel. Una questione nasceva anche alla luce delle inevitabili guerre. Le Democrazie e Regimi autoritari, crescevano all'ombra delle malinconie conservatrici perdenti e il fatto che storici ed economisti erano influenzati dalla Sociologia. Spengler, Wittgenstein, Heidegger, delusi dall'idea di Progresso, nei rispettivi saperi del linguaggio, della Filosofia e della Storia, non mancavano di accogliere la teoria del salto di qualità, ma credevano in un salto all'indietro, ragionando da laici per una Filosofia della Storia senza scopo e con un caos cognitivo sul come fare Storia.
Finalmente, proprio alla fine della Grande Guerra, una mano d'aiuto di fronte alle contrapposizioni culturali fra storici neohegeliani e sociologi imbevuti di meccanizzazione, venne da Weber. Lasciata la palla allo storico classico per la individuazione del fatto sociale - per esempio, l'etica protestante e lo sviluppo del Capitalismo - occorreva verificare con dati alla mano il condizionamento sociale. E quindi passare dal passato al presente per fotografare lo spirito capitalista in armonia all'etica protestante. Un prospettivismo globale dall'Europa al Nuovo Mondo.
Del pari Pareto, partendo dalla religione del Progresso e dalla irrazionalità dell'azione umana - e qui riemergono Pirandello e Svevo, nonché le tendenze artistiche futuriste e surrealiste - scovava con dati precisi i buchi dell'economia marginalista, che aveva esaltato le varie crisi economiche, anche prima del '29, proprio perché fondate sui gusti del Consumatore. La crisi delle democrazie liberali e la necessità di un Potere delle èlites, imponevano lo Stato autoritario come l'unica sanatoria che il filantropismo umanitario dei diritti civili non pareva più offrire. L’ideologia conservatrice e il ritorno al passato moralista riemergevano nel'900 disilluso. I dati alla mano comunque sembravano offrire un miglioramento dell'Uomo. Il futuro tecnico non era stato forse un salto nel buio, che la realtà mostrava di fronte al ritorno alle armi dopo appena un ventennio da quello che si diceva fosse l'ultima guerra. Intanto, una piccola schiera di Sociologi e di Storici seguiva una via di compromesso, se non di collaborazione, senza visioni di dominio e di conflittualità.
Nasceva cioè un terreno comune, la c.d.,microsociologia sorella stretta della Storia sociale.
 
7. La Sociologia, amica della Storia. Peter Burke e Norbert Elias, due amici di Marc Bloch
Quando Marc Bloch scrisse il suo principale saggio di storia, Apologia della storia o il mestiere di storico, è il 1940 e per altri due anni combatterà da partigiano e da ufficiale dell'esercito francese durante la c.d. Strana Guerra, che vide la Francia invasa e occupata fra il '39 e d il '44.
Qui non c'è lo spazio per parlarne diffusamente, ma si può dire che quella fu la risposta della Storiografia alla pretesa della Sociologia di avere occupato del terreno dalla prima dopo tanti secoli. Soprattutto, Bloch volle difendere il tema della ragione pratica dell'ufficio di storico nel mondo contemporaneo. Al quesito del figlio che vuol sapere a che serve la Storia e quindi chi fosse lo storiografo. Bloch spiegò che il passato non è il solo terreno arato dal professionista della storia, ma lo è anche del presente, una sua appendice, un suo regno, una traccia sottesa del passato stesso. Che lo storico inoltre deve partire comunque dal presente perché in esso vi sono utili tracce di quello che è avvenuto e forse anche anticipi di ciò che avverrà, proprio per evitare di ripetere errori, tanto più che un eterno ritorno del passato, anche se non in forma eguale, è facile che si ritrovi.
Dunque il recupero della memoria collettiva e che dunque abbisogna di una visione interdisciplinare fra tutte le Scienze Sociali, prima fra tutte la Sociologia. Era il contesto politico e sociologico che andava quindi curato ogni particolare che interessi la figura dell'Uomo in contesti geofisici e naturalmente la Letteratura, ma anche la minima traccia fisica e perfino spirituale, fonti che rimettevano in gioco quella Metafisica cacciata via dagli illuministi. Ma non come fine, quanto come sovrastruttura che rende sensibile le masse e le orienta verso obiettivi e realtà che caratterizzarono epoche passate.
La tanto deprecata storicizzazione di un evento - per esempio, la condanna a morte di eretici per idee oggi più che tollerate - può essere nel presente riproposta in forma di dissenso che preclude carriere o peggio isoli il dissenziente, a danno del bene comune. Per cui è indispensabile l'aiuto della analisi sociologica per proteggere chi può ricadere nella situazione passata pure nel presente. E qui entra in gioco la Sociologia. Un attuale sociologo che può essere definito Storico, Peter Burke, di recente ha trattato dell'ignoranza attraverso i secoli.
Motore della conoscenza come limite dei costumi sociali? Oppure frutto di paure che hanno rallentato la crescita della Scienza? Valori da perseguire per limitare la conoscenza, come era avvenuto nel Rinascimento da parte dell'Inquisizione cattolica? Ma cos'è l'ignoranza, da Socrate a Galileo? È paura o inerzia, oppure buona fede nella credenza di un limite naturale immodificabile? Non è forse la causa di quel salto all'indietro che Heidegger ipotizzava nel momento in cui lo Spirito perdeva punti a favore della Tecnica, facendo spesso fare alle Scienze naturali e alle Scienze Sociali tremende retrocessioni, che già Vico aveva predetto? Burke ci dice che tutta la storia del Sapere è anche storia dell'Ignoranza, spesso in rapporto dello sviluppo dell'istruzione. E qui subentra, l'ausilio della Sociologia come metodo della ricerca sociale.
Torniamo al 400 e al 500, secoli amati anche dal sociologo Norbert Elias, che sottolinea la necessità di ritornare all'Uomo di quei secoli, uscito dal buio del Medioevo, dove l'ignoranza dell'araldica e delle regole cavalleresche era più importante delle conoscenze mediche. E poi l'ignoranza femminile era addirittura un elemento essenziale per la Chiesa conservatrice, che in tal modo spregiudicato tenne per secoli il monopolio interpretativo dei libri sacri e addirittura favorì il Potere laico, sia con la donazione di Costantino sia con il mito del Progresso; e illuse le masse Sovietiche, che per decenni credettero nei Piani Quinquennali e nella burocrazia asfissiante quali armi difensive della società Socialista per raggiungere il Comunismo.
Sia come sia, storici contemporanei e sociologi attuali concordano sull’egemonia analogica della Storia per il collaudato metodo teoretico della prima rispetto alla sistematica empiricità della prima. Anzi, la scuola di Weber, rispettosa di codesta primazia, fa della Storia la madre di tutte le scienze sociali perché fatta dall'Uomo e rivolta solo all'Uomo. Paul Veyn (Come si scrive la storia, Laterza, 1973), prende il caso del fenomeno delle Migrazioni e addirittura cita le riflessioni del cattolico Maritain (Il contadino della Garonna, un vecchio laico si interroga sul mondo presente, 1966) che nel secondo dopoguerra diede importanza alla Filosofia come Scienza e individuò nel migrare dalla campagna alla città la fonte dello spaesamento laico nella società contemporanea, salvo un ritorno alla demitizzazione della Scienza e una rinascita delle Lettere come antidoto all'indifferentismo secolare.
In tale contesto, Veyn nota una carenza del presente, vale a dire la mancanza di memoria del passato, dovuta ai condizionamenti scientisti che la realtà cittadina imponeva agli immigrati dalle realtà rurali. Di qui la necessità di un ausilio - si badi: non la sostituzione! - di un'indagine qualitativa delle realtà cittadine abbandonate e una successiva analisi quantitativa, cioè il metodo statistico sociologico di massa. Operazione che non dovrebbe mai appiattire le varie realtà, né amplificare il dato obiettivo senza verificare il contesto da cui il migrante arriva e quello dove è arrivato. Un confronto che illustra con plastica evidenza il concorso di azione dello Storico con il Sociologo.
Del resto, uno dei maggiori storici italiani, Giuseppe Galasso, suggeriva alla storiografia rurale di cancellare nelle loro critiche ogni presupposto ideologico, come fecero Dilthey, Huizinga e Toynbee, l'uno per il Medio Evo e gli altri per l'età moderna. Paradossale d'altro canto appare la posizione di un Padre della Sociologia, Vilfredo Pareto, grande teorico della politica elitista, che in modo ambivalente credeva nel governo di pochi per Governare le masse, dalle quali però pretendeva di individuare regole di vita sociale per tutti. Se l'osservatore dei fenomeni attuali - per esempio, la condizione operaia studiata dal compianto Domenico De Masi - non può fa a meno della storia del movimento operaio - non si può prescindere dalle notazioni di uno storico dell'economia come Carlo M. Cipolla. È anche vero che i condizionamenti attuali possono spiegare le origini del movimento operaio e dell'industria delle origini, dove il passato avrebbe allora un ruolo primario quanto la realtà presente.
Occorrerà riattivare la circolarità, o meglio la biunivocità paritaria fra le due scienze del Sapere. Come da Vico in poi, l'Uomo è il terreno comune dove devono pascolare le due scienze del Sapere e dalle due Scienze programmare il futuro, come pensa di fare il citata Zygmunt Bauman. Ma questa è un’altra storia.
 
 
Bibliografia
·                Oltre alle fonti citate nel testo vd. FRANCO FERRAROTTI, Il pensiero sociologico da Auguste Comte a Max Horkheimer, Mondadori, 1974 e Storia e storie di vita, Laterza, Bari,1981.
·                G. DUNCAN MITCHELL, Storia della sociologia moderna, Mondadori, 1973.
·                GUY PERRIN, La sociologia di Pareto, Il saggiatore, 1971. Più di recente vd. WOLF LEPENIES, Ascesa e declino degli intellettuali in Europa, Laterza, Bari, 1998.
·                Per la storiografia tedesca, HANS KOLN, I tedeschi, edizioni di comunità, 1963.
·                CARLO M. CIPOLLA, vd. Introduzione alla storia economica, Bologna, 2003.
·                Su Giuseppe Galasso, cfr. EDOARDO TORTAROLO, Giuseppe Galasso, Viella, Milano, 2022.
·                Per la sociologia del lavoro, cfr. DOENICO DE MASI, vd. Smart working la rivoluzione del lavoro intelligente, Marsilio, 2020.
·               Quanto alla società liquida attuale secondo Bauman, vd. dello Stesso, Retrotopia, Laterza, Bari. 2022.

Nessun commento:

Posta un commento