Dante Gabriel Rossetti, Venus Verticordia |
Venerdì sera gli allievi della scuola dovevano fare l’ultima prova dell’esame. Sabato 30 dovevano recitare davanti alla commissione giudicatrice. Ma anche la recita del 29 era pubblica: intendevo andarci, se Ifigenia mi avesse invitato.
Dopo la scuola, la incontrai in via Montegrappa quasi per caso: voglio dire che non sembrava esserci venuta appositamente per vedermi, sebbene la strada fosse molto vicina al nostro liceo. Era nervosa assai e di poche parole. Disse che dovevo stare in casa dalle cinque, poiché avrebbe potuto telefonarmi. In ogni caso alle nove e mezzo cominciava la recita di prova. Non capii se dovevo andarci comunque, o se lei, eventualmente, mi avrebbe chiamato. Fatto sta che non arrivò alcuna telefonata, ed io ne ebbi l'angoscia.
Alle nove ero incerto se andare a vederla. Telefonai a casa sua. Il fratello era già uscito, diretto al teatro; la madre aggiunse che Ifigenia sicuramente si aspettava che ci andassi anche io. Il giorno dopo, pure loro ci sarebbero stati.
Arrivai che avevano iniziato da poco. Nella bottega del Mago, Marianne indossava un abito nero; sul Danubio, un costume da bagno a righe, lungo fino a metà coscia; durante la pantomima tragica e lasciva dello Zeppelin, una calzamaglia; nell'ultimo atto, di nuovo l'abito nero. All'inizio Ifigenia recitava la parte della ragaazza in conflitto con il padre autoritario e cretino, poco convinta del fidanzato noioso, nauseata dall'ambiente dei bottegai e dei loro clienti. Poi c'è la scena della seduzione sul Danubio morbido come il velluto.
Ifigenia guardava Felice, il corteggiatore bellimbusto, con intensità. Sembrava osservarlo con un'oblazione del cuore e di tutte le membra. Quello sguardo mi fece paura. Era pieno di sesso. Fissava il suo partner con la forza del desiderio che, sommata alla sua rara avvenenza e all'indumento scelto per mettere in pieno rilievo le forme del bellissimo corpo dedalico, diventava una grande potenza con la quale avrebbe potuto portarsi a letto qualsiasi uomo le fosse piaciuto. Questo pensavo tremando. Poi Ifigenia doveva mimare lo Zeppelin con la calzamaglia trasparente. Le si vedeva benissimo il petto. Sebbene una sua compagna di scena, più pudicamente, avesse tenuto il reggiseno, l'esibizione della mia donna non mi diede fastidio o dolore. Era giustificata professionalmente ed esteticamente.
Il suo splendore corporeo era al culmine: Non faceva peccato lei a lasciarsi ammirare lì sulla scena. Offriva alla luce e al ricordo degli uomini un bene raro, seppure effimero più di una scoscesa vita mortale: l'ultima volta che l'ho vista nuda, solo due anni più tardi, la sua carne non era più tanto compatta quanto la sera in cui si esibì in quella prova, o quanto il pomeriggio remoto nel quale, entrata per la prima volta in camera mia, si tolse i vestiti sorridendo felice, e sembrò il sole stesso che esce da nuvole e brume in una mattina di primavera. Adesso sei morta, creatura, ma qui dentro tu vivrai eternamente radiosa come sei stata nella tua vita mortale per un tempo pur- troppo breve e già molto lontano.
Raggiungesti il culmine nel giugno remoto del 1979 quando mi regalasti All'ombra delle fanciulle in fiore , con questa dedica:
"Io sono Albertine e tu Marcel Proust, perché lei è una ragazzina e lui un uomo adulto, ma il nostro amore non è come il loro, angosciato, ma più libero, meno inquieto, veramente sentito, sincero e profondo; per questo io alla fine non morirò e nemmeno tu perché noi diversi non ci lasceremo uccidere.
Ifigenia (la fanciulla in fiore)."
Non è andata proprio così.
giovanni ghiselli
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