Procedo con il commento del recentissimo libro di Remo Bodei
Immaginare altre vite
Realtà, progetti, desideri.
Feltrinelli, Milano, 2013
Inserirò
questo percorso in una delle lezioni che terrò per l’Università Primo Levi di
Bologna tutti i sabati dal primo
marzo al 7 aprile 2014
Paragrafo Obbedienza e
morte (pp. 121-123).
“Il culto degli eroi diventa infine di massa con la Grande
guerra” (p. 121).
Questo è vero, ed è pure vero che un eroismo collettivo
viene riconosciuto già da Simonide anche agli Spartani caduti alle Termopili
nel 480 a. C. e da Pericle ai morti nel primo anno della guerra del Peloponneso
nel logos epitafios che leggiamo nelle Storie di Tucidide.
Leggiamo intanto
l'encomio di Leonida e dei suoi opliti morti per ritardare l'avanzata di
Serse (fr.5 D.):
"dei morti alle Termopili
gloriosa è la sorte, bello il destino,
un altare è il sepolcro (bwmo;~
d j o tavfo~[1]),
e invece dei lamenti c'è il ricordo, e il compianto un encomio (oi\kto~ e[paino~)/
Un sudario del genere né ruggine
né il tempo che tutto doma (oJ
pandamavtwr crovno~[2])
oscurerà.
Questo recinto sacro di uomini prodi si prese
come custode la gloria dell'Ellade: lo testimonia anche
Leonida/
re di Sparta che ha lasciato un grande ornamento
di valore, e fama perenne.
Tucidide echeggia questo encomio nel logos epitafios
attribuito a Pericle per i caduti (II, 43):"ottennero un elogio che non
invecchia e pure la tomba più insigne, non quella dove giacciono, ma quella in
cui la loro fama rimane memorabile in ogni occasione che si presenta di parlare
e di agire. Infatti degli uomini illustri la terra intera è sepolcro (ajndrw'n ga;r ejpifanw'n pa'sa gh' tavfo~)".
“Altri eroi sono sorti nel Novecento accanto ai “compagni”[3],
ma in mortale conflitto con loro: i soldati anonimi usciti da questi campi di
battaglia, i camerati, che dal modello militare dell’obbedienza all’autorità
hanno ereditato i valori della rigida disciplina come abitudine, della
gerarchia come fattore di coesione, dell’ordine indiscutibile come necessario
alla rapida e automatica reazione alla situazione di pericolo” (Immaginare altre vite, p. 121).
A proposito “della rigida disciplina”, penso di nuovo agli
Spartani: Plutarco scrive che Licurgo (Vita , 25):" avvezzò i cittadini a non avere né il
desiderio né la capacità di vivere una vita propria (kavt jidivan zh'n), ma, come le api, sempre uniti alla
comunità e raccolti intorno al sovrano, erano quasi liberati dal proprio io,
grazie all'entusiastica ambizione di appartenere tutti soltanto alla patria".
Quindi cito Tirteo, il poeta del valore guerriero degli
Spartani
"
è bello morire (Teqnavmenai ga;r
kalovn) da uomo valoroso cadendo tra i
primi
e combattendo per la propria patria"(fr.
10 W., vv.1-2).
La
vita successiva alla codardia non è desiderabile
"o
giovani, combattete rimanendo saldi gli uni accanto agli altri/
e
non date inizio alla turpe fuga né alla paura,
ma grande e coraggioso rendete il cuore nel
petto
e non dovete amare la vita (mhde; filoyucei't j )
mentre combattete contro i nemici"(vv.15-18).
La
conclusione del frammento è un invito affinché
"ognuno
rimanga dov'è, poggiato su entrambi i piedi
piantato a terra, mordendo le labbra con i
denti"( cei'lo~ ojdou'si dakwvn, vv. 31-32).
“La
guerra, che finisce per essere considerata una condizione naturale
dell’esistenza umana, li trascina al sacrificio in favore del Collettivo, della
Nazione o della Razza, e li spinge a ripudiare gli ideali incarnati dalla
Rivoluzione francese e dalle moderne democrazie” (Immaginare altre vite, p. 121).
Per
il sacrificio in favore del Collettivo e della Razza, per “Dio con noi” si può
pensare ancora una volta a Tirteo
Il
fr. 8 D. contiene alcune altre apostrofi con le quali il poeta si rivolge
direttamente agli opliti rinnovando il ricordo della discendenza da Eracle:"
Siete stirpe di Eracle invitto,
coraggio
(qarsei't j-ou[ pw Zeu;~ aujcevna
loxo;n e[cei), Zeus non ha ancora torto
il collo da voi!" (vv.1-2).
Bodei
quindi ricorda il culto del duce e del suo socio tedesco inculcato nella gente
“da scellerate massime che stravolgono il pensiero kantiano, come “Agisci in
modo che se il Fürher ti vedesse, apprezzerebbe la tua azione”. L’eguaglianza diventa a sua volta, Gleichshaltung, appiattimento da gregari, affinché Uno solo possa svettare su tutti,
e la fraternità è ristretta alla Kamaradenschaft,
alla razza o alla nazione. Al di sopra di essi sta l’obbedienza cieca e
assoluta nei confonti del Capo, nobilitata dallo slogan “Il mio onore si chiama
fedeltà” (Immaginare altre vite, p.
121).
Se
vogliamo indicare un prototipo di eroe dei Germani nella storiografia antica,
si può pensare ad Arminio
Vediamo un esempio di “obiettività epica” di Tacito nell'elogio funebre dell'eroe della libertà dei
Germani, Arminio: "Septem et triginta annos vitae, duodecim[4]
potentiae explevit, caniturque adhuc barbaras apud gentis[5],
Graecorum annalibus ignotus, qui sua
tantum mirantur, Romanis haud perinde celebris, dum vetera extollimus recentium
incuriosi " (Annales , II, 88), visse trentasette anni, dodici
di potenza, riceve ancora gloria nei canti dei barbari, ignoto alle storie dei
Greci, che ammirano solo le proprie imprese, non abbastanza celebrato da noi che esaltiamo il passato
mentre non ci curiamo del presente.
B. Croce
nota, non senza biasimo, che le celebrazioni di Arminio, con quelle di altri
eroi nazionali nella Germania portata all'unità dal Bismarck, erano ripetute
con enfasi e cattivo gusto : "allora molti, in ogni parte del mondo, si
addolorarono, non già per l'unione statale raggiunta dal probo e laborioso
popolo tedesco, ma pel modo in cui l'aveva raggiunta e per l'effetto che
portava con sé di un rinvigorito spirito autoritario; e risentirono nell'anima
loro l'urto della strapotenza che schiacciava la Francia; e non poterono
accompagnare di simpatia il giubilo, che pareva duplicemente fratricida, del
popolo tedesco, e le contorsioni e le
gonfiature dei suoi letterati e storici, celebranti Arminio e Alarico e gli
Ottoni e Barbarossa, le quali offendevano insieme il senso umano e il
buon gusto. Ma, nei più, l'ammirazione plaudente, che segue la buona fortuna,
prevalse, e, con l'ammirazione, la spinta imitatrice; e, se fin dalla guerra
del '66 si era preso a studiare come modello l'ordinamento militare prussiano,
e altresì l'ordinamento scolastico (al quale si soleva attribuire gran parte
della vittoria degli eserciti, onde si disse che a Sadowa aveva vinto il
maestro di scuola prussiano), ora l'ammirazione si estendeva alle altre parti
della vita tedesca e alle disposizioni stesse della mente e dell'animo"[6].
Più avanti B. Croce ricorda come
un'incongruenza il fatto che alla fine dell'Ottocento si dimenticò di celebrare
la ricorrenza cinquantenaria del parlamento di Francoforte "in un paese
che pur non aveva omesso di erigere un
gran monumento ad Arminio nella selva Teutoburga"[7].
Se si pensa al monumento di
Leonida alle Termopili si può dire che Arminio fu il Leonida dei Germani.
Sentiamo
anche Mazzarino su Arminio:"l'opera del principe dei Cheruschi Arminio ha
potuto quasi assumere l'aspetto di una "guerra d'indipendenza" : Arminio
appare a Tacito come liberator haut dubie Germaniae[8].
Tutt’altro
personaggio dall’eroe nazionale Arminio fu certamente il tanghero apocalittico
che provocò la seconda Guerra Mondiale.
Eppure
anche costui, “l’imbianchino” di Brecht fu un “capo carismatico[9],
cui viene attribuito, sul piano politico, quel carattere “sublime” che Burke e
Kant avevano assegnato alla natura, la quale ci umilia con la sua smisurata
grandezza e può distruggerci con la sua immane potenza, ma nei cui confronti
l’uomo può esprimere la sua superiorità in quanto pascaliana “canna che pensa”.
(Immaginare altre vite, p. 122).
Il
capo carismatico è non solo “capace di
calamitare rispetto e amore nello stesso tempo, di dare morte e vita, di far
avvertire distanza e prossimità”. E’ pure
in grado di indurre i propri adoratori alla rinuncia e al rifiuto di ogni forma
di autonomia. Si può pensare al Dioniso di Euripide e alle sue Baccanti. Il capo diviene un modello, sia pure mai del
tutto raggiungibile: “dalla religiosa imitatio
Christi si passa alla laica imitatio
ducis” (Immaginare altre vite, p.
122)
Gli
adoratori tendono a identificarsi con il capo, a innalzarsi fino a una vetta
poco al di sotto della sua, “sino a giungere a un punto di osservazione dal
quale i valori democratici di libertà e di uguaglianza non possono che
apparirgli grigi, dimessi, prosaici, meschini, privi di eroica verticalità”.
Il
capo a sua volta fomenta questo desiderio del sublime “attraverso la continua
creazione propagandistica dei miti” (Immaginare
altre vite, p. 123).
La
contropropaganda tende viceversa alla smitizzazione.
Ricorro
ancora alle Baccanti di Euripide: nel
prologo Dioniso lamenta il fatto che le sorelle di sua madre Semele l’unione di
lei con Zeus.
“E prima Tebe di questa terra Greca
ho fatto risuonare delle mie grida, dopo avere messo la
nebride sopra la pelle/
e dato in mano il tirso, giavellotto d'edera;
poiché le sorelle di mia madre, quelle che meno di tutti
dovevano,
andavano dicendo che Dioniso non è nato da Zeus,
e che Semele sedotta da un mortale qualsiasi
faceva risalire a Zeus il fallo del letto,
ingegnosa trovata di Cadmo, per cui, ripetevano con aria di
vanto 30
che Zeus l'aveva uccisa perché aveva mentito le nozze ( vv.
23-31).
I miti diffusi dalla propaganda e accolti dal popolo indirizzano
le energie”alla restaurazione di un presunto ordine naturale o storico violato:
al primato della razza ariana, al ritorno dell’impero romano, alla salvezza
della Nazione o dell’Occidente intero dal tramonto” (Immaginare altre vite, p. 123).
Vengono ammessi e , anzi, considerati “mezzi necessari a una
missione redentrice” sentimenti negativi e distruttivi come “l’odio, il
desiderio di vendetta, e perfino la crudeltà”.
Si può pensare a 1984
di Orwell con l’adorazione del capo e i minuti dedicati all’odio.
“Si cancella così quella separazione tra pubblico e privato
che neppure Hobbes aveva avuto l’ardire di eliminare nel Leviatano, dove, infatti, ammetteva che i cittadini potessero
privatamente non credere ai dogmi della religione o a ciò che si deve
pubblicamente approvare in quanto decretato dal sovrano[10]”
.
Corruptio optimi
pessima (pp. 123-124)
Bodei considera “gli esiti più disumani della politica del
Novecento” imputabili ai regimi di
Hitler e di Stalin.
“Da un lato, il modello nazionalsocialista, dall’altro quello comunista-staliniano hanno preteso di
modificare radicalmente e con la violenza la mente, il cuore e talvolta, con
l’eugenetica, perfino il corpo di centinaia di milioni di uomini”. Da molto tempo
è più chiara la condanna nei confronti del nazionalsocialismo. Più problematico
è l’anatema del comunismo realizzato male nell’Unione Sovietica. Questo sistema
infatti partiva da ideali di uguaglianza e giustizia e “ha mantenuto viva per
innumerevoli uomini la fiamma” di tali idèe.
Bodei si chiede come è potuta avvenire “una simile
degenerazione degli ideali e dei progetti di redenzione collettiva proclamati”.
Quindi passa in rassegna le enormi difficoltà iniziali del
regime sovietico, delle quali bisogna tenere conto nel dare un giudizio, eppure
trova che è molto difficile accettare “i costi intollerabili” richiesti dalla
volontà di raggiungere un fine aleatorio creando l’uomo nuovo e cambiando il
corso della storia. L’autore si chiede se sia vero il principio espresso dalla
sentenza corruptio optimi pessima o
non valga la spiegazione che quelle idèe hanno usurpato il nome della giustizia
coprendo con questo titolo luminoso “la ferocia prevaricatrice, l’ottusa
pretesa di avere sempre assolutamente ragione, lo spietato desiderio di
trasformare la realtà secondo astratti modelli ideologici” (p. 124).
Insomma: ubi
solitudinem faciunt, iustitiam appellant.
Quindi Bodei si chiede se il male sia una peste attribuibile
al destino o una colpa imputabile agli uomini.
Mi viene in mente il mivasma
che contamina Tebe nell’ Edipo re di
Sofocle. Il protagonista scoprirà di
essere lui stesso l’empio contaminatore, eppure rivendicherà la propria
innocenza in quanto mentre faceva del male, non sapeva di farlo. E in ogni caso
si punisce con le proprie mani, cavandosi gli occhi.
Dice bene Bodei che c’è un lato oscuro nella storia e nella
psicologia umana. Un lato che si può, si deve contrastare “mettendo in gioco la
propria libertà e la propria vita (come non pochi hanno fatto durante tutta la
storia umana), senza cercare comodi alibi nella forza del destino (p. 124)
L’ultimo paragrafo del capitolo Uomini infami, si intitola Eroi
di vita (pp. 125-126).
Negli ultimi decenni è cambiato il modo di fare la guerra e
sono cambiati gli eroi.
“La guerra è diventata la negazione della politica (…)
Inoltre, con il passaggio agli eserciti di professione, la borghesia non
rischia più i propri figli, ma quelli degli altri ceti più disastrati e
costretti per necessità a una leva ‘volontaria’”[11].
“Di conseguenza, anche la figura dell’eroe è oggi
profondamente mutata” (Immaginare altre
vite, p. 125)
Se vogliamo risalire all’antichità una mutazione della
figura dell’eroe è profonda anche nel passaggio da Achille dell’Iliade all’irresoluto Giasone delle Argonautiche di Apollonio Rodio, se non
addirittura dal Pelide dell’Iliade a
quello dell’Odissea che da morto
rimpiange la propria vita al punto che sarebbe disposto a fare il bracciante al
servizio di un uomo povero, pur di essere vivo[12]
Rimane comunque il bisogno di eroi. Oggi però ce n’è
un’inflazione: “il grande bisogno di eroi, di simboli da cui trarre ispirazione
ed esempio, viene soddisfatto da esibizionisti egocentrici e da perfetti
sconosciuti che non hanno fatto nulla per il bene degli altri e che non hanno
nulla da dire o da insegnare, ma che dominano ogni canale di informazione
accessibile”[13].
Vediamo dunque quali sono gli eroi di oggi: “Si usa dire che
ogni tempo ha gli eroi che si merita. Nel senso che costruisce le icone nelle
quali identificarsi. E oggi, le icone non sono quasi mai eroi della libertà. I
magazine, i film, le fiction televisive, I cartoon segnalano eroi del
corpo-forza, bellezza, e dunque giovinezza-e poi dell’ascesa sociale, segnalano
ricchezza, potere, capacità di godimento. L’eccezionalità dell’eroe si trasferisce
sulla dismisura con cui questi personaggi possiedono e sfoggiano queste
qualità, tutte direttamente o indirettamente legate al corpo vivente, alla vita
e al benessere. Esibizione di bellezza, forza, vitalità lipidica, godimento,
potenza economica, arroganza e strapotere politico: quasi mai frutto di uno
scontro visibile, di una lotta, piuttosto possesso casuale e destinale,
coincidenza fortunosa con quello che appare l’obiettivo più ambito da tutti”[14].
Gli eroi contemporanei individuati da queste parole del
libro di Bodei sembrano epigoni di Creso e diadochi di Trimalchione, personaggi
straricchi, smisurati e pacchiani, il primo indicato quale contromodello da
Erodoto e da Plutarco che lo mettono a confronto con Solone, il paradigma
positivo, il secondo raffigurato da Petronio come personaggio triviale, comico
e nello stesso tempo patetico per le sue
risibili esibizioni culturali fatte di sfondoni sesquipedali.
Sentiamone uno sfoggio di cultura letteraria
indirizzato dal padrone di casa
all'ospite colto, al retore Agamennone: "ego autem si causas non ago, in domusionem tamen litteras didici. et ne
me putes studia fastiditum, tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram
Latinam. dic ergo[15],
si me amas, peristasim declamationis tuae". Cum
dixisset Agamemnon:"pauper et dives inimici erant", ait
Trimalchio:"quid est pauper?" "Urbane" inquit Agamemnon, et
nescio quam controversiam exposuit Statim
Trimalchio: "hoc" inquit "si factum est, controversia non est;
si factum non est, nihil est". Haec aliaque cum effusissimis prosequeremur
laudationibus: "rogo" inquit "Agamemnon mihi carissime, numquid
duodecim aerumnas Herculis tenes, aut de Ulixe fabulam, quemadmodum illi
Cyclops pollicem poricino extorsit? solebam haec puer apud Homerum legere. nam
Sybillam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi
pueri dicerent: "Sivbulla
tiv qevlei" ;"
respondebat illa: jApoqanei'n
qevlw" (48, 8), io anche se non tratto
cause, tuttavia ho studiato le lettere per uso della casa. E perché tu non
pensi che sia schifato degli studi, ho tre biblioteche, una greca, l'altra
latina. Dimmi allora, per piacere, il tema della tua declamazione'. Avendo
detto Agamennone:' un povero e un ricco erano nemici', Timalchione fece:' che
cosa è un povero?' 'Bravo' disse Agamennone ed espose non so quale
controversia. E subito Trimalchione: 'questo' disse se è un fatto, non è una
controversia; se non è un fatto, non è niente'. Mentre accompagnavamo con
sperticatissimi elogi queste e altre battute:' ti prego' fece 'Agamennone mio
carissimo, ti ricordi le dodici fatiche di Ercole, o la storia di Ulisse, come
il Ciclope gli storse il pollice con la tenaglia? Io ero solito da ragazzo
leggere questo e altro in Omero. Infatti la Sibilla di sicuro a Cuma l'ho vista
io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i
fanciulli:'Sibilla, cosa vuoi?' rispondeva lei.'morire voglio'.
Ma torniamo al
libro di Bodei: “Per i bambini e gli adolescenti (ma non solo) i grandi eroi
sono ormai quelli immaginari del cinema o dei videogiochi: Superman, Uomo
Ragno, Capitan America, esseri dotati di poteri straordinari e sempre in lotta
con i nemici malvagi” (Immaginare altre
vite, p. 126).
Anche Odisseo è
un uomo straordinario che deve superare una lunga serie di prove contro mostri
più o meno malvagi, ma la sua straordinarietà è l’intelligenza che lo fa
prevalere su forze corporee superiori di gran lunga alla sua. Odisseo infatti
somaticamente non è grande né bello.
Nell'Iliade si trova
qualche indicazione sull'aspetto fisico di Odisseo.
Nel terzo canto Priamo chiede a Elena di identificare i capi
dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte Scee; uno gli parve più piccolo della testa di
Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi[16].
La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto di ogni
sorta di inganni e di fitti pensieri (v. 202). Quindi Antenore aggiunge che
anche lui l’aveva vista una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando
i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando stavano in piedi,
Menelao lo sovrastava delle larghe spalle[17]
Ulisse dunque, levatosi in piedi, se stava zitto, sembrava
un uomo ignorante o addirittura uno furente e pazzo, ma, quando parlava, dal
petto mandava fuori parole simili a fiocchi di neve d'inverno (v. 222), e allora non si provava più meraviglia per
l'aspetto.
Ovidio ricorda che
Ulisse non era bello (non formosus erat),
ma sapeva parlare (sed erat facundus
Ulixes) e, pur non essendo un Adone, fece torcere d’amore le dee
dell’acqua, Circe e Calipso. et tamen
aequoreas torsit amore deas "[18]
.
[1]
Leopardi che traduce letteralmente queste parole
con "la vostra tomba è
un'ara" (All'Italia , v.125).
[2]
Nella prima scena di Love’s Labour’ s
lost (del 1595) Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il
cormorano che ci divora. In Pericle,
principe di Tiro (1608) “Time ‘s the king of men;/He’s both their parent and he
is their grave,/And gives them what he will, not what they crave” (II, 3), il Tempo
è il re degli uomini, è insieme il loro padre e la loro tomba, e dà loro ciò
che vuole, non quello che essi desiderano.
[3]
Penso per esempio a uno dei “nostri” canti del ’68: “Morti di Reggio Emilia,
uscite dalla fossa, fuori a cantar con noi Bandiera rossa!” ndr.
[4] Dal 9 al 21 d. C.
[5] = gentes . Nel III capitolo della Germania
Tacito descrive due tipi di carmina guerreschi
[6] Storia d'Europa nel secolo decimonono, p. 223.
La prima edizione è del 1932.
[7] B.Croce, op. cit. p. 240.
[8] S. Mazzarino, L'impero romano, 1, p. 140.
[9] Fra i tanti, un esempio significativo di questa
intima compenetrazione tra i gregari e la Guida in quanto accomunati
dall’erpismo si può trovare nella cartolina postale con francobolli che
rappresentano Hitler , nel 1937, in occasione del suo compleanno, su cui è
stampata la dicitura Wer ein Volk retten
will, kann nur heroisch denken: “Chi vuole salvare un popolo, deve pensare
solo in maniera eroica” (riprodotta in F. V. Grunfeld, The Hitler File, Book Club Association-Weidelfed & Nicholson,
London 1974, tr. It. Il caso Hitler, Storia
sociale della Germania e del nazismo 1918/1945, Bompiani, Milano, 1975, p.
243)
[10] Carl Schmitt in Der Leviathan in der Staatlehre des Thomas
Hobbes (conferenza di Kiel del 1938), tr. It. Sul Leviatano, il Mulino, Bologna 2011, p. 93, riconosce che la
malattia mortale dello Stato-Leviatano di Hobbes è consistita nell’ammettere
che privatamente (dato che il pensiero è libero) sia lecito non credere a
quanto si deve pubblicamente approvare in base alla volontà del sovrano. In
questo modo, infatti, Hobbes rafforza quel razionalismo individualistico che
sta alla base della sua teoria del contratto, aprendo la strada al liberalismo.
[11] F. Mini, Eroi
della guerra. Storie di uomini d’arme e di valore, cit., pp. 17-19 (fanno eccezione parte degli
ufficiali che seguono i valori di una tradizione familiare o di una
appartenenza ideologica). Cfr. anche Id., Soldati,
Einaudi, Torino 2008, e J. J. Sheenan, Where
Have All the Soldiers Gone? The Transformation of Modern Europe, Houghton
Mifflin, Boston 2008, tr. it. L’età post-eroica. Guerra e pace nell’Europa
contemporanea, Laterza, Roma-Bari
2009, p. 165.
[12]
Achille nella Nevkuia dice al figlio
di Laerte " non consolarmi della morte, splendido Odisseo./Io preferirei
essendo un uomo che vive sulla terra servire un altro,/presso un uomo povero,
che non avesse molti mezzi per vivere,/piuttosto che regnare su tutti i morti
consunti"(Odissea , XI,
488-491).
[13] F. Mini, Eroi
della guerra. Storie di uomini d’arme e di valore, cit., pp. 165-166
[14] L. Bazzicalupo, Eroi
della libertà. Storie di rivolta contro il potere, il Mulino, Bologna 2011,
p. 105. Una riflessione sul fallimento dell’eroe letterario si trova in G. Ferroni,
Dopo la fine; Einaudi, Torino, 1966.
[15] "Ergo al secondo posto, dopo il verbo
principale, è un modo prediletto da Petronio per presentare la nuova azione
come conseguenza immediata, e logicamente inevitabile, del fatto
precedente" (M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 122).
[16] meivwn me;n kefalh'/
jAgamevmnono" jAtreΐdao,/ eujruvtero" d& w[moisin
ijde; stevrnoisin ijdevsqai (vv. 193-194),
[18] S. Kierkegaard, Diario
del seduttore , p. 75. La citazione è tratta da Ovidio, Ars Amatoria , II, 123-124. .
,Anch'io ho sofferto molto per la caduta dei regimi comunisti, ma non perdo la speranza in un mondo più giusto,,,ho perso la fede nella cultura di massa e credo nella selezione e in futuro migliore.Non credo negli eroi ,ma nei popoli e nella libertà. Temo la lotta armata che cova sotto l'apparenza di un popolo rimbecillito dalla televisione ,non vedo altra via di uscita. E cosa dirò a mio figlio se oggi racconto di Ulisse e di Achille e di Ettore e tremo di farne un sovversivo politico. Cosa dirò ai miei allievi quando mi chiederanno cosa devono fare per difendere giustizia ed uguaglianza e io non so dire bugie. Il lato oscuro è oggi. Dopo la notte viene sempre un altro giorno...un giorno nuovo. Ciao. Giovanna
RispondiEliminaHo visto il film doloroso in due puntate su rai 3 che affronta il tema della seconda guerra mondiale vissuta dalla parte di un gruppo di giovani amici tedeschi e mi è tornato alla mente questo libro dove il concetto di eroismo è così ben espresso,grazie per avermelo fatto conoscere. Gio
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