La visita di
due vecchi compagni di
Debrecen e la rievocazione dell'Ungheria
di maniera. La
decisione di non regredire.
Il 24 aprile,
all'uscita da scuola, trovai Alfredo e Fausto, due vecchi compagni di Debrecen [1].
Andammo a desinare insieme. Li osservavo scherzare, li ascoltavo fare progetti
sulla prossima vacanza magiara, partecipavo con simpatia alle rievocazioni di episodi
significativi delle tante ferie estive
passate insieme, sentivo anche un poco di nostalgia delle avventure erotiche,
degli amori mensili con le Finlandesi, dell'Aranybika, dell'Egribikavér, o
sangue di toro di Eger, del tram numero Uno, del grande bosco dalle querce
profetiche, del laghetto con le ninfee, le rane canore e il ponte di legno,
dell'orto botanico dagli alberi strani, dello stadio dove tante volte avevo
spremuto le forze, in allenamento e pure in gara davanti agli occhi delle mie
belle; rimpiangevo la csárda di Hortobágy dove i cembali e i violini degli
zigani suonavano le danze ungheresi di Brahms mentre sul ponte a nove arcate
scendeva la sera già densa di presagi autunnali.
Questa Ungheria
di maniera, anche un poco falsa, che però a me non dispiace [2]
, destava risonanze dolci, echi pieni di affetti, rimembranze care e desideri
antichi, eppure, a quel punto, la mia vita aveva preso una strada diversa dalla
vecchia via non malagevole passata tante volte per Debrecen: oramai mi ero avviato
sull'erto e arto [3] cammino
in salita dell'impegno serio nello studiare e nell'educare i giovani. Non avevo
più tempo da dissipare in scherzi anche stupidi, in bevute coribantiche , in
amori a perdere, come le tante bottiglie scolate dall’amico Danilo. Dovevo fare
qualche cosa di grande, di egregio, per scuotere gli adolescenti dall'indifferenza
morale e dall'ignoranza nella quale li stava gettando il regime degli
speculatori che pagavano governanti ladri, ignari di bellezza e cultura. Poi
volevo amare una donna viva, presente, reale, non un'apparizione mensile.
Ancora non disperavo che tale creatura potesse essere Ifigenia stessa. Comunque
gli amori feriali, le femmine umane apparse e sparite come meteore nel cielo sopra la puszta, le donne fantasma, materia di sogni e ricordi
ormai vani, o peggio, di rimpianti e rimorsi, vani pascoli che fanno camminare retrogradi
gli spiriti oziosi e malati, non mi interessavano più. Tornare a Debrecen con
quei due allegri compari in cerca di altre avventure dissipatrici sarebbe stata
regressione e follia. Ma questo pensiero
lo tenni per me.
Giovanni Ghiselli
sono troppo curiosa...aspetto il seguito...siete tornati in Ungheria?Anche la regressione e la follia possono avere un loro senso , non si torna indietro nel tempo,ma solo negli stessi luoghi per dissacrare e superare se stessi, per una catarsi dell'anima . Per rinascere prima bisogna un poco morire. Io non sono mai stata in Ungheria con la valigia del corpo ,ma attraverso i tuoi scritti, Te ne sono grata .Giovanna
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