NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 21 febbraio 2014

La vita politica

Partiamo dall’etimologia: hJ politikhv (tevcnh) o ta; politikav concerne la povli~, la città, lo Stato, e i polivtai i cittadini.
“Tucidide impose l’idea che l’unica storia seria era la storia politica contemporanea; ed Erodoto fu tagliato fuori dalla corrente della storiografia antica. La sua storia non era contemporanea né politica”[1].
Tucidide identifica addirittura la vita del cittadino utile, la vita attiva e produttiva, con la vita politica.
Tanto che  fa dire a Pericle: "movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica.

Nel Protagora di Platone, il sofista racconta che gli uomini
ricevettero da Prometeo la sapienza tecnica di Efesto e Atena insieme al fuoco. L’uomo in questo modo ebbe i mezzi di sussistenza per la vita, ma non la sapienza politica che si trovava presso Zeus dove il Titano non poteva accedere.
Gli uomini, una volta provvisti della tecnica, articolarono voce e parole, scoprirono i prodotti della terra e inventarono abitazioni, vestiti, calzature, coperte. Però vivevano dispersi, privi di città ed erano prede delle fiere. Allora cercarono di riunirsi in città, ma erano associati male: commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Sicché si disperdevano di nuovo e perivano.
Allora Zeus, temendo l'annientamento della stirpe umana, mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città e divenissero vincoli che stringono amicizia: "  JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi te kai; desmoi; filiva~ sunagwgoiv" (322c).
La vita priva di politikh; tevcnh, di arte politica, è dunque addirittura distruttiva per la nostra specie.
Zeus ordinò per giunta a Ermes che rispetto e giustizia venissero dati e imposti a tutti gli uomini, poiché non esisterebbero le città se soltanto poche persone partecipassero di queste “tecniche”, come succede per la medicina o per altre tevcnai note solo agli specialisti. E, concluse il dio supremo, stabilisci in mio nome una legge per cui chi non vuole condividere rispetto e giustizia venga ucciso come morbo della città (wJ~ novson povlew~, 322d).

Nel pieno della democrazia ateniese tutta la vita del polivth~ era politica, e tutta la cultura era politica: la storiografia, il teatro, l’oratoria, la filosofia.
Allora anche lo spettacolo era politico.
Ora invece la pseudo cultura e la pseudopolitica sono spettacolo. Questo ha fagocitato la politica e i politici sono merely players[2].
Nell’antichità la cultura era sganciata dalla politica quando vigevano i regimi tirannici, ossia nel VI secolo al tempo del fiorire della lirica, che può essere più o meno bella, ma è pur sempre alquanto soggettiva; poi di nuovo nel terzo secolo, con la poesia alessandrina che è comunque letteratura di seconda mano, fatta di citazioni, una “vasta forma del ricordo” [3] impiegata per gli intenditori, per mostrare bravura, e per compiacere e omaggiare il despota. Infatti al polivth~ nel frattempo è subentrato il suddito.
A Roma non c’è mai stata una letteratura per il popolo poiché il clientelismo, padre della mafia di oggi, annullava, o almeno inficiava la democrazia.
La vita politica, la letteratura politica, la bellezza politica presuppongono un popolo educato, e l’artista politico ha bisogno della prospettiva di un popolo che lo ascolti. 

Nel Politico, Platone scrive che noi dobbiamo collocare l’uomo politico tra quelli dotati di scienza tw`n ejpisthmovnwn tin j hJmi`n kai; tou`ton qetevon (258b).
Il politico, diversamente dal pastore, non alleva animali, ma si occupa di uomini, ne ha cura. L’arte politica dunque è una ejpimevleia, non una trofhv, un avere cura, non un allevare (276d)
La qreptikh; tevcnh , l’arte dell’allevare, riguarda gli animali e non è arte politica (276c). Arte politica regia è ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~ (276b) avere cura di tutta intera la comunità degli uomini.
Dopo avere distinto la basilikhv e politikh; tevcnh dalla qreptikh; tevcnh, l’arte regia, e politica, dalla pratica dell’allevamento, bisogna procedere ad una seconda divisione: th;n ajnqrwpivnhn ejpimelhtikh;n divca diairwvmeqa tw`/ biaivw/ te kai; eJkousivw/ (276e) dobbiamo distinguere  fra costrizione violenta e libera accettazione.
Bisogna distinguere il potere regio da quello tirannico.
Chiamiamo tirannica la violenza che si esercita tw`n biaivwn, su quelli costretti, mentre è arte politica quella esercitata eJkouvsion kai; eJkousivwn, liberamente su persone consenzienti. Chi possiede questa arte e cura,  noi indichiamo come veramente re e uomo politico (276e).  
Il re dunque è quello che possiede realmente la scienza ed esercita il potere secondo le leggi; il tiranno invece non agisce secondo le leggi, e pratica una contraffazione dell’arte politica con passione e ignoranza (301c)
Tre sono le costituzioni: monarchia, potere di pochi, potere di molti.
La monarchia può essere regia o tirannica, il potere di pochi aristocratico oppure oligarchico, la democrazia è la peggiore se le altre due seguono la legge, invece la migliore se le altre due non seguono la legge. Se i governanti non hanno la scienza politica, non sono uomini politici, ma sediziosi e sovrintendenti di immagini ed essi stessi immagini e grandissimi imitatori e ciarlatani.
Chi parla è lo straniero di Elea, lo stesso del Sofista
Socrate il Giovane aggiunge che questa degenerazione della politica equivale a un dramma, dove si vede sfilare un tiaso di Centauri e di Satiri, uno spettacolo del tutto separato dall’arte politica (303d).
L’Eleate conclude dicendo che la violenza, l’ingiustizia, la ciarlataneria sono ajllovtria kai; ta; mh; fivla politikh`~ ejpisthvmh~ (303e), estranèe e non amiche della scienza politica. Le sono invece congeneri la strategia (strathgiva) la giurisprudenza ( dikastikhv) e la retorica se persuade alla giustizia. 
Platone nega che la politica, dissociata dalla giustizia sia una tevcnh. Si tratta di una contraffazione, come la cosmesi lo è della ginnastica.
Anche Don Milani pensa che la politica sia prendersi cura degli altri, il contrario del “me ne frego!” fascista.
“Poi insegnando ho imparato molte cose. Per esempio ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”[4]
La  mancanza di vita politica è vuoto culturale, è vuoto di vita umana.

Il Socrate di Senofonte del resto sembra rifiutare la politica, almeno una certa idea di politica.
Nei Memorabili leggiamo che i detrattori del maestro gli addebitavano la mala educazione di Crizia, il più ladro e violento tra tutti gli oligarchi, e di Alcibiade, il più intemperante e tracotante di tutti i democratici. Senofonte obietta che quei due  frequentarono il maestro per diventare esperti nella parola e nell’azione. Una volta raggiunto questo scopo, lo abbandonarono.
 Socrate dava l’esempio della propria vita-bella e buona- ai discepoli e discorreva splendidamente con loro intorno sulla virtù e sulle altre qualità umane (peri; ajreth`~ kai; tw`n a[llwn ajnqrwpivnwn, I, 2, 18).
Questo ultimo termine richiama l’ Apologia di Socrate , uno dei dialoghi composti prima del primo viaggio in Sicilia (387). In questi  scritti giovanili di Platone, Socrate è meno lontano da quello di Senofonte rispetto ai dialoghi successivi.
Il Politico citato sopra, per esempio, fa parte dell’ultimo gruppo, composto dopo il secondo viaggio in Sicilia (del 367).
Nell’Apologia di Socrate dunque, l’anziano maestro si difende dalle accuse dicendo che la sua sapienza è ajnqrwpivnh sofiva (20d) sapienza umana e che fin da fanciullo ha  sentito una voce (fwnhv) che lo distoglie sempre da quello che sta per fare, e non gli permette mai di agire. Ed è proprio questa voce che gli impedisce di occuparsi di affari politici (o[ moi ejnantiou`tai ta; politika; pravttein, 20d). Qui evidentemente gli affari politici sono visti come affari sporchi. Infatti seguono un paio di esempi, di porcherie commesse una dal regime democratico l’altra da quello tirannico. Due occasioni di fare il male dalle quali Socrate rifuggì, una volta come buleuta e pritano, un’altra come maestro di Crizia.
Viene dunque rifiutata la politica quando si associa all’ingiustizia.
Quello che mi sta a cuore (mevlei) più di tutto, afferma Socrate, è non commettere giustizia ed empietà (32 d).
Socrate dunque fece politica discutendo, e dando  l’esempio della propria vita. I detrattori dicevano che pretendeva di educare i giovani alla maniera dei sofisti e che facesse denaro (kai; crhvmata pravttomai, 19e). Anche questa calunnia è confutata (oujde; tou`to ajlhqev~). I sofisti infatti si facevano pagare e insegnavano a far prevalere il torto sulla ragione, mentre Socrate conosceva solo la sapienza umana ed esortava gli ateniesi a occuparsi (ejpimelei`sqai, Apologia di Socrate, 41e) più e prima della virtù che delle ricchezze.
In conclusione la politica è cura ejpimevleia della propria anima prima, poi della povli~ e della società. Una cura che è educazione alla virtù, di cui la giustizia è parte fondamentale
 Le altre parti[5] (mevrh)  sono: ajndreiva ( coraggio), swfrosuvnh (temperanza, moderazione), oJsiovth~ (pietà, devozione), sofiva (sapienza).
Personalmente dò grande importanza  alla cultura e anche alla salute
Concludo con uno sguardo a un particolare del Gorgia, un dialogo del primo periodo.
Polo domanda a Socrate, retoricamente, se si debba considerare felice o no il ricchissimo Grande re di Persia.
Socrate risponde che non lo sa: “ouj ga;r oi\da paideiva~ o{pw~ e[cei kai; dikaiosuvnh~ (470e), infatti non so come stia a cultura e giustizia.
In questo dialogo Socrate chiama  politica l’arte relativa all’anima e la suddivide in giustizia e arte del legislatore, mentre per quanto riguarda il corpo non c’è un solo nome per la sua cura, ma due: la medicina e la ginnastica.  Ognuna di queste parti buone ha una contraffazione adulatoria corrispondente: per quanto riguarda la politica, cioè l’anima , la giustizia viene contraffatta dalla retorica, l’arte del legislatore dalla sofistica.    
Per quanto riguarda il  corpo, la medicina viene contraffatta dalla culinaria e la ginnastica dalla cosmesi. Le contraffazioni sono forme di adulazione e sono cose brutte. Dicevo che dò grande importanza all’eseercizio somatico, quasi quanta ne do a quello mentale. Senza la cultura si è infatti più rozzi del necessario[6], senza la cura del fisico si è più molli[7] del necessario.  Sono fieramente avverso al trucco in entrambi i campi.
Mi fermo dunque sulla cosmesi, la degenerazione della ginnastica: “hJ kommwtikhv, kakou`rgo~ te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;~ kai; ajneleuvqero~, schvmasin kai; crwvmasin kai; leiovthti kai; ejsqh`sin ajpatw`sa, w{ste poiei`n ajllovtrion kavllo~ ejfelkomevnou~ tou` oijkeivou tou` dia; th`~ gumnastikh`~ ajmelei`n" (Gorgia, 465b), la cosmesi, malvagia e anche ingannevole, e ignobile e servile, inganna attraverso l’apparenza, i colori e gli unguenti e i vestiti, così da fare in modo che chi cerca di appropriarsi di una bellezza estranea trascura la propria che si ottiene con la ginnastica.
La mia ginnastica è la bicicletta ed è la corsa, la mia cosmesi è l’abbronzatura, presa esclusivamente con il sole che è l’immagine visibile dell’Idea del Bene; per quanto riguarda lo spirito lo coltivo con la lettura, con la musica, con il cinema.
Le donne benedette da Dio,  prove vere dell’esistenza di Dio,  mi curano e rafforzano tanto l’anima quanto il corpo
 
Giovanni Ghiselli

Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/    il 20 febbraio è arrivato a 134086 lettori
Il primo marzo comincerò il mio corso all’Università Primo Levi di Bologna




[1] A. Momigliano, La storiografia greca, p. 143.
[2] Cfr. Shakespeare:" All the world's a stage-And all the men and women merely players" (As you like it, II, 7) 
[3] B. Snell, Il giocoso in Callimaco in La cultura greca e le origini del pensiero europeo”, pp. 371 sgg.
[4] Lettera a una professoressa, p. 14.
[5] . Cfr. Protagora e Lachete.
[6] ajgriwvteroi tou' devonto"" , Platone, Repubblica , 410d.-
[7] malakwvteroi

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