NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 20 novembre 2014

Enciclica "Deus Caritas est" di Benedetto XVI sull’amore cristiano. I parte


Lettera Enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI sull’amore cristiano
Libreria editrice vaticana. Città del Vaticano, 2006


Commenterò questo testo trovando analogie e discordanze con i testi classici
Il pontefice parte dalla prima Lettera di Giovanni: “Qui non diligit, non cognovit Deum, quondam Deus caritas est (…) Deus caritas est, et qui manet in caritate , in Deo manet, et deus in eo manet" (4, 8 e 4 16)
In greco: oJ qeo;ς ajgavph ejstivn.
Nel suo Vangelo Giovanni aveva già scritto: “Sic enim dilexit Deus mundum-ou{twς ga;r hjgavphsen oJ qeo;ς to;;n kovsmon, ut Filium suum unigenitum daret, ut omnis, qui credit in eum, non pereat, sed habeat vitam aeternam” (3, 16).
Dio dunque è amore ed è buono.
Lo afferma anche Seneca quando suggerisce di imitare gli dèi essendo buono: "Vis deos propitiare? Bonus esto. satis illos (sc. deos) coluit quisquis imitatus est" (ep. 95, 50).
Agostino ricorda Platone: "habemus sententiam Platonis dicentis omnes deos bonos esse" (civ. Dei, 8, 13).
La deduzione della bontà del creato dalla bontà del creatore viene, com’è noto, dal Timeo (28a) . L’imitazione di Dio viene dal Teeteto oJmoivwsiς qew̃/ 176b)..
Amare Dio significa amare il prossimo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Libro del Levitico, 19, 18).

 Nel prologo della Medea di Euripide il pedagogo dei bambini fa notare alla nutrice che l’egoismo degli uomini è arrivato al punto della completa peccaminosità della guerra spietata di tutti contro tutti:
Nutrice
“O figli, sentite com'è il padre verso di voi?
vada in malora magari no: infatti è il mio padrone;
nondimeno è provato che è davvero un infame verso i suoi cari”.

Pedagogo
“Chi non lo è tra i mortali? Solo ora prendi coscienza di questo,
che ciascuno ama se stesso più del prossimo-wJς pãς tiς auJto;n toũ pevlaς mãllon fileĩ-
alcuni magari a ragione, ma altri anche per lucro,
se questi bambini qui per un letto il padre non li ha cari?” (vv. 82-88).

Anche questo umile personaggio di Euripide dunque auspica che l’amore del prossimo sia tanto grande quanto quello per se stesso e ne depreca la mancanza.

Il Papa poi nota che tre parole greche sono relative all’amore: e[rwς, filiva e ajgavph. “Gli scritti neotestamentari privilegiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini” (p. 11)
Il cristianesimo invece mette in disparte e[rwς, privilegiando gli altri due termini. Il pontefice ricorda che secondo Nietzsche il cristianesimo “avrebbe dato da bere del veleno all’eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio”[1] (p. 11)
Secondo Benedetto XVI invece il cristianesimo avrebbe razionalizzato e moralizzato Eros che nei pagani era una forma di pazzia immorale.
Ratzinger cita Virgilio (omnia vincit Amor, et nos cedamus amori , Ecloga X, v. 69) e ricorda la prostituzione “sacra” (p. 12) per significare la follia e l’immoralità dell’amore nei Greci e nei Latini.
Di fatto l’amore è spesso esecrato e pur troppo calunniato nelle letterature classiche.
Faccio solo un paio di esempi ma potrei presentarne decine.
Apollonio definisce Eros il demone del dolore, il "daivmwn ajlginovei""[2], che porta Medea alla sofferenza e alla follia infanticida.
Sentiamo anche il terzo stasimo dell’Antigone di Sofocle (vv 781-800):
“Eros invincibile in battaglia,/Eros che sulle ricchezze ti abbatti,/che nelle morbide guance/della fanciulla trascorri la notte,/vai e vieni tanto sul mare quanto/nelle agresti dimore:/e degli immortali nessuno ti sfugge/né degli uomini effimeri;/ma chi ti possiede è impazzito/ Tu anche dei giusti le non più giuste/menti trascini alla rovina:/tu anche questa contesa consanguinea/di uomini hai scatenato;/e vince il desiderio vivace/degli occhi della fidanzata bella nel letto/e siede accanto nella gestione delle grandi /leggi: ineluttabile infatti/gioca la dea Afrodite".
E, dato che siamo ad Assisi, concludo con Properzio dipinge Amore come un nemico armato dal quale nessuno può allontanarsi senza ricevere ferite:" Et merito hamatis manus est armata sagittis,/ et pharetra ex umero Gnosia utroque iacet,/Ante ferit quoniam, tuti quam cernimus hostem, /nec quisquam ex illo vulnere sanus abit " (II, 12, 11- 12), giustamente la mano è armata di frecce uncinate, e dai due omeri pende una faretra cretese, poiché ferisce prima che noi al riparo vediamo il nemico né alcuno scampa immune da quella ferita.
Il poeta ne è già stato colpito al punto che il dio fa una guerra continua dentro il suo sangue: "Assiduusque meo sanguine bella gerit" (v. 16). Amore dovrebbe vergognarsi di tanto accanimento e scagliare i suoi dardi contro qualcun altro: "Si pudor est, alio traice tela tua" (v. 18). Oramai è l'ombra sottile di Properzio, non più la persona che busca bastonate: "non ego, sed tenuis vapulat umbra mea" (20).
Le maledizioni dell’amore, dicevo, abbondano nelle lettere classiche forse ancora di più che nelle moderne.
Se ne trova una riabilitazione nel discorso di Agatone nel Simposio platonico (194 e 4-197 e 8).
E’ un’ avis talmente rara che voglio riferirla.
Amore è il più bello e nobile tra gli dèi. E' anche il più giovane: infatti fugge di corsa la vecchiaia. Egli genera concordia: e se ci fosse stato lui nei tempi primordiali non ci sarebbero stati incatenamenti né amputazioni:" ejktomai; oujde; desmoiv"(195c). Amore è delicato (aJpalov"), ma gli manca un poeta come Omero che rappresenti la sua delicatezza. Egli si insedia nelle anime delicate, mentre si allontana dalle anime dure. Inoltre è bello e cerca bellezza: infatti tra amore e bruttezza c'è una guerra continua. Passa la sua esistenza in mezzo ai fiori. La sua virtù sta nel fatto che il dio non fa e non riceve torti (ou[t j ajdikei' ou[t j ajdikei'tai). Oltre che di giustizia è dotato di somma temperanza (196c): infatti, essendo più forte di tutti gli altri piaceri e istinti, li domina. Quanto a coraggio, neppure Ares resiste ad amore[3].
 Inoltre rende poeta chi lo prova. Amore insegna tutte le arti. Ciò che amore non tocca rimane nella tenebra (skoteinov" 197a). Dall'amore della bellezza ha preso origine ogni cosa buona fra gli dèi e fra gli uomini. Egli ci vuota di ogni ostilità e ci riempie di ogni fratellanza e "prepara tali incontri tra noi per metterci insieme e diventa nostra guida nelle feste, nei cori, nei sacrifici" (197d), ispira mitezza, è timoniere, compagno e salvatore supremo nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola (197e).
  
Ratzinger continua notando che la prostituzione sacra non era estasi verso il divino ma una degradazione dell’uomo.
 Ebbene di tale pratica non c’è traccia ad Atene dove la dea apolide era vergine, né a Tebe la città dei grandi delitti, dove del resto le baccanti di Euripide facevano tutto tranne che il sesso[4], né a Roma dove le Vestali impudiche venivano addirittura giustiziate, ma era praticata in zone periferiche e di cultura mista, come Cipro[5].

L’amore secondo il Papa “promette infinità, eternità-una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere” (p. 13)
Ebbene questo si trova già scritto nei dialoghi Platonici Fedro e Simposio Non per niente Nietzsche ha scritto che "Il cristianesimo è un platonismo per il popolo”[6].
Questa è la conclusione dell’ultimo discorso di Socrate nel Fedro:
 l'amato diviene oggetto di culto e accoglie l'innamorato nella sua intimità: infatti tra i buoni non può non nascere l'amicizia. L'amato sente che nessun altro, compresi i famigliari, può offrirgli qualcosa di paragonabile a quanto gli offre questo amico posseduto da un dio.
Allora una corrente di bellezza attraverso gli occhi raggiunge l'anima, la eccita al volo e irrora i meati delle penne stimolando la crescita delle ali. Se prevalgono gli elementi migliori dell'anima, questi si oppongono ai peggiori met j aijdou'" kai; lovgou, con pudore e ragione, ed essi sono ejgkratei'" auJtw'n, padroni di se stessi, kai; kovsmioi. Quindi, alla fine della vita, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche necessarie per tornare in cielo.
I due amanti che fanno l'amore, pur senza mettere le ali, sentono la sollecitazione a rivestirsene purché siano fedeli. Ma l'intimità con chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera grettezza e condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di intelletto (Fedro, 256e).

Sentiamo anche l’ultima parte del discorso di Socrate nel Simposio:
chi è maturo per la creazione spirituale cerca, attraverso un bel viso e una bella persona, un'anima bella e nobile e imprende a educarla. Quindi le due anime amiche danno vita a una progenie spirituale quale i poemi omerici o le legislazioni di Licurgo e Solone, che sono già creazioni altissime ma si può andare oltre. Infatti dall'amore delle cose belle si deve giungere alla contemplazione della bellezza suprema. Il pellegrino d'amore prende le mosse dalle cose belle di quaggiù e procede attraverso queste come per gradini, da un corpo bello a due e da due a tutti i corpi belli, quindi alle belle attività umane, alle belle conoscenze, fino alla conoscenza del bello in sé. Questo è il momento della vita più di ogni altro degno di essere vissuto per l'uomo: quando contempla il bello in sé (biwto;n ajnqrwvpw/ qewmevnw/ aujto; to; kalovn", Simposio, 211d.).
La bellezza in sé è pura, schietta, integra, non contagiata da carne umana, da colori e da altre sciocchezze di cui è piena la condizione mortale, e coincide con lo stesso bello divino (aujto; to; kalovn aujto; to; qei'on kalovn, 211e). Solo l'uomo che ha contemplato tale bellezza potrà produrre non simulacri di virtù ma virtù vere.
"L'unione di Eros e Paideia è il pensiero fondamentale del Simposio…Con quella sua figurazione del volo di due anime intimamente unite al regno della bellezza eterna, Platone ha dato a Eros l'immortalità"[7].
  
E ora torniamo al nostro pontefice. Anche lui mette in relazione il Divino con l’amore che “promette infinità, eternità-una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere” (p. 13).

Ratzinger condanna “l’eros degradato a puro sesso che diventa merce” (p. 15)
Condanna espressa pure dal Socrate di Platone: “L'intimità con chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera grettezza e condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di intelletto (Fedro, 257a).

Quindi il Papa commenta il Cantico dei Cantici: “le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d’amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l’amore coniugale” (p. 16).
Segue un’analisi dotta di alcune parole bibliche che non sono in grado di seguire, data la mia imperdonabile ignoranza della lingua ebraica.
Comunque Ratzinger ne conclude, giustamente, che “amore diventa cura dell’altro e per l’altro” (p. 17) e “l’amore mira all’eternità” (p. 18)
Quindi il Papa distingue l’amore possessivo da quello oblativo.
L’amore possessivo è quello descritto da Lisia nel Fedro di Platone:
 l' ejrasthv" , l’amante innamorato è possessivo e tende a ridurre in solitudine (eijς ejrhmivan, 232D) l’amato per togliergli autonomia.
Socrate chiarisce che tale ejrasthv" è nemico dell'anima, del corpo, e del patrimonio dell' ejrwvmeno" , l’amato che così diviene vittima dell’amante.
Il desiderio di un innamorato del genere non nasce dall'affetto, ma è l'amore dei lupi per gli agnelli:"wJ" luvkoi a[rna" ajgapw'sin (241d)
Poi il maestro di Platone si muove per andarsene, ma il suo demone lo trattiene dicendogli che Eros è un grande dio e richiede una palinodia. Sentiamola: Eros non è identificabile con il brutale appetito fisico. La follia dell'innamorato è più saggia della saggezza del mondo, come quella della Pizia e dei poeti. C'è una pazzia che è alienazione volgare e porta alla possessività, e c’è tutt’altra maniva che è un dono degli dèi ed è una fortuna.

Anche Ratzinger ricorda il Simposio di Platone, sia pure non senza una imprecisione.
Il Papa trova una analogia tra la solitudine di Adamo prima che Dio plasmasse la donna e il discorso di Aristofane il “ mito riferito da Platone, secondo cui l’uomo originariamente era sferico, perché completo in se stesso ed autosufficiente” (Deus caritas est, p. 29)
Ebbene, il discorso che Platone attribuisce al grande commediografo ateniese si esprime per immagini e, con un'antropologia fantastica, interpreta Amore come nostalgia della totalità della natura umana.
 Ogni persona è una creatura dimidiata che tende a ricongiungersi con la metà da cui è stata divisa. Una bella immagine significativa di questa sofferta dicotomia rappresenta ciascuno di noi mortali come il segno di riconoscimento di un uomo, in quanto una tempo fummo divisi come le sogliole: "e{kasto" ou\n hJmw'n ejstin ajnqrwvpou suvmbolon, a{te tetmhmevno" w{sper aiJ yh'ttai", quindi ognuno cerca l'altra metà del segno di se stesso: "zhtei' dh; ajei; to; auJtou' e{kasto" suvmbolon" (191 d).
"Era come fossero le due metà d'un segno di riconoscimento"[8].
In origine gli uomini erano doppi rispetto a oggi: ciascuno costituiva un intero ( o{lon 189d) di forma sferica con quattro mani, quattro gambe e due facce. Inoltre i sessi erano tre: quello maschile che traeva origine dal Sole, quello femminile che derivava dalla Terra, e quello misto, l' androgino, di origine lunare, costituito dalla natura maschile congiunta con quella femminile. Dai primi due tagliati a metà sono derivati gli omosessuali, maschi e femmine, dal terzo gli eterosessuali. Ciascuno tenta di ricomporre l'unità fratturata cercando ciò che gli è congenere.

Zeus dunque divise gli amanti raccolti in una forma sferica, siccome la felicità rendeva prepotente questa unità[9]. La felicità degli amanti ha sempre inquietato il potere che si adopera per ostacolarlaò
A questo proposito cito anche Leopardi
Il Recanatese nella Storia del genere umano valuta l’amore come un grande beneficio concesso da Amore, figliuolo di Venere Celeste[10]. E spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione fosse in alcuno uomo ai migliori tempi".

Il dio biblico ha invece unito l’uomo alla donna: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne (Genesi, 2, 24)”.

Fine prima parte

giovanni ghiselli


presenterò questo percorso nel corso del seguente convegno:

ASSISI – Liceo Classico “Properzio” – Via Ludovico da Casoria, 3.
22-23 NOVEMBRE 2014
LATINITAS NUNC ET HIC

Sabato 22 novembre - Mattina
Ore 9.15          Presentazione del Convegno
Giovanni Pace – Dirigente Scolastico Liceo Classico “Properzio”
Presentazione del Centrum Latinitatis Europae (CLE) e del Progetto Lucerna
Rainer Weissengruber (Presidente CLE) – Andrea del Ponte (Genova)
Romualdo Marandino (Avellino) – Domenico Plataroti (Roma).

Ore 9.45          Paolo Anelli
La latinitas nella Biblioteca del Liceo Classico “Properzio”.
Ore 9.55          Paolo Capitanucci – Docente di Filosofia all’Istituto Teologico di Assisi
Il latino nella cultura scientifica dei francescani.
Ore 10.10        Giovanni Ghiselli
Eredità della cultura classica negli autori cristiani




[1] Cfr. Jenseits von Gut und Böse, IV, 168)
[2]Apollonio Rodio, Le Argonautiche , IV, 64.
[3] Cfr. Lucrezio, De rerum natura , I, 31-34.
[4] Ecco come le descrive il racconto del Messo:
“Dormivano tutte, rilassate nei corpi,                                                                                          
alcune appoggiate di schiena alla fronda di abete,
altre invece posato il capo casualmente in terra
sulle foglie di quercia con compostezza e non andavano, come tu dici,
a caccia di Venere appartate sotto la selva
ebbre di vino del cratere e del frastuono del flauto (Euripide, Baccanti, 684-689). 
[5] Secondo la leggenda di Elissa (Didone) elaborata da Timeo. (Storiografo greco (IV-III sec. a. C.). Nacque in Sicilia ma si rifugiò ad Atene a causa del tiranno Agatocle di Siracusa. Scrisse Storie in 38 libri dalle origini della storia siciliana ad Agatocle (289 a. C.). Rimangono pochi frammenti in gran parte tramandati da Polibio che del resto polemizza implacabilmente con lui). il re di Tiro Muttone aveva lasciato morendo due figli, Pigmalione che gli succedette nel regno, ed Elissa, vergine d'insigne bellezza che andò sposa allo zio Sicherba (Sicheo), sacerdote di Eracle, possessore di ricchezze favolose. Avido di queste, Pigmalione mette a morte Sicherba, ma non gli vien fatto d'impadronirsi de' suoi tesori accuratamente nascosti. Ed Elissa, ingannato il re mediante l'astuzia, riesce ad imbarcarsi con rematori e popolo, recando seco i "sacra" d'Eracle del marito e le sue ricchezze. Approdata in Cipro, prende in sua compagnia la sacerdotessa di Giunone con la famiglia e rapisce ottanta di quelle vergini che secondo un vecchio uso cipriota erano scese sulla sponda del mare per ottemperare prima delle nozze al rito della prostituzione sacra. 
[6] Di là dal bene e dal male, prefazione.
[7] Jaeger, Paideia p. 306 e p. 307
[8] G. Orwell, 1984, p. 155.
[9] “Erano terribili per forza e per potenza e avevano grande vigore e attaccarono gli dèi, Simposio 190 b
[10] Per Venere Celeste cfr il discorso di Pausania nel Simposio platonico. (180 c 4-185 c 3). Pausania, fu un discepolo del sofista Prodico, ed esalta l'Eros pederastico. Amore non è unico ma duplice come Afrodite: c'è un Eros Uranio o Celeste, connesso ad Afrodite Urania, figlia del Cielo, quindi derivato solo dal maschio; e c'è un Eros Pandemio, Volgare, legato ad Afrodite Pandemia figlia di Zeus e Dione. Soltanto l'amore celeste deve essere elogiato. Quello volgare infatti ama i corpi più delle anime e si volge tanto ai fanciulli quanto alle donne; inoltre agisce a casaccio senza tendere al bene. Chi segue Eros Celeste invece ama i maschi nei quali ammira la natura più forte e l'intelligenza più viva, l'anima più che il corpo, e tende al perfezionamento dell'amato. E' dunque buona cosa che l'amato conceda i propri favori all'amante in vista della sapienza e della virtù.

5 commenti:

  1. carissimo Gianni, insegni sempre cose belle,interessanti e particolari che potrebbero sfuggire ad un occhio meno profondo e attento del tuo,Continuo a pensare che tu sia il più grande studioso di letteratura classica e lo dimostri anche in questo scritto ,sicuramente le parole del Papa sono state ben pesate ,ma la tua misura è superiore. Con ammirazione Giovanna Tocco

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