NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 28 novembre 2014

Commento di alcune parti del discorso tenuto da Papa Francesco al parlamento europeo di Strasburgo il 25 novembre 2014

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Cercherò di trovare analogie e differenze tra i punti cruciali dell’allocuzione del Papa e alcuni topoi presenti nei miei autori classici.

Sua santità Francesco ha detto che l’Europa è “alquanto invecchiata e compressa”.
Il tema dell’invecchiamento di una civiltà e della terra sulla quale essa è nata ricorre nella letteratura antica.
La causa di tale senescenza è spesso individuata nell’empietà e nell’immoralità degli uomini.
Nell'Antigone di Sofocle, Tebe è malata[1]: la città che è di tutto il popolo è sottoposta a un morbo violento[2] per l'empietà del tiranno accusato dal vate Tiresia di amare i turpi guadagni (v.1056) e di infliggere violenza ai concittadini (v. 1073).
Nell' Edipo re lo spengersi degli oracoli procede parallelamente al declinare della polis e il Coro depreca la miscredenza nei confronti dei responsi, in particolare dei vaticini delfini :"infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramonta il divino (e[rrei de; ta; qei'a) " ,vv. 907-910.
 Sofocle insomma fa dipendere dalla dussevbeia (empietà) la decadenza della vita umana fino alla sterilità delle donne e perfino a quella della terra e degli animali.
Leggiamo come il sacerdote nel prologo della tragedia descrive il flagello a Edipo:"la città infatti, come anche tu stesso vedi, troppo/già fluttua e di sollevare il capo /dai gorghi del vortice insanguinato non è più capace/e si consuma nei calici infruttuosi della terra,/si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi, si avventa sulla città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo, e il nero/Ades si arricchisce di gemiti e lamenti" (Edipo re, vv. 22-30).

Empietà secondo Sofocle è la noncuranza degli oracoli e l'abbandono dei riti tradizionali.
  Isocrate nell'Areopagitico (del 356) condanna più in generale lo sconvolgimento delle tradizioni antiche:" ejnovmizon ei\nai th;n eujsevbeian (...) ejn tw''/ mhde;n kinei'n w|n aujtoi'" oiJ provgonoi parevdosan" (30), ritenevano che la devozione stesse nel non cambiare niente di quello che gli antenati avevano loro tramandato.
Su un'analoga linea di tradizionalismo si trova Sallustio il quale lamenta la decadenza della virtus in seguito alla troppo alta considerazione del denaro:"Operae pretium est (…) visere templa deorum quae nostri maiores religiosissumi mortales fecere. Verum illi delubra deorum pietate, domos suas gloria decorabant (Cat.  12), vale la pena di visitare i templi degli dèi che i nostri antenati, uomini religiosissimi, avevano costruito. In effetti quelli ornavano i santuari degli dèi con la devozione, le case con la gloria.

 Gli dèi sono offesi dal venire meno della pietas, dalla immoralità, dall'irreligiosità, dall'idolatria degli uomini adoratori del denaro.
Sentiamo Petronio che “dipinge in una lingua da orafo i vizi d'una civiltà decrepita, d'un impero che si va sfasciando[3]” :"ego puto omnia illa a diibus fieri. nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium servat, nemo Iovem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant. antea stolatae ibant nudis pedibus in clivum, passis capillis, mentibus puris, et Iovem aquam exorabant. itaque statim urceatim plovebat: aut tunc aut numquam: et omnes redibant udi tamquam mures. itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus, agri iacent…" (Satyricon, 44, 17-18), io credo che tutto questo derivi dagli dèi. Nessuno infatti considera il cielo cielo, nessuno rispetta il digiuno, nessuno stima un pelo Giove, ma tutti a occhi chiusi fanno il conto dei loro possessi. Prima le matrone in stola salivano a piedi nudi sul colle del Campidoglio, con i capelli sciolti, i cuori puri, e supplicavano Giove per l'acqua. E così subito pioveva a catinelle: o allora o mai più: e tutti tornavano bagnati come topi. ora gli dèi hanno i piedi felpati. Poiché non siamo religiosi, i campi sono abbandonati.
Sono parole di un liberto ignorante, eppure per l’espressione opertis oculis si può trovare una analogia  nell’Antico Testamento  a proposito degli idolatri:"Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).
Properzio fa dipendere il tramonto degli dèi, della pietas, della fides, della lex, del pudor, dal lusso e dalla lussuria di uomini e donne, e dalla maledetta fame dell'oro già esecrata da Virgilio[4]:"At nunc desertis cessant sacraria lucis:/aurum omnes victa iam pietate colunt./Auro pulsa fides, auro venalia iura,/aurum lex sequitur, mox sine lege pudor" (III, 13, 47-50), ma ora sono trascurati i santuari nei boschi deserti: vinta la devozione, tutti venerano l'oro. Dall'oro è stata messa fuori corso la lealtà, con l'oro si compra la giustizia, la legge obbedisce all'oro, presto il pudore sarà fuori legge. Tutto questo porterà alla caduta di Roma:"frangitur ipsa suis Roma superba bonis" (v. 60), la stessa Roma superba viene spezzata dalle sue ricchezze.  

Nella letteratura latina del resto c'è un'altra spiegazione.
 Lucrezio con la visione  materialistica ripresa da Epicuro smonta questo tipo di pietas  legata, secondo lui alla superstizione (religio) e confuta il " tristis… vetulae vitis sator  atque vietae  (De rerum natura, II, 1168), il rattristato coltivatore della vigna vecchia e vizza, il quale  "temporis incusat nomen saeclumque fatigat,/et crepat, antiquum genus ut pietate repletum/perfacile angustis tolerarit finibus aevum,/cum minor esset agri multo modus ante viritim./ Nec tenet omnia paulatim tabescere et ire/ad capulum spatio aetatis defessa vetusto " (vv. 1169-1174), accusa il corso del tempo e insulta la sua età,/e brontola che l'antico genere umano pieno di devozione/sosteneva assai facilmente la vita entro confini ristretti,/sebbene molto minore fosse prima la misura del campo per testa./ E non capisce che tutto a poco a poco si consuma e va/ verso la tomba, spossato da lungo spazio di tempo.
 Sono gli esametri conclusivi del secondo libro.
In questo poema c'è dunque una concezione organica della terra che invecchia come tutto nell'Universo.

Ma torniamo al nostro Papa.
"Una volta - ha detto - c'era la fiducia nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente". Tale fiducia significa non trattare uomini e donne come strumenti da usare e buttare via quando non servono più.
Platone raccomanda agli uomini l’assimilazione a Dio (oJmoivwsiς qew̃/ Teeteto, 176b) quella che sarà l’Imitatio Christi per i Cristiani.
Tale assimilazione alla divinità significa essere buoni.
Agostino ricorda Platone in questi termini: habemus sententiam Platonis dicentis omnes deos bonos esse (civ. Dei, 8, 13).
La deduzione della bontà del creato dalla bontà del creatore si trova, com’è noto, dal Timeo (29a) dove si legge che Dio, creatore di un cosmo bellissimo,  è il migliore degli autori (a[ristoς tw̃n aijtivwn).
Il Timeo viene riecheggiato ripetutamente da Agostino attraverso la traduzione ciceroniana. Per esempio: “hanc etiam Plato causam condendi mundi iustissimam dicit, ut a bono Deo bona opera fierent (civ. Dei, 11, 21), anche Platone afferma che la causa più giusta della creazione del mondo è che le opere buone sono fatte da un Dio buono.
Pure Seneca aveva tradotto il medesimo passo del Timeo: “ ita certe Plato ait: Quae deo faciendi mundum fuit causa? Bonus est (ep. 65, 10)
 E ancora: “Quae causa est dis bene faciendi? Natura. Errat si quis illos putat nocere nolle: non possunt  (ep. 95. 49).
L’uomo che non si è allontanato da Dio dunque è buono e in questo Gli assomiglia.

Torniamo a Bergoglio.
L’uomo non è una monade, ma una persona associata ad altre con diritti e doveri e il divenire individuale deve svilupparsi in maniera sociale, tendendo al bene comune, non senza dialogo e discussione . Siamo infatti animali politici e animali linguistici. Orrendo, anzi infernale, è, a parer mio, il costume  di tanti individui che invece di dialogare con altre persone, magari addirittura sedute allo stesso tavolo  in quella che dovrebbe essere la comunione del pasto, maneggiano per tutto il tempo telefonini o altri strumenti del genere senza mai rivolgere parola ai vicini o alzare gli occhi per guardarli.
Il Papa ha denunciato il male della solitudine. Ora le persone vi si sprofondano senza nemmeno accorgersene o compiacendosene, data la paura e la diffidenza che distanzia ciascuno dal prossimo suo.
Nella tragedia greca l’isolamento è vissuto come un male tra i peggiori: Filottete[5] lasciato solo dai compagni nella deserta Lemno lamenta di essere  “ a[ndra duvsthnon, movnon,-ejrh'mon[6] w|de ka[filon" ( vv. 227-228), uomo infelice, solo, abbandonato, così e senza amici.
 La solitudine di Filottete dunque è  penosa per un greco antico, tipicamente, come ha notato bene Kierkegaard[7].
Secondo il filosofo danese, per l'uomo greco che viveva nella povli"  democratica la solitudine dell’impolitico è una condizione innaturale :"benché si muovesse liberamente, l' individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato, nella famiglia, nel fato. Questa determinazione sostanziale è la vera e propria fatalità della tragedia greca, e la sua vera e propria caratteristica."[8]
 L'abitudine e il desiderio di stare soli sono già condannati come disumani da Omero nella figura mostruosa del Ciclope[9], e, dopo Sofocle, da Menandro[10] nel prologo de Duvskolo" dove il misantropo Cnemone[11] viene definito  uomo disumano assai (Knevmwn, ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo" sfovdra", v. 6). 
Invece più avanti nel tempo, con la degenerazione brutale dei rapporti umani, con la trasformazione delle persone in turba, folla, diventerà non solo dignitoso ma necessario rimanere soli. 
Seneca, tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia , omicidi veri e propri, scrive:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui "(Ep. 7, 3), torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini. Il consiglio allora è:"recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza nell'incipit di  un'altra lettera: “ Seneca Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiam: fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche uno solo.
Infine Nietzsche: “C’è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e soltanto sofferto per la moltitudine”[12].
La solitudine dunque è un portato della difficoltà nei rapporti umani, della loro disumanità.
Eppure noi uomini, come ha scritto l’imperatore Marco Aurelio   “siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire  uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin",  Ricordi , II, 1).  .
In questa Europa non più fertile e vivace, ha detto ancora Bergoglio, siamo passati dai grandi ideali ai tecnicismi burocratici.
Chi scrive queste note ha trascorso quasi tutta la vita nella scuola e ha sofferto l’invadenza di troppi tecnicismi anche nel campo che dovrebbe essere quello della cultura. La valutazione del fanciullo (pais), e a maggior ragione la sua paideia,  educazione,  non può ridursi a una serie di questionari o quiz senza anima, senza idèe, né sentimenti, né bellezza, né verità. Una serie di formule da imparare a memoria. So di ragazzi che nella scuola media devono rispondere qual è la differenza tra “favola” e “fiaba” senza avere mai letto nulla di Esopo né di Fedro. Non si leggono più gli autori nelle scuole.
Eppure gli auctores sono i nostri “accrescitori”. Ma se i giovani non crescono mentalmente è più facile tenerlo sottomessi e farne dei consumatori bulimici. 
Prevalgono le questioni tecniche e gli affari economici in una sorta di tirannide contraria all’indagine sui sentimenti, alla discussione sulle idèe.
Questo male viene già denunciato da Giacomo Leopardi : “un franco/di poetar maestro (…) lascia, mi disse,/i propri affetti tuoi. Di lor non cura/questa virile età, volta ai severi/economici studi, e intenta il ciglio/nelle pubbliche cose, Il proprio petto/esplorar che ti val?”[13].
In questo culto dell’economia, del mercato e del profitto l’uomo viene trattato come l’ingranaggio di un meccanismo. E’ la cultura “del consumismo esasperato e dello scarto” ha detto il nostro pontefice.
Il culto  del consumo, del profitto e del PIL arriva a ritualizzare le guerre.
Seneca nel De ira   ricorda che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1).
Quindi cito di nuovo la Palinodia al marchese Gino Capponi di Leopardi_ “…coverte/fien di stragi l’Europa e l’altra riva/dell’atlantico mar (…) sempre che spinga/ contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d’altro aroma/fatal cagione, o di melate canne/o cagion qual si sia ch’ad auro torni” (vv. 62-68).
Papa Francesco ha ricordato La scuola di Atene di Raffaello Sanzio urbinate. Ha fatto notare che tra i filosofi presenti e vivi in questo affresco del 1510, Platone punta l’indice della mano destra verso l’alto, mentre Aristotele tiene la  mano davanti a sé, con la palma rivolta verso la terra.
Noi uomini siamo creature anfibie e non possiamo perdere il doppio contatto con la terra e con il cielo, se non vogliamo rinnegare la nostra natura composita. Ciascuno di noi è un suvmbolon, la metà di in segno di riconoscimento, uno spezzone da completare. Dobbiamo congiungere il non eterno con l’eterno: senza spregiare il transitorio, il mortale, dobbiamo trovare in noi l’immortale. Il Faust di Goethe si chiude con il Chorus mysticus che canta: “Tutto l’effimero-è solo un simbolo”[14]
Bergoglio ha poi ricordato la centralità della persona umana e l’educazione che deve dare la famiglia, la scuola, la società. Educazione al rispetto della  dignità propria e di quella del prossimo. Quindi il diritto-dovere del lavoro la cui mancanza inficia la dignità dell’uomo. Quanto alla questione dei migranti, il Papa ha detto che il nostro mare Mediterraneo non deve diventare un grande cimitero.
 Infine la questione centrale dell’identità: tanto quella delle singole persone quanto quella dei popoli  non va portata all’ammasso di una globalizzazione alla  quale non dobbiamo permettere di annientare il principium individuationis con il “conosci te stesso”, proprio mentre con stridente contraddizione incentiva l’egoismo più feroce.
Alcune aggiunte ha fatto Papa Bergoglio parlando al Consiglio d’Europa, sempre il 25 novembre a Strasburgo.
Il pontefice ha indicato la via della pace. Per incamminarci su questa strada e percorrerla “metodicamente”[15] dobbiamo riconoscere nell’altro un fratello da accogliere, da cui imparare. L’umanesimo è amore per l’umanità, come la fanciulla di Sofocle :" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (Antigone, v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore
Ed è espressione di umanesimo quanto dice Teseo a Edipo nell’ultima tragedia del poeta di Colono : "e[xoid j ajnh;r w[n"( Edipo a Colono v.567), so di essere un uomo. Sapere di essere uomo  è la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Sapere di essere uomo significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande:" e sentendo compassione - continua Teseo - voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui” (vv.562-563). Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io-dice il re di Atene al mendicante cieco, incestuoso e parricida-sono stato allevato fuggiasco come te. Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567-568).
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel  più    famoso verso di Terenzio:"  :"Homo sum: humani nil a me alienum puto "[16].
  "Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti" sono le prime parole del Decameron.
Papa Bergoglio recentemente ha detto di stare dalla parte dei poveri. In questo è davvero imitator Christi e del santo suo eponimo.
Già Papa Ratzinger ha sottolineato il fatto che “Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me” (Matteo, 25, 40). Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio”[17]
Sentiamolo in latino: “Amen dico vobis: Quamdiu fecistis uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis”
E in greco ‘ajmh;n levgw uJmi`n, ejf j o{son ejpoihvsate eJni; touvtwn tw`n ajdelfw`n mou tw`n ejlacivstwn, ejmoi; ejpoihvsate”.
Anche questa forma di umanesimo, di alta umanità non era ignota ai Greci: Nausicaa nel VI canto  dell’Odissea (vv.207-208) poi Eumeo nel XIV (vv. 57-58) dicono a un Odisseo malridotto che vogliono aiutarlo perché vengono tutti da Zeus gli stranieri e i mendichi, e un dono anche piccolo è caro per loro[18]  

Occorre combattere la cultura del conflitto ha detto il Papa: bisogna fermare la corsa agli armamenti. Dobbiamo opporci al traffico degli esseri umani, alla loro mercificazione, alle nuove forme di schiavitù che possono essere più dolorose e degradanti di quelle antiche. Per fare questo ci vuole coscienza e ci vuole cultura. Coscienza di noi stessi, del presente e del passato. Senza la conoscenza del passato si vive come entità casuali, come un albero senza radici. Non siamo qui per caso. Niente avviene per caso.
“There is a special providence in the fall of a sparrow"   c'è una provvidenza speciale perfino nella morte di un passero (Amleto, V, 2).
 C’è  un fatum che è il fari  (il parlare) di Dio: Fatum nihil aliud est quam series implexa causarum (Seneca, de beneficiis IV 7), una serie di cause concatenate
Paolo VI definì la Chiesa come una istituzione “esperta in umanità”. L’uomo umano ha bisogno di dialogare, di meravigliarsi, di considerare se stesso e la vita intera come problema. Non può accontentarsi dei luoghi comuni della propaganda pubblicitaria avida, interessata al lucro.
E’ necessaria una nuova agorà dove confrontare le idèe, dove cercare la verità che è ajlhvqeia, non latenza[19], disvelamento.
La cultura, paideiva, come educazione e come apprendimento, nasce sempre dall’incontro, dall’attenzione, dall’ascolto e dalla cura degli altri

Bologna 27 novembre 2014

Giovanni Ghiselli



[1] nosei' povli", v.1015
[2] biaiva" e[cetai- pavndamo" povli" epi; novsou, v. 1140-1141
[3] J.K. Huysmans, Controcorrente, p. 43
[4] Quid non mortalia pectora cogis , /auri sacra fames!  ",  a cosa non spingi i cuori umani, maledetta fame dell'oro! (Eneide, III, 55-57).
[5] La tragedia Filottete di Sofocle è del 409 a. C.
[6] Questo aggettivo ritorna più volte nelle descrizioni pietose che l'abbandonato fa di sé:"mh; livph/" m j ou[tw movnon,-ejrh'mon" (vv. 470-471), non lasciarmi così solo, abbandonato, dice a Odisseo; e, poco più avanti, lo prega:"ajlla; mhv m j ajfh'/"-ejrh'mon ou{tw cwri;" ajnqrwvpwn stivbou" (vv. 486-487), non lasciarmi nella desolazione così escluso da ogni traccia di uomini. 
[7] "La riflessione di Filottete non si sprofonda in se stessa , ed è tipicamente greco che egli si dolga che nessuno è a conoscenza del suo dolore" (Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno, in Enten Eller, tomo II, pp.33-34).
[8] S. Kierkegaard, Enten-Eller , Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno,   Tomo Secondo, p. 24..
[9] I Ciclopi non hanno assemblee per consigliarsi né leggi ma vivono sulle cime di alti monti in caverne profonde, ognuno governa i figli e le donne e non si curano l'uno dell'altro (oujd j ajllhvlwn ajlevgousi, Odissea, IX, 112-115).
[10] 342-291 a. C.
[11] Il quale, come vede Sostrato davanti alla porta di casa sua, invoca il suo bene supremo:
"non è possibile ottenere la solitudine da nessuna parte!"( ejrhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n, v.169). Sembra un'anticipazione del monachesimo.
[12] Ecce homo, Perché sono così accorto, 10
[13] Palinodia al marchese Gino Capponi, vv. 231-236.
[14] Alles Vergängliche –ist nur ein Gleichniss
[15] Cfr. greco oJdovς, “via”, “strada”.
[16] Heautontimorumenos  ,77.
[17] Lettera Enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI sull’amore cristiano, Libreria editrice vaticana. Città del Vaticano 2006, p. 36).
[18]pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d  j ojlivgh te fivlh te
[19] Cfr. lanqavnw e lateo “rimango nascosto”. L’aj- privativo comporta la “non latenza”,

1 commento:

  1. Dunque...viva il Papa e Gianni che rende onore così bene ad un messaggio di dignità umana oggi fuori moda. Spero che il tempo dei furbi e dei profittatori finisca presto e che vi sia una rinascita morale. Come mi piacerebbe se tu, Gianni; fossi un politico. Ti potrei votare. Giovanna Tocco

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