Antigone illustrazione di Sara Gavioli |
Ilaria
Cucchi ha vinto. Mentre cerca con tutte le forze di avere giustizia per il
fratello morto di botte e di dolore, sensibilizza l’opinione pubblica sul
rispetto che si deve alle persone, a ogni persona, a quelle deboli prima di
tutte.
Il
dolore provato per l’assassinio del proprio fratello l’ha resa forte, sicura, e
l’ha resa bella.
Non si è mai risparmiata, non ha temuto nulla per sé, come
l’eroina di Sofocle la quale, catturata violentemente dalle guardie del tiranno
nell'atto di trasgredirne l’ordine empio di lasciare insepolto Polinice morto
in battaglia[1], non manifesta timore: "E noi che avevamo visto
ci lanciamo, e tutti insieme/la afferriamo per niente sbigottita,/quindi la
accusavamo delle azioni di prima e di quelle/presenti; ed ella stava calma,
senza negare nulla ("a[parno" d j
oujdeno;" kaqivstato", Antigone,
v. 435). E quando, portata davanti all’autocrate tebano Creonte, questo le
offre la possibilità di abiurare negando di avere commesso la trasgressione, la
coraggiosa ragazza gli risponde:"Anzi, affermo di averla compiute e non
nego per niente" (v. 443).
Poco più avanti Antigone si gloria della propria
disobbedienza e rinfaccia a Creonte la gestione tirannica del potere: "Del
resto da dove avrei potuto ottenere una gloria/ più bella e famosa che
componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe dire che a tutti questi
questo/piace, se la paura non serrasse la lingua” (Antigone, vv. 502-505).
L’ostinazione
della sorella del ragazzo ucciso è stata e sarà proficua per molti: Ilaria ha
fatto capire a tanti, l’orrore, la nefandezza, la disumanità della violenza e
della viltà perpetrata contro una creatura fragile. Questa ragazza dall’anima
nobile ha scritto: “Il dolore che abbiamo provato ci ha dato e ci dà la determinazione
per andare avanti. Non accettiamo ipocrisie. Non accettiamo contentini. Non
accettiamo false verità” [2].
Ilaria
dopo la morte del fratello non si è mai lasciata fermare nella sua ricerca
della verità.
Il
dolore quando scoppia è distruttivo, ma con il tempo può diventare intelligenza
della pena, comprensione del dolore degli altri[3].
Le
sofferenze di Stefano, di Ilaria, dei loro genitori, come quelle di Federico
Aldrovandi, di Giuseppe Uva e di tutti i poveri ragazzi barbaramente torturati
e uccisi da chi avrebbe dovuto proteggerli, saranno di aiuto ad altre persone
esposte a tali rischi. Lo sdegno dell’opinione pubblica renderà i potenziali
carnefici meno corrivi al pestaggio e alla bastonatura letale. Siamo in molti
ad avere “il cuore caldo per azioni agghiaccianti ”, come l’Antigone di Sofocle[4].
Ma
sentiamo ancora Ilaria: “Posso dire che la solidarietà dei quasi tre milioni di
persone che mi hanno seguita su facebook, ma soprattutto di tutti coloro che si
sono civilmente ribellati ad una ingiustizia inaccettabile ci ha scaldato il
cuore, perché non ci sentiamo soli. Il nostro piccolo Stefano non era
certamente un eroe, ma era un ragazzo qualunque con i suoi problemi, con i suoi
difetti ma anche con le sue virtù. Ed era un essere umano”[5].
“So bene di essere uomo[6] e, in
quanto uomo che ha provato e capito il dolore, mi sento in dovere di aiutarti",
risponde Teseo nell’Edipo a Colono al
vecchio cieco, incestuoso e parricida, il quale, giunto esule nella sua terra,
gli ha domandato come mai, lui che è re di Atene, ascolti e voglia esaudire le
preghiere provenienti dall’ultimo degli uomini.
Ilaria
ha scritto che suo fratello “è diventato, grazie a tutti coloro che ci sono
stati vicini, il simbolo dei cosiddetti ultimi, privi di privilegi, alla base
della scala sociale i cui diritti da vivo non hanno alcun significato e nulla
hanno contato per lo Stato”[7]
Tra
gli ultimi “più ultimi”[8] di
Stefano Cucchi, quelli che nessuno ricorda, di cui nessuno qui in Italia si
occupa, dei quali nemmeno il nome si conosce, io voglio ricordare i due
pescatori indiani uccisi, pare, da due militari italiani che le nostre così
dette autorità vorrebbero accogliere come eroi.
Di
quella vicenda nulla di certo si sa, e, dunque, sarebbe opportuno, e necessario
per lo meno un processo prima di presentare come vittime ingiustamente fermate
quelli che potrebbero essere gli uccisori di due uomini.
Ma
torno a Ilaria che continuo ad assimilare all’Antigone di Sofocle, una ragazza
in rivolta, una che dice di no a un tiranno il quale con un decreto disumano ha
ordinato ai Tebani che il cadavere di Polinice, l’assalitore della patria, sia
lasciato “senza lacrime, senza sepolcro, preda gradita agli uccelli che lo
fissano in vista del piacere del pasto”[9].
Antigone
vuole comunque bene a Polinice e non esita a compromettere la propria posizione
di fidanzata del principe Emone, a rinunciare alle nozze, ai figli, perfino
alla propria vita, pur di onorare il fratello.
Ilaria
recentemente ha detto: “dovranno uccidermi per fermarmi”.
Creonte
domanda ad Antigone se non si vergogni di tanta ostinazione, di tanta diversità
dalla gente comune. Ed ella risponde:"No perché non è per niente
vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere"[10]
Poco
dopo la ragazza replica al despota, che le rinfaccia e quasi addebita
l’ostilità di Polinice nei confronti di Tebe, con parole che possono essere la
sintesi dell’umanesimo quale amore per l’umanità: “io non sono nata per
condividere l’odio ma l’amore”[11].
Quindi la giovane seppellisce simbolicamente il fratello, mettendo della
polvere fina (lepth;
kovniς,
v. 256) sul suo cadavere e compiendo quell’atto di pietas estrema rinnovato in questi anni dalla sorella di Stefano
Cucchi massacrato di botte e “morto di dolore a 31 anni”[12].
I
torturatori e chi li vuole assolti dovrebbero imparare a mettersi nei panni
degli altri. Lo ha detto anche Ilaria: “Vorrei solo che questi magistrati
provassero a chiudere gli occhi un istante e pensassero se invece di essere mio
fratello quello morto nelle mani dello Stato, fosse il loro”[13]
Chi
non condivide il dolore di questa sorella esemplare, chi non la prova, andrebbe
educato con tale “terapia del rovesciamento”. Costoro dovrebbero mettersi
appunto nella pelle degli altri, rimediando con questa cura alla mancanza di
riflessione che impedisce di immaginare il dolore del prossimo, le sue
difficoltà, la sua stessa umanità.
Allora
cerchiamo di entrare , sia pure con riluttanza, nella mente di chi bastona a
morte.
Da
una parte anche coloro che massacrano o trascurano i ragazzi ubriachi o drogati
possono suscitare una qualche forma di commiserazione, se pensiamo quanta
miseria mentale, quali ordini, quale ignoranza possono averli indotti a tanto
orrore; dall’altra però a costoro, anche se non sanno quello che fanno, anche
se sono “strumenti ciechi”, e vittime a loro volta di condizionamenti brutali,
deve essere impedito di perpetrare altri crimini, quando si trovano tra le mani
furibonde persone deboli e indifese. Vanno puniti con severità e nello stesso
tempo educati a diventare persone. Bisogna metterli davanti a uno specchio
perché vedano l’orrore della loro furia capaci di tali misfatti: Perseo vinse
la crudele Medusa ponendo davanti al viso stravolto dell’ibrido mostro uno
scudo lucido e riflettente.
Del
resto non credo in modo assoluto che si debba giungere a tagliare le teste :
bisogna però rieducarle.
Uomini
e donne non si nasce, ma si diventa usando sensibilità e intelligenza. Una
regressione verso la brutalità è sempre possibile dove manchino riflessione,
comprensione del prossimo, insomma il possesso e l’uso delle facoltà
squisitamente umane. La strada che va percorsa ogni giorno è quella che conduce
“metodicamente”, attraverso una via[14] di
progressiva umanizzazione, al riconoscimento della propria umanità e al
rispetto di quella degli altri.
Né
Ilaria né chi scrive questa nota “istiga all’odio e al sospetto nei confronti
dell’intera categoria”[15],
come sostiene, sbagliando, il segretario del Sappe (sindacato di polizia
penitenziaria). Perfino Renzi a Ballarò ha detto che “certe frasi dette dal
sindacato di polizia sono inaccettabili”
Le
parole di Ilaria educano piuttosto alla dignità e insegnano il rispetto della
vita umana. Io, nel mio piccolo, cerco di dare un modestissimo contributo in
questo senso.
giovanni
ghiselli,
uno
che è sempre stato dalla parte degli ultimi: da bambino parteggiavo per i
Troiani di Omero e per i Pellerossa dei western, poi, via via, ho sempre tenuto
per chi si difende dai prepotenti. Anche se perde. A maggior ragione se perde e
deve difendersi dallo sterminio.
g.ghiselli@tin.it
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[1] Figlio di Edipo e Giocasta. Come
Antigone, Ismene ed Eteocle, anche lui caduto nella guerra dei Sette contro
Tebe, ma sepolto con tutti gli onori, in quanto difensore della città. Polinice
del resto aveva messo insieme un esercito e l’aveva guidato contro Tebe siccome
Eteocle aveva tolto al fratello la parte di potere che gli spettava.
[2] “Il fatto quotidiano”, 3
novembre 2014, p. 2
[4] qermh;n ejpi; yucroĩsi kardivan e[ceiς (Antigone,
v. 88), lo dice alla protagonista del dramma la sorella Ismene, inizialmente
spaventata e restia a disobbedire all’ordine di Creonte. E Antigone le
risponde: “ajll j oi\d j ajrevskouus
j oi|ς mavlisq j aJdeĩn me
crhv” (v. 89), ma so
di essere gradita a chi soprattutto è necessario che io piaccia.
[5] Ibid. p. 2
[7] “Il fatto quotidiano”, 3
novembre 2014, p. 2
[8] Il solecismo è voluto.
[9] Cfr. Sofocle, Antigone, 29-30
[10] Sofocle, Antigone, v. 511
[12] Come ha detto Ilaria
intervistata da Giannini a Ballarò il 4 novembre.
[13] “La Repubblica”, 4 novembre, p.
20
[15] Cfr. “il Fatto quotidiano”, 4
novembre, p. 8
Io tenevo per Annmibale
RispondiEliminaAlessandro