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mercoledì 5 novembre 2014

Il ritorno di Antigone

Antigone
illustrazione di Sara Gavioli

Ilaria Cucchi ha vinto. Mentre cerca con tutte le forze di avere giustizia per il fratello morto di botte e di dolore, sensibilizza l’opinione pubblica sul rispetto che si deve alle persone, a ogni persona, a quelle deboli prima di tutte.
Il dolore provato per l’assassinio del proprio fratello l’ha resa forte, sicura, e l’ha resa bella.
Non si è mai risparmiata, non ha temuto nulla per sé, come l’eroina di Sofocle la quale, catturata violentemente dalle guardie del tiranno nell'atto di trasgredirne l’ordine empio di lasciare insepolto Polinice morto in battaglia[1], non manifesta timore: "E noi che avevamo visto ci lanciamo, e tutti insieme/la afferriamo per niente sbigottita,/quindi la accusavamo delle azioni di prima e di quelle/presenti; ed ella stava calma, senza negare nulla ("a[parno" d j oujdeno;" kaqivstato", Antigone, v. 435). E quando, portata davanti all’autocrate tebano Creonte, questo le offre la possibilità di abiurare negando di avere commesso la trasgressione, la coraggiosa ragazza gli risponde:"Anzi, affermo di averla compiute e non nego per niente" (v. 443).
Poco più avanti Antigone si gloria della propria disobbedienza e rinfaccia a Creonte la gestione tirannica del potere: "Del resto da dove avrei potuto ottenere una gloria/ più bella e famosa che componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe dire che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua” (Antigone, vv. 502-505).

L’ostinazione della sorella del ragazzo ucciso è stata e sarà proficua per molti: Ilaria ha fatto capire a tanti, l’orrore, la nefandezza, la disumanità della violenza e della viltà perpetrata contro una creatura fragile. Questa ragazza dall’anima nobile ha scritto: “Il dolore che abbiamo provato ci ha dato e ci dà la determinazione per andare avanti. Non accettiamo ipocrisie. Non accettiamo contentini. Non accettiamo false verità” [2].
Ilaria dopo la morte del fratello non si è mai lasciata fermare nella sua ricerca della verità.

Il dolore quando scoppia è distruttivo, ma con il tempo può diventare intelligenza della pena, comprensione del dolore degli altri[3].
Le sofferenze di Stefano, di Ilaria, dei loro genitori, come quelle di Federico Aldrovandi, di Giuseppe Uva e di tutti i poveri ragazzi barbaramente torturati e uccisi da chi avrebbe dovuto proteggerli, saranno di aiuto ad altre persone esposte a tali rischi. Lo sdegno dell’opinione pubblica renderà i potenziali carnefici meno corrivi al pestaggio e alla bastonatura letale. Siamo in molti ad avere “il cuore caldo per azioni agghiaccianti ”, come l’Antigone di Sofocle[4].

Ma sentiamo ancora Ilaria: “Posso dire che la solidarietà dei quasi tre milioni di persone che mi hanno seguita su facebook, ma soprattutto di tutti coloro che si sono civilmente ribellati ad una ingiustizia inaccettabile ci ha scaldato il cuore, perché non ci sentiamo soli. Il nostro piccolo Stefano non era certamente un eroe, ma era un ragazzo qualunque con i suoi problemi, con i suoi difetti ma anche con le sue virtù. Ed era un essere umano”[5].

“So bene di essere uomo[6] e, in quanto uomo che ha provato e capito il dolore, mi sento in dovere di aiutarti", risponde Teseo nell’Edipo a Colono al vecchio cieco, incestuoso e parricida, il quale, giunto esule nella sua terra, gli ha domandato come mai, lui che è re di Atene, ascolti e voglia esaudire le preghiere provenienti dall’ultimo degli uomini.

Ilaria ha scritto che suo fratello “è diventato, grazie a tutti coloro che ci sono stati vicini, il simbolo dei cosiddetti ultimi, privi di privilegi, alla base della scala sociale i cui diritti da vivo non hanno alcun significato e nulla hanno contato per lo Stato”[7]
Tra gli ultimi “più ultimi”[8] di Stefano Cucchi, quelli che nessuno ricorda, di cui nessuno qui in Italia si occupa, dei quali nemmeno il nome si conosce, io voglio ricordare i due pescatori indiani uccisi, pare, da due militari italiani che le nostre così dette autorità vorrebbero accogliere come eroi.
Di quella vicenda nulla di certo si sa, e, dunque, sarebbe opportuno, e necessario per lo meno un processo prima di presentare come vittime ingiustamente fermate quelli che potrebbero essere gli uccisori di due uomini.

Ma torno a Ilaria che continuo ad assimilare all’Antigone di Sofocle, una ragazza in rivolta, una che dice di no a un tiranno il quale con un decreto disumano ha ordinato ai Tebani che il cadavere di Polinice, l’assalitore della patria, sia lasciato “senza lacrime, senza sepolcro, preda gradita agli uccelli che lo fissano in vista del piacere del pasto”[9].
Antigone vuole comunque bene a Polinice e non esita a compromettere la propria posizione di fidanzata del principe Emone, a rinunciare alle nozze, ai figli, perfino alla propria vita, pur di onorare il fratello.
Ilaria recentemente ha detto: “dovranno uccidermi per fermarmi”.
Creonte domanda ad Antigone se non si vergogni di tanta ostinazione, di tanta diversità dalla gente comune. Ed ella risponde:"No perché non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere"[10]
Poco dopo la ragazza replica al despota, che le rinfaccia e quasi addebita l’ostilità di Polinice nei confronti di Tebe, con parole che possono essere la sintesi dell’umanesimo quale amore per l’umanità: “io non sono nata per condividere l’odio ma l’amore”[11]. Quindi la giovane seppellisce simbolicamente il fratello, mettendo della polvere fina (lepth; kovniς, v. 256) sul suo cadavere e compiendo quell’atto di pietas estrema rinnovato in questi anni dalla sorella di Stefano Cucchi massacrato di botte e “morto di dolore a 31 anni”[12].
I torturatori e chi li vuole assolti dovrebbero imparare a mettersi nei panni degli altri. Lo ha detto anche Ilaria: “Vorrei solo che questi magistrati provassero a chiudere gli occhi un istante e pensassero se invece di essere mio fratello quello morto nelle mani dello Stato, fosse il loro”[13]
Chi non condivide il dolore di questa sorella esemplare, chi non la prova, andrebbe educato con tale “terapia del rovesciamento”. Costoro dovrebbero mettersi appunto nella pelle degli altri, rimediando con questa cura alla mancanza di riflessione che impedisce di immaginare il dolore del prossimo, le sue difficoltà, la sua stessa umanità.
Allora cerchiamo di entrare , sia pure con riluttanza, nella mente di chi bastona a morte.
Da una parte anche coloro che massacrano o trascurano i ragazzi ubriachi o drogati possono suscitare una qualche forma di commiserazione, se pensiamo quanta miseria mentale, quali ordini, quale ignoranza possono averli indotti a tanto orrore; dall’altra però a costoro, anche se non sanno quello che fanno, anche se sono “strumenti ciechi”, e vittime a loro volta di condizionamenti brutali, deve essere impedito di perpetrare altri crimini, quando si trovano tra le mani furibonde persone deboli e indifese. Vanno puniti con severità e nello stesso tempo educati a diventare persone. Bisogna metterli davanti a uno specchio perché vedano l’orrore della loro furia capaci di tali misfatti: Perseo vinse la crudele Medusa ponendo davanti al viso stravolto dell’ibrido mostro uno scudo lucido e riflettente.
Del resto non credo in modo assoluto che si debba giungere a tagliare le teste : bisogna però rieducarle.
Uomini e donne non si nasce, ma si diventa usando sensibilità e intelligenza. Una regressione verso la brutalità è sempre possibile dove manchino riflessione, comprensione del prossimo, insomma il possesso e l’uso delle facoltà squisitamente umane. La strada che va percorsa ogni giorno è quella che conduce “metodicamente”, attraverso una via[14] di progressiva umanizzazione, al riconoscimento della propria umanità e al rispetto di quella degli altri.
Né Ilaria né chi scrive questa nota “istiga all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria”[15], come sostiene, sbagliando, il segretario del Sappe (sindacato di polizia penitenziaria). Perfino Renzi a Ballarò ha detto che “certe frasi dette dal sindacato di polizia sono inaccettabili”
Le parole di Ilaria educano piuttosto alla dignità e insegnano il rispetto della vita umana. Io, nel mio piccolo, cerco di dare un modestissimo contributo in questo senso.

giovanni ghiselli,
uno che è sempre stato dalla parte degli ultimi: da bambino parteggiavo per i Troiani di Omero e per i Pellerossa dei western, poi, via via, ho sempre tenuto per chi si difende dai prepotenti. Anche se perde. A maggior ragione se perde e deve difendersi dallo sterminio.

 g.ghiselli@tin.it

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[1] Figlio di Edipo e Giocasta. Come Antigone, Ismene ed Eteocle, anche lui caduto nella guerra dei Sette contro Tebe, ma sepolto con tutti gli onori, in quanto difensore della città. Polinice del resto aveva messo insieme un esercito e l’aveva guidato contro Tebe siccome Eteocle aveva tolto al fratello la parte di potere che gli spettava.
[2] “Il fatto quotidiano”, 3 novembre 2014, p. 2
[3] Cfr. tw̃/ pavqei mavqoς, Eschilo, Agamennone 177, attraverso il dolore la comprensione.
[4] qermh;n ejpi; yucroĩsi kardivan e[ceiς (Antigone, v. 88), lo dice alla protagonista del dramma la sorella Ismene, inizialmente spaventata e restia a disobbedire all’ordine di Creonte. E Antigone le risponde: “ajll j oi\d j ajrevskouus j oi|ς mavlisq j aJdeĩn me crhv” (v. 89), ma so di essere gradita a chi soprattutto è necessario che io piaccia.
[5] Ibid. p. 2
[6] e[xoid j ajnh;r w[n”, Edipo a Colono, 567.
[7] “Il fatto quotidiano”, 3 novembre 2014, p. 2
[8] Il solecismo è voluto.
[9] Cfr. Sofocle, Antigone, 29-30
[10] Sofocle, Antigone, v. 511
[11] Ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfileĩn e[fun
[12] Come ha detto Ilaria intervistata da Giannini a Ballarò il 4 novembre.
[13] “La Repubblica”, 4 novembre, p. 20
[14] In greco oJdovς significa “via”.
[15] Cfr. “il Fatto quotidiano”, 4 novembre, p. 8

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