fuggo da chi mi
insegue, inseguo chi fugge
Le sfasature
erotiche possono essere inserite nel tovpo"
dell'amore che insegue chi fugge e viceversa.
Vediamone alcuni
aspetti.
Tale locus
ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure
nell'esperienza personale di ciascuno di noi: Teocrito2
nel VI idillio paragona Galatea, che stuzzica Polifemo, alla chioma
secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde: "kai;
feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei"
(v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio il
Ciclope dà a se stesso il consiglio di non inseguire chi fugge ma
di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo qui la
tipica ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra
l'elemento popolare e quello raffinato letterario.
Teocrito è, come
Callimaco3,
un rappresentante di una poesia cosiddetta
postfilosofica:"Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che
non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il
mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora
riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente
dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"4.
Lo stesso Snell
qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era comunque
già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello
della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che
la poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende
all'universale, la storia al particolare5"
(p. 141).
La poesia
postfilosofica dunque non racconta più l'universale.
"Un
epigramma di Callimaco (Anth. Pal.
12, 102) liberamente tradotto per
l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi
incontentabili amanti: "Come il cacciatore insegue la lepre
nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa
anche l'amante che dice: "Meus est amor huic similis:
nam/transvolat in medio posita et fugientia captat "
(Sermones
, 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che
fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores
tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione
galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la
tormentata forma dell'amore elegiaco: quod
sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor
(2, 20, 36)"6,
evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un
luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità
dell'amore.
Catullo7
cerca di sfuggire obstinata mente
(8, 11) a questa tragica legge che nega la realtà dell'amore: "nec
quae fugit sectare, nec miser vive " (8, 10), non dare la caccia
a quella che fugge e non vivere da disgraziato.
Il topos torna
nella letteratura italiana. Nella Gerusalemme
liberata8
leggiamo:"Ma perché istinto è de l'umane genti/che ciò che
più si vieta uom più desìa,/dispongon molti ad onta di
fortuna/seguir la donna come il ciel s'imbruna" (V, 76).
Nella commedia La
locandiera 9
Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei
che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione
analoga troviamo in Il giocatore di
Dostoevskij dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in
questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto
intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno
zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e
tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so.
Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non
so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il
suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto
probabile"10.
Proust nel V e
terzultimo volume della Ricerca11
esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato-anzi, in una
certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se ci
abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a
nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"12.
L'analogia con il
cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori.
Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono questa ottave
dell'Orlando furioso13:
"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la
nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se
le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo
favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni
e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e
dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor,
grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più
zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre,
il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti"
(I, 42-43).
William
Shakespeare,
Le
allegre comari di Windsor,
II, 2 (1602)
“Love
like a shadow flies when substance love pursues;/pursuing that that
flies, and flying what pursues”
L'amore,
come un'ombra, fugge quando l'amore reale lo insegue, inseguendo
quello che fugge, fuggendo chi l'insegue.
Meno noti sono
forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha
realizzato il suo sogno d'amore con Anna
Karenina: "Lui la guardava come
un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in
cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato
e distrutto"14.
Fiori e pésca
suggeriscono a Musil15
paragoni e metafore per la brama amorosa contaminata dalla noia o
addirittura dal disgusto: "appena rivolto altrove il suo sguardo
incontrò quello di una donna che era come un fiore polposo
oscillante sullo stelo. In quell'umore gradevole che è fatto per
metà di attenzione desta e per metà di sentimento, egli si rese
conto che all'esigenza ideale di amare il proprio prossimo la gente
reale obbedisce in due tempi, di cui il primo consiste nel non poter
soffrire i propri simili, mentre il secondo compensa il primo con
l'annodare legami erotici con quelli dell'altro sesso. Senza
riflettere ritornò tosto sui suoi passi per seguire la donna; fu un
moto solamente meccanico, conseguente all'incontro dei loro sguardi.
Egli vedeva la figura di lei sotto le vesti come un gran pesce bianco
che è vicino alla superficie dell'acqua. Gli sarebbe piaciuto
fiocinarlo virilmente e vederlo dibattersi, e v'era in quel desiderio
tanta ripulsione quanta attrazione"16.
Gozzano17,
su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito
d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"18.
Sentiamo infine
C. Pavese19:"Ma
questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere
alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti
si perdono"20.
gianni ghiselli
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2
310 ca-250 ca a. C. Nacque a Siracusa e morì, probabilmente, a Coo.
Ha lasciato 30 Idilli, una vantina di epigrammi e un carme
figurato (Zampogna).
3
305 ca-240 ca a. C. l'opera più importante sono gli Aitia,
una raccolta di elegie in 4 libri di cui ci sono giunti circa 200
frammenti. La poetica di Callimaco, che raccomanda la poesia breve e
molto elaborata, sarà esemplare per i neoteroi (cfr. il
carme 95 di Catullo) e per i poeti successivi. Properzio chiama se
stesso il Callimaco romano (IV, 1, 64).
7
84-54 ca a. C. Ci ha lasciato un Liber di 116 carmi: i primi
60 detti polimetri sono poesie brevi, quelli dal 61 al 68 sono i
carmina docta in cui predominano l'esametro o il distico
elegiaco, i carmi 69-116 sono epigrammi in distici elegiaci.
8
Poema in venti canti, in ottave, composto da Torquato Tasso
(1544-1595) tra il 1565 e il 1575.
9
Del 1753.
11
Conclusa negli ultimi mesi di vita, tra il 1921 e il 1922.
13
Poema di Ludovico Ariosto (1474-1533) in 46 canti, in ottave.
L'edizione definitiva è del 1532.
15
1880-1942.
17
1883-1916.
19
1908-1950.
Questa logica esiste ma io mi sforzo di contrastarla
RispondiEliminaAlessandro
Sogno di una notte di mezza estate shakespeare
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