venerdì 28 novembre 2014

L’aiuto ricevuto da giovani donne buone. Il sadico di Debrecen. Debrecen 1966, IX capitolo

De Sade

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Debrecen 66
IX capitolo

L’aiuto ricevuto da giovani donne buone. Il sadico di Debrecen


Verso la fine del corso, una delle ragazze italiane mi ascoltò mentre mi lamentavo dell’ aspetto anzitempo senile, “privo di ogni cavriς”[1], dicevo, e, rincarando la dose, aggiungevo, con tetragggine integrale,  che ero “oltraggiato, sconciato e sfigurato dal dolore, oramai disumanizzato quasi del tutto”.
Forse esageravo ma in ogni caso sentivo la colpa e la pena di avere perduto quella parte  di bellezza, di finezza e di fascino che apparteneva alla mia stirpe e alla mia identità. Avevo smarrito la somiglianza con le figure belle e fini di casa mia e perfino il somigliare a me stesso. Ero orrendamente dissimile da mia madre, dalle mie zie, dalla sorella mia, dal nonno, da come ero stato da bambino e da adolescente. Grasso ero, foruncoloso, malvestito, poco lavato. Insomma sconciato. Da studioso e sportivo ero diventato un transito di cibo, un filtro di varie bevande  
La giovane mi rispose che se volevo rendermi più accettabile, magari forse, anche, perché no, alquanto piacevole un giorno non troppo lontano, dovevo dimagrire, mettermi le lenti a contatto, lavarmi i capelli più spesso, vestirmi meglio, valorizzarmi insomma come faceva lei e gli altri giovani. Consiglio davvero prezioso e dettato dalla benevolenza, poiché non è vero che le donne ci sono per natura nemiche come mi aveva insegnato il poeta suicida[2], casomai siamo noi a renderle tali, comportandoci come se lo fossero: non habemus illas hostes sed facimus, pensai quel giorno ricordando Seneca[3].
Quella brava persona che aveva quasi trent’anni e già insegnava, per cui doveva sentirsi quasi una mamma con me, concluse il suo tentativo di salvarmi dal naufragio della disperazione dicendo che a dimagrire e a sostituire gli occhiali funerei dovevo pensarci da solo, con calma e con il tempo, però ai capelli arruffati e luridi per mesi o anni di incuria poteva cercare di porre un rimedio lei con l’aiuto delle sue contubernali. Si erano già sistemate le chiome a vicenda non senza risultati discreti, diceva, siccome una di loro aveva fatto la parrucchiera per qualche tempo. Pensai che per migliorare me, mal messo com’ero, non c’era bisogno di chissà quale perizia. Tuttavia temevo il ridicolo, l’umiliazione, le beffe  delle quali mi avevano reso timoroso e sospettoso i malvagi che me le avevano inflitte più volte. Cerco di trarre universalia a particularibus, sapendo che questo mio dolore antico può essere l’eco di innumerevoli dolori sofferti da tanti altri giovani antichi e recenti. Un pianto che viene dal fondo dei secoli e non è ancora finito. Voglio insegnare a questi ragazzi sensibili come si può reagire per non venire schiacciati come gli scarafaggi.
La visione dell’infelicità attira la malvagità dei sadici, il loro bisogno di umiliare. 
Quattro giovani donne italiane dunque si affaccendarono intorno alla mia testa, me la lavarono e  mi tagliarono troppi capelli e li tagliarono male. Insomma dopo l’operazione non ero men brutto. Ricostruisco i retroscena attraverso il racconto che me ne fece una di loro anni dopo, quando andai a insegnare nel Veneto ed entrammo in confidenza totale nel mio appartamentino fighetto di piazza Garibaldi di Padova. Allora, nel 1972, dopo le due Elene, potevo ridere di quell’episodio come se fosse capitato a un’altra persona. Compiuta la tosatura canina dunque, le quattro  tonsores si accorsero di avere sortito l’effetto opposto a quello desiderato  e promesso a un infelice. Eppure mi avevano fatto comunque del bene poiché mi avevano aiutato a capire che il mio aspetto dopo diverse modifiche poteva pure interessare. Un piccolo interessamento una breve attenzione è un dono grande per un disgraziato.
Comunque dopo il taglio riuscito male si misero d’accordo e passarono la voce: tutte le italiane dell’Università estiva di Debrecen mi avrebbero detto senza ironia che stavo meglio di prima. Io a dire il vero ne dubitai, ma ero grato alle buone intenzioni di quelle ragazze buone.
Ogni dubbio cadde quando un sadico teso a umiliare mi disse: “ti rendi conto di quanto sei ridicolo?”.
“ La cosa più segretamente temuta accade sempre”[4], pensai, ma trovai la forza di  rispondere: “Può essere. In ogni caso, quando mi saranno ricresciuti i capelli, io non farò più ridere nessuno, tu invece sei caduto cadrai e ricadrai nel ridicolo  in saecula saeculorum”.    

giovanni ghiselli

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[1] Grazia, bellezza, fascino.
[2] Cesare. Pavese"Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco" Il mestiere di vivere , 9 settembre 1946.
"Sono tuo amante, perciò tuo nemico". Pavese, Il mestiere di vivere , 18 novembre 1945
[3] Cfr. Ep. 47, 5 : “non habemus illos hostes ed facimus”, non li abbiamo come nemici ma li rendiamo tali. Il maestro di Nerone si riferisce agli schiavi. In fondo, all’epoca si vedevano donne schiavizzate in molte situazioni. Non a casa mia del resto.
[4] Ancora Il mestiere di vivere di Pavese, 18 agosto 1950. E’ il primo pensiero dell’ultimo giorno 

1 commento:

  1. Certamente ti sei messo in riga, e sarai fiero di essere oggi magro e avvenente. Sicuramente le persone da poco con l'età perdono fascino e bellezza,invece ,chi,come te, coltiva la propria anima trasluce e riverbera nel fisico l'anima conquistata. Tocco Giovanna

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