De Sade |
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Debrecen 66
IX capitolo
L’aiuto ricevuto da
giovani donne buone. Il sadico di Debrecen
Verso la fine del corso, una delle ragazze italiane mi ascoltò
mentre mi lamentavo dell’ aspetto anzitempo senile, “privo di ogni cavriς”[1],
dicevo, e, rincarando la dose, aggiungevo, con tetragggine integrale, che ero “oltraggiato, sconciato e sfigurato
dal dolore, oramai disumanizzato quasi del tutto”.
Forse esageravo ma in ogni caso sentivo la colpa e la pena
di avere perduto quella parte di
bellezza, di finezza e di fascino che apparteneva alla mia stirpe e alla mia
identità. Avevo smarrito la somiglianza con le figure belle e fini di casa mia
e perfino il somigliare a me stesso. Ero orrendamente dissimile da mia madre,
dalle mie zie, dalla sorella mia, dal nonno, da come ero stato da bambino e da
adolescente. Grasso ero, foruncoloso, malvestito, poco lavato. Insomma
sconciato. Da studioso e sportivo ero diventato un transito di cibo, un filtro
di varie bevande
La giovane mi rispose che se volevo rendermi più accettabile,
magari forse, anche, perché no, alquanto piacevole un giorno non troppo lontano,
dovevo dimagrire, mettermi le lenti a contatto, lavarmi i capelli più spesso,
vestirmi meglio, valorizzarmi insomma come faceva lei e gli altri giovani.
Consiglio davvero prezioso e dettato dalla benevolenza, poiché non è vero che
le donne ci sono per natura nemiche come mi aveva insegnato il poeta suicida[2],
casomai siamo noi a renderle tali, comportandoci come se lo fossero: non habemus illas hostes sed facimus, pensai
quel giorno ricordando Seneca[3].
Quella brava persona che aveva quasi trent’anni e già
insegnava, per cui doveva sentirsi quasi una mamma con me, concluse il suo tentativo
di salvarmi dal naufragio della disperazione dicendo che a dimagrire e a sostituire
gli occhiali funerei dovevo pensarci da solo, con calma e con il tempo, però ai
capelli arruffati e luridi per mesi o anni di incuria poteva cercare di porre
un rimedio lei con l’aiuto delle sue contubernali. Si erano già sistemate le
chiome a vicenda non senza risultati discreti, diceva, siccome una di loro
aveva fatto la parrucchiera per qualche tempo. Pensai che per migliorare me,
mal messo com’ero, non c’era bisogno di chissà quale perizia. Tuttavia temevo
il ridicolo, l’umiliazione, le beffe
delle quali mi avevano reso timoroso e sospettoso i malvagi che me le
avevano inflitte più volte. Cerco di trarre universalia
a particularibus, sapendo che questo mio dolore antico può essere l’eco di
innumerevoli dolori sofferti da tanti altri giovani antichi e recenti. Un
pianto che viene dal fondo dei secoli e non è ancora finito. Voglio insegnare a
questi ragazzi sensibili come si può reagire per non venire schiacciati come
gli scarafaggi.
La visione dell’infelicità attira la malvagità dei sadici,
il loro bisogno di umiliare.
Quattro giovani donne italiane dunque si affaccendarono
intorno alla mia testa, me la lavarono e
mi tagliarono troppi capelli e li tagliarono male. Insomma dopo l’operazione
non ero men brutto. Ricostruisco i retroscena attraverso il racconto che me ne
fece una di loro anni dopo, quando andai a insegnare nel Veneto ed entrammo in
confidenza totale nel mio appartamentino fighetto di piazza Garibaldi di Padova.
Allora, nel 1972, dopo le due Elene, potevo ridere di quell’episodio come se
fosse capitato a un’altra persona. Compiuta la tosatura canina dunque, le
quattro tonsores si accorsero di avere sortito l’effetto opposto a quello
desiderato e promesso a un infelice.
Eppure mi avevano fatto comunque del bene poiché mi avevano aiutato a capire
che il mio aspetto dopo diverse modifiche poteva pure interessare. Un piccolo
interessamento una breve attenzione è un dono grande per un disgraziato.
Comunque dopo il taglio riuscito male si misero d’accordo e
passarono la voce: tutte le italiane dell’Università estiva di Debrecen mi
avrebbero detto senza ironia che stavo meglio di prima. Io a dire il vero ne
dubitai, ma ero grato alle buone intenzioni di quelle ragazze buone.
Ogni dubbio cadde quando un sadico teso a umiliare mi disse:
“ti rendi conto di quanto sei ridicolo?”.
“ La cosa più segretamente temuta accade sempre”[4],
pensai, ma trovai la forza di rispondere:
“Può essere. In ogni caso, quando mi saranno ricresciuti i capelli, io non farò
più ridere nessuno, tu invece sei caduto cadrai e ricadrai nel ridicolo in saecula
saeculorum”.
giovanni ghiselli
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[1] Grazia, bellezza, fascino.
[2] Cesare. Pavese"Sono un popolo nemico, le donne,
come il popolo tedesco" Il mestiere
di vivere , 9 settembre 1946.
"Sono tuo amante, perciò
tuo nemico". Pavese, Il mestiere di
vivere , 18 novembre 1945
[3] Cfr. Ep.
47, 5 : “non habemus illos hostes ed
facimus”, non li abbiamo come nemici ma li rendiamo tali. Il maestro di
Nerone si riferisce agli schiavi. In fondo, all’epoca si vedevano donne
schiavizzate in molte situazioni. Non a casa mia del resto.
[4] Ancora Il mestiere di vivere di Pavese, 18
agosto 1950. E’ il primo pensiero dell’ultimo giorno
Certamente ti sei messo in riga, e sarai fiero di essere oggi magro e avvenente. Sicuramente le persone da poco con l'età perdono fascino e bellezza,invece ,chi,come te, coltiva la propria anima trasluce e riverbera nel fisico l'anima conquistata. Tocco Giovanna
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