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martedì 18 novembre 2014

"La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel" di Remo Bodei. Parte I della presentazione del libro


Presentazione del libro di Remo Bodei
La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel
Il Mulino, Bologna 2014

Remo Bodei ha accresciuto, ripensato e rielaborato il nucleo originario di questo volume che era apparso nel 1975, sempre presso il Mulino, con il titolo Sistema ed epoca in Hegel.
L’introduzione, scritta dall’autore stesso, chiarisce che il libro “in termini quantitativi è stato però aumentato di oltre un terzo e, qualitativamente, ripensato e rielaborato” (p. 7)
Da allora, sono passati trentanove anni,  molti casi ed eventi epocali si sono avverati e il mondo è cambiato. Si sono avvicendati fatti politici, militari e culturali, mode di vario genere, e anche i gusti collettivi hanno subito una serie di mutazioni.
Bodei si poneva e ora, con una prospettiva più ampia, si  ripropone il compito di rispondere ad alcune domande “cruciali e ineludibili, a partire dalla definizione hegeliana della filosofia come ‘il proprio tempo appreso col pensiero’. Cosa significa pensare il proprio tempo? Come si configura la concretezza del presente attraverso la sua trascrizione in concetti? Cosa implica per Hegel definire gli anni in cui ha vissuto ‘i più ricchi che la storia universale abbia avuto?’ Qual è il senso dell’isomorfismo fra la struttura sistematica della sua filosofia e il campo dei mutamenti storici? Quale il rapporto fra la ‘civetta’ della filosofia, che interpreta in maniera vigile e cosciente le modificazioni prodotte dall’epoca, e la ‘talpa’ dello “spirito”, che trasforma e scalza incosciamente le fondamenta dell’epoca stessa mediante un lavorio cieco ma istintivamente rivolto a un fine sconosciuto ai contemporanei? Tra la filosofia, che sembra vedere e non fare, e il movimento storico che sembra fare e non vedere? Perché, in polemica con i romantici, Hegel disprezza il mondo della natura a favore di un patriottismo dell’umanità e della civiltà fino al punto da definire il firmamento ‘un’eruzione cutanea luminosa’ e a sostenere che ‘il pensiero criminale di un malfattore è più grandioso e sublime delle meraviglie del cielo? Perché il sistema pretende ora di essere la forma suprema della filosofia come scienza rigorosa?’ ” (p. 10).
Sono domande le cui risposte mi interessano molto, tanto più per il fatto che ho di Hegel una conoscenza  basata non bene sullo studio del liceo . Dico dei primi anni Sessanta quando i manuali scolastici non antologizzavano le opere degli autori e si imparavano alcune definizioni a memoria. Più tardi, insegnando la letteratura greca attraverso i testi dei classici e i loro critici più autorevoli e più capaci, ho studiato l’Estetica di Hegel nella traduzione della Feltrinelli.
La lettura di questo ultimo libro di Bodei mi ha avvertito che devo e voglio  imparare ancora tanto da Hegel. Nel presentarlo dunque riferirò quello che mi è apparso più interessante e più utile all’ampliamento del mio panorama di conoscenze. Trascriverò alcune parti  non solo per comunicarle, ma anche per apprenderle. Le commenterò dove ne avrò i mezzi.
Anticipo che questo libro mi ha chiarito del tutto per la prima volta il significato preciso della parola idealismo.
“L’idealismo è appunto per Hegel la negazione della realtà del finito al di fuori del suo rapporto con l’insieme” (La civetta e la talpa, p. 283).

Posso trovare  una analogia tra l’idealismo hegeliano e quello di coloro che Platone  chiama “amici delle forme”
Nel Sofista lo straniero di Elea segnala una gigantomaciva... peri; th'" oujsiva" (246a), una battaglia di giganti sull'essere. I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta e{lkousi  tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein"( 246a-b), gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto, acchiappandolo con le mani proprio come se si trattasse di rocce o di querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un contatto  e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la stessa cosa, e  se qualcuno degli altri dirà che c’è qualche cosa senza corpo, lo disprezzano completamente  e non vogliono ascoltare nient'altro.
Chi sono questi non miti giganti del materialismo? Secondo A. E. Taylor,  Platone non allude agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio"[1].
E gli antagonisti chi sono? "oiJ pro;" aujtou;" ajmfisbhtou'nte" mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n ajmuvnontai, nohta; a[tta kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n oujsivan ei\nai " (246b), quelli che nel dibattito si oppongono loro, molto cautamente si difendono, appoggiandosi a regioni superiori e all'invisibile e sostenendo con forza che il vero essere consiste in alcune forme pensabili e immagini incorporee. I secondi sono più miti ("hJmerwvteroi" 246c).
I primi furono seminati nella terra e dalla terra sono sorti ("spartoiv te kai; aujtocqovne"", 247c), gli altri sono amici delle forme"tou;" tw'n eijdw'n fivlou"", (248a)
Torno alla  prefazione di Bodei
L’autore passa in rassegna diversi filosofi per evidenziare il fatto che “nessuno aveva dato tanta importanza alla storia e costruito una ‘rete adamantina’ di categorie volta a rappresentare l’orizzonte massimo di intelligibilità di un periodo che pretende di includere in sé, telescopicamente, i princìpi delle epoche antecedenti; nessuno- tranne a suo modo- Montaigne, aveva svuotato il preconcetto che attribuiva alla ‘natura umana’ un’essenza metastorica” (p. 11).
Nella redazione precedente, ricorda Bodei:  “avevo respinto lo storicismo ‘invertebrato’ allora in auge in Italia, tutto sfumature e niente struttura, pronto ad appiattire il pensiero sugli avvenimenti. Nel negare a quest’ultimo ogni autonomia, le idee finivano per rivelarsi un semplice e quasi passivo riflesso delle situazioni di fatto, tanto che la filosofia di Hegel veniva spiegata all’ingrosso facendo ricorso al baluginare delle picche dei sanculotti nel corso della Rivoluzione francese o alla politica del governo prussiano durante la Restaurazione. Proprio in polemica con queste interpretazioni, avevo rivendicato l’importanza del tanto denigrato ‘sistema’, generalmente presentato come una specie di camicia di forza indossata da un pazzo o, più benevolmente, come la dottrina di un ‘panlogista’ pedante che ignora le pulsazioni del pensiero vivente”.

Dopo la morte di Hegel la sua struttura sistematica era stata smontata e si salvavano “le singole discipline avulse dal loro contesto: l’estetica, la logica, la psicologia, la concezione della storia (…) ‘L’intero è falso’, proclamerà Adorno, rovesciando il celebre detto hegeliano della Fenomenologia dello spirito” (p. 12).
In effetti chi scrive ha utilizzato soltanto l’Estetica per commentare Omero  e il dramma dei Greci senza avere una visione nemmeno parziale della filosofia hegeliana. Una colpevole lacuna che cercherò di colmare partendo da questo libro di Bodei.
Il sistema hegeliano parte dalla premessa del “primato assoluto dell’occidente”. Lo spirito europeo secondo il filosofo tedesco “sottomette il mondo esterno ai suoi scopi con un’energia che gli ha assicurato il dominio del mondo” (p. 13).
La più famosa metafora hegeliana è quella della “ ‘civetta di Minerva’, intesa come emblema della filosofia al suo crepuscolo. La civetta (…) ha tuttavia un suo antagonista-collaboratore nella ‘talpa’, a conferma di come la storia non finisca con il tramonto di un’epoca e di come la filosofia non concluda affatto il suo cammino”.
Conoscevo questa metafora solo da Paideia di Jaeger: “Senza dubbio, il motto rassegnato di Hegel, per cui la civetta di Minerva viene fuori a volo soltanto al crepuscolo, coglie nel segno, e il senso di questo crepuscolo diffonde la sua ombra tragica sull’eroico sforzo di Platone, tentativo estremo dello spirito di salvare il valore dello stato. Pure anche le civiltà che invecchiano hanno una loro giovinezza, e la filosofia di Platone sente di essere, del suo tempo, la forza giovanile”[2].
L’introduzione di Bodei procede accostando Hegel ad Aristotele.
Capisco bene questo avvicinamento poiché anche dello Stagirita mi sono avvalso  per commentare la tragedia greca. La Poetica  mi è stata di aiuto per acquisire una visione d’insieme della composizione (suvsthma) del dramma antico.
Hegel, continua Bodei “sarebbe stato davvero folle se avesse creduto di impersonare l’ultimo filosofo. Credeva, invece, di essere un ordinatore sistematico di concetti ed esperienze, un pensatore che non inventa niente. Sotto questo profilo, come appare dalle Lezioni sulla storia della filosofia, egli si paragonava implicitamente ad Aristotele, che presentò la summa del suo pensiero alla fine dell’Atene classica, alle soglie di quel periodo che verrà chiamato ‘ellenismo’ da un suo discepolo dell’università di Berlino, Johann Gustav Droysen. Hegel si sentiva, appunto, chiamato a dare forma intelligibile a un’intera fase storica al tramonto, segnata, come altre, dal prevalere degli interessi individuali su quelli collettivi, ma al suo tempo, in particolare, dall’esasperata ricerca di una “fetta di cielo” in terra, di una felicità privata” ( La civetta e la talpa, p. 14).

Per quanto riguarda il dramma dell’Atene classica, questo prevalere del privato e della soggettività, Hegel lo vede situato essenzialmente nella commedia: “Nella tragedia gli individui si distruggono per l’unilateralità della loro ferma volontà e del loro saldo carattere oppure devono rassegnarsi ad accogliere in sé ciò a cui si oppongono in modo sostanziale; nella commedia, con il riso provocato dagli individui che tutto dissolvono ad opera propria ed in loro, viene invece ad intuizione la vittoria della loro soggettività in sé sussistente in piena sicurezza (…) sono propri del comico l’infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione e di non esserne affatto amareggiati né infelici: ossia la beatitudine e l’essere a proprio agio della soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue realizzazioni”[3]
“E’ precisamente questa disgregazione della comunità, questo meschino inaridimento delle coscienze che frena la tensione verso “una vita migliore” a suscitare nelle fasi di declino di una civiltà l’acuirsi dello sguardo di civetta della filosofia, dato che “le scienze e la rovina (…) vanno sempre di pari passo” (La civetta e la talpa, p. 14).
Bodei quindi ricorda che nella redazione precedente (Sistema ed epoca in Hegel) aveva preso “ volutamente l’avvio dalla camera di compensazione delle metafore per abituare gradualmente il lettore a respirare l’aria rarefatta ( il “puro etere”) del pensiero concettuale”.
Per molti lettori avvezzi più alla letteratura che alla filosofia, la metafora è davvero un soccorso che aiuta a capire meglio e gradire di più il pensiero concettuale. Del resto per citare l’altro filosofo sistematico che abbiamo menzionato, Aristotele considera la  metafora un aspetto del linguaggio pregevole:   "Levxew~ de; ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\naiPoetica, 1458a, 18 ),   pregio del linguaggio  è essere chiaro e non pedestre.
Trovare buone metafore è un fatto creativo non può essere preso in prestito da altri, ed è segno di talento: infatti trovare buone metafore significa osservare ciò che è somigliante[4].
La parte successiva dell’introduzione di Bodei (capitoli 6-7-8) rileva i cambiamenti avvenuti nel mondo, nella società, e nel campo degli studi dal 1975, quando uscì Sistema ed epoca in Hegel, a oggi, e quali aggiunte, ripensamenti e rielaborazioni ha portato il trascorrere di tante stagioni  in questo libro rinnovato, La civetta e la talpa, che  continuerò a presentare imparando.


Giovanni Ghiselli


[1] Platone, p. 597.
[2] W. Jaeger, Paideia, 2, p.452.
[3] Estetica, p. 1589 ss.
[4] eujfui?a~ te shmei'ovn ejsti: to; ga;r eu\ metafevrein to; to; o{moion qewrei'n ejstin” (Poetica, 1459a, 6-7). Intelligenza in greco si dice suvnesi"  una parola che tradotta radicalmente significa capacità di mettere insieme cose distanti, di vederne le somiglianze, e se è vero, come afferma il Menone di Platone, che "la natura è tutta imparentata con se stessa," th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh""(81d), coglierne ed evidenziarne i legami di parentela è compito del genio, del poeta. La stessa cosa afferma Dostoevskij in I fratelli Karamazov :"il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore "(p.402).

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