Presentazione del libro di Remo Bodei
La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel
Il Mulino, Bologna 2014
Remo Bodei ha accresciuto, ripensato e
rielaborato il nucleo originario di questo volume che era apparso nel 1975,
sempre presso il Mulino, con il titolo Sistema ed epoca in Hegel.
L’introduzione, scritta dall’autore stesso,
chiarisce che il libro “in termini quantitativi è stato però aumentato di oltre
un terzo e, qualitativamente, ripensato e rielaborato” (p. 7)
Da allora, sono passati trentanove anni,
molti casi ed eventi epocali si sono avverati e il mondo è cambiato. Si sono
avvicendati fatti politici, militari e culturali, mode di vario genere, e anche
i gusti collettivi hanno subito una serie di mutazioni.
Bodei si poneva e ora, con una prospettiva più
ampia, si ripropone il compito di rispondere ad alcune domande “cruciali e
ineludibili, a partire dalla definizione hegeliana della filosofia come ‘il
proprio tempo appreso col pensiero’. Cosa significa pensare il proprio tempo?
Come si configura la concretezza del presente attraverso la sua trascrizione in
concetti? Cosa implica per Hegel definire gli anni in cui ha vissuto ‘i più
ricchi che la storia universale abbia avuto?’ Qual è il senso dell’isomorfismo
fra la struttura sistematica della sua filosofia e il campo dei mutamenti
storici? Quale il rapporto fra la ‘civetta’ della filosofia, che interpreta in
maniera vigile e cosciente le modificazioni prodotte dall’epoca, e la ‘talpa’
dello “spirito”, che trasforma e scalza incosciamente le fondamenta dell’epoca
stessa mediante un lavorio cieco ma istintivamente rivolto a un fine sconosciuto
ai contemporanei? Tra la filosofia, che sembra vedere e non fare, e il movimento
storico che sembra fare e non vedere? Perché, in polemica con i romantici, Hegel
disprezza il mondo della natura a favore di un patriottismo dell’umanità e della
civiltà fino al punto da definire il firmamento ‘un’eruzione cutanea luminosa’ e
a sostenere che ‘il pensiero criminale di un malfattore è più grandioso e
sublime delle meraviglie del cielo? Perché il sistema pretende ora di essere la
forma suprema della filosofia come scienza rigorosa?’ ” (p. 10).
Sono domande le cui risposte mi interessano
molto, tanto più per il fatto che ho di Hegel una conoscenza basata non bene
sullo studio del liceo . Dico dei primi anni Sessanta quando i manuali
scolastici non antologizzavano le opere degli autori e si imparavano alcune
definizioni a memoria. Più tardi, insegnando la letteratura greca attraverso i
testi dei classici e i loro critici più autorevoli e più capaci, ho studiato l’Estetica
di Hegel nella traduzione della Feltrinelli.
La lettura di questo ultimo libro di Bodei mi
ha avvertito che devo e voglio imparare ancora tanto da Hegel. Nel presentarlo
dunque riferirò quello che mi è apparso più interessante e più utile
all’ampliamento del mio panorama di conoscenze. Trascriverò alcune parti non
solo per comunicarle, ma anche per apprenderle. Le commenterò dove ne avrò i
mezzi.
Anticipo che questo libro mi ha chiarito del
tutto per la prima volta il significato preciso della parola idealismo.
“L’idealismo è appunto per Hegel la negazione della realtà del finito al di fuori del suo rapporto con l’insieme” (La civetta e la talpa, p. 283).
Posso trovare una analogia tra l’idealismo hegeliano e quello di coloro che Platone chiama “amici delle forme”
Nel Sofista lo straniero di Elea segnala una gigantomaciva... peri; th'" oujsiva" (246a), una battaglia di giganti sull'essere. I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta e{lkousi tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein"( 246a-b), gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto, acchiappandolo con le mani proprio come se si trattasse di rocce o di querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un contatto e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la stessa cosa, e se qualcuno degli altri dirà che c’è qualche cosa senza corpo, lo disprezzano completamente e non vogliono ascoltare nient'altro.
Chi sono questi non miti giganti del materialismo? Secondo A. E. Taylor, Platone non allude agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio"[1].
“L’idealismo è appunto per Hegel la negazione della realtà del finito al di fuori del suo rapporto con l’insieme” (La civetta e la talpa, p. 283).
Posso trovare una analogia tra l’idealismo hegeliano e quello di coloro che Platone chiama “amici delle forme”
Nel Sofista lo straniero di Elea segnala una gigantomaciva... peri; th'" oujsiva" (246a), una battaglia di giganti sull'essere. I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta e{lkousi tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein"( 246a-b), gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto, acchiappandolo con le mani proprio come se si trattasse di rocce o di querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un contatto e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la stessa cosa, e se qualcuno degli altri dirà che c’è qualche cosa senza corpo, lo disprezzano completamente e non vogliono ascoltare nient'altro.
Chi sono questi non miti giganti del materialismo? Secondo A. E. Taylor, Platone non allude agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio"[1].
E gli antagonisti chi sono? "oiJ
pro;" aujtou;" ajmfisbhtou'nte" mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n
ajmuvnontai, nohta; a[tta kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n
oujsivan ei\nai " (246b), quelli che nel dibattito si oppongono loro,
molto cautamente si difendono, appoggiandosi a regioni superiori e
all'invisibile e sostenendo con forza che il vero essere consiste in alcune
forme pensabili e immagini incorporee. I secondi sono più miti ("hJmerwvteroi"
246c).
I primi furono seminati nella terra e dalla
terra sono sorti ("spartoiv te kai;
aujtocqovne"", 247c), gli altri sono amici delle forme"tou;"
tw'n eijdw'n fivlou"", (248a)
Torno alla prefazione di Bodei
L’autore passa in rassegna diversi filosofi
per evidenziare il fatto che “nessuno aveva dato tanta importanza alla storia e
costruito una ‘rete adamantina’ di categorie volta a rappresentare l’orizzonte
massimo di intelligibilità di un periodo che pretende di includere in sé,
telescopicamente, i princìpi delle epoche antecedenti; nessuno- tranne a suo
modo- Montaigne, aveva svuotato il preconcetto che attribuiva alla ‘natura
umana’ un’essenza metastorica” (p. 11).
Nella redazione precedente, ricorda Bodei:
“avevo respinto lo storicismo ‘invertebrato’ allora in auge in Italia, tutto
sfumature e niente struttura, pronto ad appiattire il pensiero sugli
avvenimenti. Nel negare a quest’ultimo ogni autonomia, le idee finivano per
rivelarsi un semplice e quasi passivo riflesso delle situazioni di fatto, tanto
che la filosofia di Hegel veniva spiegata all’ingrosso facendo ricorso al
baluginare delle picche dei sanculotti nel corso della Rivoluzione francese o
alla politica del governo prussiano durante la Restaurazione. Proprio in
polemica con queste interpretazioni, avevo rivendicato l’importanza del tanto
denigrato ‘sistema’, generalmente presentato come una specie di camicia di forza
indossata da un pazzo o, più benevolmente, come la dottrina di un ‘panlogista’
pedante che ignora le pulsazioni del pensiero vivente”.
Dopo la morte di Hegel la sua struttura sistematica era stata smontata e si salvavano “le singole discipline avulse dal loro contesto: l’estetica, la logica, la psicologia, la concezione della storia (…) ‘L’intero è falso’, proclamerà Adorno, rovesciando il celebre detto hegeliano della Fenomenologia dello spirito” (p. 12).
Dopo la morte di Hegel la sua struttura sistematica era stata smontata e si salvavano “le singole discipline avulse dal loro contesto: l’estetica, la logica, la psicologia, la concezione della storia (…) ‘L’intero è falso’, proclamerà Adorno, rovesciando il celebre detto hegeliano della Fenomenologia dello spirito” (p. 12).
In effetti chi scrive ha utilizzato soltanto
l’Estetica per commentare Omero e il dramma dei Greci senza avere una
visione nemmeno parziale della filosofia hegeliana. Una colpevole lacuna che
cercherò di colmare partendo da questo libro di Bodei.
Il sistema hegeliano parte dalla premessa del
“primato assoluto dell’occidente”. Lo spirito europeo secondo il filosofo
tedesco “sottomette il mondo esterno ai suoi scopi con un’energia che gli ha
assicurato il dominio del mondo” (p. 13).
La più famosa metafora hegeliana è quella
della “ ‘civetta di Minerva’, intesa come emblema della filosofia al suo
crepuscolo. La civetta (…) ha tuttavia un suo antagonista-collaboratore nella
‘talpa’, a conferma di come la storia non finisca con il tramonto di un’epoca e
di come la filosofia non concluda affatto il suo cammino”.
Conoscevo questa metafora solo da Paideia
di Jaeger: “Senza dubbio, il motto
rassegnato di Hegel, per cui la civetta di Minerva viene fuori a volo soltanto
al crepuscolo, coglie nel segno, e il senso di questo crepuscolo diffonde la sua
ombra tragica sull’eroico sforzo di Platone, tentativo estremo dello spirito di
salvare il valore dello stato. Pure anche le civiltà che invecchiano hanno una
loro giovinezza, e la filosofia di Platone sente di essere, del suo tempo, la
forza giovanile”[2].
L’introduzione di Bodei procede accostando
Hegel ad Aristotele.
Capisco bene questo avvicinamento poiché anche
dello Stagirita mi sono avvalso per commentare la tragedia greca. La Poetica
mi è stata di aiuto per acquisire una visione d’insieme della composizione (suvsthma)
del dramma antico.
Hegel, continua Bodei “sarebbe stato davvero
folle se avesse creduto di impersonare l’ultimo filosofo. Credeva, invece, di
essere un ordinatore sistematico di concetti ed esperienze, un pensatore che non
inventa niente. Sotto questo profilo, come appare dalle Lezioni sulla storia
della filosofia, egli si paragonava implicitamente ad Aristotele, che
presentò la summa del suo pensiero alla fine dell’Atene classica, alle
soglie di quel periodo che verrà chiamato ‘ellenismo’ da un suo discepolo
dell’università di Berlino, Johann Gustav Droysen. Hegel si sentiva, appunto,
chiamato a dare forma intelligibile a un’intera fase storica al tramonto,
segnata, come altre, dal prevalere degli interessi individuali su quelli
collettivi, ma al suo tempo, in particolare, dall’esasperata ricerca di una
“fetta di cielo” in terra, di una felicità privata” ( La civetta e la talpa,
p. 14).
Per quanto riguarda il dramma dell’Atene classica, questo prevalere del privato e della soggettività, Hegel lo vede situato essenzialmente nella commedia: “Nella tragedia gli individui si distruggono per l’unilateralità della loro ferma volontà e del loro saldo carattere oppure devono rassegnarsi ad accogliere in sé ciò a cui si oppongono in modo sostanziale; nella commedia, con il riso provocato dagli individui che tutto dissolvono ad opera propria ed in loro, viene invece ad intuizione la vittoria della loro soggettività in sé sussistente in piena sicurezza (…) sono propri del comico l’infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione e di non esserne affatto amareggiati né infelici: ossia la beatitudine e l’essere a proprio agio della soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue realizzazioni”[3].
“E’ precisamente questa disgregazione della
comunità, questo meschino inaridimento delle coscienze che frena la tensione
verso “una vita migliore” a suscitare nelle fasi di declino di una civiltà
l’acuirsi dello sguardo di civetta della filosofia, dato che “le scienze e la
rovina (…) vanno sempre di pari passo” (La civetta e la talpa, p. 14).
Bodei quindi
ricorda che nella redazione precedente (Sistema ed epoca in Hegel) aveva
preso “ volutamente l’avvio dalla camera di compensazione delle metafore per
abituare gradualmente il lettore a respirare l’aria rarefatta ( il “puro etere”)
del pensiero concettuale”.
Per molti lettori avvezzi più alla letteratura
che alla filosofia, la metafora è davvero un soccorso che aiuta a capire meglio
e gradire di più il pensiero concettuale. Del resto per citare l’altro filosofo
sistematico che abbiamo menzionato, Aristotele considera la metafora un aspetto
del linguaggio pregevole: "Levxew~ de;
ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” Poetica, 1458a, 18 ),
pregio del linguaggio è essere chiaro e non pedestre.
Trovare buone metafore è un fatto creativo non
può essere preso in prestito da altri, ed è segno di talento: infatti trovare
buone metafore significa osservare ciò che è somigliante[4].
La parte successiva dell’introduzione di Bodei
(capitoli 6-7-8) rileva i cambiamenti avvenuti nel mondo, nella società, e nel
campo degli studi dal 1975, quando uscì Sistema ed epoca in Hegel, a
oggi, e quali aggiunte, ripensamenti e rielaborazioni ha portato il trascorrere
di tante stagioni in questo libro rinnovato, La civetta e la talpa, che
continuerò a presentare imparando.
Giovanni Ghiselli
[1]
Platone, p. 597.
[2]
W. Jaeger, Paideia, 2, p.452.
[3]
Estetica, p. 1589 ss.
[4]
eujfui?a~ te shmei'ovn
ejsti: to; ga;r eu\ metafevrein to; to; o{moion qewrei'n ejstin”
(Poetica, 1459a, 6-7). Intelligenza in greco si dice
suvnesi" una parola che
tradotta radicalmente significa capacità di mettere insieme cose
distanti, di vederne le somiglianze, e se è vero, come afferma il
Menone di Platone, che "la natura è tutta imparentata con se
stessa," th'" fuvsew" aJpavsh"
suggenou'" ou[sh""(81d), coglierne ed evidenziarne i legami di
parentela è compito del genio, del poeta. La stessa cosa afferma
Dostoevskij in I fratelli Karamazov :"il mondo è come l'oceano;
tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un
punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra.
E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli,
per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un
poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore
"(p.402).
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