Presentazione del libro di Remo Bodei
La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in
Hegel
Il Mulino, Bologna 2014
Vediamo alcuni paragrafi del Capitolo Primo La civetta e la talpa (pp. 19-120).
Cercherò di risolvere
in semplicità utile a chi, come me, conosce poco Hegel[1]
, la complessità di un pensiero che rimane assai denso anche quando viene reso
con chiarezza dalla interpretazione precisa, ricca e documentata di Remo Bodei.
Il primo paragrafo si intitola “L’ostacolo delle immagini” (pp. 19-20).
L’avvio è la fortunata metafora “della civetta della
filosofia, che si innalza sul far della sera, quando il processo di formazione
della realtà appare ormai concluso” (p. 19). L’autore intende chiarirla perché
non eserciti “un effetto perturbatore sulla comprensione del pensiero
hegeliano”.
Credo che il modo migliore per chiarire le espressioni di un
autore sia impiegarne altre dello stesso autore: “ {Omhron ejx JJOmhvrou safhnivzein"[2],
spiegare Omero con Omero, come suggeriva filologo alessandrino Aristarco di
Samotracia[3].
Bodei porrà “preliminarmente
un discorso provvisorio” in cui farà “parlare soprattutto i testi hegeliani (…)
La prima parte sarà quindi una riflessione su alcune pagine hegeliane-non poche
ignorate e qui inserite nei loro nessi (…) La direzione principale di ricerca
sarà però quella di far scaturire progressivamente la rete categoriale dalla
rete metaforica, la “forma” del proprio tempo appreso in pensieri dal suo
contesto concreto, e di passare dalle allusioni agli aspetti più noti e
dibattuti della filosofia hegeliana all’esposizione coerente di quelli meno
conosciuti e fondanti[4]”(p.
20).
Hegel dunque verrà
chiarito prima di tutto con Hegel.
Passiamo al secondo paragrafo “La civetta della filosofia” (pp. 21-48)
Bodei spiega intanto che cosa sia questa civetta metaforica
“in primo luogo, e questo è l’aspetto più evidente, la
civetta, linnenamente Athene noctua,
è per lunga tradizione l’immagine della sapienza e della filosofia (anche
perché si vedeva nel contorno degli occhi e del becco la forma della lettera
iniziale f di filosofiva), oltre che della disgrazia[5],
del crepuscolo e della notte, ma essa è anche l’animale sacro ad Atena o
Minerva, di cui essa –(glaukopis[6]), dal volto
di civetta (glaux)-assume spesso la
forma. Atena, in quanto Sophia, è
figlia di Metis[7],
l’intelligenza e il Buon Consiglio, e di Zeus dalla cui testa, si sa, esce
armata. Il lato più importante della storia di questa figura è comunque
rappresentato per noi dal fatto che comparisse sul fregio della “Minerva”, la
rivista di Archenholz e successivamente di F. A. Braun, ben nota a Hegel fin
dagli anni di Berna. In esso è disegnata una civetta che sovrasta un cartiglio
col motto leibniziano Die gegenwärtige
Zeit ist schwanger mit der Zukunft, il presente è gravido del futuro[8].
Già nell’immagine hegeliana della civetta vi è, dunque, l’allusione a un rinvio
al futuro, confermato da tutto il senso dell’opera del filosofo (…) Hegel vuol
significare che la filosofia nasce dal tramonto di un mondo reale e dei suoi vecchi
ordinamenti, ma proprio nel coglierlo ed elaborarlo attraverso il pensiero ne è
al di là, ne accelera la decomposizione, aprendo così la strada a un futuro che
non si può descrivere perché il filosofo non è un profeta” (p. 24).
Nel campo della letteratura, la fine di un’epoca è segnata
da un cambiamento del genere prevalente: si passa per esempio dall’epica, alla
lirica poi al dramma, quindi dalla poesia alla prosa.
Una mutazione che nel
campo della cultura classica riguarda anche la storia[9]
e la filosofia: dai Presocratici, ai Sofisti, a Platone, ad Aristotele e i
seguenti.
Il tramonto di una
fase non lascia l’umanità nel buio
“Con la scomparsa del sole del reale, nella notte esteriore,
si innalza per contrasto un sole interiore” (p. 24).
Segue una citazione dalle Lezioni sulla filosofia della storia dove Hegel descrive una
giornata nella quale l’uomo “vede spuntare il mattino, avanzare la luce, il
sole alzarsi nella sua maestà”, e viene preso da rapimento e stupore, obliando
se stesso e il resto del mondo. Ma poi, a mano a mano che il sole si alza,
“l’ammirazione diminuirà, lo sguardo sarà obbligato a rivolgere l’attenzione
più alla natura e a se stesso (…) E alla sera avrà compiuto un edificio, un
sole interiore, il sole della sua coscienza, prodotto del suo lavoro, e questo
egli pregierà più che il sole esteriore (…) In ciò è propriamente implicito il
corso di tutta la storia del mondo, il gran giorno dello spirito, la diurna
opera che esso compie nella storia”.
Vediamo il commento di Bodei a queste parole di Hegel: “Sole
esteriore e sole interiore percorrono dunque traiettorie opposte. Quanto più il
primo si abbassa sull’orizzonte, tanto più il secondo sale. Del resto Hegel ha
una “concezione eliodromica” della storia del mondo e, giocando sulle
etimologie, attribuisce alla storia un movimento da oriente a occidente, dal
sole esteriore (Ex Oriente lux suona
un antico proverbio) al sole interiore, dall’Asia all’Europa e all’America,
“paese dell’avvenire”, la definizione stessa data da Napoleone. Soltanto nel
Paese della sera (Abendland)- dove si
è abbandonato l’immobilsmo asiatico-il cumulo delle crisi di crescenza, la
morte di mille soli naturali, ha fatto spuntare il “gran giorno dello spirito”.
Qui soltanto “la luce diventa lampo del pensiero”, in quanto la vecchiaia
naturale è debolezza, mentre quella dello spirito è piena maturità. La
filosofia può sorgere, infatti, solo dove c’è crisi, mutamento, corruzione
della naturalità dell’esistenza” (p. 25).
Leggiamo alcune frasi
di Hegel citate subito dopo: “allorquando un popolo in generale ha sorpassato
le sue condizioni concrete di vita (…) allora lo spirito si rifugia nel mondo
del pensiero, si crea di fronte al mondo reale un mondo del pensiero; e la
filosofia costituisce l’espiazione della corruzione del mondo reale, che è
stata iniziata dal pensiero. Quando la filosofia sorge con le sue astrazioni a
lavorare di chiaroscuro, la freschezza e la vitalità della gioventù se ne sono
andate; e la sua espiazione non si compie nella realtà, sebbene nel mondo
ideale. Perciò in Grecia i filosofi si tennero lontani dalla vita politica; e
il popolo li chiamava fannulloni, perché si rifugiavano nel mondo del pensiero”[10]
(p. 25)
Concludo questa parte della presentazione sulla quale
indugio perché finalmente mi fa conoscere Hegel, citando alcune espressioni critiche
e malevole nei confronti di Socrate e del suo allievo Platone.
Callicle,
personaggio del Gorgia di Platone dunque, sostiene che la filosofia si addice
a un ragazzo, ma poi aggiunge: quando un uomo maturo non se ne allontana, credo
che debba essere picchiato, o Socrate “ plhgw̃n moi dokeĩ, w\ Swvkrateς h[dh deĩsqai ou|toς o ajnhvr” (485d).
Socrate è visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o
come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini
produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza
si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma
in un critico, la coscienza in una creatrice-una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi
scorgiamo qui un mostruoso defectus
di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come
l’individuo specificamente non mistico,
in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo
quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico”[11].
Quest’idea non verrà rinnegata più avanti da Nietzsche come
altri aspetti di questo scritto giovanile. In Ecce homo[12]
il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione
del fenomeno dionisiaco fra i
Greci-il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di
tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come
strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come
tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni
costo come violenza pericolosa che mina la vita!”[13].
E ancora:
“Platone…distaccò gli istinti dalla polis, dalla gara, dall’abilità militare, dall’arte e dalla
bellezza, dai misteri, dalla fede nella tradizione e negli avi…fu il corruttore
dei nobles, egli stesso corrotto dal roturier Socrate…negò tutti i
presupposti del “greco nobile” e di buona lega, portò la dialettica nella
pratica quotidiana, cospirò con tiranni, fece politica avveniristica e diede
l’esempio del più totale distacco degli istinti dall’antico. E’ profondo,
appassionato in ogni cosa antiellenica”[14].
Euripide viene considerato sodale e complice di Socrate nel
porre fine all’età tragica dei greci
La storia del
sodalizio con Socrate che Nietzsche considera foriera di morte per la tragedia
classica, parte da Aristofane il quale nelle Rane [15] fa dire al coro soddisfatto per la
vittoria di Eschilo su Euripide: " bella cosa è dunque non stare seduto a
chiacchierare (lalei'n) con Socrate
disprezzando la musica (ajpobalovnta
mousikhvn) e trascurando la grandezza dell'arte tragica" (vv.
1492-1496).
Leopardi pone Socrate vicino ai sofisti, come farà Isocrate
a proposito della scuola socratica[16]
: “E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator
de' calamistri[17]
e de' fuchi [18]
e d'ogni ornamento ascitizio[19]
e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente
meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone,
3474).
Sentiamo infine Thomas Mann: "A questa tragica
saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà,
Nietzsche ha dato il nome di Dioniso. Il nome del dio ebbro appare per la prima
volta in quell’opera estetico-mistica della sua giovinezza che s’intitola La nascita della tragedia dallo spirito
della musica in cui l’elemento dionisiaco come disposizione
artistico-psichica è contrapposto al principio artistico del’apollineo
distanziarsi obiettivarsi in modo molto simile a quello in cui Schiller nel
famoso saggio[20]
contrappone “l’ingenuo”[21]
al “sentimentale”[22].
Qui ricorre per la prima volta l’espressione “uomo teorico” e viene assunta la
posizione polemica contro Socrate, il prototipo di quest’uomo teorico: contro
Socrate, lo spregiatore dell’istinto, l’esaltatore della coscienza, colui che
insegnava essere bene soltanto ciò che è cosciente, il nemico di Dioniso e il
distruttore della tragedia. Da lui deriva, secondo Nietzsche, una cultura
scientifica alessandrina, pallida, dottorale, estranea al mito, estranea alla vita,
una cultura in cui hanno vinto l’ottimismo e la fede nella ragione,
l’utilitarismo pratico e teorico che, come la democrazia stessa, è un sintomo
della stanchezza psicologica e del decadere della forza. L’uomo di questa
cultura socratica, antitragica, l’uomo teorico non vuol possedere più nulla
nella sua interezza, con tutta la naturale crudeltà delle cose. Il suo
atteggiamento ottimistico lo ha svigorito "[23].
giovanni ghiselli
[1]
Procedo senza fretta con questa presentazione proprio perché da La civetta e la talpa imparo a conoscere
bene questo filosofo troppo importante per rimanere sconosciuto a persone
desiderose di imparare.
[2] Schol. B a Z 201.
[3] 217 ca-145 a . C.
[4]
“Sul linguaggio hegeliano, denso di immagini (“l’elemento barocco delle sue
espressioni mi ha spesso colpito”, racconta Heine nei Geständnisse, in Werke, a cura di O. Wenzel, Leipzig, 1909 ss., vol: X, p. 171),
cfr. K. Rosenkranz, hegels Leben, Berlin, 1844, trad. it. di R. Bodei, Vita di
Hegel, Milano, 2012 (con testo tedesco a fronte), pp. 813-814.
[5] Cfr. Nietzsche: "Un tempo agognavo auspici di
felicità: e voi mi faceste attraversare la strada da una civetta mostruosa e
ributtante” Così parlò Zaratustra , Il
canto dei sepolcri)
[6] glaukw'pi": Odissea, III, 25 è collegabile con glau'x, e significherebbe dall'occhio (w[y) di civetta, "parallelo a bow'pi", epiteto fisso di Era nell'Iliade . Questi epiteti sono stati messi in relazione con una
(ipotetica) fase teriomorfica della religione greca, ma in Omero Atena non è
mai connessa con il gufo... Probabilmente il poeta collegava glaukw'pi" con glaukov" (cfr. Il. XVI
34): "dagli occhi brillanti, scintillanti" S. West, Omero, Odissea , vol. I (libri I-IV) a cura di
A. Heubeck e S. West, trad. di G. A. Privitera, Fondazione Lorenzo Valla,
Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1996, p. 194.
[7] “Nella Teogonia
, appena promosso re degli dèi, Zeus convola a prime nozze con Metis, figlia di
Oceano, dea che" ne sa più di tutti gli dèi o uomini mortali". Questa
unione riconosce appunto i servizi che l'intelligenza scaltra ha reso al dio,
nella sua accessione al trono, e illustra la necessità della presenza di Metis
nel fondamento di una sovranità che non può, senza di lei, né essere
conquistata, né esercitarsi né conservarsi. Prendendo dalla madre lo stesso
tipo di astuzia tortuosa che la caratterizza, i figli della dea sarebbero
certamente invincibili e finirebbero col prevalere sul padre. Zeus dunque, a
causa del matrimonio che lo consacra re degli dèi, si vede minacciato dalla
stessa sorte che ha riservato al sovrano precedente: cadere sotto i colpi del
proprio figlio. Ma Zeus non è un sovrano come gli altri. Crono, ingoiando i
figli, lasciava ancora esistere al di fuori di sé potenze di scaltrezza
superiore alla sua. Zeus va alla radice del pericolo. Egli rivolge contro Metis
le armi stesse della dea: la scaltrezza, l'inganno, la sorpresa. Lusingandola
con parole carezzevoli, la ingoia prima che partorisca Atena, per evitare che
dopo la figlia essa porti in seno un figlio, che fatalmente sarebbe stato re
degli uomini e degli dèi. Sposando, dominando e ingoiando Metis, Zeus non è più
solo un dio scaltro, egli è il mhtiveta (Odissea ,
XIV, 243)), il dio tutto scaltrezza. Niente può più sorprenderlo, ingannare la
sua vigilanza e opporsi ai suoi disegni" J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 147. J. P.
Vernant, Tra mito e politica, p. 147.
[8]
Riporto solo una parte della nota di Bodei: “Aristotele sostiene (…) che
“l’intelligenza della nostra anima sta di fronte alle cose che per natura sono
più evidenti come gli occhi delle civette di fronte allo splendore del giorno
(Arist. Met. II, 1, 993 b 9-11, trad. it. di C. A. Viano, Aristotele, La metafisica, torino, 1974, p. 229) (…)
Sebbene, anche secondo Hegel, per la maggioranza degli uomini del suo tempo le
cose più evidenti non vengano colte, la filosofia comincia a vedere meglio
proprio quando la luce del sole si attenua, quando, cioè, tramontando il sole
naturale, si innalza-alla maniera di Platone, Convivio, 219A, secondo cui
“l’occhio spirituale comincia a vedere con piena acutezza quando la forza delle
pupille comincia a volgere in giù”-il sole dello spirito”
[9]
Giambattista Vico afferma che
"la storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", e inoltre,
utilizzando un passo di Strabone (I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed
Ecateo, : "prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo milesio, tutta la storia
de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor poeti" La Scienza Nuova , Pruove filologiche,
III e VIII.
[10]
Hegel, Vorlesungen über
die Geschichte der Philosophie a cura di K. L. Michelet, in Werke, cit., voll. XIII-XV, Berlin,
1840-1844, seconda ed. , vol XIII, pp. 116-66 (trad. it. di E. Codignola e G.
Sanna Lezioni sulla storia della
filosofia, Firenze, 1967, rist. vol. I, pp. 115-64). L’immagine dei
filosofi “fannulloni” è riferibile alle parole di Callicle nella Repubblica di Platone, secondo cui il
filosofo è un essere inutile che si separa dalla vita politica, tipica degli
adulti, per bisbigliare con tre o quattro ragazzi, un imbelle-insiste-che si
può prendere impunemente a schiaffi (cfr. 484d ss.)
[12]
Del 1888.
[13]
F. Nietzsche, Ecce homo, La nascita
della tragedia, p. 49.
[14]
Primavera 1888 Frammenti postumi 14 (94).
[17]
Da calamistrum, “ferro per arricciare
i capelli” (ndr).
[18]
Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[19]
Da ascisco, “annetto” (ndr).
[20]
Della poesia ingenua e sentimentale,
1808. Ndr.
[21]
Il poeta ingenuo è natura, la poesia
ingenua è natura (ndr.)
[22]
Il poeta sentimentale cerca la natura (ndr).
[23] T. Mann, La filosofia di Nietzsche
(del 1948), in Nobiltà dello Spirito, pp. 814-815.
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