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Presentazione del libro di Lidia Pizzo
Arte. Sette anni di
riflessioni sull’arte e dintorni
Per le riviste “inCamper” e Nuove Direzioni-Cittadino e
Viaggiatore”
Edizioni thema, Città di
Castello, 2014
Nei giorni scorsi sono stato a Siracusa. Ho ricevuto questo
bel libro di Lidia Pizzo. Ho cominciato a leggerlo all’aeroporto di Catania
aspettando un aereo per Bologna e, nonostante il traffico, non me ne sono
distratto. Il volume è ricco di immagini belle e di riflessioni intelligenti
fatte da persona colta, ricca di competenza, e dotata di buon gusto.
Voglio presentare il volume partendo dalla prefazione che ha
la forma di un dialogo tra l’autrice e un lettore quale potrei essere io o uno
di voi che state leggendo me.
La Pizzo gli dice che sta raccogliendo per lui “tanti
articoli sull’arte” (p. 13)
Il supposto lettore le chiede: “quali sono le tue
credenziali? La tua biografia? Il tuo fitto curriculum”?
Una domanda corrispondente allo star system per il quale la notorietà e la visibilità contano più
delle capacità e del valore.
Si potrebbe rispondere homo
sum, o in questo caso mulier sum,
e ti basti tanto: ce ne sono anche troppi di cialtroni sulla ribalta.
Ma l’autrice risponde ironicamente che ognuno di noi ha più
biografie.
Perfino i santi o presunti tali, o almeno i più interessanti
e inquietanti come l’africano Agostino e l’umbro Francesco, hanno recitato
diverse parti nella loro vita terrena.
La Pizzo quindi domanda quale ruolo della propria vita debba
raccontare.
Ne nomina diversi: tanti quanti ne ha interpretati una
persona matura la quale sa che noi mortali siamo solo attori di una recita il cui regista è
altrove. Sa anche però che dobbiamo recitare bene le parti che ci sono state
assegnate.
Il lettore vorrebbe essere informato sul curriculum, e
l’autrice risponde, non senza compiacimento, che non ha mai vinto un premio
letterario e non ha mai avuto contatti con editori reputati grandi o medi.
In effetti ci sono stati autori ottimi che i premi letterari
li hanno sdegnati.
La Pizzo comunque ha sempre studiato, pensato, e ha scritto
costretta dal suo “daimon perverso e prepotente”.
Un demone che la spinge avanti e non la trattiene, proprio
come faceva quello di Socrate[1].
Il lettore comincia a sentirsi attirato, a provare simpatia
per l’autrice che quasi si vanta di ciò che altri cercherebbero di nascondere.
Lidia Pizzo a questo punto indica con dito diritto una delle stelle
polari del suo scrivere: il rispetto per il lettore. Il che vuol dire non
bluffare atteggiandosi a padre eterno o a magna
mater nei confronti di una tabula rasa, come fanno tanti accigliati cattedratici “maître à penser” (p. 14).
Il lettore riprende l’espressione latina dicendo di non
essere una tabula rasa, ma di avere “una formazione culturale” e, quindi, di
essere in grado di ribattere.
Sicché comincia un dibattito.
I due dialoganti concordano sul fatto che le immagini sacre
dell’antichità pagana e cristiana “funzionavano da exemplum (…) avevano forza rivelativa in quanto erano considerate
modelli esemplari di comportamenti”.
Su questo il lettore concorda fino al Medioevo. Ma con il
Rinascimento, sostiene, “con la scoperta della prospettiva, nascono le botteghe
dei maestri, le immagini diventano artistiche, diventano finzione dichiarata,
quindi non determinano, se non in misura molto relativa, comportamenti”.
Infatti allora nasce la storia dell’arte, conferma
l’autrice.
Personalmente non escluderei dall’arte nemmeno le
espressioni di propaganda, purché belle, dei poeti cortigiani come Orazio e
Virgilio che con molti dei loro versi intendevano assecondare il programma
politico di Augusto volto alla restaurazione degli antiqui mores.
Comunque il lettore dà ragione alla Pizzo che ha iniziato il
suo percorso dal Quattrocento.
La scrivente aggiunge che “l’immagine creata dall’artista
non segnerà una perfetta demarcazione tra realtà e possibilità, ma le conterrà
entrambe”.
Credo che l’artista debba cogliere la quidditas delle cose e delle persone, le loro quintessenze. L’arte
ci fa vedere la verità delle cose, che è ajlhvqeia[2],
cioè “non latenza”. L’arte è disvelamento progressivo dei significati del mondo
nel quale l’artista vive, una apocalisse- rivelazione cui deve cooperare il
fruitore in sinergia con l’autore.
La Pizzo lo dice a lettore con queste parole: “Man mano che
leggerai questi miei testi, ti si chiarirà meglio che il significato dell’opera
non ti si darà mai con tutta la sua evidenza, si nasconderà, si velerà, perché
tu possa s-velarlo, che è come dire alzare il velo ma lasciarlo scendere di
nuovo, per aprirlo ad altr ri-velazioni” (p. 15)
Il lettore ha correttamente capito che l’opera d’arte
“dovrebbe produrre ciò che nella lingua tedesca si chiama unheimlichkeit, che in italiano traduciamo con spaesamento”.
Viene in mente lo squillo iniziale del primo stasimo dell’Antigone di Sofocle:"Molte sono le cose
inquietanti(polla; ta; deinav) e
nessuna/è più inquietante dell'uomo" (vv. 332-333).
Traduco ta; deina; come suggerisce
Heidegger :"Noi concepiamo
l'in-quietante (das Un-heimliche ) come quello che
estromette dalla "tranquillità", ovverosia dal nostro elemento,
dall'abituale, dal familiare, dalla sicurezza inconcussa”[3].
“Pertanto-continua il lettore-di fronte a un prodotto
artistico, noi dobbiamo avvertire quella coloritura affettiva che ci fa sentire
come fuori casa, fuori dal paesaggio conosciuto, come dire che esso deve
mostrare l’altro lato delle cose del mondo, non quello che banalmente ci sta
sotto gli occhi”.
L’arte, per raggiungere tale scopo, impiega vari mezzi. Tra
questi, le metafore.
«È in questo senso che un poeta dice: «La realtà è un
luogo comune dal quale sfuggiamo con la metafora». La metafora letteraria
stabilisce una comunicazione analogica tra realtà assai lontane e differenti,
dando intensità affettiva all’intelligibilità che produce. Generando onde
analogiche, la metafora supera la discontinuità e l’isolamento delle cose»[4].
«Le due realtà, identificandosi nella metafora, cozzano
l’una con l’altra, si annullano reciprocamente, si neutralizzano, si
materializzano. La metafora diviene la bomba atomica mentale»[5].
L’autrice approva la riflessione del lettore che del resto
conosceva già alcuni articoli di lei “comparsi sulle due riviste ‘inCamper’
prima e ‘Nuove Direzioni-Cittadino e viaggiatore’ poi”.
A mano a mano che procedono nello scambiarsi opinioni,
l’intesa tra i due dialoganti cresce. La Pizzo è contenta di riuscire simpatica
a chi la legge: “io desidero essere accattivante, perché attraverso le mie
parole tu possa innamorarti dell’opera d’arte e dell’arte. Esse saranno come
un’isola nella tua esistenza, come lo sono state per me, dove potrai rifugiarti
nel momento in cui la vita normale ti darà una batosta, ti tradirà o non ti
basterà” (p. 16)
Il lettore, non incolto, chiede se iniziarsi all’arte sia
come entrare in un tevmenoς, un
recinto sacro dove la vita si intensifica attraverso la visione della bellezza
e il dialogo con lei.
L’autrice aggiunge lo stupor
che induce “all’io penso (…) al movimento dell’immaginazione, dell’intelletto,
della sensibilità”.
Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi, afferma
Platone (Teeteto, 155d) e dal fatto
che il giovane Teeteto si meraviglia, deduce la sua attitudine alla
filosofia. Il dialogo verte sulla
conoscenza (ejpisthvmh) e Teeteto è
un giovane pregno (ejgkuvmwn, Teeteto, 210 b) di riflessioni.
Teeteto afferma che si
meraviglia enormemente davanti alle sensazioni
e Socrate gli dice: “mavla ga;r filosovfou toũto to; pavqoς , to; qaumavzein (155d).
Aristotele sostiene che gli uomini hanno cominciato a
fare filosofia, sia ora sia in origine, a causa della meraviglia: "dia; ga;r to; qaumavzein oiJ
a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n" (
Metafisica , 982b).
Dallo qaumavzein
del resto non nasce solo la filosofia ma anche la poesia e tutta la
cultura. Aristotele precisa che il filovsofo~
è anche filovmuqo~ poiché il mito è
composto da cose che suscitano meraviglia oJ
ga;r mu'qo~ suvgkeitai ejk qaumasivwn (Metafisica, 982b).
Lidia Pizzo prosegue esponendo il piano dell’opera: ella
getterà pietruzze brillanti che “si richiameranno reciprocamente” attraverso
mutui riverberi “come un’eco di perle” , costringendo il lettore a rivedere e
approfondire ogni volta di più quanto ha letto. Le nozioni dovranno diventare
organiche e assimilarsi alla carne viva.
Questo non significa che il libro toccherà solo le
sensazioni e la sfera emotiva poiché “qualche cenno storico sarà necessario
anche per inquadrare personaggi, opere, ambienti, culture del periodo in cui
gli artisti vissero e “lessero” il loro spirito del tempo, che i tedeschi con
una parola più puntuale indicano come Zeitgeist.
E poi non sai che oggi l’interdisciplonarietà è un’esigenza imprescindibile?”
(p. 16).
L’interdisciplinarietà o metodo comparativo è
assimilabile al “metodo mitico” di T. S. Eliot.
In una famosa recensione[6]
all'Ulisse di Joyce[7],
l’autore di The waste land definiva il metodo mitico, in opposizione a
quello narrativo, come il modo di controllare, di dare una forma e un
significato all'immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia
contemporanea. "Instead of narrative
method, we may now use the mythical method ", invece del metodo
narrativo possiamo ora avvalerci del metodo mitico. Questo implica la
conoscenza della tradizione e di non pochi autori della letteratura europea.
Il lettore del libro della Pizzo chiama questo metodo
comparativo o mitico “un costante andirivieni, che mi permetterà di
approfondire a poco a poco i concetti appresi, di modo che alla fine
diventeranno mio patrimonio intellettuale”.
L’autrice considera plausibile la definizione e dichiara che
lo strumento di questa paideia-educazione offerta a chi la lègge sarà la
parola.
Quella parola che l’apostolo Giovanni mette jen ajrch'/
:"In principio erat Verbum"[8].
E il verbum deve diventare factum. “Im Anfang war das Wort…Im Anfang war die Tat”[9].
Il lettore teme che la parola sia “fuorviante rispetto
all’immagine”.
La Pizzo replica con questa comparazione: “La parola è come
una gemma che vedi allacciata al collo dell’immagine” (p. 17)
Le parole che spiegano l’arte saranno come semi che, gettati
nella mente del lettore “evolveranno” con il mutare delle cognizioni di chi le
legge.
Il lettore teme che la complessità del piano dell’opera
possa comportare della confusione, ma l’autrice lo rassicura: la complessità
sarà articolata e organizzata bene, verrà risolta in una bella semplicità.
“Amiamo il bello con
semplicità e la cultura senza mollezza[10]”,
ebbe a dire il Pericle di Tucidide parlando al suo popolo, educandolo.
Ecco dunque come l’autrice chiarisce al lettore il modo in
cui è articolato il complesso piano dell’opera: “ci sarà una parte introduttiva
in cui ti renderai conto dei problemi che pone in essere l’opera d’arte e la
sua “lettura” in relazione alle epoche in cui fu eseguita. Successivamente
approfondirò di un determinato periodo gli autori più importanti, con qualche
puntatine all’estero, quando riterrò che essi siano stati significativi per
l’evoluzione del pensiero artistico”.
Chi legge dichiara la propria disponibilità a lasciarsi
sedurre da quanto troverà nel percorso seguente: “gioielli, appunto, appesi al
collo di pensieri”.
Termino questa prima parte della mia presentazione citando
le parole conclusive del primo capitolo dell’Asino d’oro di Apuleio: “ Lector, intende: laetaberis”(1, 1), fai attenzione, lettore, ti
divertirai.
E imparerai
giovanni
ghiselli
[1] Socrate nell'Apologia
scritta da Platone afferma che il suo demone si manifesta come una voce (fwnhv ti" ) che lo distoglie sempre (ajei; ajpotrevpei) da ciò che sta per fare mentre non lo spinge mai ad
agire (protrevpei
de; ou[pote, Apologia di Socrate, 31d).
[2] Questa parola è formata da aj-privativo e lanqavnw, che significa 2rimango nascosto”. Del resto la forma
media lanqavnomai, vuol dire “dimentico”, per cui ajlhvqeia è “non latenza” e “non dimenticanza”.
[3] M. Heidegger, Introduzione
alla metafisica , trad. it. Mursia, Milano, 1966, p. 157
[4] E. Morin, La
testa ben fatta, p. 94.
[5] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 48.
[7] Del 1922.
[8] Vangelo di Giovanni , Prologo.
[9] Goethe, Faust I,
Studio. In principio era la
Parola …in principio era l’Azione.
[10] "filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva" kai; filosofou'men
a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1)
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