Paideia è connessa
a parresia
La libertà di parola è il presupposto della democrazia,
dell’arte e della scuola educativa.
Su ciascun autore non
è mai stata detta l'ultima parola e lo studioso non deve essere solo il
ripetitore pedissequo di teorie altrui. "La scuola, i luoghi della
formazione, della Bildung, hanno continuato malgrado tutto a essere
centri di critica, di discussione, di confronto tra tendenze diverse, di
interrogazione"[1].
La critica dei ragazzi deve avere la possibilità di colpire anche i docenti:
all'allievo va lasciata piena libertà di parola. Sentiamo ancora
Cacciari:" Paideia è ab origine connessa a parresia . Se
viene meno la parola libera - e la parola può cessare di essere libera soltanto
per 'autocensura' - , la parola che intende discutere ogni presupposto e ogni
'stato', non vi è più scuola, ma, per dirla con Nietzsche, "produzione di
impiegati", se va bene di "impiegati intelligenti"[2].
Parrhsiva
potrebbe essere scelta come parola chiave della didattica. Il suo significato
può essere chiarito a partire dallo Ione[3]
di Euripide dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre
ateniese questo privilegio, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba
in quella città, anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza
la libertà di parola ("tov ge
stovma-dou'lon pevpatai[4] koujk e[cei parrhsivan", vv.
674-675).
Analogo concetto si
trova nelle Fenicie[5],
quando Polinice risponde alla madre
sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n
me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto,
che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire
quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte
come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della
perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande
(Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa
svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le
componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[6].
Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta
queste frasi “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo
secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa libertà di
parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[7].
Vediamo ora una critica della parresia per rendere problematica anche questa, se diventa
“inopportuna”.
Un biasimo della parresia,
giudicata fuori luogo, troviamo in Arriano il quale celebra l’impresa e la persona di Alessandro
Magno e tende a giustificarlo per i suoi atti tirannici, muovendogli solo qualche critica sporadica,.
Nell’ Anabasi di Alessandro dunque
l’autore accusa di “ajkaivrw/…parrhsiva/
”[8],
inopportuna libertà di parola, lo storico Callistene che rifiutò di prostrarsi
davanti al re e ne chiarì, invero non ignobilmente, le ragioni.
Concludo scrivendo che molti tra coloro che oggi inneggiano
alla libertà di parola minacciata dal terrorismo, dimenticano di denunciare, o
non vogliono farlo, quante volte qui in Italia la parresia è stata perseguitata e colpita, talora anche con la morte
di chi la praticava, più o meno opportunamente.
Di fatto, la parola che critica il potere, per il potere
criticato è sempre inopportuna come avete visto nel caso di Callistene o in
quello più recente di Pasolini
giovanni ghiselli
il blog che ho aperto nel febbraio del 2013, scrivendo
sempre con totale parresia, è
arrivato a 206442 contatti.
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