Povliς e Kalovvn
Venezia palazzo Morosini, 31 gennaio ore 15
La
povliς degli Ateniesi, secondo i
suoi elogiatori è caratterizzata dalla democrazia o isonomia, dalla parresia,
dalla cultura, dall’aiuto dato ai supplici, dall’arte e quindi anche dal
kalovn.
Allora vediamo quali sono gli autori e i testi che elargiscono questi elogi.
Vediamo del resto anche qualche critica.
Democrazia
Eschilo nei Persiani contrappone al potere assoluto il sistema
democratico quando la regina Atossa domanda ai vecchi dignitari chi sia il
pastore e il padrone dell'esercito. Allora il corifeo risponde:"ou[tino"
dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi" (v. 242), di nessun uomo
sono chiamati servi né sudditi.
Il grande re Serse infatti pur se sconfitto, non è "uJpeuvquno"
povlei" (v. 213), tenuto a rendere conto[1]
alla città, come invece lo è uno stratego eletto dal popolo.
Nei versi precedenti la regina madre Atossa racconta
un suo sogno: le apparvero due donne (vv. 180 ss.), una munita pepli dorici,
l'altra adorna di vesti persiane, entrambe grandi, belle e sorelle di stirpe.
Simboleggino la Grecia e la Persia. Tra le due scoppiò una lite: quindi il re
Serse cercava di ammansirle e le aggiogava al carro con le cinghie sotto il
collo. Una delle due si esaltò per questa bardatura e porgeva la bocca docile
alle briglie, mentre l’altra recalcitrava (ejsfavda/ze,
v. 194), con le mani spezzò le redini del carro, lo trascinò a forza senza
freni e ruppe il giogo a metà. Allora, continua la regina, cadde il figlio mio,
e gli si accostò Dario e lo compianse; e Serse, come lo vide, si lacerò le vesti
addosso al corpo (pevplou~
rJhvgnusin ajmfi; swvmati, v.
199).
Euripide nell’ Ifigenia in Aulide fa dire alla
fanciulla che ha deciso di offrire la sua vita alla patria.
"è naturale che gli Elleni comandino sui
barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi
liberi( vv. 1400-1401) "[2].
Isocrate
nel Panegirico[3]
denigra i Persiani attribuendo loro la morale degli schiavi: essi sono educati
alla servitù più compiutamente che i servi degli Ateniesi (150).
Aristotele[4]
nella Politica sostiene che i barbari non hanno la parte che per natura
comanda (o[ti to; fuvsei a[rcon oujk
e[cousin) e quindi la loro comunità è
fatta di schiavi (1252b).
I Greci dunque, in particolare gli Ateniesi
sono liberi, mentre i barbari, soprattutto gli orientali, sono schiavi.
Platone considera vera educazione dell’uomo
pepaideumevnoς
solo quella che mira alla virtù sin dall’infanzia, e rende il cittadino capace
di comandare e di obbedire secondo giustizia mentre quella che tende al denaro è
volgare e servile (Leggi, 644).
La formazione dell’uomo
a[paideutoς
invece tende alla ricchezza e alla forza del potere o a qualche
sofiva a[neu noũ
kai; divkhς. Insomma un sapere senza
sapienza. Ebbene tale formazione è cosa volgare e servile-bavnauso;n
kai; ajneleuvqeron, e per niente degna
di essere chiamata educazione.
La libertà principale è quella della parola
“Paideia è ab origine connessa a parresia
. Se viene meno la parola libera - e la parola può cessare di essere libera
soltanto per 'autocensura' - , la parola che intende discutere ogni presupposto
e ogni 'stato', non vi è più scuola, ma, per dirla con Nietzsche, "produzione di
impiegati", se va bene di "impiegati intelligenti"[5].
Parrhsiva
potrebbe essere scelta come parola chiave della didattica. Il suo significato
può essere chiarito a partire dallo Ione[6]
di Euripide dove il protagonista esprime il
desiderio di ereditare da una madre ateniese questo privilegio, recandosi ad
Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa
cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov
ge stovma-dou'lon pevpatai[7]
koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
Analogo concetto si trova nelle Fenicie[8],
quando Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:"
e{n me;n mevgiston, oujk e[cei
parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non
ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire
quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte
come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita
della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide,
Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa
svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le
componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[9].
Nella Lettera agli Efesini, Paolo Dio ha
attuato il suo disegno eterno in Cristo “
ejn w̃/
e[comen th;n parrhsivan kai; prosagwghvn ejn pepoiqhvsei dia; th̃ς
pivstewς
aujtoũ (3, 12), nel quale abbiamo la libertà e
l’accesso nella sicurezza per la fede in lui.
Nella Lettera agli Ebrei, Paolo scrive che dopo
Cristo il gran sacerdote che può simpatizzare con noi nelle nostre infermità,
possiamo accostarci con libertà al trono della grazia-prosercwvmeqa
ou\n meta; parrhsivaς
tw̃/
qrovnw/ th̃ς
cavritoς, 4, 16) per ottenere misericordia e
trovare grazia per essere soccorsi al momento opportuno
Nelle Leggi di Platone l’Ateniese ricorda che
Ciro (559-529) tra i Persiani c’era una democrazia militare nella quale il re
non era invidioso e concedeva parresia e onorava quanti erano in grado di dare
consigli (tou;ς
dunamevnouς
sumbouleuvein, 694b). Quindi in quel tempo ogni
cosa progredì grazie alla lbertà, alla concordia e alla condivisione delle
intelligenze (dij
ejleuqerivan te kai; filivan kai; noũ
koinwnivan)
Tuttavia quell’assetto si guastò con Cambise
(529-522) e fu restaurato da Dario (522-485). Questo perché Ciro, pur essendo un
valente condottiero, non ebbe un’educazione del tutto corretta e non la diede ai
figli che lasciò in mano alle donne le quali li viziarono costringendo tutti a
lodarli
Platone dunque attribuisce tale
mala educazione alle donne della casa reale persiana del tempo di Ciro il
Vecchio il quale, sempre impegnato in
operazioni militari, delegò alle femmine la cura dei figli. Queste li viziarono
impartendo loro una trofh;n
gunaikeivan
(Leggi, 694d) , una cura da donne, per giunta donne del re divenute
ricche da poco.
I padri combattevano e conquistavano, ma non
insegnavano ai figli la disciplina persiana, quella di pastori e guerrieri molto
resistenti alle fatiche. Insomma: “periei'den
uJpo; gunaikw'n te kai; eujnouvcwn paideuqevnta~ auJtou' tou;~ uJei'~”
(Leggi, 695a), Ciro il Vecchio
permise che i suoi figli, Cambise e Smerdi, fossero educati da donne e da
eunuchi.
Sicché essi crebbero come ci si doveva
aspettare, dato il loro essere stati allevati
trofh'/ ajnepiplhvktw/
(695b) in maniera licenziosa. E quando i due giovani ereditarono il regno,
trufh'~ mestoi; kai; ajnepiplhxiva~,
gonfi di lussuria e di sregolatezza, per prima cosa uno uccise l’altro perché
non sopportava uno stato di parità, quindi costui, ossia Cambise,
mainovmeno~[10]
uJpo; mevqh~ te kai; ajpaideusiva~,
pazzo in seguito al bere smodato e alla mancanza di educazione, perse il potere
a opera dei Medi e del cosiddetto “eunuco”[11],
che aveva disprezzato la stupidità del re (
katafronhvsanto~ th`~ Kambuvsou mwriva~,
Leggi, 695b.
Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando
riporta queste frasi “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel
sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché
parrhysia in greco significa libertà di parola della quale feci uso anche
verso i monsignori cardinali”[12].
Atene è la scuola dell’Ellade
secondo il Pericle di Tucidide che nell’inverno 431-430 pronuncia il suo
lovgoς
ejpitavfioς sui caduti nel primo anno di guerra (II, 35-46). Lo stratego
aggiunge che la sua città sarà sempre ammirata, senza avere bisogno delle
lodi di un Omero o di altri poeti capaci di dilettare per breve tempo. Saranno
il mare e la terra a conservare per sempre il ricordo della sua cultura e delle
sue imprese.
“Riassumendo dico che l’intera città è la scuola dell’Ellade (xunelwvn
te levgw thvn te pãsan povlin th̃ς
JEllavdoς paivdeusin ei\nai)
e mi sembra che ciascun uomo singolarmente da noi possa presentare la propria
persona indipendente a moltissimi generi di formazione anche con la massima
eleganza e con versatilità” ( Storie, II, 41, 1).
Parti di questo discorso ha ispirato alcuni punti della nostra Costituzione
Vediamo alcune altre frasi di questo lovgoς
ejpotavfioς attribuito da Tucidide a Pericle che esercitava un potere
che pur concesso dai suoi concittadini, era molto forte
Tucidide usa un'espressione ( "
ejgivgnetov te lovgw/ me;n dhmokrativa, e[rgw/
de; uJpo; tou' prwvtou ajndro;" ajrchv",
II, 65, 9) per la quale Jaeger nota che "la teoria filosofica posteriore, della
costituzione mista quale ottima forma di Stato, è qui anticipata”[13]
Noi,
dice il capo degli Ateniesi “abbiamo una costituzione esemplare (paravdeigma)
e degna di essere imitata. Si chiama democrazia è c’è una condizione di
uguaglianza (to; i[son) per tutti.
Si viene eletti alle cariche pubbliche secondo la stima del valore (kata;
de; th;n ajxiwvsin) né uno viene preferito alle cariche per il partito
di provenienza (oujk ajpo; mevrouς)
più che per il valore (to; plevon ejς
ta; koina; h] ajp j ajreth̃ς), né del resto secondo il criterio della
povertà (oujd j au\ kata; penivan)
se uno può fare qualche cosa di buono per la città, ne è stato impedito per
l’oscurità della sua posizione sociale (ajxiwvmatoς
ajfaneiva/ kekwvlutai) Storie, II, 37, 1.
Sentiamo allora la nostra Costituzione.
Articolo 1: L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La
sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione”.
L’articolo 3 è forse il più noto: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
religione, di condizioni personali e sociali
Comma B. E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del
paese.
Nel
Menesseno di Platone, Aspasia dice che nessuno è stato escluso per
povertà (peniva/), né per oscurità
dei padri, né d’altra parte per condizioni opposte è stato ritenuto degno di
onore (238d)
Sarebbe stata Aspasia a comporre questo discorso per Pericle.
Sentiamola: “La nostra democrazia di fatto è un’aristocrazia con il consenso
della massa. Noi abbiamo sempre avuto dei re. (Il secondo arconte che presiedeva
al culto, aveva il titolo di re)
Il
popolo assegna cariche e potere a chi gli sembra essere il migliore: nessuno è
stato escluso (ajphlevlatai oujdeivς)
per debolezza, povertà, oscurità dei padri, né per motivi opposti (oujde;
toĩς ejnantivoiς) è stato
onorato. C’è un solo limite (ei|ς
o{roς): ha il potere e le carichre (krateĩ
kai; a[rcei) chi ha la reputazione di uomo saggio o buono (oJ
dovxaς sofo;ς
h} ajgaqo;ς ei\nai (238d).
Del
resto non mancano critiche alla costituzione e al governo della polis
ateniese.
Nella Costituzione degli Ateniesi , scritta da un pubblicista di parte
oligarchica, il dialogante A biasima la democrazia come prepotenza del popolo,
e sostiene che essa è la conseguenza
dell’impero marittimo: la canaglia ha preso il potere e ha reso forte la
città o{ti oJ dh'mo;~ ejstin oJ ejlauvnwn
ta;~ nau'~ (1, 2), in quanto è il popolo che fa andare le navi.
Platone
nell'VIII libro della Repubblica biasima la mancanza di serietà della
democrazia, una costituzione che non si dà pensiero delle abitudini morali di
chi fa politica, ma onora chi dice di essere amico del popolo.
E' una
costituzione populista, piacevole, anarchica e variopinta, che distribuisce una
certa uguaglianza nello stesso modo a uguali e disuguali (hJdei'a
politeiva kai; a[narco" kai; poikivlh,
ijsovthtav tina oJmoivw~ i[soi~ te kai;
ajnivsoi~ dianevmousa, 558c).
Un'uguaglianza divaricata dalla giustizia dunque se è vero quanto dice
Don Milani: "Perché non c'è nulla che sia ingiusto
quanto far le parti eguali fra disuguali"[14].
Io credo che
sia più ingiusto fare parti troppo diverse tra persone che sono sostanzialmente
uguali come siamo noi uomini.
I
demagoghi furono Cleone, Iperbolo e Cleofonte, ma Platone ( nel Gorgia)
non salva nemmeno Pericle quando scrive che i vari Temistocle, Cimone, Pericle
sono i veri responsabili dei mali" in effetti
senza preoccuparsi della temperanza e della giustizia (a[neu
ga;r swfrosuvnh" kai; dikaiosuvnh")
hanno riempito la città di porti, di arsenali, di mura, di contributi e di
altre sciocchezze del genere (toiouvtwn
fluariw'n ejmpeplhvkasi th;n povlin,
519a).
Corrisponde a quello sviluppo" quale "fatto
pragmatico ed economico" senza "progresso" come "nozione " di cui parla Pasolini
negli Scritti corsari (p.220).
Anche
l'altro discepolo di Socrate, Senofonte, critica la democrazia ateniese quando
racconta un episodio che mostra la prepotenza del popolo che pretese la condanna
sommaria degli strateghi pur vincitori della battaglia delle Arginuse (406)
La difesa fatta da Eurittolemo mise in rilievo
l’illegalità della proposta di condannare a morte gli strateghi senza
distinguere le responsabilità individuali e denunciò Teramene come colui che
avrebbe dovuto raccogliere i naufraghi, mentre nell’assemblea precedente il
processo, il Coturno aveva accusato gli strateghi (o{~
ejn th'/ protevra/ ejkklhsia/ kathvgorei tw'n strathgw'n,
Senofonte, Elleniche, 1,7, 31)
Durante il processo ci fu dunque un tentativo
di difesa, ma nella massa era stato inoculato l'odio e il desiderio del capro
espiatori ed essa nell’assemblea gridava che era grave se qualcuno non
permetterva al popolo di fare quanto voleva ("to;
de; plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon pravttein
o} a]n bouvlhtai", Senofonte,
Elleniche, I, 7, 12)."E' la rivendicazione che riecheggia minacciosamente in
assemblea ad Atene durante il processo popolare contro i generali delle Arginuse",
ed è "la formula che caratterizza, secondo Polibio, la degenerazione
della democrazia (VI, 4, 4:" quando il popolo è padrone di fare quello che
vuole")”.[15]
Sentiamo quindi Polibio: “paraplhsivw~
oujde; dhmokrativan, ejn h|/ pa'n plh'qo~ kuvriovn ejsti poiei'n o[ ti pot j a]n
aujto; boulhqh'/ kai; proqh'tai” (6,
4 , 4), similmente non è democrazia
quella in cui la massa sia padrona di fare tutto ciò che voglia e preferisca;
invece, continua Polibio, lo è quella presso la quale è tradizionale e abituale
venerare gli dèi, onorare i genitori, rispettare gli anziani, obbedire alle
leggi; presso tali comunità, quando prevale il parere dei più (o{tan
to; toi'~ pleivosi dovxan nika'/), questo bisogna chiamare democrazia.
Il
fatto che Polibio più avanti scriva (9, 23, 8) che ai tempi di Pericle ad Atene
gli atti crudeli erano pochi (ojlivga me;n
ta; pikrav) mentre prevalevano quelli buoni e santi (polla;
de; ta; crhsta; kai; semnav) fa pensare che lo storico considerava se non
“vanificata”, certo “contenuta” e limitata da Pericle, la prepotenza del
plh'qo~ nel primo periodo della
democrazia radicale.
Aristotele nella Politica (1292a) scrive che dove non comandano le leggi
non c’è costituzione: o{pou ga;r mh; novmoi
a[rcousin, oujk e[sti politeiva.
Atene nei drammi di Eschilo, Sofocle, Euripide è anche la città che protegge e
aiuta i supplici.
Nelle Eumenidi di Eschilo, Oreste viene assolto da metà degli areopagiti
e dalla dea poliade Atena e le Erinni che lo perseguitavano vengono rese
benevole.
Le
tragedie di Euripide mettono in rilievo più di una volta l’accoglienza dei
supplici da parte della polis ateniese: nella Medea, la donna che si è
vendicata del marito traditore verrà accolta da Egeo.
Negli
Eraclidi[16]
il re di Atene, in questo caso Demofonte, figlio di Teseo e di Fedra, riceve e
accoglie una richiesta di aiuto dai supplici figli di Eracle che l'argivo
Euristeo perseguita: nella parodo il coro composto di cittadini ateniesi
avverte: "a[qeon iJkesivan meqei'nai
povlei-xevnwn prostropavn" (vv. 107-108), è empio per una città
trascurare la supplice preghiera di stranieri. Più avanti i vecchi del coro
ribadiscono che da sempre la loro terra vuole contribuire con la giustizia ad
aiutare chi è privo di risorse: "ajei; poq
j h{de gai'a toi'~ ajmhcavnoi~-su;n tw'/ dikaivw/ bouvletai proswfelei'n",
(vv. 329-330).
Questa
tragedia rientra "in un modello tragico ben adicato nel teatro del V secolo: le
tragedie "di supplica", che hanno come argomento l'arrivo di un supplice e il
suo accoglimento all'interno della polis , che si prende cura di
proteggerlo dai prepotenti che vogliono strapparlo dall'altare, infrangendo le
regole civili e religiose dell'ospitalità. Il più antico esempio di questo tema,
nei drammi conservati, sono le Supplici di Eschilo, cui si affiancano due
drammi euripidei, le Supplici e gli Eraclidi. Pur inserendosi però
in questo modello drammatico, l'Edipo a Colono sviluppa molto
origunalmente il tema tradizionale, soprattutto perché sposta il fulcro
dell'azione dall'accoglimento (risolto, in sostanza, nella prima parte della
tragedia) a quello, molto più ampio, dell'eroe davanti alla polis, alla
morte, al destino: l'accoglimento del supplice non risolve la tragedia, ma è la
premessa di un dramma che si sviluppa poi in altre direzioni…in nessun' altra
tragedia sofoclea lo spazio che fa da contorno all'azione ha un risalto simile,
tanto che Colono potrebbe essere considerata più un muto e invisibile
personaggio che un semplice sfondo"[17].
Questo mito
che illustra la generosità degli Ateniesi lascia echi che si prolungano per
secoli: Arriano[18]
nell'Anabasi di Alessandro racconta che a Callistene, storico ufficiale
di Alessandro Magno, Filota domandò se un tirannicida poteva trovare rifugio e
salvarsi presso qualche popolazione greca, e il pronipote di Aristotele rispose
che un fuggitivo poteva salvarsi, se non presso altri, certo dagli Ateniesi,
essi infatti si erano battuti per i figli di Eracle anche contro Euristeo "turannou`nta
ejn tw`/ tovte th`~ JEllavdo~" ( 4, 10, 4) che allora tiranneggiava la
Grecia.
Nelle Supplici[19]
di Euripide Etra, la madre di Teseo, incoraggia il figlio a soccorrere i
morti e le donne che hanno bisogno di aiuto. La loro patria, Atene, si
ingrandisce nei travagli (“ ejn ga;r
toi'" povnoi" au[xetai, v.
323). Alla fine del primo stasimo il coro delle donne supplici che hanno
perduto i loro cari prega la città di Pallade di soccorrere le madri: "suv
toi sevbei" divkan, to; d j h|sson ajdikiva/-nevmei", dustuch' t j ajei; pavnta
rJuvh/ " ( vv. 379-380), tu onori la giustizia, tu non dai spazio
all'ingiustizia, e proteggi i disgraziati.
Il mito
di Stato in Sofocle
La fama
dell'ospitalità di Atene è nota anche all'Edipo di Sofocle, il vecchio cieco
giunto a Colono con Antigone ricorda al corifeo che la città, per essere
all'altezza della sua reputazione non può non accoglierlo: qual è, domanda, il
vantaggio della fama, o di una bella rinomanza diffusa invano, se dicono che
Atene è la città più pia ( jAqhvna" fasi;
qeosebestavta" ei\nai, Edipo a Colono, vv. 260-261) la sola capace
di salvare lo straniero maltrattato, la sola che può resistere? Del resto Edipo
merita quel soccorso; infatti subito dopo aggiunge:"
ejpei; tav e[rga mou-peponqovt j
ejsti; ma'llon h] dedrakovta" (Edipo
a Colono, vv. 266-267), poiché le mie azioni sono state subite
piuttosto che fatte[20].
Nell’Edipo a Colono c’è un forte
contrasto fra Edipo e Creonte: “La sfida tra personaggi contrapposti si sposta
però a un livello più ampio: Atene protegge Edipo, Tebe lo perseguita. Come
spesso avviene nella tragedia, la contrapposizione si sviluppa quindi tra due
forme nello stesso tempo politiche e simboliche: vale a dire, tra la città
“sana” e quella “malata”. La tirannide è caratteristica di Tebe (del resto,
storicamente, in guerra contro Atene quando il dramma fu composto); la giustizia
lo è di Atene, impersonata sulla scena dal suo re “democratico”, Teseo. Tebe è
la città delle guerre civili, Atene offre ai perseguitati la giustizia e la
pietà ed è il solo spazio sulla terra in cui un uomo può essere effettivamente
accolto e aiutato. Il fatto che questo nobile quadro di una città giusta e buona
sia stato tracciato negli ultimissimi anni della grandezza di Atene, quando
tutti sapevano che la guerra era ormai perduta e che lo splendore di Atene
apparteneva al passato, aggiunge emozione al clima già solenne e quasi sacrale
dell’Edipo a Colono. Così il nobile Teseo dell’Edipo a Colono
richiama il Teseo che alla fine dell’Eracle di Euripide ospita un eroe
generoso e sventurato, offrendogli uno spazio cittadino in cui inserirsi[21],
anche se l’ottica tutta umana e laica di Euripide, per il quale l’unica speranza
di riscatto sta nella solidarietà tra gli uomini, mentre gli dèi sono ostili e
malvagi, è lontana da quella dell’Edipo a Colono dove anche le forze
invisibili del divino si affiancano agli uomini nel tendere la mano a
Edipo…Accettare un supplice in città e integrare uno straniero che, in quanto
estraneo alle leggi cittadine, rappresenta un elemento di parziale sovversione,
mette in moto meccanismi profondi, non solo della socialità politica greca, ma
di quella che si potrebbe definire una psicologia collettiva dell’ambivalenza.
Un supplice soprattutto presenta un’ambiguità di fondo: è un essere divino posto
sotto la tutela di Zeus Ikesios e sacralizzato dal contatto con l’altare ma
anche un pericolo. Per eccellenza però, un supplice rischia di portare con sé la
rovina o la contaminazione: Odisseo porterà con sé l’ira di Poeidone e l’alone
di misterioso pericolo che circonda un supplice era ancora attuale nella cultura
del V secolo (come dimostra tra l’altro anche il racconto erodoteo di Adrasto e
Creso[22]).
Anche Edipo porta con sé una duplice e ambigua natura: espulso come un maledetto
dalla sua città, entra in un’altra nella veste di supplice e salvatore, due
categorie solo apparentemente contraddittorie, che s’incrociano come si erano
incrociate, nell’Edipo del primo dramma, quelle di re e
farmakov~,
di reietto e di prescelto”[23].
Anche
Isocrate ricorda più di una volta questo ruolo protettivo. Nel Panegirico
[24] l'oratore
fa un caldo elogio di Atene e sottolinea l'antichità dei benefici elargiti ai
supplici dalla su città, "dalla quale è giusto che prendano le prove di fiducia
quelli che discutono sulle tradizioni patrie: molto prima della guerra di Troia
infatti vennero da noi i figli di Eracle e prima ancora Adrasto, figlio di Talao,
re di Argo" (54).
Infine
Stazio nella Tebaide rappresenta Giunone che parteggia per gli Argivi
e dopo la loro sconfitta si muove verso le mura di Atene: " Theseos ad muros,
ut Pallada flecteret, ibat,/supplicibusque piis faciles aperiret Athenas" (XII,
293-294), per convincere Pallade e aprire Atene bendisposta alla pie donne
supplici.
L’articolo 10 della nostra Costituzione dice: “Lo straniero al quale sia
impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche
garantite dalla costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica. Non è ammessa l’estradizione per motivi politici.
La componente estetica, il kalovn.
C’è
una frase dell'epitafio di Pericle-Tucidide che mi sembra emblematica non solo
dell'Atene periclèa ma di tutta la cultura greca, anzi di tutta la migliore
cultura europea:"filokalou'mevn te ga;r met
j eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva""(II, 40, 1), amiamo
il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
I
paradigmi mitici di questo culto della bellezza si trova nelle tragedie dove
l’eroe preferisce la morte al vivere fuori dalla bellezza
l'Aiace di Sofocle e non
sopporta di sopravvivere al suo disonore, e prima di uccidersi dice:"ajll
j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-to;n eujgenh' crhv"[25],
ma il nobile deve vivere nobilmente o nobilmente morire.
Nè manca la giovane donna eroica che
preferisce la morte ad una vita ignobile: Polissena nell'Ecuba di
Euripide chiede alla madre di lasciarla morire senza opporre resistenza:"to;
ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno""(v.
378), infatti il vivere senza bellezza è una grande fatica.
Antigone presenta tutti i tratti dell’eroina:
ella non cede alle obiezione dettate dal buon senso di
Ismene, anzi replica :" io non
soffrirò/nulla di così grave da non morire nella bellezza" (w{ste
mh; ouj kalw'" qanei'n, Antigone, vv.
96-97).
Nella filosofia, Platone fa dire a Socrate che la bellezza terrena risvegli il
ricordo di quella eterna dell’idea del bello, il bello in sé.
L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è
particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo.
Solo la bellezza ha ricevuto questa sorte di essere l’idea che rimane più
manifesta e amabile qua sulla terra. Del resto nella pianura della realtà,
met’ ejkeivnwn, tra quelle idee,
e[lampen o[n, brillava come essere
(Fedro, 250d).
Chi
vede una bella persona e ricorda la bellezza ideale, la contempla e venera
religiosamente, e gli spuntano le ali.
Il
ricordo fa crescere l’ala attraverso tutta l’anima:
pa'sa ga;r to;
pavlai pterwthv (251b), infatti un
tempo l’anima era tutta alata.
Aristotele scrive che lo
scopo del tiranno è il piacere (to; hJduv),
quello del re to; kalovn, la
bellezza “e[sti de; skopo;ς
turannikoς me.n to; hJduv, basiliko;ς
de; to; kalovn” (Politica 1311A)
Nella Retorica (1389b) Aristotele, sparlando a proposito e a sproposito
dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon
h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di
mikroyuciva, meschinità:
kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj
pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e
non per il bello, proprio per il fatto di essere egoisti: l’utile infatti è un
bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to;
de; kalo;n aJplw'~).
Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la
comprensione ma anche la bellezza, una sorta di
tw/' pavqei kavllo"
:"Una questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore…la questione se
in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di
divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla
privazione, dalla malinconia e dal dolore…quanto dovette soffrire questo
popolo, per poter diventare così bello!"[26].
La "Classicità non è chiarezza sin
dall'inizio, bensì contesa giunta ad unità, discordia conciliata, angoscia
risanata".[27]
giovanni ghiselli
The lesson of that past tell us that a Polis able to
create the Beautiful, as well as a Res Publica able to root
(fare attecchire the Good), were based on the concept of Scholè, that is
leisure-tempo libero-, free time spent gazing- fissando- or
theorizing into the true nature of things, and embodying- includendo. a moral
dimension requiring a catharsis from the body’s perturbations and from all value
standards and metrics.
Nelle Supplici[28]
di Euripide Teseo è il Pericle in vesti eroiche il quale elogia la
costituzione democratica[29]
dialogando con l'araldo mandato da Creonte re, anzi tiranno di Tebe. Atene
dunque non è comandata da un uomo solo, ma è una città libera (ejleuqevra
povli" , v. 405).
Il re di Atene in questa tragedia scritta poco prima della pace di Nicia, è
addirittura ottimista. Egli confuta quanti sostengono che il male prevalga, e
afferma che invece per gli uomini è maggiore il bene che il male. Se fosse
maggiore il male non vivremmo nella luce. Dunque Teseo elogia quello tra gli
dèi che ha regolato la nostra vita da confusa e bestiale che era (ejk
pefurmevnou[30]-
kai; qhriwvdou"), innanzitutto mettendoci dentro l’intelligenza, poi
dandoci la lingua messaggera delle parole, in modo da capire la voce (vv.
201-205).
L'araldo delle Supplici ribatte che il governo di un solo uomo non è
male: infatti esclude i demagoghi i quali gonfiando la folla con le parole la
volgono di qua e di là a proprio profitto. Del resto chi lavora la terra non ha
tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche:"
oJ ga;r
crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou"
-kreivssw divdwsi (vv. 419-420), è infatti il tempo che dà un sapere più
forte invece della fretta.
Teseo non controbatte la critica ai demagoghi, che condivide, ma risponde che
il tiranno è l'entità più ostile alla polis:"
oujde;n turavnnou dusmenevsteron povlei"
(v. 429). Egli infatti uccide i migliori, quelli dei quali considera la capacità
di pensare, in quanto teme per il suo potere:"kai;
tou;" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n-kteivnei, dedoikw;" th'" turannivdo"
pevri" (vv. 444-445). Sicché la città si indebolisce: come potrebbe
essere forte quando uno miete i giovani come da un campo di primavera si porta
via la spiga a colpi di falce? (vv. 447-449). Inoltre il despota si impossessa
dei beni altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva acquistare ricchezze per
i propri figli. Per non parlare delle figlie che l'autocrate vuole rendere
strumenti del suo piacere. l'Elettra di Euripide recitando il biasimo
funebre di Egisto allude, con pudica e verginale aposiopesi, alle porcherie che
l'usurpatore faceva con le donne:"ta; d j
eij" gunai'ka", parqevnw/ ga;r ouj
kalo;n-levgein, siwpw' " (Elettra, vv. 945-946).
“Che Atene sia la terra della giustizia è un Leitmotiv ideologico
della cultura ateniese, ed è il presupposto di tagedia “di supplica” come le
Supplici euripidee…Il motivo ha una sua trattazione anche nell’oratoria
epidittica, come assicura tra l’altro il parallelo di Lisia, 2, 17-9: ‘i nostri
antenati seguirono sempre il principio di battersi per la giustizia (peri;
tou` dikaivou diamavcesqai)… con la legge premiando i buoni e punendo gli
scellerati’ ”[31].
La scolhv, il tempo libero
Vediamo Euripide, Platone e Aristotele sul tempo libero. Brevissima appendice
senecana
Abbiamo già visto che L'araldo delle Supplici di Euripide sostiene che
per giungere all’apprendimento è necessario il tempo libero che la fatica di
lavorare la terra non lascia: “oJ ga;r
crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou"
-kreivssw divdwsi (vv. 419-420), è infatti il tempo che dà un sapere più
forte invece della fretta.
Passiamo a Platone
Nel Fedone, Socrate dice che il corpo con i suoi desideri ci fa impiegare
il tempo in guerre, rivoluzioni, battaglie per il possesso delle ricchezze. Noi,
se siamo schiavi al servizio corpo e non ce ne emancipiamo, manteniamo la
mancanza del tempo libero (ajscolivan a[gomen
filosofivaς pevri)
indispensabile per la filosofia. E anche se interviene un poco di tempo libero
(eavn tiς
hJmĩn kai; scolh; gevnhtai)
i desideri del corpo portano confusione e turbamento (66D).
Dunque il corpo ci procura innumerevoli occupazioni (murivaς
ga;r hJmĩn ajscolivaς
parevcei to; sw̃ma) per la
sua necessità di essere nutrito.
Anche le malattie che ci cadono addosso ci impediscono la caccia dell’essere (novsoi…ejmpodivzousin
hjmw̃n th;n toũ
o[ntoς qhvran (66B)
Nella Repubblica, Platone fa dire a Socrate che ogni cosa riesce meglio
kavllion kai; rJa//on, più bella e
fatta più facilmente, quando uno si dedichi a una cosa sola, secondo natura e
nel tempo opportuno, tenendosi il tempo libero dalle altre-scolh;n
a[llwn a[gwn (370c)
Nel Fedro, Socrate dice che non ha
scolhv per spiegare razionalmente i miti, poiché non è ancora in grado di
conoscere se stesso. Per questa impresa ci vuole molto tempo. Egli dunque
prende i miti come sono. Se non credesse ai miti non sarebbe lo strano uomo che
è (oujk a]n
a[topoς
ei[h (229C). Dunque le facciano i
sofoiv le razionalizzazioni.
Nell’Apologia di Socrate, Platone fa dire al maestro che in vita sua è
rimasto povero in quanto ha voluto solo mantenere il tempo libero per esortare i
concittadini (a[gein scolh;n ejpi; uJmetevra/
parakeleuvsei) e aggiunge che per questo meriterebbe di essere nutrito
nel Pritaneo come i vincitori olimpici (36D)
Aristotele
Aristotele nella Politica (1133A) ricorda che l’anima di divide in due
parti: la parte ragionevole che comanda e l’altra priva di
lovgoς che deve obbedire[32].
La parte migliore dell’anima è quella che ha la ragione (bevltion
de; to; lovgon e[con, 1133A). Il logos poi può essere pratico o teoretico[33].
Anche le attività si dividono in due, anzi tutta la vita dell’uomo si divide in
due: “dihv/rhtai de; kai; pãς
oJ bivoς eijς
ajscolivan kai; scolh;n kai; eijς
povlemon kai; eijrhvnhn (Politica, 1133A): in mancanza di tempo
libero, cioè occupazione, e tempo libero, in guerra e pace.
La scelta di queste parti deve seguire lo stesso criterio dell’
ai{resiς, la scelta delle parti
dell’anima: la guerra per la pace, l’occupazione priva del tempo libero per
acquistare il tempo libero (povlemon me;n
eijrhvnhς cavrin, ajscolivan de;
scolh̃ς), le cose necessarie e utili in vista di quelle belle (ta;
d j ajnagkaĩa kai; crhvsima tw̃n
kalw̃n e{neken).
Si deve poter ajscoleĩn
, essere occupato e fare la guerra (polemeĩn),
ma più ancora eijrhvnhn a[gein kai;
scolavzein (1133B), costruire la pace e il tempo libero . E fare le cose
necessarie e utili, ma anche le belle. A questi scopi bisogna educare i
fanciulli e non solo. In conclusione, vi devono essere delle virtù- capacità-
volte alla conquista del tempo libero (deĩ
ta;ς eijς
th;n scolh;n uJpavrcein, 1134A), infatti la pace è il fine della guerra (eijrhvnh
tevloς polevmou) e il tempo
libero è il fine dell’occupazione (scolh;
dj ajscolivaς).
Per conquistare il tempo libero sono utili le capacità nel lavoro.
Una città deve essere temperante coraggiosa e forte, perché secondo il
proverbio: non c’è tempo libero per gli schiavi (kata;
ga;r th;n paroimivan, ouj scolh; douvloiς, (1334A)..
Per l’ajscoliva, l’occupazione ci
vogliono coraggio e forza, per la scolhv
ci vuole la filosofia. In entrambi i momenti sono necessarie temperanza e
giustizia.
Nella educazione (ejn th̃/
diagwgh̃/) vanno inserite
pratiche e nozioni pro;ς
th;n scolhvn per il tempo libero, occupazioni e insegnamenti
paideuvmata-maqhvseiς
che sono fine a se stessi, come la musica e la ginnastica, considerate
occupazioni del tempo libero degne di uomini liberi, come mostra Omero che
considera l’aedo un allietatore (Odissea, XVII, 385; IX, 7-8).
L’educazione si impartisce non perché sia utile e necessaria ma perché liberale
e nobile (1338A)
Cfr. infine gli occupati oziosi di Seneca. La loro vita è una occupazione oziosa
Sono quelli “quorum otium occupatum est: in villa aut in lecto suo, in media
solitudine, quamvis ab omnibus recesserint, sibi ipsi molesti sunt: quorum non
otiosa vita dicenda est sed desidiosa occupatio…Non habent isti otium, sed iners
negotium (De brevitate vitae, XII). Questi non hanno tempo libero ma
un’occupazione inoperosa, un affaccendarsi inutile.
Questo otium occupatum è un otium cattivo, come la
scolhv menzionata da Fedra
che nell'Ippolito di Euripide la denigra come “diletto cattivo”:"bisogna
considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo
nella fatica (oujk
ejkponou'men[34]:
alcuni per infingardaggine (ajrgiva"
u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro
piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio,
diletto cattivo, e l'irrisolutezza (scolhv,
terpno;n kakovn,-aijdwv~
te) "(vv.379-385). Esistono dunque due forme
di aijdwv~:
“ dissai; d’ eisivn, h{
me;n ouj kakhv,-h{ d j a[cqo~ oi[kwn” (vv.
385-386),
Giovanni Ghiselli
[1] Un
altro personaggio tragico che afferma l'insindacabilità del potere
assoluto è Lady Macbeth nella scena del sonnambulismo:"What need we
fear who knows it, when none can call our power to account it?" (Macbeth,
V, 1), perché dovremmo temere chi lo sappia, quando nessuno può chiamare
la nostra potenza a renderne conto?
[2]
Demostene nella III Olintiaca
(348, dove vuole convincere gli Ateniesi a soccorrere la città della
Calcidica contro Filippo di Macedonia) scrive che una volta agli
Ateniesi obbediva il re di Macedonia ed era giusto essendo un barbaro
che obbedisse ai Greci (24)
[3] Un caldo elogio di Atene, del 380 a. C.
[4] 384-322 a. C.
[5] M. Cacciari, op. cit., p. 22.
[6] Del 411 a. C.
[7] Forma poetica equivalente a
kevkthtai.
[8]
Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la
guerra dei Sette contro Tebe.
[9] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p.
21 n. 2.
[10] Cfr Erodoto III, 38: “pantach'/
w\n moi dh'lav ejsti o{ti ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh"",
da ogni punto di vista dunque per me è evidente che molto matto era
Cambise.
[11] Erodoto (III, 61, 2) dice che assomigliava a
Smerdi e aveva lo stesso nome.
[13]
Op. cit. p. 684. La
costituzione è un nutrimento di uomini (trofh;
ajnqrwvpwn), di persone buone, se è buona, di individui malvagi
se è cattiva.
Quella ateniese ha nutrito uomini di
valore.
p. 198
Essa non esclude nessuno per debolezza
sociale, né per povertà, né per oscurità dei padri; e neppure preferisce
alcuno per i motivi contrari. I medesimi pregi vengono attribuiti alla
“sua” democrazia dallo stesso Pericle nel discorso che gli attribuisce
Tucidide in Storie II 35 sgg. quando lo stratego fa l’encomio dei
caduti nel primo anno di guerra e l’elogio di Atene, la scuola dell’Ellade
(II, 41)
[14] Lettera a una professoressa, p. 55.
[15]Canfora, Lo Spazio Letterario Della Grecia
Antica , Volume I, Tomo II, p. 835.
[16] Composta tra il 430 e il 427 a. C.
[17] G, guidorizzi, Op. cit., p. XXXI
[18] Operò sotto Traiano e Adriano.
[19] Del 422 a. C., forse.
[20] Lo stesso
afferma Re Lear, "the lunatic King " di Shakespeare:" I am a
man/more sinned against than sinning" (King Lear, III, 2),
sono uno contro cui si è peccato più di quanto io abbia peccato.
[21] Euripide, Her. Fur., 1332-35.
[22] Erodoto, I, 35-45. Adrasto assassino di suo
fratello aveva chiesto asilo a Creso ed era stato purificato dal suo
delitto, ma durante una caccia uccise involontariamente il figlio di
Creso e si suicidò. In Omero, il tipico purificatore di supplici è il
pio Peleo, che accoglie presso di sé sia Fenice, che era stato maledetto
dal padre in seguito a un incesto, sia Patroclo, il quale aveva ucciso
un compagno di giochi.
Fenice fu maledetto dal padre Amintore, poiché la madre lo aveva spinto
a diventare amante dell'amante del padre il quale lo maledì ( Iliade,
IX, vv. 450 e sgg.). ndr
[23] G. Guidorizzi, Sofocle Edipo a Colono, pp.
XXV-XXVI.
[24] Del 380 a. C.
[25]
vv. 479-480.
[26] F. Nietzsche, La nascita della tragedia
(1872), p. 7 e p. 163.
[27]
B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica , p. 141.
[28] Data probabile: 422 a. C.
Anche Plutarco attribuisce a Teseo il dono, ai non potenti, di un
governo senza re e della democrazia che si sarebbe servita di lui solo
come capo militare in tempo di guerra e come custode delle leggi e
avrebbe offerto a tutti uguaglianza di diritti (Vita di Teseo,
24, 3). Plutarco aggiunge che ne dà una testimonianza anche Omero il
quale nel catalogo delle navi chiama
dh'mo" solo gli Ateniesi (Iliade,
2, 547).
[30] Participio perfetto medio passivo di
fuvrw. La confusione anche
qui è emblema di male.
[31] Avezzù-Guidorizzi, Op. cit., p. 318.
Nell’Etica Nicomachea, Aristotele spiega che la parte irrazionale
dell’anima è a sua volta divisa in due parti: una vegetativa comune agli
animali, e una appetitiva o concupiscibile
(ejpiqumhtikovn) che deve
obbedire alla ragione (1102b)
[33] Nell’Etica Nicomachea (1139A) dice che
l’anima razionale ha una parte scientifica e una discorsiva: una si
occupa dei princìpi che non possono essere diversi da come sono, la
seconda discute sul discutibile.
[34] Il bene, topicamente, costa
povno" , fatica.
Peccato non esserci stata. Vorrei venire a tutte le tue conferenze . Intanto ho cominciato a leggere,bello e impegnativo...dovrò rileggerlo varie volte. Quanti spunti! MI piace, Giovanna Tocco
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