NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 30 gennaio 2015

L’ancestrale curiosità di Eva - di Giovanni Ghiselli

L’ancestrale curiosità di Eva

Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita (Genesi, 2, 7)

Antifemminismo: creazione dell’uomo senza il contributo della donna
 Vediamo alcune espressioni della fantasia contraria alla natura di generare senza l'unione tra l'uomo e la donna, creature che sarebbero naturalmente quant'altre mai congeniali tra loro.

Sentiamo innanzitutto Giasone nella Medea [1] :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai geno" -  cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 572-575), bisognerebbe infatti che in altro modo, donde che sia, gli uomini generassero i figli, e che la razza delle donne non esistesse, così non ci sarebbe nessun male per gli uomini.
 Insomma il male è la femmina. qh̃lh=kakovn  

Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne- ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[2] ("ajthrovn[3]...futovn", v. 630)- che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Sentiamo alcune frasi del "puro" folle che dà in escandescenze:
 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini?  Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo[4] la prosperità della casa" (vv. 616-626).

Nel II Stasimo delle Baccanti di Euripide, il Coro  ricorda le parole di Zeus che “partorirà” Dioniso: “Vieni, Ditirambo, entra in questo mio maschio ventre”  i[qi, Diquvramb  j , ejma;n a[rsena- tavnde bãqi nhduvn, 526-527).

Nelle  Eumenidi, Apollo, difendendo Oreste, dice che ci può essere un padre senza la madre: path;r me;n a]n gevnait j a[neu mhtrovς (664); ne è testimone la figlia di Zeus la quale non fu nutrita nell’oscurità di un ventre materno (oujk ejn skovtoisi nhduvoς teqrammevnh, 665) . Atena, come si sa, nacque dalla testa di Zeus.
Del resto, quando la madre c’è, la sua parte nella generazionr è secondaria, sempre a detta del Lossia, il dio tortuoso:"La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~ ), ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera (tivktei) il maschio che la monta; colei  come un ospite con un ospite salva il germe (e[rno~), per quelli ai quali gli dèi non l’abbia distrutto"(vv. 658-661).

Nell'Orlando furioso (1532) troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.
Prima il"Saracin" biasima, "catullianamente", l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente[5],/contrario oggetto a quello della fede!/Oh infelice, oh miser [6] chi ti crede!" (27, 117). 
 Quindi Rodomonte aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana imposta come punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de l'uom, che senza te saria giocondo:/come ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine l'amante infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che Natura femina vien detta"(120).

Un motivo questo presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[7] John Milton (1608-1674). In questo poema  Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [8] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X,  888 e sgg.).

   Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere quell'unico  scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[9].
 E meno male che poi "il Signore Dio disse:"Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Genesi, 2, 18).

Nella Teogonia di Esiodo c’è prima ti tutto il Cavoς (116).  Poi c’è la Terra dal largo petto (Gaĩa eujruvsternoς, 117) e il Tartaro tenebroso, poi Eros , il più bello tra gli dèi immortali (120) lusimelhvς (121) che sciglie le membra.
Dal Caos nacquero l’Erebo e la nera Notte che si unirono e generarono l’Etere e il Giorno; poi la Terra per prima generò uguale a se stessa il Cielo stellato (126-127), le montagne, e il Mare senza l’aiuto del tenero amore.
Quindi il Cielo e la Terra generarono l’Oceano, Iperone, Giapeto e Rea e Temi e Mnemosyne, e il più giovane Crono il deinovtatoς paivdwn (138) che odiava il padre.
Quindi i Ciclopi, Giganti con i Titani gli eterni nemici della cultura
I figli rimanevano dentro la Terra che si sentiva oppressa e meditò un disegno astuto e malvagio (160). Con  il diamante fece una grande falce ( mevga drevpanon, 162) e propose ai figli di vendicarsi del padre scellerato. Gli altri ebbero paura ma Crono disse: “io non mi curo del padre nostro infame” (171) e quando Urano entrò nella Terra, gli falciò impetuosamente i genitali (180-181).
Gli schizzi di sangue fecondarono la terra e nacquero le Erinni, altri Giganti, le Ninfe e dalla schiuma dei genitali gettati nel mare, nacque Afrodite, nata dalla schiuma (ajfrovς).
Il Cielo da solo invece generò i Titani così chiamati perché tendevano troppo  (209).
Poi Crono e Rea generarono gli dèi dell’Olimpo. Ma anche Crono era un pessimo padre e ingoiava i suoi figli (paĩdaς eJou;ς katevpine, 467) e Rea ne aveva angoscia. Allora chiese aiuto ai suoi genitori che le consigliarono di andare a Creta. Lì Rea nascose il piccolo Zeus in una spelonca inaccessibile, poi diede a Crono un fagotto con dentro una pietra che venne inghiottita dal padre degenerato. Quindi Crono rigettò tutta la prole con la pietra che poi Zeus collocò a Pito sulle pendici del Parnaso.

Il  dio  biblico proibì all’uomo di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male “perché nel giorno in cui ne mangerai, dovrai certo morire” (Genesi, 2, 16-17 ).

Leopardi fa notare che nella Genesi il sapere viene probito all'uomo:"qualunque cosa si voglia intendere per l'albero della scienza del bene e del male, è certo che il solo comando che Dio diede all'uomo dopo averlo posto in paradiso voluptatis (Gen. c. 2. v. 8. 15. 23. 24.)...fu De ligno autem scientiae boni et mali ne comĕdas, in quocumque enim die comederis ex eo, morte moriēris [10] (Gen. 2. 17.). Non è questo un interdir chiaramente all'uomo il sapere? un voler porre soprattutte le altre cose (giacché questo fu il solo comando o divieto) un ostacolo agl'incrementi della ragione, come quella che Dio conosceva essere per sua natura e dover essere la distruttrice della felicità, e vera perfezione di quella tal creatura, tal quale egli l'aveva fatta, e in quanto era così fatta?"[11].

Poi Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che sia simile a lui” (Genesi, 2, 18).  Quindi plasmò dal suolo tutte le bestie selvatiche e tutti i volatili cui l’uomo impose i nomi (2, 20).
Successivamente Dio volle fare per l’uomo un aiuto che fosse simile a lui (2, 20)
Sicché addormentò l’uomo, poi gli tolse una costola e con questa costruì la donna. Quindi la condusse all’uomo (Genesi, 2, 22)

Allora l’uomo la riconobbe come osso delle sue ossa e carne della sua carne e disse: “costei si chiamerà donna (‘ishsha) perchè dall’uomo (‘ish) è stata tolta” (Genesi, 2, 23).

L’uomo dunque è fatto per comandare sulla natura e sulla donna, fatta da lui e per lui.

In Esiodo, il mito della prima donna si collega a quello dell'età dell'oro.
Con Esiodo inizia la considerazione malevola della donna che non si trova in Omero.
Durante la prima età dell’oro la donna non c’era.
La storia del decadimento dall'aurea stirpe primigenia (cruvseon me;n prwvtista gevno", Opere e giorni,  v. 109) a quella finale, e attuale, ferrigna ( nu'n ga;r dh; gevno" ejsti; sidhvreon, v. 176), prende l'avvio dal racconto dei mali conseguiti alla mossa malaccorta o malvagia di Pandora, l'Eva dei Greci.
Il mito delle cinque età afferma che dalla stirpe d'oro si passa a quella d'argento, a quella di bronzo, a quella degli eroi, a quella del ferro, con una crescita progressiva di violenza, empietà e stupidità, a parte una controtendenza nell'età degli eroi.

Nella Teogonia  Esiodo racconta che Zeus si era sdegnato poiché Prometeo[12]   aveva cercato di ingannarlo due volte: la prima dividendo tra gli uomini e gli dèi un bue di notevole mole in maniera iniqua; la seconda restituendo agli uomini il fuoco che il dio supremo aveva tolto agli uomini, per rappresaglia nei confronti della benevolenza di Prometeo.  Allora Zeus, in cambio del fuoco preparò per loro un malanno ( " aujti;ka d j ajnti; puro;" teu'xen kako;n ajnqrwvpoisi ", v. 570). Questo male fu plasmato da Efesto con la terra: era  simile ad una vereconda fanciulla  che Atena adornò con un cinto, una veste, un velo, serti di fiori e una corona d'oro dove lo stesso Ambidestro aveva cesellato figure di fiere terribili, quanti ne nutre la terra ed il mare (v. 582). Una prefigurazione delle leonesse, le tigri e le scille in cui vengono trasfigurate Clitennestre e Medee. Comunque questa creatura divenne uno splendido malanno ("kalo;n kakovn", v. 585) per gli uomini, un inganno scosceso (" dovlon aijpuvn", v. 589) e senza rimedio. Ecco già delineato il "popolo nemico"[13] da cui derivano a quello dei maschi malanno e sciagura ("ph'ma", v.592).
 
Leggiamo alcuni versi della Teogonia. Efesto porta la donna davanti a un pubblico misto di uomini e di dèi.
Quando poi ebbe plasmato un bel malanno in cambio di un bene
la condusse subito là dove c’erano gli altri dei e gli uomini
fiera dell’ornamento della dea dagli occhi lucenti, figlia di padre potente.
Meraviglia prese gli dèi immortali e gli uomini mortali,
come videro l’inganno scosceso, senza rimedio per gli uomini.
Da lei infatti deriva la stirpe delle donne morbide assai,
da lei infatti la stirpe deleteria e la razza delle donne
sciagura grande per i mortali, quando abitano con i maschi,
e non sono compagne della funesta Povertà ma della sazietà. (Teogonia, vv. 585-593).

Nelle Opere e giorni  Esiodo  torna sul mito di Prometeo e di Pandora: Zeus,  sdegnato per l’inganno di Prometeo, dai tortuosi pensieri, versò sugli uomini lacrimevoli affanni e nascose il fuoco (kruvye de; pu'r[14], v. 50), poi, siccome il figlio di Giapeto lo rubò di nuovo celandolo ejn koivlw/ navrqhki (v. 52), in una verga cava,  l’adunatore di nembi, adirato, aggiunse un’altra sciagura e disse:
“Figlio di Giapeto, che più di tutti conosci  pensieri maliziosi,
tu gioisci di avere rubato il fuoco e di avere ingannato il mio volere,
grande sciagura per te e per gli uomini futuri. 
io a quelli in cambio del fuoco darò un malanno, del quale tutti
 godano nella foga della passione, circondando di affetto il proprio malanno”.
Così disse; poi scoppiò a ridere il padre degli uomini e degli dèi.
E comandò all’inclito Efesto di mescolare al più presto
terra con acqua, e di metterci voce e vigore
di essere umano, e di  renderla simile alle dèe immortali nell’aspetto:
un bella, amabile, forma di ragazza; poi ad Atena
ordinò di insegnarle le opere: a tessere la tela lavorata con arte;
e all’aurea Afrodite di versare la grazia attorno al suo capo
e il desiderio doloroso e gli affanni che divorano le membra;
e inoltre ordinava a Ermes il messaggero Argifonte
 di metterci dentro una mente di cagna e un carattere scaltro
(Opere, vv. 54-68).

Torniamo alla Genesi.
Perciò l’uomo abbandona il padre e la madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una sola carne. I due erano nudi e non sentivano vergogna.
 (Genesi, 2, 24)

 Fromm e la necessaria presa di distanza dei genitori
"Rimanendo legato alla natura, alla madre o al padre, l'uomo riesce quindi a sentirsi a suo agio nel mondo, ma, per la sua sicurezza, paga un prezzo altissimo, quello della sottomissione e della dipendenza, nonché il blocco del pieno sviluppo della sua ragione e della sua capacità di amare. Egli resta un fanciullo mentre vorrebbe diventare un adulto"[15]
 Per diventare se stessi è necessario prendere le distanze anche dai genitori: lo insegna il Vangelo di Giovanni nel quale Cristo dice alla madre: " tiv ejmoi; kai; soiv, guvnai; -Quid mihi et tibi mulier? " (2, 4), che cosa ho da fare con te, donna?

Il dominio sulla terra e sugli animali nella Genesi e nell’Antigone di Sofocle.
L’uomo e la donna erano a immagine e somiglianza di Dio che aveva detto  loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela e abbiate dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo e sul bestiame, su tutte le fiere e i rettili” (Genesi, 1, 28)
Leggiamo la prima antistrofe ( vv. 342-352)  del primo stasimo dell’Antigone di Sofocle
E la razza degli uccelli dalla mente/alata, circondando con maglie/di reti intrecciate/cattura, e le stirpi delle fiere selvatiche/e la progenie sprofondata nel mare,/l'uomo che sa pensare –perifradh;ς ajnhvr-, e si impossessa/con i suoi mezzi possenti della bestia/che dimora nei campi, che vaga sui monti, e il cavallo/dalla cervice crinita trascina sotto il giogo che cinge il collo/e il montano, infaticabile toro".

Quindi la seconda strofe. Antigone, vv. 353-364.
E la parola-fqevgma-, e pari al vento il/pensiero –ajnevmoen frovnhma-, e a regolare gli istinti con le leggi/della città ha imparato, e a fuggire/degli inabitabili geli gli strali a cielo scoperto/e gli scrosci delle piogge terribili/con ogni risorsa-pantovporoς-; senza risorse-a[poroς- per niente va/verso il futuro; da Ade soltanto/
non potrà procurarsi lo scampo;/eppure da malattie immedicabili ha escogitato/vie di uscita
 “Solo una cosa pone immediatamente in iscacco ogni far violenza. La morte”[16].

III La curiosità di Eva.
Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche (3, 1)
Disse a Eva che se avessero mangiato il frutto proibito sarebbero diventati come Dio, conoscitori del bene e del male (3, 5)

Eva si lasciò convincere e mangiò il frutto che era buono e ne diede anche al marito (3, 6).
Eva è spinta dalla curiosità. Nella cultura classica l’uomo acceso da un’ardente volontà di conoscere, spinto dalla curiosità a rischiare la vita è Odisseo, figura positiva in Omero, personaggio molto criticato invece da Pindaro e da Sofocle (Filottete) e da due tragedie troiane di Euripide (Ecuba, Troiane). Anche Virgilio lo condanna.
Cicerone lo presenta come un uomo avido di sapere.
Nel De finibus bonorum et malorum [17]l’autore premette che è innato in noi l’amore della conoscenza e del sapere, e tanto grande che la natura umana vi è trascinata senza l’attrattiva di alcun profitto. Questo si vede dall’episodio odissiaco delle sirene le quali attiravano i naviganti non per la dolcezza della voce o la novità dei canti “sed quia multa se scire profitebantur” (V, 18), ma poiché dichiaravano di sapere molte cose. Quindi l’Arpinate traduce i vv. 184-191 e conclude: “Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur, scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupǐdo patriā esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum”, Omero si accorse che il mito non poteva essere approvato se un uomo di quella levatura fosse stato trattenuto irretito da canzoncine, il sapere promettono, e non era strano che a uno bramoso di sapienza fosse più caro della patria. E certamente la brama di sapere tutto, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose.     
Apuleio ne fa l’archetipo dell’uomo curioso.
La curiosità è  motivo di conforto e fonte di salvezza per Lucio, il protagonista del  romanzo, prefigurato da Ulisse :" Nec ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar... Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (Metamorfosi , IX, 13), né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il fatto che mi sollevavo con la mia innata curiosità...e non a torto quel divino creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e conoscendo popoli diversi.
La curiosità, presa in bonam partem, è un sentimento vicino alla meraviglia che secondo Platone e Aristotele spinge alla filosofia.
Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi, afferma Platone[18] e dal fatto che il giovane Teeteto si meraviglia, deduce la sua attitudine alla filosofia.
Aristotele  sostiene che gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, sia ora sia in origine, a causa della meraviglia: "dia; ga;r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n"[19]. Dallo qaumavzein  non nasce solo la filosofia ma anche la poesia e tutta la cultura
La curiosità spinge alla conoscenza
“La curiosità è l’unico istinto di cui l’educatore può debitamente usufruire...bisogna provocare la curiosità, poi qualsiasi obiettivo è buono: la costruzione del verbo videor come il rapporto tra i sessi, l’ a priori di Kant come le ballerine del varietà”[20].
Dante  apre il Convivio con la memorabile frase aristotelica, “tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere”, e Ulisse è il prototipo dell’uomo affamato di conoscenza.
Nell’Odissea egli rischia la vita molte volte per il desiderio di imparare. Le Sirene per attirarlo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose[21].
La riprovazione della volontà o della pretesa di sapere e capire tutto
Ma la volontà di conoscere, o almeno la pretesa di conoscere tutto, come Dio, è guardata con sospetto, anzi con riprovazione da alcuni poeti religiosi.
Uno dei centri ideologici dell’Edipo re di Sofocle è costituito dai versi 396-398:"arrivato io,/ Edipo, che non sapevo nulla, lo feci cessare/ azzecandoci con l'intelligenza e senza avere imparato nulla dagli uccelli". Questa presunzione intellettuale , per Sofocle, poeta tradizionalista e pio, è u{bri", dismisura, prepotenza, cecità intellettuale e morale che fa crescere la mala pianta del tiranno (v.873), il quale è perciò destinato a precipitare nella necessità scoscesa(v.877) del castigo e della espiazione
   Dante-personaggio della Commedia si sente  attratto verso Ulisse da un desiderio intensissimo (“vedi che del desio ver’ lei mi piego”, dice a Virgilio); eppure il poeta fiorentino avverte il pericolo estremo che Ulisse rappresenta per lui
“Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio:
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ‘ngegno affreno ch’io non soglio,
perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ha dato ’l ben, ch’io stesso nol m’invidi”[22]
Infine, Dante fa affondare il suo eroe da Dio; il poeta cristiano  lo condanna all’Inferno; e perfino dal Paradiso il personaggio-autore ribadirà che il “varco” di Ulisse è stato “folle”:
“Io vedea di là da Gade il varco/folle d’Ulisse” (Paradiso, XXVII, 82-83)
Dante è uno di quei poeti che, come Sofocle tra i Greci, considerano limitata l’intelligenza umana e colpevole l’uomo che non tiene imbrigliata la propria. Il che non toglie che entrambi sappiano trarre bellezza dalle parole
Eva e Prometeo.
Allora i due si accorgono di essere nudi e si coprono con foglie di fico: le cuciono e ne fanno delle cinture (3, 7).
Qundi sentono arrivare Jahvè e si nascondono in mezzo agli alberi del giardino (3, 8).
Dio li interroga. L’uomo indica la donna come istigatrice e la donna dice: Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato” (3, 13).

Del tutto diversa è la reazione di Prometeo alla punizione subita per la sua trasgressione: il Titano rivendica la disobbedienza a Zeus: egli è tutt'altro che pentito e prorompe nel grido di ribellione con il quale afferma la dignità del suo delitto:"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"( Prometeo incatenato, vv. 265-267).

 Nietzsche in La nascita della tragedia   distingue "la concezione ariana" dal " mito semitico"
:" La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita  al crimine, stranamente contrasta con il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica"[23]

La condanna alle pene del parto e del lavoro.
Dio maledice il serpente  (3, 14)  e la donna (14), poi anche l’uomo (3, 17). Li condanna entrambi alla sofferenza, l’una per il parto, l’altro per trarre nutrimento dalla terra.
Il dolore del parto viene ricordato ed enfatizzato anche in più di una tragedia greca
Le parole più famose sono quelle che la  Medea di Euripide rivolge alle donne corinzie del Coro:
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
preferirei stare che partorire una volta sola- mãllon h] tekeĩn a{pax-”
(Medea, vv. 248- 251)

Le sofferenze del parto sono ricordate anche nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì:"oujk i[son kamw;n ejmoi;-luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531-532).  
Nelle Fenicie di Euripide, la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv,-kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355-356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
Nell' Ifigenia in Aulide, la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola,  ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga-pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli. Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav). 
Tanto più perché il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus (di Seneca?) Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.

La fatica del lavoro.
Esiodo nelle Opere scrive che  dapprima gli uomini vivevano sulla terra senza le malattie e il pesante lavoro, ma poi dall’orcio scoperchiato da Pandora uscirono tutti i mali tranne la speranza (vv. 90 sgg.)
Per  quanto riguarda la fatica e la pena dell’uomo per ricavare l’estremo frutto dalla terra,
Virgilio nella Georgica I [24]  dà una spiegazione diversa : Giove procurò agli uomini fatiche e angosce (curae ) in quanto  non lasciò che il suo regno restasse paralizzato in un pesante letargo"nec torpere gravi passus sua regna veterno " (v. 124). Prima la terra produceva tutto spontaneamente, poi il figlio di Saturno creò mille difficoltà alla sopravvivenza degli uomini: “Ante Iovem nulli subigebant arva coloni;/ne signare quidem aut partiri limite campum/fas erat; in medium quaerebant, ipsaque tellus/omnia liberius nullo poscente ferebat” (vv. 125-128), prima di Giove nessun contadino dissodava i campi con l’aratro; nemmeno segnare o dividere con i confini la campagna era lecito; raccoglievano per la comunità, e la terra spontaneamente produceva ogni cosa del tutto spontaneamente, senza che alcuno facesse richiesta.
In Virgilio  il mito termina con un elogio del lavoro faticoso: “Labor omnia vicit-improbus et duris urgens in rebus egestas” (vv. 145-146), tutto ha domato la fatica ostinata, e il bisogno che preme nelle situazioni dure.
Seneca nel De providentia[25]  trova un significato positivo non solo nel lavoro ma pure nelle disgrazie (incommoda),  nei dolori e nelle perdite, quali prove per esercitare e temprare la virtus :"Marcet sine adversario virtus" (2, 4), senza un avversario la virtù marcisce; e Dio nei confronti degli uomini buoni conserva l'animo di un padre, li ama con forza, e ha questi progetti:"Operibus, inquit, doloribus, damnis exagitentur, ut verum colligant robur" (2, 6), con lavori, disse, dolori, perdite, si affannino per raccogliere la vera forza. "Languent per inertiam saginata nec labore tantum sed motu et ipso sui onere deficiunt", infiacchiscono nell'ozio i corpi ingrassati, e non solo per la fatica, ma per il movimento, e lo stesso peso di sé vengono meno. E' la medesima impostazione del Giobbe biblico:"Se nella cultura occidentale inglobiamo, per l'innesto operato dal cristianesimo, la cultura ebraica, allora la più antica occorrenza di questo "perché"[26] potrebbe essere il Libro di Giobbe "[27], che  dovrebbe risalire al V sec. a. C. Ne riporto una massima:"Felice l'uomo che è corretto da Dio"[28]. C'è anche un Giobbe moderno (1930) di Joseph Roth:  un pio ebreo orientale, Mendel Singer: “la sua vita era una perpetua fatica". Aveva un figlio piccolo, Menuchim, che cresceva male, era malato, ma il Rabbi disse alla madre Deborah:"il dolore lo farà saggio[29], la deformità buono, l'amarezza mite e la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie limpide e piene di risonanze"[30]
 
Leopardi nella Storia del genere umano  (1824) afferma che Giove impose mali e fatiche alla nostre specie, la quale bramava "sempre e in qualunque stato l'impossibile", paradossalmente perché non si estinguesse, :" deliberò valersi di nuove arti a conservare questo misero genere: le quali furono principalmente due. L'una mescere la loro vita di mali veri; l'altra implicarla in mille negozi e fatiche, ad effetto d'intrattenere gli uomini, e divertirli quanto più si potesse dal conversare col proprio animo, o almeno col desiderio di quella loro incognita e vana felicità. Quindi primieramente diffuse tra loro una varia moltitudine di morbi e un infinito genere di altre sventure: parte volendo, col variare le condizioni e le fortune della vita mortale, ovviare alla sazietà e crescere colla opposizione dei mali il pregio dei beni".

 Torniamo alla Genesi.
La maledizione del dio biblico termina con la condanna a tornare in polvere (3, 19).

. Nelle Supplici  di Euripide, Teseo dice che non vuole fare la guerra ma ritiene giusto seppellire i morti-nekrou;ς de; tou;ς qanovntaς…qavyai dikaiw̃ (524 e 526).  Dunque lasciate che i cadaveri vengano coperti con la terra. ejavsat j h[dh gh̃/ kalufqh̃nai nekrouvς (531) e che ogni cosa torni là da dove è venuta alla luce: l’anima all’etere, il corpo alla terra, il corpo che noi non possediamo: è nostro solo per abitarci durante la vita, poi deve accoglierlo chi l’ha nutrito.

 Lucrezio spiega questo nostro tornare là da dove siamo partiti con la teoria dell’aggregazione e disgregazione degli atomi (rerum primordia, semina, elementa, corpora prima). Essi sono  solidā simplicitate (De rerum natura, I, 548)

Poi l’uomo chiamò Eva la sua donna, poiché essa fu la madre di tutti i viventi (III, 20). Il nome Haw-wah viene spiegato con la radice hajah, “vivere”
Quindi Dio donò all’uomo e alla donna tuniche e pelli e  disse l’uomo con la conoscenza del bene e del male era diventato “come uno di noi” (3, 22)
Allora  non poteva mangiare più dall’albero della vita che lo avrebbe reso eterno. Doveva morire.
Quindi cacciò i due disobbedienti dall’Eden (3, 23).

Nel Prometeo incatenato la confusione tra gli uomini e Dio non è compatibile con il cosmo ordinato da Zeus. Tale miscuglio incongruo negherebbe il principium individuationis e farebbe regredire il cosmo nel caos dei Titani e dei mostri.

IV. L’uomo “conosce” la donna.
L’uomo conobbe Eva, sua moglie che concepì e generò Caino e disse: ho acquistato un uomo con il favore di Jahvè” (4, 1).
C’è un gioco di parole che accosta Qajn, Caino a qanah, acquistare.
Conoscere dunque è anche amare:"Dicebas quondam solum te nosse Catullum " (Carmina , 72, 1), una volta dicevi di "conoscere" (ossia di avere come amante) soltanto Catullo.
Ugualmente Ovidio:"Non ego sum furto tibi cognita; pronuba Iuno  (Her.  6, 45) non hai avuto con me rapporti amorosi di nascosto; fu pronuba Giunone, scrive Ipsipile, regina di Lemno al suo seduttore, il solito “fallace” Giasone.
Stazio echeggia questa espressione nell’Achilleide, quando il protagonista eponimo del poema confessa il suo amore con Deidamia al padre di lei, il re di Sciro Licomede: “Tacito iam cognita furto/Deidamīa mihi” (I, 903-904), ho già conosciuto Deidamia con amore furtivo.
  Così è pure il conoscere biblico di cui ci dà una spiegazione Fromm:" Conoscere non significa essere in possesso della verità, bensì andare sotto lo strato esterno e tentare, criticamente e attivamente, di avvicinarsi sempre più alla realtà. Questo modo di penetrazione creativa trova espressione nell'ebraico jadoa, che significa conoscere e amare nel senso della penetrazione maschile"[31].

 Poi Eva generò Abele che divenne pastore di greggi, mentre Caino coltivatore.

L’offesa alla terra.
Dio preferiva le offerte di Abele, e Caino lo uccise.
Dio disse a Caino che sentiva il sangue di Abele gridare dalla terra che ha spalancato la bocca per ricevere il sangue di Abele e non darà più frutti a Caino. La terra si offende quando un uomo viene ucciso
.   C'è una simpatia organica che lega Gh' a tutti i viventi. La terra si offende se una sua creatura viene ferita: "una volta caduto a terra nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo, chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?" domanda il Coro dell' Agamennone di Eschilo (vv.1019-1021). E nelle Coefore:"tiv ga;r luvtron pesovnto" ai{mato" pevdoi ;" (v. 48),  quale lavacro c'è del sangue caduto a terra?". Nelle Osservazioni sulla morale cattolica Manzoni  scrive:" Il sangue di un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(cap. VII).

Contro la pena di morte.
Caino deve andare via ma nessuno dovrà ucciderlo: Chiunque ucciderà Caino, subirà una vendetta sette volte maggiore dice Jahvè (4, 15)
Nel Commo delle Coefore invece il Coro  che porta le libagioni sulla tomba di Agamennone canta: "ma è legge che gocce di sangue/versate al suolo, chiedano altro/sangue: infatti grida strage  l'Erinni "( boa/' ga;r loigo;n j Erinuv~, vv. 400-402).

Dio gli mise sopra un segno in modo che nessuno lo uccidesse (Genesi, 4, 15)
Caino si allontanò verso Oriente, conobbe sua moglie ed ebbe un figlio: Henoch

Adamo ebbe un altro figlio da Eva e lo chiamò Set.

Bologna 29 gennaio 2015                         giovanni ghiselli

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GIOVEDI 29 GENNAIO ORE 21
L’ancestrale curiosità di L’Eva
ROSANNA VIRGILI
docente dell’Istituto Teologico Marchigiano
“Controcanto” di GIANNI GHISELLI, insegnante di greco e latino nei licei classici. Docente a contratto nelle Università di Bologna, Urbino, Bolzano-Bressanone.
Interventi dei partecipanti
La scelta di non tacere
Tutti gli incontri si terranno a Bologna
presso l’ex Cinema Castiglione,
P.zza di Porta Castiglione n. 3 (nei pressi dei Giardini Margherita).
Per iscrizioni scrivere a:
Oppure telefonare al 340.3346926
Concorso alle spese: intero corso Euro 20,
singoli incontri Euro 5 (versamento in loco) 


[1] Di Euripide, del 431.

[2] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.

[3] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunai'ke;" ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.

[4] Cfr Lucrezio: "Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (De rerum natura, vv. 1124-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli  di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.

[5] Cfr.  "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-570).

[6] Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono alcuni,  assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato.  In realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser" (685), non c'è e non c'è stasto un vecchio innamorato infelice quanto me. 

[7] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.

[8] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.

[9]E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p. 104 e 105.

[10] Potrai mangiare da tutti gli alberi del giardino, consente prima Dio all'uomo, quindi proibisce:"ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, poiché in qualunque giorno tu ne mangerai, tu morrai.

[11] Zibaldone , pp; 395-396.

[12] Quello di Prometeo è  "uno dei miti antropologici...che rendono ragione della condizione umana-condizione ambigua, piena di contrasti, in cui gli elementi positivi sono inscindibili da quelli negativi e ogni luce ha la sua ombra, giacché la felicità implica l'infelicità, l'abbondanza il duro lavoro, la nascita la morte, l'uomo la donna, e l'intelligenza e il sapere si uniscono, nei mortali, alla stupidità e all'imprevidenza. Questo tipo di discorso mitico sembra obbedire a una logica che si potrebbe definire, in contrasto con la logica dell'identità, come la logica dell'ambiguità, dell'opposizione complementare, dell'oscillazione tra poli contrastanti"(J. P. Vernant, Tra mito e politica,pp. 30-31.   

[13] Cfr. C. Pavese:"Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco. Il mestiere di vivere , 9 settembre, 1946. 

[14] Cfr. Virgilio, Georgica I, 131: ignemque removit.

[15]     E. Fromm, La rivoluzione della speranza , p. 80.

[16]     (Heidegger, Introduzione alla metafisica, p. 165.

[17] Del 45 a. C. E’ un dialogo in cinque libri, dedicato a Bruto, sul problema del sommo bene e del sommo male.

[18] Teeteto, 155d.

[19] Metafisica , 982b.

[20] P. P. Pasolini, scolari  e libri di testo, (“Il Mattino del popolo, 26 novembre 1947) in  Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 51

[21] kai; pleivona eijdwv"", Odissea,  XII, 188.

[22] Inferno,  XXVI, 19-22

[23] F. Nietzsche. La nascita della tragedia, cap. 9 ( p. 69).

[24] Le Georgiche vennero iniziate nel 37 a. C.

[25] Risale ai primi anni del disimpegno politico (62-63 d. C.)

[26] Quare aliqua incommoda bonis viris accidant, cum providentia sit . E' il sottotitolo, probabilmente autentico, del De providentia: perché agli uomini buoni capitano delle disgrazie dal momento che c'è la provvidenza.

[27] A. Traina (a cura di) La provvidenza, p. 8.

[28] La Bibbia di Gerusalemme, Giobbe , 5.

[29] Cfr. tw'/ pavqei mavqo~, Eschilo, Agamennone, v. 177.

[30] J. Roth, Giobbe, p. 19.

[31]E. Fromm, Avere o essere? , p. 63.

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