Alessandro Manzoni |
La scelta della semplicità può evidenziarsi, radicalizzata, come neglegentia, ajmevleia, sprezzatura. La
“sovrana nonchalance” del Petronio di Tacito e del suo allievo Nerone. Ippolito
nella Fedra di Seneca. La Sofronia di
Torquato Tasso (“le negligenze sue sono artifici”). Di nuovo il dandy di
Baudelaire: la sua distinzione consiste nella massima semplicità. Il seduttore
di Madame Bovary. Il topos della neglecta
coma: Teseo e Ippolito nell’Ars
amatoria. Alle donne il poeta mulierosus consilia “ars casum simulet”. Afrodite nelle Argonautiche. La “femminilità di razza” di una tubercolosa in La montagna incantata. Il giovin signore
del Parini. L’Anonimo Sul sublime e
l’ ajmevleia
dei grandi: Omero, Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. Terenzio: il
prologo dell’Andria pospone l’oscura
diligenza dei mediocri alla negligenza dei migliori poeti latini (Nevio, Plauto,
Ennio). Leopardi e la bellissima negligenza di Omero, Dante, Petrarca, Ariosto.
Seneca. Proust. Il Satyricon: novae
simplicitatis opus. Contro il trucco. Il Gorgia di Platone. L’orazione di Lisia Per l’uccisione di Eratostene: la moglie adultera è truccata. I Memorabili di Senofonte: Eracle al bivio.
Manzoni: la sprezzatura signorile dei commensali del conte zio. Anna Karenina
parla con naturalezza e con
un'intelligenza noncurante. Un’opinione opposta: quella di Lord Henry di
Oscar Wilde: la naturalezza è la più irritante delle pose. Il contrario della
sprezzatura è l’affettazione. Il kakovzhlon (mala adfectatio) in Quintiliano e nel trattato Sul sublime. Baldassarre Castiglione. Leopardi: affettazione e
sprezzatura. Schopenhauer: l’affettazione come spia del difetto. Lo “stile
insieme rozzo e affettato” del “buon secentista” induce Manzoni a “rifarne la
dicitura”. Di nuovo Leopardi: l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e
d’ogni bontà. L’affettazione di Gruscenka in I fratelli Karamazov. Lo snobismo, ossia la mala educazione, nella Ricerca di Proust
La semplicità, accentuata dalla sui neglegentia, "noncuranza
di sé", sprezzatura, apparente trascuratezza, o signorile disinvoltura, è
un aspetto principale del canone di uno stile alto, non solo dello scrivere ma
anche del comportamento.
Una regola riscontrabile nella letteratura europea dai
classici greci fino ai nostri giorni.
Così Petronio elegantiae arbiter, maestro di buon
gusto alla corte di Nerone, viene descritto da Tacito: “habebaturque non ganeo
et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora
et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem
simplicitatis accipiebantur" (Annales, XVI, 18), ed era considerato non un dissoluto o un
dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uomo
dalla voluttà raffinata. Le sue parole e i suoi atti quanto più erano
liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente
erano presi come segno di semplicità.
“Altri uomini immersi
nella voluttà, ma privi del suo gusto, sono disprezzati e condannati come ganeones e profligatores. Ma la sua raffinatezza è accompagnata da una sovrana
nonchalance (quaedam sui neglegentia), e questo gli dà una
parvenza di simplicitas. La notazione,
a sua volta raffinata e profonda, non sarebbe dispiaciuta al “classicista”
Petronio: creare con un lavoro raffinato la parvenza della naturalezza è la
grande ambizione del classicismo antico; la prosa di Petronio non sembra abbia
fallito questo scopo”[1].
Nerone il quale: "nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius
adprobavisset"[2], niente considerava bello e fine in quel
fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato, negli ultimi anni della sua
breve vita adottò questo stile volutamente trasandato: “ ut plerumque
synthesinam indutus, ligato circa collum sudario, prodierit in publicum sine
cinctu et discalciatus” (Svetonio, Neronis Vita, 51), al punto che
di solito, indossata una veste da camera, legatosi un fazzoletto intorno al
collo, usciva in pubblico senza cintura e scalzo.
Analoga è la
testimonianza di Cassio Dione il quale racconta che l’imperatore riceveva i
senatori indossando una tunica a motivi floreali e con un drappo di lino
intorno al collo (citwvniovn ti ejndedukw;~ a[nqinon kai;
sindovnion peri; to;n aujcevna e[cwn 63, 13), e che a tal punto oramai
trasgrediva i costumi tradizionali (parhvnomei),
da indossare anche in pubblico tuniche senza cintura (w[ste kai; aJzwvstou~ citw'na~ ejn tw'/ dhmosivw/ ejnduvesqai,
Storia romana, 63, 13, 3).
Fedra
innamorata di Ippolito gli dice che suo padre, quando da ragazzo giunse a Creta,
era davvero splendido (“Quis tum ille
fulsit!”[3]), ma lui, il
figlio del raffinato ateniese e dell’Amazone selvaggia, ha qualcosa in più: “in te magis refulget incomptus decor” (v.
657), in te in più risplende un fascino incurante, poiché hai preso la bellezza
di tuo padre e l’inflessibilità della madre scita: “in ore Graio Scythicus apparet rigor” (v. 660).
Insomma, la negligenza è un dato stilistico ricercato, come
nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "La vergine tra 'l
vulgo uscì soletta, /non coprì sue bellezze, e non l'espose, /raccolse gli
occhi, andò nel vel ristretta, /con ischive maniere e generose. /Non sai ben
dir s'adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose. /Di natura, d'Amor,
de' cieli amici/le negligenze sue sono artifici" (II, 18).
Questo
aspetto dell’eleganza trova una corrispondenza nel dandy baudelairiano di cui
si diceva sopra (cap. 5): "il dandismo non è, come molte persone poco
riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e
dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un
simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi
sopra tutto di distinzione, la
perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il
miglior modo di distinguersi"[4].
Lo stile della semplicità ricercata è adottato dal seduttore
di Emma Bovary: "si scusò di essere anche lui così trascurato. Nel suo
modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di ricercatezza in cui
la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di un'esistenza
eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell'arte, il perpetuo
disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o esasperare"[5].
Faccio
un esempio più particolareggiato: il topos della neglecta coma.
Nel I libro dell'Ars amatoria, a proposito degli
uomini, Ovidio scrive: "Forma viros
neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/
Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus
Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507-510), agli uomini sta
bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che
tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran
che curato; Adone, avvezzo alle selve, era oggetto d'amore di una dea.
Le donne a loro volta possono affascinare con una
trasandatezza apparente: "Et neglecta decet multas coma: saepe
iacere/hesternam credas, illa repexa modo est. /Ars casum simulet" (Ars
amatoria III, 153-155), a molte sta bene anche una chioma trascurata: spesso
puoi credere che sia lì dal giorno prima, ma quella è stata appena ripettinata.
L'artificio finga di essere casuale.
Nelle Argonautiche
di Apollonio Rodio Era e Atena vanno a trovare Afrodite perché mandi il figlio
a fare innamorare Medea di Giasone: ebbene la dea dell’amore stava ravvivandosi
i capelli con un pettine d’oro, e ne faceva delle trecce, ma quando vide le
visitatrici, smise, le invitò a entrare e raccolse con le mani le chiome non
pettinate: “ajyhvktou~ de; ceroi'n
ajnedhvsato caivta~” (III, 50). Tanto era bella lo stesso, forse più
bella.
Parini impiega il topos della neglecta coma e delle
artificiose negligenze a proposito dell'acconciatura del Giovin Signore suo
pupillo: "Ma il crin, Signore, /Forma non abbia ancor da la man
dotta/Dell'artefice suo…Non senz'arte però vada negletto/su gli omeri a cader…
Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con artificio negligente avrai;/Esci
pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati (Il mattino[6],
vv. 1005 e sgg.).
In La montagna
incantata c’è una donna malata a morte Natalia la cui “femminilità di
razza…trionfava ancora sulla miseria del suo povero corpo e sapeva trasformare
in graziosa acconciatura perfino la benda di garza che le avvolgeva la testa
anch’essa afflitta da un qualsiasi incomodo ripugnante”[7].
Un correlativo stilistico letterario di questa neglegentia
è l'ajmevleia che l'Anonimo Sul
sublime [8]
attribuisce a Omero e ad altri grandi della letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene
e Platone. L'autore annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha
rilevato non pochi difetti ("oujk
ojlivga... aJmarthvmata") i quali però non sono errori volontari ma
piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza ("paroravmata di'
ajmevleian eijkh'/") e prodotte distrattamente dalla stessa
grandezza dell’autore. Le nature eccellenti non sono senza difetti. Apollonio e
Teocrito sono senza mende. Ma non preferiresti-domanda retoricamente l’Anonimo-essere
Omero piuttosto che Apollonio? Anche Sofocle ha qualche caduta di tono poetico,
ma nessuno con un poco di senno scambierebbe il solo Edipo re con tutti i drammi di Ione di Chio (33).
Analoga valutazione
estetica si trova nel Prologo dell'Andria dove Terenzio si difende
dall'accusa di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto, Ennio:
" quorum aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum obscuram
diligentiam" (vv. 20-21), dei quali preferisce cercare di eguagliare
la negligenza piuttosto che la buia diligenza di costoro, ossia del malevolo
vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.
Sulla “negligenza” dei sommi scrittori, da Omero in avanti, anche
Leopardi dà un giudizio positivo: “Così i poeti antichi non solamente non
pensavano al pericolo in cui erano di errare, ma (specialmente Omero) appena
sapevano che ci fosse, e però franchissimamente si diportavano con quella
bellissima negligenza che accusa l’opera della natura e non della fatica. Ma
noi timidissimi, non solamente sapendo che si può errare, ma avendo sempre
avanti agli occhi l’esempio di chi ha errato e di chi erra, e però pensando
sempre al pericolo…non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall’esempio degli
antichi e dei Classici…ma da quelle regole (ottime e Classiche ma sempre regole)
che ci siamo formate in mente, e diamo in voli bassi né mai osiamo alzarci con
quella negligente e sicura e non curante e dirò pure ignorante franchezza, che
è necessaria nelle somme opere dell’arte, onde pel timore di non fare cose
pessime, non ci attentiamo di farne delle ottime, e ne facciamo delle
mediocri…insomma non c’è più Omero Dante l’Ariosto, insomma il Parini e il
Monti sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto” (Zibaldone, 9-10).
Più avanti Leopardi sostiene che Ovidio “con quel tanto
aggirarsi intorno agli oggetti…fa manifesta la diligenza, e la diligenza nei
poeti è contraria alla naturalezza. Quello che nei poeti dee parer di vedere, oltre
agli oggetti imitati, è una bella negligenza e questa è quella che vediamo
negli antichi, maestri di questa necessarissima e sostanziale arte, questa è
quella che vediamo nell’Ariosto, Petrarca ec…” (Zibaldone, 21).
Ancora: “Non solo, come ho spiegato altrove, si fa male
quello che si fa con troppa cura, ma se la cura è veramente estrema, non si può
assolutamente fare, e per giungere a fare bisogna rimettere alquanto della cura
e della intenzione di farlo (24 Agosto 1821) ” (Zibaldone, 1854).
Questa di Leopardi è un’idea della poesia contraria a quella
di Callimaco, vicina invece a quella dell’Anonimo Sul sublime.
“Per gli errori dei grandi uomini occorre avere rispetto
perché sono più fecondi delle verità dei piccoli”[9].
Per quanto riguarda
la filosofia, Seneca afferma: "oratio sollicita philosophum non decet
" (Ep., 100, 4), uno stile troppo elaborato non si addice a un
filosofo. Lo stile del parlare e dello scrivere è l'eleganza dell'anima:
"Oratio cultus animi est: si circumtonsa est et fucata et manu facta, ostendit
illum quoque non esse sincerum et habere aliquid fracti "[10],
se esso è troppo limato e imbellettato e affettato mostra che anche quella non
è schietta e ha qualche debolezza.
“Giacché lo stile, per lo scrittore, come il colore per il
pittore, è un problema non di tecnica, bensì di visione”[11].
Encolpio, l’io narrante del Satyricon, "novae simplicitatis opus " (Satyricon,
132, 15), opera di straordinaria semplicità, a proposito dello stile oratorio
sostiene: " grandis et, ut ita dicam, pudica oratio non est maculosa
nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " (2, 6), l'orazione
grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si eleva per
bellezza naturale.
La persona bella e fine non ha bisogno di artifici.
Nel Gorgia (465b) Platone
fa dire a Socrate che la cosmesi (hJ
kommwtikhv) è malvagia, ingannevole, ignobile e servile (kakou'rgov~ te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;~ kai;
ajneleuvqero~) ; è la forma di adulazione (kolakeiva) che si cela sotto la ginnastica (uJpokeivtai th'/ de; gumnastikh'/), come
la culinaria sotto la medicina, la retorica sotto giustizia, la sofistica sotto
la legislazione. La cosmesi esercita il proprio inganno attraverso l’apparenza,
i colori, gli unguenti, i vestiti, in modo da far trascurare la bellezza
naturale propria di ciascuno che si potenzia con la ginnastica, cercando di
ottenere una bellezza che non è nostra.
Il trucco dunque è una contraffazione ed è un indizio di
malvagità: il buon Eufileto, il marito cornuto dell’orazione di Lisia, ebbe
l'impressione che il volto della moglie adultera fosse truccato (" e[doxe dev moi, w\ a[ndre", to; provswpon
ejyimuqiw'sqai, ossia fosse coperto di yimuvqion,
una specie di biacca), sebbene il fratello le fosse morto da nemmeno trenta
giorni, ma non disse niente lo stesso (Per l’uccisione di Eratostene, 14).
Nei Memorabili (II,
1, 21-34) Senofonte riferisce, attraverso Socrate, la favola esemplare di
Eracle al bivio attribuita a uno scritto (Stagioni) del sofista Prodico
di Ceo[12].
Sul bivio di Eracle ci sono due femmine umane con aspetti e con anime diverse. Anche
l'aspetto e l'abbigliamento sono psicologie. Tutto infatti è mentale.
Le due donne parlano
all'eroe giovinetto, incerto sulla via da prendere, indicandogli ciascuna una
strada. La prima vuole adescare l' adolescente con la promessa di una vita
facile e piacevole. Questa femmina è, prosperosa, quasi opima[13],
morbida teqrammevnh me;n eij"
polusarkivan te kai; aJpalovthta), truccata nel colorito sì da avere
l'aria di apparire più bianca e più rossa del naturale (kekallwpismevnhn de; to; me;n crw'ma w{ste leukotevran te kai;
ejruqrotevran tou' o[nto" dokei'n faivnesqai, II, 1, 22) impettita
più del conveniente, con gli occhi aperti, e con una veste dalle quali
lampeggiava a tutto spiano la sua bellezza (" ejsqh'ta de; ejx h|" mavlista hJ w{ra dialavmpoi", II,
1, 22) ; inoltre si osservava spesso con compiacimento: guardava se qualcun
altro la guardasse e spesso si volgeva alla sua ombra. Costei dagli amici viene
chiamata Eujdaimoniva, Felicità, ma
dai detrattori, Kakiva, Vizio (II, 1,
27).
Viceversa la donna virtuosa, l’abbiamo già menzionata[14],
era di natura nobile, ossia pudica e modesta. L'ornamento del suo incarnato era
la purezza (kekosmhmevnh to; me;n crw'ma
kaqareiovthti), quello degli occhi il pudore (ta; de; o[mmata aijdoi'), quello dello stile la modestia (to; de; sch'ma[15] swfrosuvnh). Inoltre era vestita di
bianco[16]
(ejsqh'ti de; leukh'/', II, 1, 22).
Faccio altri due esempi[17]
di autori di estrazione aristocratica i quali mettono in forte rilievo la
finezza della sprezzatura: in I promessi sposi il conte zio per dare
un'impressione di potenza al padre provinciale: "gli fece trovare una
corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente
de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col
solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando
di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a
imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della
potenza"[18].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj: " Levin riconobbe le maniere
piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma
con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri
pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[19].
Sentiamo però anche un’opinione opposta: quella di Lord
Henry, il mentore di Dorian Gray: “La naturalezza è una posa; e la più
irritante che io conosca”[20].
Se pure è una posa, è la più bella, fine e intelligente
delle pose.
Il contrario della sprezzatura è l’affettazione.
Partiamo da Quintiliano: “Kakovzhlon,
id est mala adfectatio, per omne dicendi
genus peccat. Nam et tumida et pusilla et praedulcia et
abundantia et arcessita et exultantia sub idem nomen cadunt. Denique kakovzhlon vocatur, quidquid est ultra
virtutem, quotiens ingenium iudicio caret et specie boni fallitur, omnium in
eloquentia vitiorum pessimum. Nam et cetera parum vitantur, hoc petitur[21] »,
la ricerca del brutto, cioè la tendenza al brutto, è un difetto in ogni genere
di eloquenza. Infatti le parole ridondanti e le meschine e quelle molto
sdolcinate e le ricercate e quelle sopra le righe cadono nella medesima
categoria. Infine si chiama ricerca del brutto, tutto ciò che si trova al di là
del valore, tutte le volte che l’ingegno è privo di senso critico, e viene
ingannato dall’apparenza del bene, il peggiore di tutti i difetti
nell’eloquenza. Infatti gli altri non si evitano abbastanza, questo viene
ricercato.
Il vocabolo kakovzhlon
(formato da kakov~ e zh'lo~) si trova già nel trattato Sul
sublime (3, 4): l’Anonimo denuncia i difetti nei quali può incorrere chi
compone opere letterarie. Tra gli altri l’enfasi o gonfiezza stonata (to; para; mevlo~
oijdei'n) e la puerilità (to; meirakiw'de~) che è una mentalità scolastica (scolastikh; novhsi~) la quale per pedanteria va a finire nella
freddezza; scivolano in questo genere quelli che tendono allo straordinario, all’artificioso
e soprattutto alla volontà di piacere, arenandosi nell’insignificante e
nell’affettato (eij~ to; rJwpiko;n kai; kakovzhlon).
Baldassarre Castiglione in Il cortegiano[22]
prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo
impudente laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e
stomaco da chi ode" (I, 17). Egli
deve schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso
scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura",
ossia una studiata disinvoltura, un’apparenza di naturalezza "che nasconda
l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza
pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia… " (I, 26).
Parimenti la perfetta
gentildonna "Non mostri inettamente di sapere quello che non sa, ma con
modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione
in ogni cosa". Infatti "somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la
pestifera affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la
sprezzatura" Quindi la gentildonna non deve mostrare l'artificio: "questi
vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d'altro non nascono
che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il
troppo desiderio d'esser belle" (I, 40).
Leopardi trova grande saggezza e verità in queste parole: “Grazia
del contrasto. Conte Baldessar Castiglione, il libro del Cortegiano…Ma avendo
io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che
dalle stelle l’hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer
circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che alcun
altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso
scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa
una certa sprezzatura, che nasconda l’arte, e dimostri, ciò che si fa, e dice, venir
fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai
la grazia” (Zibaldone, 2682).
Anche A. Schopenhauer[23]
negli Aforismi sulla saggezza della vita
prescrive di evitare l'affettazione: "Si deve... mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa
provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno... in
secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una
persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e
mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L'affettazione di una qualità e il
pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua
mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio,
erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza, posizione
elevata, o qualunque altra cosa, si può
dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a
chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in
mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a
questo proposito"[24].
Il conte Alessandro
Manzoni conosce le regole dello stile aristocratico e non omette di
biasimare l’affettazione. Nell'Introduzione a I promessi sposi
squalifica lo stile del "buon secentista" definendolo "rozzo insieme e affettato... Ecco qui:
declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto
quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel
secolo, in questo paese". Quindi la decisione di "rifarne la
dicitura".
Sentiamo di nuovo Leopardi a proposito dell’affettazione
nello scrivere: “l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà, perciò
appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli
atti della vita umana, è la naturalezza (28. Feb. 1821) [25].
Anche Dostoevskij in I
fratelli Karamazov considera l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia
sebbene affascinato da Gruscenka"
si domandava con un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione
perché ella strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché
trovava bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata
attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva
abitudine di dubbio gusto, la quale
testimoniava un'educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin
dall'infanzia, delle convenienze e del decoro"[26].
Lo snobismo è la quintessenza dell’affettazione, del posare
dovuto a mancanza di gusto e a cattiva educazione: nella Ricerca di Proust il personaggio sine nobilitate è Bloch: “ciò che si chiama la mala educazione era
il suo difetto capitale, e quindi il difetto di cui non si accorgeva…Bloch era
maleducato, nevrastenico, snob” (All’ombra
delle fanciulle in fiore, p. 344). Viceversa Saint Loup aveva “un modo di
concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé, e moltissimo del
“popolo”; insomma, tutto l’opposto dell’orgoglio plebeo…Lui, in ogni
circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma
immediatamente gli snob lo imitavano” (p. 351).
[1]
A. La Penna, Aspetti del pensiero storico
latino, p. 193.
[2]
Annales, XVI, 18.
[3]
Seneca, Fedra, v. 651.
[4]Op.
cit., pp. 1150-1151
[5]
G. Flaubert, Madame Bovary, p. 113.
[6]
Pubblicato nel 1763.
[7]
T. Mann, La montagna incantata, I, p.
345.
[8]
Trattato, anonimo appunto, generalmente attribuito a un retore della prima metà
del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che ebbe tra
gli allievi anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva l'anomalia e
l'elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva al discorso
[9]
F. Nietzsche, Appunti filosofici
1867-1869, p. 95.
[10]
Ep. 115, 2
[11]
M. Proust, Il tempo ritrovato, p. 217.
[12]
Nato poco prima di Socrate.
[13]
Di questo genere è l'aspetto di Gruscenka dei Fratelli Karamazov: "C'era
in lei anche qualche altra cosa, di cui Alioscia non poteva rendersi conto, ma
che non mancò di sentire, sebbene inconsciamente; ed era, forse, quella
mollezza, quella dolcezza dei movimenti del corpo, la silenziosità quasi felina
di quei movimenti. Eppure ella aveva un corpo forte e opulento. Sotto lo
scialle si disegnavano un largo paio di spalle, un seno prominente e giovanile.
Quel corpo prometteva le forme di una Venere di Milo, sia pure in proporzione
già fin d'ora un tantino esagerata: lo si presentiva. I conoscitori della
bellezza femminile russa potevano predire senza punto sbagliarsi, guardando
Gruscenka, che la sua fresca bellezza, ancora perfettamente giovanile, avrebbe
perduto verso i trent'anni l'armonia delle linee, si sarebbe sformata, che il
viso si sarebbe afflosciato…insomma, per dir tutto in due parole, era la
bellezza fugace e passeggera che s'incontra così spesso tra le donne
russe" (pp. 207-208). I corpi delle persone sono "correlativi
oggettivi": incarnano e fanno vedere nella carne uno stato mentale.
[14]
Nel capitolo 3.
[15]
Questo e i due precedenti sono accusativi di relazione retti da kekosmhmevnh, part. perfetto m. p. di kosmevw.
[16]
Cfr. Dante, Vita Nuova (III): "avvenne che questa mirabile donna
apparve a me vestita di colore bianchissimo". Si tratta di Beatrice
diciottenne. Per quanto riguarda lo stile della modestia si può ricordare, sempre
di Dante, il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare: "Ella si va,
sentendosi laudare, benignamente d'umiltà vestuta" (vv. 6-7).
Ovviamente la trasmissione
del topos non è diretta.
[17]
Per una trattazione ampia, anche se non esauriente, di questo tema cfr. il
mio Ubique naufragium est, Canova, 2004, pp. 4-6.
[18]
I promessi sposi, capitolo XIX.
[19]
Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[20]
Il ritratto di Dorian Gray, p. 13, in
Oscar Wilde, Opere.
[21]
Institutio oratoria, VIII, 3, 56.
[22]
Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne
pubblicato nel 1528.
[23]
1788-1860.
[24]A.
Schopenhauer, Parerga e paralipomena,
trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[25]
Zibaldone 705.
[26]
I fratelli Karamazov, (1880), Trad. it. Milano, 1968, p. 208.
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