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mercoledì 12 agosto 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XXXIX

Alessandro Manzoni

La scelta della semplicità può evidenziarsi, radicalizzata, come neglegentia, ajmevleia, sprezzatura. La “sovrana nonchalance” del Petronio di Tacito e del suo allievo Nerone. Ippolito nella Fedra di Seneca. La Sofronia di Torquato Tasso (“le negligenze sue sono artifici”). Di nuovo il dandy di Baudelaire: la sua distinzione consiste nella massima semplicità. Il seduttore di Madame Bovary. Il topos della neglecta coma: Teseo e Ippolito nell’Ars amatoria. Alle donne il poeta mulierosus consilia “ars casum simulet”. Afrodite nelle Argonautiche. La “femminilità di razza” di una tubercolosa in La montagna incantata. Il giovin signore del Parini. L’Anonimo Sul sublime e l’ ajmevleia dei grandi: Omero, Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. Terenzio: il prologo dell’Andria pospone l’oscura diligenza dei mediocri alla negligenza dei migliori poeti latini (Nevio, Plauto, Ennio). Leopardi e la bellissima negligenza di Omero, Dante, Petrarca, Ariosto. Seneca. Proust. Il Satyricon: novae simplicitatis opus. Contro il trucco. Il Gorgia di Platone. L’orazione di Lisia Per l’uccisione di Eratostene: la moglie adultera è truccata. I Memorabili di Senofonte: Eracle al bivio. Manzoni: la sprezzatura signorile dei commensali del conte zio. Anna Karenina parla con naturalezza e con un'intelligenza noncurante. Un’opinione opposta: quella di Lord Henry di Oscar Wilde: la naturalezza è la più irritante delle pose. Il contrario della sprezzatura è l’affettazione. Il kakovzhlon (mala adfectatio) in Quintiliano e nel trattato Sul sublime. Baldassarre Castiglione. Leopardi: affettazione e sprezzatura. Schopenhauer: l’affettazione come spia del difetto. Lo “stile insieme rozzo e affettato” del “buon secentista” induce Manzoni a “rifarne la dicitura”. Di nuovo Leopardi: l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà. L’affettazione di Gruscenka in I fratelli Karamazov. Lo snobismo, ossia la mala educazione, nella Ricerca di Proust

La semplicità, accentuata dalla sui neglegentia, "noncuranza di sé", sprezzatura, apparente trascuratezza, o signorile disinvoltura, è un aspetto principale del canone di uno stile alto, non solo dello scrivere ma anche del comportamento.
Una regola riscontrabile nella letteratura europea dai classici greci fino ai nostri giorni.
Così Petronio elegantiae arbiter, maestro di buon gusto alla corte di Nerone, viene descritto da Tacito: “habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur" (Annales, XVI, 18), ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uomo dalla voluttà raffinata. Le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
 “Altri uomini immersi nella voluttà, ma privi del suo gusto, sono disprezzati e condannati come ganeones e profligatores. Ma la sua raffinatezza è accompagnata da una sovrana nonchalance (quaedam sui neglegentia), e questo gli dà una parvenza di simplicitas. La notazione, a sua volta raffinata e profonda, non sarebbe dispiaciuta al “classicista” Petronio: creare con un lavoro raffinato la parvenza della naturalezza è la grande ambizione del classicismo antico; la prosa di Petronio non sembra abbia fallito questo scopo”[1].
 Nerone il quale: "nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset"[2], niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato, negli ultimi anni della sua breve vita adottò questo stile volutamente trasandato: “ ut plerumque synthesinam indutus, ligato circa collum sudario, prodierit in publicum sine cinctu et discalciatus” (Svetonio, Neronis Vita, 51), al punto che di solito, indossata una veste da camera, legatosi un fazzoletto intorno al collo, usciva in pubblico senza cintura e scalzo.
Analoga è la testimonianza di Cassio Dione il quale racconta che l’imperatore riceveva i senatori indossando una tunica a motivi floreali e con un drappo di lino intorno al collo (citwvniovn ti ejndedukw;~ a[nqinon kai; sindovnion peri; to;n aujcevna e[cwn 63, 13), e che a tal punto oramai trasgrediva i costumi tradizionali (parhvnomei), da indossare anche in pubblico tuniche senza cintura (w[ste kai; aJzwvstou~ citw'na~ ejn tw'/ dhmosivw/ ejnduvesqai, Storia romana, 63, 13, 3).

Fedra innamorata di Ippolito gli dice che suo padre, quando da ragazzo giunse a Creta, era davvero splendido (“Quis tum ille fulsit!”[3]), ma lui, il figlio del raffinato ateniese e dell’Amazone selvaggia, ha qualcosa in più: “in te magis refulget incomptus decor” (v. 657), in te in più risplende un fascino incurante, poiché hai preso la bellezza di tuo padre e l’inflessibilità della madre scita: “in ore Graio Scythicus apparet rigor” (v. 660).
Insomma, la negligenza è un dato stilistico ricercato, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "La vergine tra 'l vulgo uscì soletta, /non coprì sue bellezze, e non l'espose, /raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta, /con ischive maniere e generose. /Non sai ben dir s'adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose. /Di natura, d'Amor, de' cieli amici/le negligenze sue sono artifici" (II, 18).

Questo aspetto dell’eleganza trova una corrispondenza nel dandy baudelairiano di cui si diceva sopra (cap. 5): "il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di distinzione, la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi"[4].

Lo stile della semplicità ricercata è adottato dal seduttore di Emma Bovary: "si scusò di essere anche lui così trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di un'esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell'arte, il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o esasperare"[5].

Faccio un esempio più particolareggiato: il topos della neglecta coma.
Nel I libro dell'Ars amatoria, a proposito degli uomini, Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507-510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone, avvezzo alle selve, era oggetto d'amore di una dea.
Le donne a loro volta possono affascinare con una trasandatezza apparente: "Et neglecta decet multas coma: saepe iacere/hesternam credas, illa repexa modo est. /Ars casum simulet" (Ars amatoria III, 153-155), a molte sta bene anche una chioma trascurata: spesso puoi credere che sia lì dal giorno prima, ma quella è stata appena ripettinata. L'artificio finga di essere casuale.
Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio Era e Atena vanno a trovare Afrodite perché mandi il figlio a fare innamorare Medea di Giasone: ebbene la dea dell’amore stava ravvivandosi i capelli con un pettine d’oro, e ne faceva delle trecce, ma quando vide le visitatrici, smise, le invitò a entrare e raccolse con le mani le chiome non pettinate: “ajyhvktou~ de; ceroi'n ajnedhvsato caivta~” (III, 50). Tanto era bella lo stesso, forse più bella.
Parini impiega il topos della neglecta coma e delle artificiose negligenze a proposito dell'acconciatura del Giovin Signore suo pupillo: "Ma il crin, Signore, /Forma non abbia ancor da la man dotta/Dell'artefice suo…Non senz'arte però vada negletto/su gli omeri a cader… Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con artificio negligente avrai;/Esci pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati (Il mattino[6], vv. 1005 e sgg.).
In La montagna incantata c’è una donna malata a morte Natalia la cui “femminilità di razza…trionfava ancora sulla miseria del suo povero corpo e sapeva trasformare in graziosa acconciatura perfino la benda di garza che le avvolgeva la testa anch’essa afflitta da un qualsiasi incomodo ripugnante”[7].

Un correlativo stilistico letterario di questa neglegentia è l'ajmevleia che l'Anonimo Sul sublime [8] attribuisce a Omero e ad altri grandi della letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. L'autore annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti ("oujk ojlivga... aJmarthvmata") i quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza ("paroravmata di' ajmevleian eijkh'/") e prodotte distrattamente dalla stessa grandezza dell’autore. Le nature eccellenti non sono senza difetti. Apollonio e Teocrito sono senza mende. Ma non preferiresti-domanda retoricamente l’Anonimo-essere Omero piuttosto che Apollonio? Anche Sofocle ha qualche caduta di tono poetico, ma nessuno con un poco di senno scambierebbe il solo Edipo re con tutti i drammi di Ione di Chio (33).
Analoga valutazione estetica si trova nel Prologo dell'Andria dove Terenzio si difende dall'accusa di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto, Ennio: " quorum aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum obscuram diligentiam" (vv. 20-21), dei quali preferisce cercare di eguagliare la negligenza piuttosto che la buia diligenza di costoro, ossia del malevolo vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.
Sulla “negligenza” dei sommi scrittori, da Omero in avanti, anche Leopardi dà un giudizio positivo: “Così i poeti antichi non solamente non pensavano al pericolo in cui erano di errare, ma (specialmente Omero) appena sapevano che ci fosse, e però franchissimamente si diportavano con quella bellissima negligenza che accusa l’opera della natura e non della fatica. Ma noi timidissimi, non solamente sapendo che si può errare, ma avendo sempre avanti agli occhi l’esempio di chi ha errato e di chi erra, e però pensando sempre al pericolo…non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall’esempio degli antichi e dei Classici…ma da quelle regole (ottime e Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in voli bassi né mai osiamo alzarci con quella negligente e sicura e non curante e dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria nelle somme opere dell’arte, onde pel timore di non fare cose pessime, non ci attentiamo di farne delle ottime, e ne facciamo delle mediocri…insomma non c’è più Omero Dante l’Ariosto, insomma il Parini e il Monti sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto” (Zibaldone, 9-10).
Più avanti Leopardi sostiene che Ovidio “con quel tanto aggirarsi intorno agli oggetti…fa manifesta la diligenza, e la diligenza nei poeti è contraria alla naturalezza. Quello che nei poeti dee parer di vedere, oltre agli oggetti imitati, è una bella negligenza e questa è quella che vediamo negli antichi, maestri di questa necessarissima e sostanziale arte, questa è quella che vediamo nell’Ariosto, Petrarca ec…” (Zibaldone, 21).
Ancora: “Non solo, come ho spiegato altrove, si fa male quello che si fa con troppa cura, ma se la cura è veramente estrema, non si può assolutamente fare, e per giungere a fare bisogna rimettere alquanto della cura e della intenzione di farlo (24 Agosto 1821) ” (Zibaldone, 1854).
Questa di Leopardi è un’idea della poesia contraria a quella di Callimaco, vicina invece a quella dell’Anonimo Sul sublime.
“Per gli errori dei grandi uomini occorre avere rispetto perché sono più fecondi delle verità dei piccoli”[9].

Per quanto riguarda la filosofia, Seneca afferma: "oratio sollicita philosophum non decet " (Ep., 100, 4), uno stile troppo elaborato non si addice a un filosofo. Lo stile del parlare e dello scrivere è l'eleganza dell'anima: "Oratio cultus animi est: si circumtonsa est et fucata et manu facta, ostendit illum quoque non esse sincerum et habere aliquid fracti "[10], se esso è troppo limato e imbellettato e affettato mostra che anche quella non è schietta e ha qualche debolezza.
“Giacché lo stile, per lo scrittore, come il colore per il pittore, è un problema non di tecnica, bensì di visione”[11].
Encolpio, l’io narrante del Satyricon, "novae simplicitatis opus " (Satyricon, 132, 15), opera di straordinaria semplicità, a proposito dello stile oratorio sostiene: " grandis et, ut ita dicam, pudica oratio non est maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " (2, 6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si eleva per bellezza naturale.
La persona bella e fine non ha bisogno di artifici.
Nel Gorgia (465b) Platone fa dire a Socrate che la cosmesi (hJ kommwtikhv) è malvagia, ingannevole, ignobile e servile (kakou'rgov~ te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;~ kai; ajneleuvqero~) ; è la forma di adulazione (kolakeiva) che si cela sotto la ginnastica (uJpokeivtai th'/ de; gumnastikh'/), come la culinaria sotto la medicina, la retorica sotto giustizia, la sofistica sotto la legislazione. La cosmesi esercita il proprio inganno attraverso l’apparenza, i colori, gli unguenti, i vestiti, in modo da far trascurare la bellezza naturale propria di ciascuno che si potenzia con la ginnastica, cercando di ottenere una bellezza che non è nostra.
Il trucco dunque è una contraffazione ed è un indizio di malvagità: il buon Eufileto, il marito cornuto dell’orazione di Lisia, ebbe l'impressione che il volto della moglie adultera fosse truccato (" e[doxe dev moi, w\ a[ndre", to; provswpon ejyimuqiw'sqai, ossia fosse coperto di yimuvqion, una specie di biacca), sebbene il fratello le fosse morto da nemmeno trenta giorni, ma non disse niente lo stesso (Per l’uccisione di Eratostene, 14).
Nei Memorabili (II, 1, 21-34) Senofonte riferisce, attraverso Socrate, la favola esemplare di Eracle al bivio attribuita a uno scritto (Stagioni) del sofista Prodico di Ceo[12]. Sul bivio di Eracle ci sono due femmine umane con aspetti e con anime diverse. Anche l'aspetto e l'abbigliamento sono psicologie. Tutto infatti è mentale.
 Le due donne parlano all'eroe giovinetto, incerto sulla via da prendere, indicandogli ciascuna una strada. La prima vuole adescare l' adolescente con la promessa di una vita facile e piacevole. Questa femmina è, prosperosa, quasi opima[13], morbida teqrammevnh me;n eij" polusarkivan te kai; aJpalovthta), truccata nel colorito sì da avere l'aria di apparire più bianca e più rossa del naturale (kekallwpismevnhn de; to; me;n crw'ma w{ste leukotevran te kai; ejruqrotevran tou' o[nto" dokei'n faivnesqai, II, 1, 22) impettita più del conveniente, con gli occhi aperti, e con una veste dalle quali lampeggiava a tutto spiano la sua bellezza (" ejsqh'ta de; ejx h|" mavlista hJ w{ra dialavmpoi", II, 1, 22) ; inoltre si osservava spesso con compiacimento: guardava se qualcun altro la guardasse e spesso si volgeva alla sua ombra. Costei dagli amici viene chiamata Eujdaimoniva, Felicità, ma dai detrattori, Kakiva, Vizio (II, 1, 27).
Viceversa la donna virtuosa, l’abbiamo già menzionata[14], era di natura nobile, ossia pudica e modesta. L'ornamento del suo incarnato era la purezza (kekosmhmevnh to; me;n crw'ma kaqareiovthti), quello degli occhi il pudore (ta; de; o[mmata aijdoi'), quello dello stile la modestia (to; de; sch'ma[15] swfrosuvnh). Inoltre era vestita di bianco[16] (ejsqh'ti de; leukh'/', II, 1, 22).

Faccio altri due esempi[17] di autori di estrazione aristocratica i quali mettono in forte rilievo la finezza della sprezzatura: in I promessi sposi il conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale: "gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[18].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj: " Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[19].
Sentiamo però anche un’opinione opposta: quella di Lord Henry, il mentore di Dorian Gray: “La naturalezza è una posa; e la più irritante che io conosca”[20].
Se pure è una posa, è la più bella, fine e intelligente delle pose.
Il contrario della sprezzatura è l’affettazione.
Partiamo da Quintiliano: “Kakovzhlon, id est mala adfectatio, per omne dicendi genus peccat. Nam et tumida et pusilla et praedulcia et abundantia et arcessita et exultantia sub idem nomen cadunt. Denique kakovzhlon vocatur, quidquid est ultra virtutem, quotiens ingenium iudicio caret et specie boni fallitur, omnium in eloquentia vitiorum pessimum. Nam et cetera parum vitantur, hoc petitur[21] », la ricerca del brutto, cioè la tendenza al brutto, è un difetto in ogni genere di eloquenza. Infatti le parole ridondanti e le meschine e quelle molto sdolcinate e le ricercate e quelle sopra le righe cadono nella medesima categoria. Infine si chiama ricerca del brutto, tutto ciò che si trova al di là del valore, tutte le volte che l’ingegno è privo di senso critico, e viene ingannato dall’apparenza del bene, il peggiore di tutti i difetti nell’eloquenza. Infatti gli altri non si evitano abbastanza, questo viene ricercato.
Il vocabolo kakovzhlon (formato da kakov~ e zh'lo~) si trova già nel trattato Sul sublime (3, 4): l’Anonimo denuncia i difetti nei quali può incorrere chi compone opere letterarie. Tra gli altri l’enfasi o gonfiezza stonata (to; para; mevlo~ oijdei'n) e la puerilità (to; meirakiw'de~) che è una mentalità scolastica (scolastikh; novhsi~) la quale per pedanteria va a finire nella freddezza; scivolano in questo genere quelli che tendono allo straordinario, all’artificioso e soprattutto alla volontà di piacere, arenandosi nell’insignificante e nell’affettato (eij~ to; rJwpiko;n kai; kakovzhlon).
Baldassarre Castiglione in Il cortegiano[22] prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura, un’apparenza di naturalezza "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia… " (I, 26).
 Parimenti la perfetta gentildonna "Non mostri inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa". Infatti "somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la pestifera affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la sprezzatura" Quindi la gentildonna non deve mostrare l'artificio: "questi vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d'altro non nascono che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio d'esser belle" (I, 40).
Leopardi trova grande saggezza e verità in queste parole: “Grazia del contrasto. Conte Baldessar Castiglione, il libro del Cortegiano…Ma avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l’hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che alcun altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte, e dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia” (Zibaldone, 2682).

Anche A. Schopenhauer[23] negli Aforismi sulla saggezza della vita prescrive di evitare l'affettazione: "Si deve... mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno... in secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L'affettazione di una qualità e il pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a questo proposito"[24].
Il conte Alessandro Manzoni conosce le regole dello stile aristocratico e non omette di biasimare l’affettazione. Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon secentista" definendolo "rozzo insieme e affettato... Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi la decisione di "rifarne la dicitura".
Sentiamo di nuovo Leopardi a proposito dell’affettazione nello scrivere: “l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza (28. Feb. 1821) [25].
Anche Dostoevskij in I fratelli Karamazov considera l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia sebbene affascinato da Gruscenka" si domandava con un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio gusto, la quale testimoniava un'educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall'infanzia, delle convenienze e del decoro"[26].

Lo snobismo è la quintessenza dell’affettazione, del posare dovuto a mancanza di gusto e a cattiva educazione: nella Ricerca di Proust il personaggio sine nobilitate è Bloch: “ciò che si chiama la mala educazione era il suo difetto capitale, e quindi il difetto di cui non si accorgeva…Bloch era maleducato, nevrastenico, snob” (All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 344). Viceversa Saint Loup aveva “un modo di concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé, e moltissimo del “popolo”; insomma, tutto l’opposto dell’orgoglio plebeo…Lui, in ogni circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano” (p. 351).







[1] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 193.
[2] Annales, XVI, 18.
[3] Seneca, Fedra, v. 651.
[4]Op. cit., pp. 1150-1151
[5] G. Flaubert, Madame Bovary, p. 113.
[6] Pubblicato nel 1763.
[7] T. Mann, La montagna incantata, I, p. 345.
[8] Trattato, anonimo appunto, generalmente attribuito a un retore della prima metà del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che ebbe tra gli allievi anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva l'anomalia e l'elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva al discorso
[9] F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869, p. 95.
[10] Ep. 115, 2
[11] M. Proust, Il tempo ritrovato, p. 217.
[12] Nato poco prima di Socrate.
[13] Di questo genere è l'aspetto di Gruscenka dei Fratelli Karamazov: "C'era in lei anche qualche altra cosa, di cui Alioscia non poteva rendersi conto, ma che non mancò di sentire, sebbene inconsciamente; ed era, forse, quella mollezza, quella dolcezza dei movimenti del corpo, la silenziosità quasi felina di quei movimenti. Eppure ella aveva un corpo forte e opulento. Sotto lo scialle si disegnavano un largo paio di spalle, un seno prominente e giovanile. Quel corpo prometteva le forme di una Venere di Milo, sia pure in proporzione già fin d'ora un tantino esagerata: lo si presentiva. I conoscitori della bellezza femminile russa potevano predire senza punto sbagliarsi, guardando Gruscenka, che la sua fresca bellezza, ancora perfettamente giovanile, avrebbe perduto verso i trent'anni l'armonia delle linee, si sarebbe sformata, che il viso si sarebbe afflosciato…insomma, per dir tutto in due parole, era la bellezza fugace e passeggera che s'incontra così spesso tra le donne russe" (pp. 207-208). I corpi delle persone sono "correlativi oggettivi": incarnano e fanno vedere nella carne uno stato mentale.
[14] Nel capitolo 3.
[15] Questo e i due precedenti sono accusativi di relazione retti da kekosmhmevnh, part. perfetto m. p. di kosmevw.
[16] Cfr. Dante, Vita Nuova (III): "avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo". Si tratta di Beatrice diciottenne. Per quanto riguarda lo stile della modestia si può ricordare, sempre di Dante, il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare: "Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d'umiltà vestuta" (vv. 6-7).
Ovviamente la trasmissione del topos non è diretta.
[17] Per una trattazione ampia, anche se non esauriente, di questo tema cfr. il mio Ubique naufragium est, Canova, 2004, pp. 4-6.
[18] I promessi sposi, capitolo XIX.
[19] Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[20] Il ritratto di Dorian Gray, p. 13, in Oscar Wilde, Opere.
[21] Institutio oratoria, VIII, 3, 56.
[22] Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne pubblicato nel 1528.
[23] 1788-1860.
[24]A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[25] Zibaldone 705.
[26] I fratelli Karamazov, (1880), Trad. it. Milano, 1968, p. 208. 

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