Jorge Luis Borges |
Il culto neoclassico
della bellezza. L’eterno ritorno del classico come forma ritmica della storia
culturale europea. Il classicismo dell’Alfieri secondo Francesco De Sanctis. La
bellezza, subito antica, dell’Acropoli di Atene, rifiorisce sempre di nuova
giovinezza (Plutarco)
Il neoclassicismo propone il culto della bellezza in
generale, e umana - femminile in particolare - quale antidoto al dolore e alle
miserie della vita. Foscolo nell'Ode All'amica
risanata[1], celebra la splendidissima donna nella quale, dopo la malattia "beltà
rivive, / l'aurea beltate ond'ebbero/ristoro unico a' mali/le nate a vaneggiar
menti mortali" (vv. 9-12). "Beauty is truth, truth beauty
", bellezza è verità, verità bellezza, scrive John Keats[2]
nell'Ode on a grecian urn. "L'attribuzione della bellezza alla
verità e al significato deve essere o un vezzo retorico, o un'affermazione
teologica. Si tratta di una teologia, esplicita o soppressa, mascherata o
dichiarata, sostanziale o metaforica, che conferma il presupposto della creatività
e della significazione nei nostri incontri con i testi, con la musica e con
l'arte"[3].
Non esiste solo il neoclassicismo dei primi anni
dell’Ottocento: “Ernst Howald (Die Kultur der Antike, 1948) ha potuto
indicare la rinascita del "classico" come "la forma
ritmica" della storia culturale europea"[4].
Francesco De Sanctis mette il rilievo, non senza criticarlo,
il classicismo di Vittorio Alfieri: “ Alfieri è l’uomo nuovo in veste classica.
Il patriottismo, la libertà, la dignità, l’inflessibilità, la morale, la
coscienza del diritto, il sentimento del dovere, tutto questo mondo interiore, oscurato
nella vita e nell’arte italiana, gli viene non da una viva coscienza del mondo
moderno, ma dallo studio dell’antico, congiunto col suo ferreo carattere
personale…Risvegliare negl’italiani la “virtù prisca”, rendere i suoi carmi
“sproni acuti” alle nuove generazioni, sì che ritornino degni di Roma, è il suo
motivo lirico, che ha comune con Dante e Petrarca[5].
A proposito del
classicismo che si ripropone periodicamente nella nostra Civiltà, possiamo
aggiungere che la bellezza si coniuga non solo con la semplicità ma anche con
l'antichità. Lo suggerisce Plutarco nella Vita di Pericle quando
afferma che ognuna delle "opere di Pericle", ossia degli edifici
fatti costruire sull'Acropoli, era, kavllei,
per la bellezza già allora antica, ajrcai'on;
mentre per la loro rifioritura (ajkmh'/)
appare ancora oggi recente e appena ultimata (13, 5).
Il neoclassicismo di David si accompagna alla rivoluzione
francese: “A quel tempo, il termine rivoluzione
era perfettamente compatibile con l’idea del ritorno. (Qui occorre notare che
in quegli anni l’Inghilterra conosce la sua “rivoluzione industriale”, e che
questa provoca nella storia un cambiamento radicale, che esclude ogni ritorno. Si
può forse affermare, senza rischio di sbagliare, che ii ritorno all’antico o a
Michelangelo è una velleità regressiva, che tende a nascondere o a
neutralizzare la novità angosciosa delle trasformazioni tecniche e economiche.)
…La memoria del passato veniva allora a imporre la sua maestà, i suoi abiti, i
suoi simboli, al cerimoniale dell’instaurazione politica. Mescolava così a tale
instaurazione la pia solennità di una reazione estetica e morale. La Atene di
Pericle, la Roma dei tempi virtuosi rinascevano nella Repubblica. Drappeggiata
alla maniera antica, la celebrazione dell’ordine nuovo aveva anche un altro
significato, di commemorazione, di fedeltà ai massimi modelli…Magicamente, il
costume antico operava una identificazione eroica con i personaggi di Plutarco”[6].
Le frasi belle sono
la luce del pensiero e colpiscono la sfera emotiva. Bettini: la citazione
antologizza il classico fino alla carne viva. Fellini, Seneca, Leopardi e
Carlyle. Manzoni: l’utile, il vero e l’interessante. La bellezza eleva anche la
virtù. Dobbiamo scegliere testi che piacciano prima di tutto a noi. Borges: non
ho insegnato la letteratura inglese ma l’amore per certe frasi. Tolstoj. Luperini
e la scelta libera dei testi. La Mastrocola e il piacere della condivisione. Alfieri
aveva la testa “antigeometrica” e, invece, “genio per le cose drammatiche”. Nietzsche
e l’arte che anestetizza il dolore. Proust: il lavoro dell’artista è un
rivelamento di noi stessi
Vanno segnalate, possibilmente citate a memoria, le frasi
belle che sono la luce del pensiero, la sua parte poetica e artistica che, colpendo
la sfera emotiva, si presta a essere ricordata. Citare non è saccheggiare: “Agli
occhi dell’artista un pensiero in quanto tale non avrà mai un gran valore di
proprietà. A lui importa che possa funzionare nell’ingranaggio spirituale
dell’opera”[7].
“Esiste comunque un metodo sicuro, e soprattutto molto
rapido, per rendere sfizioso qualsiasi classico: quello della citazione. La
citazione infatti antologizza il classico fino alla carne viva, gli attribuisce
una tale misura minimale che a questo punto la sfiziosità è comunque garantita.
Questo spiega perché, negli ultimi tempi, le raccolte di citazioni si sono
moltiplicate (mettendo inaspettatamente in buona compagnia la gloriosa Ape Latina di Fumagalli): tanto che in
alcuni paesi, come gli Stati Uniti, le grandi librerie dispongono addirittura
di un apposito settore in cui sono allineati i libri di citazioni di ogni
possibile letteratura. Il fatto è che, nella citazione, il classico diventa
talmente piccolo da poter entrare persino in una “battuta”. [8]”
Naturalmente le citaziono non devono costituire un coacervo,
ma formare un amalgama.
Sentiamo ancora Fellini: "Il bello sarebbe meno
ingannevole e insidioso se cominciasse a venir considerato bello tutto ciò che
dà un'emozione, indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque venga toccata,
la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto
di vista etico che da quello estetico. Il bello è anche buono. L'intelligenza è
bontà, la bellezza è intelligenza: l'una e l'altra comportano una liberazione
dal carcere culturale"[9].
Un'idea simile si trova in una epistola di Seneca: "advocatum
ista non quaerunt: adfectus ipsos tangunt et natura vim suam exercente
proficiunt…erigitur virtus cum tacta est et inpulsa" (94, 28 e 29), queste
parole belle[10]
non hanno bisogno di un difensore: toccano direttamente la parte emotiva e
giovano grazie alla natura che esercita la sua forza…la virtù si drizza quando
viene toccata e stimolata.
“qual altro è il proprio uffizio e scopo della poesia se non
il commuovere, così o così, ma sempre commuover gli affetti…Bello effetto[11]
di un dramma, di una rappresentazione, di una poesia; lasciare di se tal
vestigio negli animi degli spettatori o uditori o lettori, come s’e’ non
l’avessero né veduta né letta. Meglio varrebbe essere stato a uno spettacolo di
forze, di giuochi equestre, e che so io, i quali pur lasciano nell’animo alcuna
orma di maraviglia o di diletto o d’altro”[12].
“Da questo punto di vista, anche una frase di Goethe, tra le
altre, che ha molto stupito parecchi, può avere un significato: “Il Bello-egli
dichiara-è più alto del Bene; il Bello avvolge in sé il Bene”. Il vero Bello, come
del resto ho detto altrove, “differisce dal falso come il cielo differisce
dall’inferno”[13].
“Il nobile favorisce la bellezza dell’uomo, l’uomo comune la
bruttezza”[14].
La bellezza dunque è spesso morale, eleva anche la virtù, e
comunque, quale strumento didattico, serve a catturare l'attenzione degli
studenti, degli ascoltatori in genere; senza l'attenzione di chi ascolta, il lovgo" di chi parla si degrada a un
verso di papero.
L'attenzione si ottiene con racconti interessanti, quindi
belli, e non inutili. Lo dichiarano Tucidide e Polibio nelle loro Storie,
e pure Manzoni nella Lettera a Cesare
d'Azeglio[15]:
"Il principio di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi
sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba
proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per
mezzo".
I testi che scegliamo devono piacere innanzitutto a noi. Se
non piacciono a noi tanto meno piaceranno a chi li racconteremo
A questo proposito
sentiamo J. L. Borges: "Nel mio testamento, che non ho intenzione di
scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla
reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità
personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo:
non è stato scritto per voi… Non ho insegnato agli studenti la letteratura
inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O
meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di
un autore"[16].
Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: "Se vuoi insegnare
qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila, e gli scolari ameranno
te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il primo a non amarla, per
quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione
educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori
giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo: "E anche qui la
salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il
maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli
possono decidere se il maestro conosce e ama la sua materia"[17].
“Non si può fare leggere dei testi solo per obbedire a una
costrizione e cioè perché sono imposti da un programma o da un canone;
l’insegnante deve invece mostrare, agendo all’interno della comunità
ermeneutica della classe, che tali testi sono letti perché hanno un significato
e un valore per noi…Né si può escludere a priori che un insegnante e la sua
classe arrivino a conclusioni opposte rispetto ai presupposti iniziali, e cioè
alla presa d’atto che un determinato testo o autore non abbia oggi un
particolare valore e un significato e che sia perciò giusto leggere altre opere
o altri autori”[18].
“Una cosa ti piace? Bene, la condividi. Io direi che
esattamente questo è insegnare, niente di più: il piacere immenso della
condivisione”[19].
Credo pure che non sia necessario, e nemmeno opportuno, che
ciascuno studi tutte le discipline: ognuno deve dedicarsi presto a quelle per
le quali è portato.
Vittorio Alfieri non era incline alla geometria: “Di quella
geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati i primi sei libri di
Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta proposizione; come neppure la
intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa assolutamente anti-geometrica”
(Vita, 2, 4).
Il maestro deve
aiutare il discepolo a scoprire i suoi talenti e incoraggiarlo a farli fruttare:
“Mi capitarono anche allora[20]
varie commedie del Goldoni, e queste me le prestava il maestro stesso; e mi
divertivano molto. Ma il genio per le cose drammatiche, di cui forse il germe
era in me, si venne tosto a ricoprire o ad estinguersi in me, per mancanza di
pascolo, d’incoraggiamento, e d’ogni altra cosa. E, somma fatta, la ignoranza
mia e di chi mi educava, e la trascuraggine di tutti in ogni cosa non potea
andar più oltre (Vita, 2, 4).
L'educatore deve essere un poco come l'artista e stimolare
il pensiero: "Ogni parola, espressa da un talento artistico, si tratta di
Goethe o di Fed'ka, si differenzia dall'espressione non artistica per il fatto
che essa suscita una quantità innumerevole di pensieri, di immagini e di
interpretazioni"[21].
"L'arte deve far brillare ciò che è significativo di
fra ciò che è inevitabilmente o invincibilmente brutto"[22].
L'arte deve riscattare, estetizzare e anestetizzare l'atroce
e l'assurdo della vita, salvare l'uomo terrorizzato o disgustato dal pericolo
della paralisi: " Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si
avvicina, come una maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è
capace di volgere quei pensieri di disgusto per l'atrocità o l'assurdità
dell'esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime
come repressione artistica dell'atrocità e il comico come sfogo
artistico del disgusto per l'assurdo"[23].
“Questo lavoro dell’artista, vòlto a cercar di scorgere
sotto una certa materia, sotto una certa esperienza, sotto certe parole, qualcos’altro,
è esattamente inverso a quello che, in ogni istante, allorché viviamo stornati
da noi stessi, l’orgoglio, la passione, l’intelligenza, e anche l’abitudine, compiono
in noi, ammassando sopra le nostre genuine impressioni, per nascondercele, le
nomenclature, gli scopi pratici, cui diamo erroneamente il nome di “vita”. Insomma,
quest’arte così complessa è davvero la sola arte viva”[24].
Frasnedi: la bellezza
della scrittura. Una didattica di lusso è una didattica delle pari opportunità.
La Mastrocola: l’istruzione di basso livello penalizza i poveri. Pietro Citati:
“Così rinasce l’università per i ricchi”. Il classico, che apparteneva, alla prima
classe ora deve essere messo a disposizione di tutti. Aulo Gellio. Harry Mount:
Latin is used to give a touch of class.
Il ministro della propaganda nel film Il
grande dittatore di Chaplin. Bettini e la funzione autoritativa dei
classici. Alexis de Tocqueville: non può essere eccellente nelle lettere chi
ignora i classici. Il ministro Letizia Moratti
Le frasi belle assimilate insegnano a produrre frasi belle
in proprio, a ricrearle, insomma a parlare e a scrivere in maniera
significativa: "Una buona scrittura è sempre un dettato che brilla, anche
nei contesti meno esigenti: dall'annuncio economico, al necrologio, alla
comunicazione aziendale. Il verbo brillare dice la presenza di un soggetto, e
della sua irripetibile agilità linguistica. Dice il guizzo creativo che può
avere il proprio luogo quasi dovunque. L'obiezione che la scuola non può avere
come obiettivo la formazione di geni della scrittura, ma deve mirare a formare
dei decenti esecutori; e quella parallela che una didattica 'di lusso' non sarebbe
adatta alla modestia della maggioranza delle menti non sono, mi sembra, frutto
di un'argomentazione convincente…Una didattica 'di lusso'… non è affatto una
didattica pensata per i meglio dotati, ma la scelta di offrire a tutti gli
strumenti adatti alla crescita intellettuale ed al pefezionamento delle abilità.
E' una didattica - se si accetta la metafora politica - delle pari opportunità.
Che pone la selezione non a priori: - a tutti la giusta mediocrità e i migliori
s'arrangino -, ma a posteriori. A tutti è stata offerta la possibilità del
meglio; per alcuni sarà la via della possibile eccellenza, per altri l'approdo
ad una decente mediocrità… io rivendico il diritto di tutti allo strumento
raffinato; poiché esso non è pretesto od ornamento, ma chiave autenticamente
cognitiva. Per tutti. La via delle pari opportunità non passa attraverso un
riduzionismo semplificatore, ma attraverso la potenza della sollecitazione
cognitiva che ciascuno ha il diritto di ricevere. Io vorrei che la nostra
scuola sapesse fare miracoli, come li faceva quella di Barbiana"[25].
Sentiamo anche la Mastrocola: "Io capisco che la scuola
debba essere di massa…. Ma attenzione ad aiutare davvero la massa, cioè coloro
che, svantaggiati socialmente, trarrebbero gran beneficio proprio da un'istruzione
di alto livello; attenzione a non aiutare invece proprio le classi medio-alte, che
hanno, di loro, ben altre risorse rispetto alla scuola, e che cioè troveranno
comunque un'ottima sistemazione professionale, non grazie a un ottimo livello
di istruzione, ma grazie alle relazioni familiari, al denaro, alle
conoscenze…Ora lo stesso ragazzino di Barbiana chiederebbe…una scuola che gli
dia un grado alto, e non basso, di conoscenza, perché solo così lui potrebbe
competere con i figli del ceto medio-alto che vanno a studiare all'estero e poi
troveranno impiego nell'impresa di papà o degli amici di papà"[26].
Una riflessione analoga si trova in un articolo di Pietro
Citati intitolato Così rinasce
l’università per i ricchi: “le università italiane sono pessime, se ne
escludiamo qualcuna e la Scuola Normale Superiore di Pisa…il disastro è
cominciato (molti dicono: continuato) con la Riforma Berlinguer, entrata in
vigore sei anni fa. A partire da allora, le leggi ministeriali hanno costretto
gli studenti a non studiare, o a studiare il meno possibile, e soprattutto a
non leggere libri o solo fascicoletti di poche pagine. Lo Stato italiano ha il
perverso piacere di laureare ignoranti e incompetenti…Non c’è molto tempo. Se
il ministro non interviene subito, l’Italia perderà del tutto la propria classe
dirigente: fatto immensamente più grave dello scandalo Parmalat, o dei costi
della nostra classe politica…Fra poco non sapremo a chi affidare l’insegnamento
nei licei o all’università, o la direzione delle nostre imprese o il governo
dell’economia. Intanto i figli delle famiglie ricche vanno a studiare negli
Stati Uniti o in Inghilterra. Così assisteremo (ancora una volta) a questa
insensatezza: la Riforma Berlinguer, che pretendeva di essere democratica, farà
in modo che tutta la nostra classe dirigente sarà formata da ricchi”[27].
Quanto alla didattica di lusso, che però deve essere a
disposizioni di tutti quanti sono capaci di apprezzarla, il termine classicus
designava il cittadino che apparteneva alla classis più elevata dei
contribuenti fiscali; "solo per traslato uno scrittore del II secolo d. C.,
Aulo Gellio, definisce "classicus scriptor, non proletarius" uno
scrittore "di prim'ordine", non della massa" (Noctes Atticae 19. 8. 15; cfr. 6. 13. 1
e 16. 10. 2-15), o (forse meglio) "buono da essere letto dai classici (i
contribuenti più ricchi), e non dal popolo"; classicus è ulteriormente
definito come adsiduus (altra designazione di censo, "contribuente
solido e frequente") e antiquior ; l'anteriorità al presente è dunque
requisito della "classicità"[28].
“La “classicità”, insomma, sarebbe propriamente un fatto di
rango, o meglio di censo. Lo scrittore appartenente alla cohors degli antichi dispone di un “patrimonio” tale che rientra
automaticamente nella classe più alta dei cittadini. E’ come se fosse un nobile
di antica data, fornito di ampie possibilità patrimoniali. A questo punto, se
qualcuno pensa che lo scrittore “classico” di Gellio è uno che vive sì di
rendita, e che si comporta come un notabile della letteratura, però deve
risultare almeno “assiduo” nella sua propria attività, si sbaglia. Anche assiduus è infatti un termine connesso
al censo. Sempre Gellio ci spiega che “nelle Dodici Tavole “assiduo” si usa col significato di persona
benestante e agiata”[29].
Siamo sempre lì, il classico è una sorta di uomo ricco e senza pensieri, che ha
la “vita facile” (facile faciens): come
del resto è naturale trattandosi di una persona che appartiene alla prima delle
classi serviane”[30].
Harry Mount, autore di un libro di successo sul ritorno del
latino[31],
nota che sul retro del biglietto da un dollaro si trova scritto annuit coeptis che traduce “he has favoured our undertakings”, ha
favorito le nostre imprese, quindi commenta “As is often the case, Latin is used to give a touch of class”[32],
come spesso succede il latino è usato per assegnare un tocco di classe.
Nel film di Chaplin The
great dictator (1940) il ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels
pronuncia una prefazione al discorso di Hynkel-Hitler che ha invaso l’Austria
con queste parole latine: “Corona veniet
delectis”, che poi traduce con “victory
shall come to the worthy”.
“Non si può infatti negare che lungo l’arco della nostra
cultura i classici abbiano regolarmente svolto una funzione di tipo
autoritativo. “L’ha scritto Platone”, si dice comunemente, “l’ho letto in
omero”: dunque si tratta di una testimonianza importante, viene da un uomo di
primo rango”[33].
Alexis de Tocqueville mette in luce l’essere aristocratico
il gusto e l’uso delle lettere classiche: “ E’ evidente che nelle società
democratiche l’interesse degli individui, così come la sicurezza dello stato, esigono
che l’educazione della maggioranza sia scientifica, commerciale e industriale, piuttosto
che letteraria. Il greco e il latino non devono essere insegnati in tutte le
scuole, ma è necessario che coloro che, per naturale tendenza o per fortuna, sono
portati a coltivare le lettere o predisposti a gustarle, trovino scuole in cui
ci si possa rendere perfettamente padroni della letteratura antica ed essere
penetrati interamente dal suo spirito. Poche università eccellenti varrebbero
meglio, per raggiungere lo scopo, di una moltitudine di cattivi collegi o di
studi superflui che si compiono malamente, impedendo di fare bene gli studi
necessari. Tutti coloro che hanno l’ambizione di eccellere nelle lettere, nelle
nazioni democratiche, devono spesso nutrirsi delle opere dell’antichità. E’ una
regola salutare. Non credo che le produzioni letterarie degli antichi siano
irreprensibili; penso solamente che esse hanno qualità speciali che possono
meravigliosamente servire a controbilanciare i nostri difetti particolari. Esse
ci sostengono dalla parte verso cui pendiamo”[34].
Il ministro Letizia Moratti disse che la nostra deve essere
una scuola di massa e pure di qualità.
Io auspico una scuola
classica di qualità altissima, e accessibile a tutti quelli che ne sentono
l'esigenza spirituale.
La bellezza spaventa.
Petrarca. Leopardi. Dostoevskij: la bellezza è circondata da enigmi. La
bellezza è dono di pochi: Ovidio: forma
dei munus. Paride nell’Iliade. Hillman,
Apuleio e la bellezza di Psiche.. Rapporto bellezza-genio. Leopardi e il potere
supremo della bellezza (Ultimo canto di
Saffo). O. Wilde. La bellezza però è cosa effimera. Di nuovo Il ritratto di Dorian Gray. Il coro della
Fedra di Seneca ammonisce Ippolito: “tempus te tacitum subruet”. Tolstoj: Natascia
non si degna di essere intelligente. Pavese nega la forza erotizzante
dell’ingegno. Steiner: il livellamento e l’annacquamento sono criminali
La bellezza però, come l'amore, fa
anche paura, e per questo motivo si tende a negare il suo valore. La bellezza
di Laura spaventa Petrarca: "Quante volte diss'io/allor pien di
spavento/"Costei per fermo nacque in paradiso!" (Rime, CXXVI, 53-55).
" E' proprio dell'impressione
che fa la bellezza... su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o
l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più
sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue
e si nota e risalta"[35].
Dimitri Karamazov interpreta lo
struggente desiderio amoroso come una
tempesta nel sangue: "Sono tempeste, perché la lussuria è una
tempesta più di ogni altra". Tali bufere sono scatenate dalla bellezza: "La
bellezza è una cosa terribile, una cosa spaventosa. E' terribile perché è
indefinibile, e non si può definirla perché Dio l'ha circondata di enigmi"[36].
Forma dei munus ricorda Ovidio, ma, chiarisce: "pars vestrum tali munere magna caret "[37] una gran parte di voi manca di questo dono. Ecco
perché molti temono o ignorano o addirittura odiano la bellezza.
La bellezza è dono
degli dèi dunque. Lo
fa notare già Paride a Ettore nel terzo canto dell'Iliade quando il
fratello gli rinfaccia di essere un
donnaiolo (gunaimanev", v. 39) e seduttore (hjperopeutav)
di aspetto splendido (ei\do"
a[riste) ma senza valore né forza nel
cuore (45), capace di portare via donne di uomini bellicosi ma non di
affrontarli. Allora l'amante di Elena gli risponde: " non rinfacciarmi i
doni amabili dell'aurea Afrodite (mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono spregevoli i
magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65)
che del resto nessuno può scegliersi.
J. Hillman nota che
Psiche "nella favola di Apuleio[38]"
fu scelta tra molte per la sua bellezza e che "Afrodite, la Bella, l'anima
dell'universo (psyche tou kosmou o anima mundi) - … come dice
Plotino[39]
(Enneadi, III, 5, 3-4), genera il mondo percettibile -, e insieme
l'anima di ciascuno di noi". Quindi il filosofo psicanalista di matrice
junghiana pone una domanda retorica e la commenta: "Come è possibile che
la bellezza, che ha svolto un ruolo così centrale e così evidente nella storia
dell'anima e del suo pensiero, sia assente dalla psicologia moderna? Pensate: ottant'anni
di psicologia del profondo senza un pensiero dedicato alla bellezza!"[40].
La bellezza di Psiche era addirittura ineffabile: "at vero puellae
iunioris tam praecipua, tam praeclara pulchritudo nec exprimi ac ne
sufficienter quidem laudari sermonis humani penuria poterat" (4, 28), ma
la bellezza della ragazza più giovane, tanto eccezionale, tanto splendente, non
si poteva esprimere né sufficientemente lodare per l'inadeguatezza della parola
umana.
E’ forse per questa pochezza delle parole di fronte alla
bellezza che la filologia gliene ha dedicate troppo poche.
A proposito del rapporto tra bellezza e genio, virili
imprese, virtù, Leopardi afferma la supremazia della prima nell'Ultimo canto di Saffo dove la poetessa
constata che il potere è dei belli: "Alle sembianze il Padre, /alle amene
sembianze eterno regno/diè nelle genti; e per virili imprese, /per dotta lira o
canto, /virtù non luce in disadorno ammanto, " (vv. 50-54).
In definitiva, come scrive Simonide citato da Adimanto, fratello
di Platone nella Repubblica l'apparire violenta anche la verità: " to; dokei'n... kai; ta;n ajlavqeian bia'tai"
(365c).
Nell’Oreste di
Euripide il protagonista riconosce che l’apparenza prevale anche se è lontana
dalla verità: “krei`sson de; to; dokei`n, ka]n
ajlhqeiva~ ajph`/” (v. 236)
Lo stesso sostiene Lord Henry elogiando Dorian Gray: "
Avete un viso meraviglioso, Gray. Non abbiatevene a male. E’ così. E la
bellezza è una specie di genio-in verità più grande del genio, perché non ha
bisogno di spiegazione. E' una delle cose grandi del mondo, come la luce solare,
o la primavera, o il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia d'argento
che chiamiamo luna. Non è una cosa che si possa discutere. Ha un divino diritto
alla regalità. Quelli che la possiedono sono prìncipi"[41].
O. Wilde, come Nietzsche,
brandisce l’arma della bellezza contro il piattume dell’età borghese.
"E' cosa abbastanza strana, per quanto ben
comprensibile, che la prima forma in cui lo spirito europeo si è ribellato
all'età borghese sia stato l'estetismo. Non a caso ho nominato insieme
Nietzsche e Wilde come ribelli, e propriamente ribelli in nome della
bellezza"[42].
Si possono aggiungere senz’altro Huysmans e D’Annunzio.
A favore del genio si può dire che è meno effimero della
bellezza la cui caducità infatti è deplorata dallo stesso esteta di Il ritratto di Dorian Gray: " Sì, gli
dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i
loro doni. Avete soltanto pochi anni per vivere veramente. Quando la vostra
gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi
renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi (...) Perché
la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di
prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà
d'oro, come è ora (...) Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda
di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci
ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati
dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite
tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non
c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"
(p. 32).
Nella Fedra di Seneca il secondo coro ricorda a
Ippolito la precarietà della bellezza, un bene grande ma effimero: "Anceps
forma bonum mortalibus, /exigui donum breve temporis, /ut velox celeri pede
laberis!/Non sic prata novo vere decentia/aestatis calidae despoliat vapor…ut
fulgor, teneris qui radiat genis, /momento rapitur, nullaque non dies/formosi
spolium corporis abstulit. /Res est forma fugax: qui sapiens bono/confidat
fragili? Dum licet, utere. /Tempus te tacitum subruet, horaque/semper
praeterita deterior subit" (vv. 761-765 e 770-776), la bellezza è un bene
bifronte per i mortali, breve dono di un tempo corto, come scivoli via con
piede veloce! Non così l'afa della torrida estate spoglia i prati dai bei
colori all'inizio della primavera…come il fulgore che splende nelle tenere
guance viene rapito in un attimo, e non c'è giorno che non rapini qualcosa a un
bel corpo. La bellezza è roba fugace: quale saggio potrebbe fidarsi di un bene
fragile? Finché è possibile fanne uso. Il tempo ti demolirà in silenzio, e
subentra sempre un'ora più brutta di quella passata.
Più avanti il coro
rincara la dose: "Raris forma viris (secula prospice!) impunita fuit"
(vv. 820-821), per pochi eroi la bellezza rimase impunita (guarda il corso dei
secoli!)
Tolstoj in Guerra e
pace sembra sganciare il fascino dall'intelligenza, almeno in una ragazza
giovane: a Maria Bolkonski che ha domandato se Natascia sia intelligente, Pierre
risponde: "Penso di no... non credo che si degni di essere intelligente...
E' affascinante, nient'altro" (p. 825).
Pavese nega
la forza erotica dell'ingegno: " Non c'è idea più sciocca che credere di
conquistare una donna offrendole lo spettacolo del proprio ingegno. L'ingegno
non corrisponde in questo alla bellezza, per la semplice ragione che non
provoca eccitamento sensuale; la bellezza sì"[43].
Probabilmente Pavese non sapeva avvalersi dell’ ingegno in campo erotico. Abbiamo
già detto (53. 4) quanto ne fosse capace il non
formosus Ulisse.
Non dobbiamo avere paura di avviare i giovani verso le cose
belle, rare e grandi. "E' questo il punto: indirizzare l'attenzione dello
studente verso quello che, all'inizio, egli non può capire, ma la cui grandezza
affascinante lo afferra. La semplificazione, il livellamento e l'annacquamento
che prevalgono oggi nell'educazione, tranne i rarissimi casi privilegiati, sono
criminali. Si tratta di disprezzo per le nostre capacità latenti. Le crociate
contro il cosiddetto elitismo nascondono una condiscendenza volgare: verso
tutti coloro che vengono a priori giudicati incapaci di miglioramento. Sia
il pensiero…sia l'amore pretendono troppo da noi. Ci umiliano. Ma l'umiliazione,
persino la disperazione davanti alla difficoltà-abbiamo studiato tutta la notte
eppure l'equazione rimane irrisolta, la frase greca incompresa-possono trovare
l'illuminazione all'alba"[44].
[1] Del 1802.
[2] 1795-1821.
[3] G. Steiner, Vere presenze,
p. 204.
[4]
S. Settis, Futuro del 'classico', p. 84.
[5]
F. De Sanctis, Storia della letteratura
italiana 2, p. 380.
[6]
Jean Starobinski, Tre furori, p. 124
e p. 125.
[7]
T. Mann, Doctor Faustus, p. 731.
[8]
M. Bettini, I classici nell’età
dell’indiscrezione, p. 66.
[9] F. Fellini, Intervista sul
cinema, a cura di G. Grazzini, p. 114.
[10]
Ha citato una sentenza di Publilio Siro e un emisticho dell'Eneide (X, 284).
[11]
E’ ironico ndr.
[12]
Leopardi, Zibaldone, 3455-3456.
[13]
T. Carlyle, Gli eroi (del 1841), p. 117.
[14]
K. Jaspers cita Confucio in I grandi
filosofi, p. 255.
[15]
Del 1823.
[16] Dall'articolo di P. Odifreddi Se
in cattedra sale un genio in “ Il Sole-24 ore” del 13 gennaio 2002, p. 33.
[17] Educazione e formazione
culturale (del 1862), in Quale scuola?, p. 116.
[18]
R: Luperini, Insegnare la letteratura
oggi, p. 98.
[19]
P. Mastrocola, La scuola raccontata al
mio cane, p. 50.
[20]
Nel 1760, quando il ragazzino, nato nel 1749 aveva undici anni ndr.
[21] Tolstoj, I ragazzi di
campagna devono imparare da noi (del 1862), in Quale scuola?, p. 126.
[22]
F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, p. 64.
[23]
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 56.
[24]
M. Proust, Il tempo ritrovato, p. 228.
[25] F. Frasnedi, op. cit., p. 123.
[26]
P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, pp. 178-179..
[27]“
la Repubblica ”,
13 giugno 2007, p. 1 e p. 2.
[28]
S. Settis, Futuro del "classico", p. 66.
[29] Le Notti Attiche, XVI 10, 15
[30]
M. Bettini, I classici nell’età
dell’indiscrezione, p. 145.
[31] H. Mount, Amo, amas,
amat…And all that How to become a latin lover, Short books, London 2006.
[32] Amo, amas, amat…And all that How to become a latin lover, p. 216.
[33]
M. Bettini, I classici nell’età
dell’indiscrezione, p. 147.
[34]
La democrazia in America, p. 480.
[35]
Leopardi, Zibaldone, 3443-3444.
[36]I fratelli Karamazov, p. 160.
[37]Ars amatoria, III, 103- 104.
[38] Nelle Metamorfosi di
Apuleio (125ca-170 d. C.), un romanzo in 11 libri, la Storia di Psiche occupa
la parte centrale: da IV, 28 a VI, 24.
[39]
205-270
[40] L'anima del mondo e il
pensiero del cuore, p. 79.
[41]
Il ritratto di Dorian Gray (del 1891), in O. Wilde, Opere, p. 31.
[42]
T. Mann, La filosofia di Nietzsche, in Nobiltà dello spirito, p. 838.
[43]
Il mestiere di vivere, 31 agosto 1940.
[44] G. Steiner,
Errata. Una
vita sotto esame,
p. 57.
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