Anthony Sandys, Medea (1867) |
Un esempio didattico
pratico: una lezione sulla Medea di
Euripide. Luperini: il significato per
noi del testo parafrasato, commentato e interpretato; il nesso
interpretazione-democrazia. La scelta del teatro classico. Luciano Favini. D’Annunzio:
il dramma è un rito. Il commento, molto ampio, del verso 330[1] della tragedia di Euripide con una scheda
di approfondimento sull’Amore quale “segno di contraddizione”
Faccio un esempio pratico: una lezione sulla Medea di Euripide. Parto dal mito. Racconto
il dramma di Euripide attraverso un riassunto. Ne indico le idee, i tovpoi, le parole e i versi chiave. Lo
situo nell'opera dell'autore che poi colloco nella letteratura e nella storia
greca. Insomma fornisco una visione generale della cultura del periodo in cui
la tragedia è stata composta. Quindi ne traduco alcune parti[2]
commentandole dal punto di vista linguistico, metrico, letterario e storico.
“Il commento è lo strumento fondamentale per familiarizzare
lo studente con il testo letterario. E, nel commento, ha un’importanza
fondamentale la parafrasi[3],
la spiegazione, parola per parola, della “lettera materiale” del testo. Solo se
il testo è stato capito nel suo contenuto semantico è possibile risalire a
significati più complessi…Se il commento rende evidente l’alterità del testo
rispetto al lettore, è l’interpretazione che gli dà significato e
valore…Proprio la crescente alterità del testo letterario non può che indurre
il docente a riproporre ogni volta le ragioni che lo inducono a far leggere in
classe un determinato testo. A meno di non far appello solo alla forza
coercitiva dei programmi ministeriali, vanno in ogni caso rimotivate le ragioni
della lettura. Si tratta perciò di enucleare gli aspetti, i contenuti, i
messaggi del testo che consentano di valorizzarlo e di renderlo attuale. Alla
fine, a essere decisivo, nella motivazione della lettura, è il suo significato per noi…Da un punto di vista
didattico, nel momento del commento al centro della classe sta il testo; nel
momento della interpretazione è la classe stessa che diventa il
centro…L’abitudine all’interpretazione forma nello studente il cittadino
critico e responsabile, rispettoso degli altri e del testo che ha davanti, ma
pronto a battersi per la propria idea…Puntare sulla interpretazione e sulla attualizzazione
del testo, motivare le ragioni per cui lo leggiamo e lo valorizziamo, significa
interrogarsi sul mondo, scommettere su un suo senso possibile, confrontare
valori con valori. In una società in cui ogni valore appare azzerato in un
magma indifferenziato, la scuola ha oggi il dovere di non arrendersi, di
tentare di prefigurare una civiltà come dialogo e come conflitto delle
interpretazioni libero da dogmatismi e da verità precostituite. Sta qui-in
questo nodo che unisce competenza e libertà, aderenza ai dati e rispetto degli
interlocutori, assunzione coraggiosa di responsabilità e consapevolezza della
propria parzialità-il nesso che unisce il problema della interpretazione a
quello della democrazia ”[4].
Perché do tanta importanza a Medea e al teatro? Lo
posso chiarire attraverso le parole dette da Luciano Favini in una relazione
tenuta a Palazzolo Acreide nel maggio del 2002 durante un seminario sulle
"Esperienze di teatro classico nella scuola". La Grecia non è solo
l'Atene del V secolo, ha ricordato, eppure, ha aggiunto, nel profondo del
nostro cuore, noi sappiamo che il classico, e specialmente il teatro antico, valgono
di più, contano di più, sono più forti di ogni altra esperienza culturale.
"Quivi l'opera d'arte non appare se non come la religione
fatta sensibile sotto una forma vivente. Il drama è un rito"[5].
Riconosciuta la
supremazia del teatro attico, procedo con la Medea di Euripide. La
paragono con le altre medee che conosco: con quelle di Apollonio Rodio, di
Ovidio, di Seneca, di Grillparzer, di Anouilh, e con quella cinematografica di
Pasolini, come si diceva. Aggiungo quella "anomala" di Christa Wolf. Parlo
della condizione della donna antica suggerendo analogie e differenze con la
moderna, anche con le femmine umane più rappresentative tra quante ne ho
conosciute personalmente. L'educatore infatti non può scindere la teoria dalla
prassi né prescindere dalla propria esperienza di vita. Infine fornisco ai
giovani strumenti bibliografici per arricchire la ricerca[6]
e verificare tanto il loro interesse quanto le loro capacità. Quindi do inizio
alla lettura dei versi.
Riporto qui sotto, come esempio, una scheda
interdisciplinare con la quale è possibile commentare il v. 330 della Medea di Euripide: “ feu' feu' brotoi'~ e[rwte~ w;~ kakovn mevga”,
“ahi, ahi, che grande male è l'amore per i mortali!”,
La fobia dell'amore
e del sesso.
Le Argonautiche, che descrivono la fase iniziale
dell'amore di Medea per Giasone, sono piene di anatemi di Eros: il dio quando
arriva, mandato dalla madre, per costringere Medea ad amare e aiutare Giasone, è
invisibile, sconvolgente (tetrhcwv~, Argonautiche, 3, 276), come l’assillo (oi\stro~) che si scaglia sulle giovani
vacche[7].
Rapidamente questo dio del dolore[GG1]
prese una freccia dolorosa: “poluvstonon ejxevlet
j ijovn” (v. 279). La freccia ardeva profonda nel cuore della ragazza, come
una fiamma (flogi; ei[kelon, v. 287),
ed ella consumava l’anima in una dolce afflizione: “glukerh'/ de; kateivbeto qumo;n ajnivh/” (v. 290). Quindi
ardeva in segreto Eros funesto: “ai[qeto
lavqrh/ ou\lo~ [Erw~ ” (vv. 296-297).
Come Giasone appare splendidissimo al desiderio di Medea, il
giovane prestante viene paragonato a Sirio che si leva alto sopra l'Oceano, bello
e splendente però reca sciagure infinite alle greggi: così il figlio di Esone
portava il travaglio di un amore angoscioso (Argonautiche, 3, vv. 957-961). L'infelicità è connessa all'amore
prima ancora che questo si realizzi: quando la ragazza si avvia incontro a
Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la
osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio
del dolore ("daivmwn ajlginovei"",
4, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e
preparati in ogni modo a sopportare, per quanto sapiente tu sia, il dolore
luttuoso.
Questo presunto amore
di Medea e Giasone non dona gioia ai due amanti, anzi produce orrori: dopo che
i due scellerati hanno concordato l’assassinio del fratello di lei, lo stesso autore del poema rivolge un'apostrofe ad Eros
quale latore di infiniti dolori: “ Eros atroce, grande sciagura, grande
abominio per gli uomini ("Scevtli j [Erw", mevga ph'ma, mevga stuvgo" ajnqrwvpoisin") da te provengono maledette contese e gemiti e
travagli, e dolori infiniti si agitano per giunta. Ármati contro i figli dei
miei nemici, demone, quale gettasti l'accecamento odioso nell'animo di Medea (oi|o" Mhdeivh/ stugerh;n fresi;n e{mbale" a[thn) ", Argonautiche,
4, vv. 445- 449). L'amore sembra legato alla pena da un vincolo di necessità.
Nel primo idillio di
Teocrito, Tirsi cantando la morte di Dafni, il quale si ricusa all’amore come a
un giogo che lo priverebbe della sua libera natura, attribuisce al pastore
morente un assalto verbale a Cipride e ad Eros: “
Anche Virgilio apostrofa l’amore malvagio che
spinge i cuori umani ad atti estremi e orrendi: “Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!” (Eneide, IV, 412). Questo è l’amore di
Didone, frustra moritura, destinata a morire invano, per Enea.
Nell’Ippolito di
Euripide, quando Fedra domanda alla nutrice che cosa è ciò che gli uomini
chiamano amore, ella risponde: una cosa dolcissima (h[diston) e nello stesso tempo dolorosa (taujto;n ajlgeinovn q j a{ma, v. 348). Poi
Fedra le confessa di essere innamorata di Ippolito: allora la nutrice vede il
sovvertimento della bellezza e dei valori: “ejcqro;n
eijsorw' favo~ ” (v. 355), odiosa vedo la luce.
Più avanti però
consiglia alla pupilla l’ardimento di amare (tovlma
d’ ejrw'sa, v. 476) e poco dopo le dice: non di parole decorose hai bisogno
tu, ma di quell’uomo (ouj lovgwn
eujschmovnwn-dei' s j, ajlla; tajndrov~, vv. 490-491). La premessa è che
Cipride non si può sostenere, quando si abbatte possente: “Kuvpi~ ga;r ouj forhtov~, h]n pollh; rJuh'/”
(v. 443) e gli dèi stessi ne sono stati soggetti, come Zeus che amò Semele. Tu
non puoi essere più forte degli dèi: cessa di essere arrogante: “ lh'xon d j uJbrivzous j ouj ga;r a[llo plh;n u{bri~ -tavd j ejstiv, kreivssw
daimovnwn ei\nai qevlein” (vv. 474-475), non è altro che arroganza
questo, voler essere più forte degli dèi. Dunque: “ tovlma d’ ejrw'sa: qeo;~ ejboulhvqh tavde (v. 476), un dio l’ha voluto. Ora infatti è
giunto il momento dell’ ajgw;n mevga~-
sw'sai bivon sovn (vv. 496-497) e in questa gara suprema non si possono
lesinare o riprovare i mezzi per vincerla. Il primo stasimo cantato da donne
trezenie canta con sgomento la necessità di venerare Eros, il tiranno degli
uomini (tuvrannon ajndrw'n, v. 538) che
distrugge (pevrqonta, v. 541) e
incede in mezzo a sventure di ogni tipo (dia;
pavsa~-ijovnta sumfora'~, 541-542). La madre Cipride non è da meno: ella
uccise la madre di Bacco con folgore fiammeggiante e dovunque spiri, terribile
(deinav), continua a volare come
un’ape (mevlissa oi{a, vv. 563-564).
Cioè punge.
Nella Fedra di Seneca
la figlia di Pasife, innamorata del proprio figliastro, cerca di giustificarsi
con la nutrice denunciando l’onnipotenza del dio alato Amore cui soggiacciono
gli stessi dèi maggiori poiché egli ha un potere incontrollato in ogni parte
del mondo: “Hic volucer omni pollet in
terra impotens (v. 186) e vola parimenti penoso nel cielo e sulla terra: “volitat caelo pariter et terra gravis” (v.
194).
Secondo Christa Wolf
invece la negazione della gioia non è implicita nell'amore in sé, ma al
contrario deriva dall'odio per la vita. Ecco quanto Giasone nel suo monologo
ricorda di avere sentito dalla madre dei suoi figli, la quale gli parlava senza
essere stata corrotta dal rancore: "Ma tu, ascolta bene quello che ti dico,
non fare del male a Glauce. Perché ti ama, ed è fragile, molto fragile…Non ne
proverai gioia. Non proverai mai più molta gioia. Le cose si stanno mettendo in
un modo che non solo quelli che sono costretti a subire un torto, ma anche
quelli che il torto lo fanno saranno scontenti della loro vita. Del resto mi
domando se il piacere di distruggere la vita degli altri non dipenda dal fatto
che si ricava pochissimo piacere e pochissima gioia dalla propria"[8].
Nella letteratura latina il sermo amatorius pullula
di metafore che identificano l'amore con il fuoco, le ferite, la peste, il
veleno, la follia, addirittura il cancro: "sed antiquus amor amor cancer
est " (Satyricon 42, 7),
ma un amore vecchio è un cancro.
Lucrezio nel De rerum
natura simboleggia la pena amorosa dei mortali con il tormento di Tizio: "Sed Tityos nobis hic est, in amore
iacentem/quem volucres lacerant atque exest anxius angor " (III, 992-993),
ma Tizio è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano
e un angoscioso affanno divora. "La pena di Tizio-il gigante ucciso da
Apollo per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato
continuamente roso dagli avvoltoi- è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm.
3, 4, 77-79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria dell'angosciosa
passione amorosa, la cupido"[9].
Ma i versi più
dolorosi sull'amore sono quelli dove il termine vulnus, ferita, non basta più e il segno lasciato dall'ansia
erotica diviene una piaga che potrebbe diventare mortale se non curata: "Ulcus enim vivescit et inveterascit
alendo/inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit, /si non prima novis
conturbes vulnera plagis/vulgivagaque vagus Venere ante recentia cures/aut alio
possis animi traducere motus " (De
rerum natura, IV, 1068-1072), la piaga infatti si ravviva e vigoreggia a
nutrirla, la smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non
confondi le antiche ferite con nuovi colpi, e le recenti non curi prima, vagando
con una Venere vagabonda o ad altro oggetto tu non drizzi i moti dell'animo.
Catullo usa la parola pestis
in nesso allitterante con pernicies[10] per definire il proprio amore
doloroso dal quale vorrebbe liberarsi, con l'aiuto degli dèi, come da una
malattia non meritata (76, 20-22). Nella parola pestis è già implicita l'idea, oggi terroristicamente conclamata, dell'Aids,
chiamata la peste del secolo, quando negli incidenti stradali muoiono, in
Italia, ottomila persone all'anno[11],
ne restano ferite molte di più, e chissà quante altre vengono consumate dal
cancro, quello vero, dovuto ai gas di scarico. Se i rapporti umani, in primis
quelli amorosi, non venissero sporcati, calunniati, annichiliti, gli uomini non
comprerebbero tante macchine e altre schifezze nocive, o quanto meno inutili.
Sono le distruzioni e
le guerre che spingono a comprare. Il consumare è collegato al distruggere, è
una sua metafora. Sono le attività empie, le malattie dello spirito che
distolgono dall’amore. Nell'Atene dominata dal demagogo guerrafondaio Cleone, Diceopoli,
il cittadino giusto compiange la sua città perché gli abitanti non si curano
della pace (Acarnesi, v. 27) e pure la odia, mentre ama la pace e
rimpiange il suo villaggio dove ciascuno produceva il necessario per sé, mentre
nella povli" è onnipresente
l'invito a comprare: "privw"[12],
che si tratti di carbone, di aceto o di olio (vv. 34-36). Ecco dunque un altro
male deleterio dell’amore oltre la guerra: il consumismo e il mercato che
uccide gli affetti. Un disagio analogo viene manifestato da Ulrich in L'uomo senza qualità: " Come
gettando uno sguardo fuori d'una finestra aperta di colpo, egli sentì quello
che in realtà lo circondava; i cannoni, i commerci d'Europa" (p. 800). Qualche
anno fa il regista Attilio Bertolucci disse che andava a cercare valori in
Oriente, dove infatti sono ambientati alcuni suoi film, siccome in Occidente
non c'è altro interesse che il vendere e il comprare.
"In Apollonio e in Catullo era presente la tragedia
greca, specialmente Euripide. Anche Virgilio si riattacca ad Euripide
direttamente (e non solo attraverso Apollonio e Catullo): il IV libro meglio
degli altri dell'Eneide ci mostra
come egli utilizzi e fonda suggestioni non solo di autori vari, ma di autori
che sono già tra loro in un rapporto di dipendenza, quasi ponendosi
coscientemente all'estremità di una catena letteraria. Euripide poteva offrirgli
spunti non solo per il personaggio di Didone, ma anche, con Giasone o altri, per
il personaggio di Enea"[13].
Nel IV libro dell’Eneide
Didone, “s’ancise amorosa”[14],
ma già nelle opere precedenti Virgilio fa bruciare, soffrire e lottare per
amore non solo gli uomini e le donne, ma anche gli animali che sono omologati
agli umani nel patimento erotico.
Fanno eccezione le api le quali hanno un costume che desta
meraviglia in quanto non si concedono all'accoppiamento né sciolgono neghittose
i corpi in Venere né producono la prole con le doglie: "quod neque concubitu[15] indulgent nec corpora segnis[16]/in Venerem solvunt aut fetus nixibus edunt "
(Georgica IV, vv. 198-199). Nell'ecloga
II il pastore Coridone arde d'amore per il bell'Alessi. (Formosum pastor Corydon ardebat Alexin, 1) che non ha pietà di lui.
Fin dalle Bucoliche Virgilio è il
poeta dell'amore infelice e luttuoso, il cantore della passione sulla quale si
proietta un'ombra di morte: " O crudelis Alexi, nihil mea carmina
curas?/nil nostri miserere? Mori me denique coges" (vv. 6-7), o
crudele Alessi, non ti curi dei miei canti? non hai compassione di me? Infine
mi costringerai a morire, sospira l'innamorato ardente.
Coridone non ha tregua dall'ardore amoroso nemmeno quando il
bestiame e, con motivo teocriteo[17]
perfino i ramarri, riposano al fresco: "Nunc etiam pecudes umbras et frigora captant / Nunc viridis[18] etiam occultant spineta lacertos " (vv.
8-9), ora anche il bestiame cerca di prendere le ombre e il fresco, ora i rovi
spinosi nascondono perfino i verdi ramarri.
Alla fine della II bucolica il tramonto raddoppia le ombre
ma non concede pausa all'ardore di Coridone e alla passione che trascina
ciascuno sconvolgendo ogni misura: "…trahit
sua quemque voluptas... et sol
crescentes decedens duplicat umbras;/me
tamen urit amor: quis enim modus
adsit amori? " (v. 65 e vv. 67-68). Chi è afferrato da Eros ignora la
giusta misura siccome l'amore è follia: "A Corydon, Corydon, quae te dementia cepit! ", v. 69.
Nella Georgica III, che tratta l'allevamento del bestiame, la conflagrazione amorosa
riguarda, oltre gli umani, anche gli animali: "Carpit enim vires paulatim uritque videndo/ femina, nec nemorum patitur
meminisse nec herbae/ dulcibus illa quidem inlecebris et saepe
superbos/cornibus[19] inter se subigit decernere amantis[20], " (v. 215-218) logora infatti le
forze a poco a poco e li brucia guardandoli la femmina, e non lascia che si
ricordino dei boschi né dell'erba, ma quella certo li attira con dolci
seduzioni e spesso costringe i fieri pretendenti a combattere con le corna.
Tale istinto è uguale per tutte le creature viventi: "Omne
adeo genus in terris hominumque ferarumque/et genus aequoreum, pecudes
pictaeque volucres/ in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem " (vv. 242-244) così ogni specie
sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli
uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti.
Esso accresce la ferocia delle belve: "Tempore non alio catulorum oblita
leaena/saevior erravit campis nec funera volgo/tam multa informes ursi
stragemque dedere/per silvas; tum saevos aper, tum pessima tigris;/heu, male
tum Libyae solis erratur in agris " (vv. 245-249), in nessun altro
tempo, dimentica dei cuccioli, la leonessa ha errato più furiosa per le pianure,
né tanti lutti e strage sparsero gli orsi orribili per le selve; allora il
cinghiale è furioso, allora la tigre è più feroce che mai; ahi allora si vaga
con rischio nei campi deserti della Libia.
Nella letteratura italiana Boccaccio, in un brano di chiara derivazione virgiliana, fa descrivere
l'invasamento erotico e bellicoso degli animali dalla dea Venere che vuole
convincere Fiammetta ad assecondare la sua passione amorosa e adulterina: "ne'
boschi li timidi cervi, fatti tra sé feroci quando costui[21]
li tocca, per le disiderate cervie combattono, e, mugghiando, delli costui
caldi mostrano segnali; e i pessimi cinghiari [22],
divenendo per ardore spumosi, aguzzano gli eburnei denti; e i leoni africani, da
amore tocchi, vibrano i colli"[23].
Torniamo a Didone la quale, poco dopo avere visto Enea, è
già "infelix pesti devota futurae" (Eneide, I, 712), disgraziata,
consacrata alla rovina imminente: infatti dopo un altro po’ di tempo lo ama, spiritualmente
e carnalmente, quindi muore suicida " misera ante diem" (IV, 697),
disgraziata prima del suo giorno, maledicendo l’amante e i suoi discendenti.
La pessima fama del sesso non è
assente dalla prosa. Platone rappresenta Sofocle come un vecchio[24]
pentito del sesso: Cefalo riferisce di essere stato presente quando a un tale
che domandava al poeta di Colono: "pw'"...
e[cei" pro;" tajfrodivsia; e[ti
oi|ov" te ei\ gunaiki; suggivgnesqai;", come ti va nelle cose
d'amore? sei ancora capace di congiungerti con una donna?
Il tragediografo rispose: "eujfhvmei w\ a[nqrwpe: aJsmenevstata mevntoi
aujto; ajpevfugon, w{sper luttw'ntav tina kai; a[grion despovthn ajpodrav""
(Repubblica, 329c), sta' zitto tu, infatti
con grandissima gioia me ne sono liberato, come se fossi fuggito da un padrone
furente e selvaggio. La vecchiaia, commenta il padrone di casa, significa
dunque un liberarsi da moltissimi tiranni numerosi e pazzi: "despotw'n pavnu pollw'n e[sti kai; mainomevnwn
ajphllavcqai" (329d). Tra questi, in primis, Eros.
Questo anatema di Sofocle viene riptuto non
senza compiacimento da Catone il Vecchio nel De senectute di Cicerone: " Bene Sophocles, cum ex eo quidam iam affecto aetate quaereret
utereturne rebus veneriis: "Di meliora! inquit; libenter vero istinc sicut
ab domino agresti ac furioso profugi " (14), opportunamente Sofocle
quando, già vecchio e fiaccato dagli anni, un tale gli chiedeva se facesse
ancora del sesso, disse: dio ne scampi, volentieri invero sono scappato di lì
come da un padrone selvaggio e furioso!
Nella stessa opera il
piacere dei sensi in generale viene smontato: " impedit enim consilium voluptas, rationi inimica est, mentis, ut ita
dicam, praestringit oculos, nec habet ullum cum virtute commercium " (12),
in effetti il piacere impedisce il giudizio, è nemico della ragione, abbaglia, per
così dire, gli occhi della mente e non ha alcun rapporto con la virtù.
Di fatto ancora negli anni Cinquanta del Novecento la
pretaglia delle parrocchie di Pesaro diceva ai ragazzini che se uno pensava
troppo alle femmine umane, fino a “toccarsi”[25],
diventava cieco, e non solo di mente. Tutta gente che non aveva più abbastanza
corpo per soddisfare l'anima e si rifiutava di ammetterlo.
Cerchiamo qualche spiegazione di questa congiura, quindi
tentiamo una difesa dell'amore e del sesso.
D. H. Lawrence[26]
scrive: "C'è un desiderio incoffessato, implacabile, dietro a tutte le
teorie del sesso. Ed è desiderio di annullare, di cancellare completamente il
mistero della bellezza. (…) La scienza
ha una misteriosa avversione per la bellezza, in quanto non riesce a
sistemarla adeguatamente nella visione che essa ha del mondo come serie di
cause ed effetti. La società a sua
volta ha una misteriosa avversione per il sesso, in quanto interferisce
perpetuamente con la organizzazione bene ordinata che l'uomo sociale ha
inventato per fare quattrini. Le due avversioni si assommano e ne
risulta che il sesso e la bellezza sono soltanto espressioni dell'istinto di
riprodursi. E allora diciamolo: il sesso e la bellezza sono una cosa sola, come
la fiamma e il fuoco. Se provi odio per il sesso, lo provi anche per la
bellezza. Se ammiri la bellezza vivente, provi rispetto anche per il
sesso… La sventura della nostra civiltà
deriva dall'odio morboso che proviamo per il sesso"[27].
Tutto ciò che è morboso è contro la vita.
Sentiamo una riflessione di Giacomo Casanova, personaggio di
La recita di Bolzano: “Ma qual era
dunque il morbo? Riflettè. Quindi, solo nella stanza, disse a voce alta: l’egoismo.
Dietro ogni mal d’amore si udiva sempre la vocina stridula dell’egoismo, che
cercava di salvare quanto poteva e pretendeva tutto ciò che un essere umano può
pretendere da un altro, possibilmente senza dover offrire in cambio nulla di
autentico e di sostanziale”[28].
Ricordo anche Marcela Serrano[29],
una delle nuove voci della narrativa sudamericana: " Sai una cosa? Penso
all'amore. Tutto, gira e rigira, ha a che vedere con questo sentimento così
comune, fantastico, alienante, sopravvalutato, raro. Ho l'impressione che tutte
quante, senza rendercene conto, siamo ferme davanti al nocciolo del dramma di
questi tempi, uno dei dilemmi fondamentali di questa fine secolo: la mancanza
di un punto d'incontro tra i due sessi"…E' tutto molto moderno. Com'è
frigida questa modernità…In tutto e per tutto frigida. Al giorno d'oggi il
grande sconfitto è l'amore… Il sistema vuole escludere l'amore e il piacere. Allora
bisogna abbattere il sistema, Floreana, come vecchi rivoluzionari"[30].
Wilhelm Reich
considera il terrorismo sessuale inflitto ai bambini come un'arma che ammorba
la vita erotica e nello stesso tempo annienta per sempre la loro indipendenza: "L'inibizione
morale della sessualità naturale del bambino, la cui ultima tappa è una grave
limitazione della sessualità genitale del bambino piccolo, rende
quest'ultimo pauroso, timido, timoroso dell'autorità, ubbidiente, "buono"
ed "educabile" in senso autoritario: l'inibizione morale paralizza, perché
ormai ogni impulso libero e vivo è affetto da grave paura e provoca, attraverso
la proibizione del pensiero sessuale, una
generale inibizione del pensiero e una incapacità critica; in breve il
suo obiettivo è la creazione di un suddito che si adatti all'ordine autoritario
e lo subisca nonostante la miseria e l'umiliazione"[31].
Non solo il cristianesimo si è adoperato per l'infibulazione
mentale delle nostre donne e la castrazione spirituale di noi maschi.
Orwell in 1984 fa un discorso più ampio
descrivendo un regime repressivo, tra l'altro, della libertà erotica poiché
l'astinenza sessuale produceva isterismo il quale " si poteva facilmente
trasformare nell'infatuazione per la guerra e nell'adorazione dei capi…Il
partito cercava con ogni mezzo di annullare l'istinto sessuale, ovvero, nel
caso in cui non fosse riuscito ad annullarlo, di pervertirlo e
insudiciarlo" (p. 70)
Ma c'è una ragazza, Jiulia, che comprende e si ribella
facendo l'amore con gioia, e spiega: “Quando fai all'amore, spendi energia; e
dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono
tollerare che ci si senta in questo modo (...) Tutto questo marciare su e giù, questo
sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se
ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che
te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio,
e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[32].
Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto
magnifico, proprio quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga
distrutta tutta intera una civiltà" (p. 133). Il protagonista del romanzo,
Winston, vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al
Partito (...) un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia
infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice: "Sta' a sentire. Con
più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[33].
La fobia del sesso fa parte della propaganda di qualsiasi
regime. L'odio dell'amore si volge facilmente in amore per la guerra.
Infatti nella Lisistrata[34],
che in questa vigilia di guerra[35]
gruppi di femministe stanno rappresentando in alcune città americane, la
protagonista afferma che se Eros glukuvqumo",
delizioso, e Afrodite, spireranno desiderio sui seni e le cosce delle femmine e
infonderanno nei maschi una piacevole tensione e turgore di clave (rJopalismouv"), le donne un giorno
tra i Greci saranno chiamate Lisimache (vv. 551-553), ossia dissolvitrici di
battaglie. Del resto lo stesso nome parlante della protagonista eponima significa
"colei che dissolve l'esercito". Qui il discorso funziona a rovescio
rispetto a quello di Orwell: nel suo romanzo gli umani vengono inibiti
sessualmente perché vogliano fare la guerra; nella commedia antica i maschi
devono smettere di fare la guerra, se vogliono fare l'amore con le loro donne. La
parola d'ordine di Lisistrata è "bisogna astenersi dal bischero!" (v.
124). Una situazione che la guerra rende comunque necessaria: "monokoitu'men dia; ta;" stratiav"
" (v. 592), dormiamo sole a causa delle spedizioni militari, lamenta la
stessa Lisistrata, la quale aggiunge che le donne vengono particolarmente
penalizzate da queste assenze dovute alla guerra oramai ventennale, poiché per
loro il tempo opportuno è breve (th'"
de; gunaiko;" mikro;" oJ kairov", v. 596): l'uomo quando
torna, anche se è canuto, sposa una giovinetta, mentre l'attempata nessuno la
sposa, e resta seduta a fare pronostici (vv. 596-597). Anche in questa commedia,
come ai nostri giorni, le pacifiste sono accusate di tramare in favore della
tirannide: "ajlla; tau'q j u[fhnan
hJmi'n, w\\||ndre", ejpi; turannivdi" (v. 630), ma ci
imbastirono queste trame, signori, in favore della tirannide.
La repressione sessuale è funzionale al potere, a qualsiasi
potere: "Il padre primigenio vietava ai propri figli il soddisfacimento
dei desideri sessuali diretti; li costrinse all'astinenza e perciò a quei
legami emotivi con lui stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi
la cui meta sessuale era inibita…Il capo della massa è ancor sempre il temuto
padre primigenio, la massa continua a voler essere dominata da una violenza
senza confini, è sempre sommamente avida di autorità, ha, secondo l'espressione
di Le Bon, sete di sottomissione…Le pulsioni sessuali inibite nella meta hanno
su quelle non inibite un grande vantaggio funzionale. Non essendo propriamente
capaci di soddisfacimento completo, risultano particolarmente idonee a creare
legami duraturi"[36].
Ora sentiamo alcune voci favorevoli.
Platone assimila la
follia erotica a quella religiosa: nel Fedro
ricorda che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è stato già
trattato da Saffo e Anacreonte ed elenca quattro modi di essere fuori di sé: quello
dei profeti come la Pizia di Delfi, quello dei fondatori di religione, quello
dei poeti, e quello degli innamorati.
A proposito della follia dei profeti, profeti, Cicerone nel De divinatione fa derivare divinatio “ a divis ” e mantikhv “ut Plato interpretatur a furore” (1, 1) secondo la spiegazione
di Platone da pazzia, rivendicando la superiorità dei Romani nel denominare
quest’arte prestantissima
Nemmeno il filosofo
ateniese del resto considera negativamente questa "frenesia divina che è
molto più saggia della saggezza del mondo"[37].
Anzi Socrate vuole dimostrare, a proposito della pazzia amorosa: "wj" ejp j eujtuciva/ th'/ megivsth/ para;
qew'n hJ toiauvth maniva[38] devdotai" (Fedro, 245c) che
tale follia è concessa dagli dèi per la nostra più grande fortuna.
Cesare Pavese ribalta la posizione lucreziana del vulnus: per lui è la vita che infligge
ferite e l'amore anestetizza il dolore: "Perché il veramente innamorato
chiede la continuità, la vitalità (lifelongness)
dei rapporti? Perché la vita è dolore e l'amore goduto è un anestetico e chi
vorrebbe svegliarsi a metà operazione?"[39].
Leopardi nella Storia
del genere umano lo valuta l’amore come un grande beneficio concesso da Amore, figliuolo di Venere Celeste[40].
E spiega: " Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più
gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio;
diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili
e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova
nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente
congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e
inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima
istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di
compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale
beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere
pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione fosse in
alcuno uomo ai migliori tempi".
In chiusura di scheda voglio suggerire una completa riabilitazione di Amore da tante
calunnie attraverso alcune parole di Agatone nel Simposio platonico: Eros è il più felice, il più bello e il più
nobile fra tutti gli dèi. Ed è anche il più giovane, sicché non derivano da
Amore le mutilazioni dei tempi primordiali di cui parlano Esiodo e Parmenide, anzi,
se ci fosse stato lui, non sarebbero avvenute quelle ejktomaiv, castrazioni vere e proprie, né incatenamenti
reciproci, desmoi; ajllhvlwn, e
molte altri prevaricazioni anche violente
kai; a[lla polla; kai; bivaia (195c), ma solo amicizia e pace, come ai
tempi nostri, da quando Amore regna tra i numi. Inoltre egli è delicato: aJpalov", tant'è vero che cammina e
si ferma sulle entità più tenere: infatti ha fondato la sua dimora nei
caratteri e nelle anime degli dèi e degli uomini. Anzi ripudia le anime dure e
rozze. Inoltre possiede tutte le virtù, compreso il coraggio: infatti neppure
Ares tiene testa a Eros (196d) che viceversa tiene in pugno il dio della guerra.
Che è poi quanto sosterrà anche l'inno a Venere di Lucrezio (De rerum natura, I, 29-40).
[1]
“ Feu' feu' brotoi'~ e[rwte~ w;~ kakovn
mevga”, “ahi, ahi, che grande male è l'amore per i mortali!”.
[2]
In un anno scolastico si possono leggere il Prologo, la Parodo, il primo
Episodio e il primo Stasimo di seguito, utilizzando le parti successive per
commentare queste.
[3]
Nel caso nostro la traduzione (ndr).
[4]
R. Luperini, Insegnare la letteratura
oggi, p. 208 e sgg.
[5]
G. D'Annunzio, Il fuoco, p. 133.
[6]
"In una classe di liceo, con più tempo, scatenerei una ricerca di fonti e
costruirei, con i miei allievi, un dossier, un concerto di voci sul problema
che si sceglie come oggetto d'interesse", F.
Frasnedi, op. cit., p. 114.
[7] Si pensi a Io la fanciulla trasfigurata in mucca del Prometeo incatenato, tormentata da un
assillo appunto (oi\stro~, v. 566) e fissata dallo sguardo del pastore Argo dai
diecimila occhi: “ E subito l'aspetto e la mente furono/stravolti: divenni
cornigera, come vedete, e punta/da un assillo dall'acuto morso, con salti
furibondi/balzai verso la corrente Cercnea dolce da bere/e alla fonte di Lerna:
e il bovaro nato dalla terra/Argo violento nell'ira mi scortava/ spiando i miei
passi con occhi fitti” (vv. 673-679).
[8]
Medea, p. 203.
[9]
Lucrezio, La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano Dionigi, p. 320.
[10]"me miserum aspicite et, si vitam puriter egi, /eripite hanc pestem perniciemque mihi" (76,
19-20), guardate
me disgraziato e, se ho passato la vita senza tradire, /strappatemi questa
peste e rovina.
[11]
L’automobile è una vera e propria arma terroristica usata contro pedoni e
ciclisti in primis, poi contro gli stessi automobilisti che si ammazzano a
vicenda come i nati dalla terra e dai denti del drago seminati da Giasone nelle
Argonautiche (3, 1372 sgg.).
[12]
Imperativo dell'aoristo III di privamai,
"compro".
[13]A.
La Penna-C. Grassi (a cura di) Virgilio, Le
Opere, Antologia, p. 357.
[14]
Dante, Inferno, V, 61.
[15]
Concubitu: forma di dativo che si trova anche nella prosa classica.
[16] segnis=segnes con funzione predicativa.
[17]Cfr.
VII, Le Talisie, 22.
[18] =virides.
[19] In questi versi l'istinto amoroso si associa non solo
al fuoco ma anche a Eris.
[20]
=amantes.
[21]Amore
[22] Da confrontare con "tum pessima tigris " e " tum
saevos aper " visti sopra (Georgica
III, v. 248)
[23] Elegia di Madonna Fiammetta, (del 343-1344) cap. 1. E'
questa una lunga lettera che la protagonista scrive idealmente a tutte le donne
innamorate.
[24]
La Repubblica
di Platone è ambientata al Pireo, in casa del meteco Cefalo, padre di Lisia e
Polemarco, nella primavera del 408 a. C. quando Sofocle (497-406 a. C.) aveva
quasi novant'anni. L'episodio raccontato risalirà a qualche tempo prima.
[25]
Cfr Amarcord di Fellini
[26]
1885-1930.
[27]
Fantasia dell'inconscio e altri saggi sul desiderio, l'amore, il piacere,
Mondadori, Milano, 1978. Tratto da Lunario dei giorni d'amore, pp. 427-428.
[28]
S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 126
[29]
Nata a Santiago del Cile nel 1951.
[30]
Marcela Serrano, L'albergo delle donne tristi, pp. 75, 168-169, 192..
[31]
W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, p. 43.
[32]G. Orwell, 1984, p. 142.
[33]G. Orwell, 1984, p. 134.
[34]
Del 411.
[35]
4 marzo 2003.
[36]
S. Freud, Psicologia delle masse, in
Freud, Opere, vol 9, pp. 312, 315, 325.
[37]A.
Taylor, Platone, p. 475.
[38]
C'è da notare che maivnomai,
"sono pazzo", maniva, "follia" e mavnti",
profeta, hanno la radice comune man
(t) -/mhn-
[39]Il mestiere di vivere, 19 gennaio 1938.
[40] Per Venere Celeste cfr il discorso di Pausania nel Simposio platonico. (180
c 4-185 c 3). Pausania, fu un discepolo del sofista Prodico, ed esalta l'Eros
pederastico. Amore non è unico ma duplice come Afrodite: c'è un Eros Uranio o
Celeste, connesso ad Afrodite Urania, figlia del Cielo, quindi derivato solo
dal maschio; e c'è un Eros Pandemio, Volgare, legato ad Afrodite Pandemia
figlia di Zeus e Dione. Soltanto l'amore celeste deve essere elogiato. Quello
volgare infatti ama i corpi più delle anime e si volge tanto ai fanciulli
quanto alle donne; inoltre agisce a casaccio senza tendere al bene. Chi segue
Eros Celeste invece ama i maschi nei quali ammira la natura più forte e
l'intelligenza più viva, l'anima più che il corpo, e tende al perfezionamento
dell'amato. E' dunque buona cosa che l'amato conceda i propri favori all'amante
in vista della sapienza e della virtù.
Ciao Gianni. Finalmente riesco a leggerti! Mi piace molto. Anch'io penso che l'amore sia il motore dell'evoluzione del pensiero umano .Personalmente ritengo che l'amore diventi dannoso in mano ai cretini,,,,qualsiasi cosa diventa pericolosa in mano agli stupidi,Voglio studiare con più calma e riutilizzare questo bel materiale in classe,anche se insegno ai bambini trovo sempre tanto materiale che metti generosamente a disposizione. Giovanna Tocco
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