Agamennone al Teatro della Fortuna (Fano) |
Pessimismo e ottimismo pedagogico. Pindaro. Euripide: Ecuba (oJ me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n
kakov") e Supplici (hJ
eujandriva-didaktovn). Protagora in Platone: paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn
Ora è chiaro che non tutti sono portati per le stesse materie;
che il greco e il latino sono facili per alcuni, difficilissimi per altri. L’intuizione
infatti è una qualità indispensabile, come la leggerezza e la potenza per un
campione. Quelli predisposti alle nostre materie ci inducono all’ottimismo
pedagogico, quelli maldisposti, al pessimismo. Sull’argomento riferisco le
opinioni di tre maestri.
Pindaro nell’ Olimpica
II chiarisce il suo pessimismo pedagogico: "sofo;" oJ polla; eijdw;" fua'/ -maqovnte" dev, lavbroi - pagglwssiva/
kovrake" w{" a[kranta garuveton - Dio;" pro;" o[rnica qei'on
” (vv. 86-89), saggio è chi sa molto per natura, voi due[1]
addottrinati invece, intemperanti, vaghi di ciance, come corvi di fronte al
divino uccello di Zeus, gracchiate parole vuote.
Nell’Ecuba (del
424) di Euripide la protagonista sente raccontare da Taltibio il sacrificio di
Polissena e prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale la
ragazza è morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con
il coraggio di un eroe: “Non è strano che, se la terra è cattiva, /ma ottiene
buone condizioni dagli dèi, produce buona spiga, /mentre se è buona, ma non
riceve quanto essa deve ottenere, / dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il
malvagio non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una
disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (“oJ me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n
kakov", - oJ d j ejsqlo;" ejsqlov", oujde; sumfora'"
u{po - fuvsin dievfqeir j, ajlla; crhstov" ejst j ajeiv;”) /Dunque i
genitori fanno la differenza o l'educazione?/Certamente anche essere educati
bene, porta/ un insegnamento di onestà; e se uno l’ha imparato bene, / sa che
cosa è turpe, avendolo appreso con il metro del bello. /Ma questi pensieri la
mente li ha scagliati invano", (Ecuba,
vv. 592-603). In questa tragedia dunque prevale il pessimismo, come nell’ode di
Pindaro.
Nelle Supplici, del
422, un dramma che è tutto un encomio degli Ateniesi, leggiamo invece
l'espressione di un incondizionato ottimismo pedagogico, forse per il fatto che
si stava preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa l'elogio funebre
dei sette caduti nella guerra contro Tebe, poi conclude rivolgendosi
direttamente a Teseo: “ Non ti stupire dopo quanto ho detto, / Teseo, che
questi abbiano avuto il coraggio di morire davanti alle torri. /Infatti essere
educati non ignobilmente comporta il senso dell'onore: /e ogni uomo che ha
esercitato il bene/
si vergogna di diventare vile. Il coraggio è/ virtù
insegnabile (hJ eujandriva-didaktovn),
se è vero che il bambino impara/a dire e ad ascoltare quello di cui non ha
cognizione. /Ma quello che uno abbia imparato, suole conservarlo/fino alla
vecchiaia. Così educate bene i vostri figli" (vv. 909-917).
Un’opinione diffusa, non solo ad Atene, di ottimismo
pedagogico viene riportata nel Protagora di
Platone.
Il sofista, personaggio eponimo del dialogo, sostiene che
alcuni aspetti naturali degli uomini (piccolezza, bruttezza o debolezza, p. e.)
non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e non provocano
punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo dall’esercizio,
provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù
politica vengono punite “o{ti ge oi{ ge
a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn” (324), poiché gli
uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per correggere e
distogliere dal commettere ingiustizia: “kai;
toiauvthn diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn” (324b),
e chi la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile. Se gli
Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò significa
che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù acquisibile e
insegnabile. Stessa posizione negli Stoici.
Conclusione etica: la
felicità ha bisogno del bello morale e non vi è profonda felicità senza morale
profonda. Moralità è favorire la vita, immoralità danneggiarla. Chi danneggia
la vita prima o poi viene sconfitto. La scuola deve dare un’educazione morale
Per quanto riguarda
l’esigenza di una conclusione etica di questo mio lavoro mi affido ad alcune
citazioni che convalidano quanto ho sempre pensato della mia deontologia
professionale e di educatore: "Ogni altra scienza è dannosa a colui che
non ha la scienza della bontà… Il profitto del nostro studio è esserne divenuto
migliore e più saggio"[2];
"e sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda"[3].
Bisogna riflettere su
queste parole e su queste altre di Nietzsche: “Siamo arrivati al punto che le
nostre scuole e i nostri maestri prescindono semplicemente da una educazione
morale o si contentano di formalismi: e virtù è una parola sotto la quale
maestri e scolari non riescono a pensare a niente, una parola passata di moda, della
quale si sorride- e male se non si sorride perché allora si è ipocriti”[4].
L’educazione morale deve insegnare a non danneggiare la vita.
Si confanno a tale scopo queste citazioni finali, una sorta di quintessenza
della morale di tre profeti della Giustizia: “prepara il male a se stesso
l’uomo che lo prepara per un altro, / e il cattivo progetto è pessimo per chi
l’ha progettato” (Esiodo, Opere e giorni,
vv. 265-266).
Quindi Solone: “Ricchezze desidero averne, ma acquistarle
ingiustamente/ non voglio: in ogni caso in seguito è solita arrivare Giustizia”
(Allle Muse, Fr. 13 West, vv. 7-8).
Poi Eschilo: “la violenza infatti fiorendo dà per frutto una
spiga/
di accecamento donde falcia una messe tutta di lacrime"
(Persiani, vv. 821-822).
l’Orestea: “infatti non c'è difesa/ di
ricchezza, volta alla sazietà, per l'uomo / che ha preso a calci il grande
altare/di Giustizia, con il proposito di farla sparire" (Agamennone, vv. 381-384).
Un'immagine che tornerà, variata,
nelle Eumenidi: "rispetta
l'altare della Giustizia, /e non disprezzarlo con calci di piede sacrilego/guardando
al lucro: infatti il castigo sopraggiungerà" (vv. 539-541).
Chiudo con i versi che rendono visibile, quasi con un senso
di compassione, l’insensatezza infantile e crudele di chi danneggia la vita[5]
che lo punirà: “Ogni rimedio è vano. Non rimane nascosto, /ma risalta, luce di
sinistro bagliore, il danno;/e, come bronzo cattivo/per sfregamento e colpi, /diventa
nero, se sottoposto a giustizia, poiché/insegue, come un fanciullo, un uccello
che vola" (Agamennone, vv
388-394).
Gianni Ghiselli
[1]
Simonide e Bacchilide, secondo gli scoliasti
[2] Montaigne,
Saggi, p. 185 e p. 199.
[3] R.
Musil, L'uomo senza qualità, p. 846.
[4]
F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore,
p. 172.
[5] "In qualche modo verrete sconfitti. Qualche cosa
vi sconfiggerà. La vita vi sconfiggerà" (G. Orwell, 1984, p. 282) dice
Winston, il protagonista del romanzo al suo torturatore.
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