L’Aranybika, il
Grand Hotel di Debrecen
Sopra il portone
dell’ingresso formicolante, nereggiava un’insegna fatta di pezzi disposti a
formare un cerchio. Mi avvicinai. La semicirconferenza superiore era costituita
dalle lettere H O T E L, l’nferiore da quelle più piccole e fitte di una parola
lunga e illeggibile. Mentre cercavo di chiarirmi la scritta, questa si accese con
un’esplosione di luce. La parola strana era Aranybika,
la figura interna al cerchio quella di un un toro. Significa “toro d’oro” come
seppi più avanti. Mi venne in mente la maxima
victima di Virgilio[1].
Entrai nell’atrio
che brulicava di gente diretta al ristorante con pista da ballo.
Andai dall’altra
parte dove c’era il portiere, un uomo d’aspetto civile. Gli domandai se
parlasse italiano. Con mia sorpresa rispose di sì. Contento di tale successo,
gli chiesi dove fosse l’università. Io era uno studente borsista,
dell’Università di Bologna.
Non sapevo ancora,
ma lo speravo, che le vere borse di studio sarebbero state le donne che avrei
conosciuto, meravigliosamente[2]
a Debrecen e altrove altre ancora[3].
Il portiere mi
rispose che di notte il collegio era chiuso: potevo andarci la mattina
seguente; lui mi avrebbe indicato la strada. Intanto potevo dormire nell’hotel,
per venti dollari.
“Con quell’ambiguo sorriso da prosseneta[4],
tira a fregare” pensai. “Un collegio universitario dove gli studenti mangiano e
dormono, non può essere chiuso alle otto e mezzo. Però non ho scelta: in questo
paese da solo, di notte, non me la cavo”.
“Va bene”, dissi,
“prendo una camera”.
Gli diedi il
passaporto e il denaro. Poi gli chiesi di spiegarmi, comunque subito, dove
fosse l’Università. Mi allungò la chiave, e, con riluttanza, disse che dovevo
prendere il tram numero uno nella direzione del grande tempio. Cercai la camera
per posarvi il bagaglio ma non la trovavo. Mi sentivo incluso in un labirinto
di nuovo genere[5].
Dovetti tornare
indietro per farmi indicare la stanza una seconda volta, Dopo l’estorsione dei
dollari, quel portiere di notte mi era diventato antipatico. Anzi, tutto
l’ambiente di quell’hotel pretenzioso e pitocco mi era poco simpatico.
Pensai di
verificare subito l’informazione di cui diffidavo,
Salii sul tram
numero uno in direzione dell’Università, ma, superato il grande Tempio, le
rotaie si allungavano in una strada disperatamente nera e deserta. Scesi alla
prima fermata e tornai indietro di corsa, per quanto me lo consentiva la
pancia.
Non avevo la forza
di saltare la cena ma non volevo mangiare all’Aranybika.
Preferii tornare all’Hungaria dove il cameriere era più rozzo del necessario, e
sgarbato, ma non truffaldino e ricattatorio. Così al primo impatto il toro
d’oro, mi diede un piccolo dispiacere. Provengo da gente parsimoniosa e lo sono
anche io, ma più che per i venti dollari ero dispiaciuto per la truffa e il
ricatto di quel portiere truffatore.
Eppure non ero del
tutto scontento: intanto avevo trovato una camera e un letto dove passare la
notte. Tornato sulla strada principale anzi mi sentivo quasi contento.
Probabilmente antivedevo e pregustavo il futuro.
Stavo smaltendo la
sbornia della paura.
Infatti con il passare del tempo,
anni di tempo, e nel lungo progresso della mia persona, proprio lì, nel grande
hotel della città della puszta, avrei vissuto diverse ore piacevoli e importanti
per la mia crescita, in compagnia di alcune delle donne belle e fini che
dovevano stimolarmi a maturare, diventando quello che sono: una persona non
infelice, non brutta, non cattiva. Adesso il grande albergo di Debrecen è un
monumento duraturo più delle sue mura, un tempio edificato dentro l’anima mia.
In un tabernacolo contiene la memoria di alcune tra le ore più intense della
mia gioventù, un ricordo che nei momenti difficili in quanto deserti di
affetti, mi incoraggia a procedere verso tempi migliori che, come quelli meno
buoni del resto, ricorrono sempre. Rebus
cunctis inest quidam velut orbis[6]
giovanni ghiselli
CONTINUA
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Queste sono le letture di oggi 28
novembre ore 10
Italia
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4
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2
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India
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2
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[1] Georgiche, II,146-147:"et maxima
taurus/victima " .
[2] Cfr. D’Annunzio, Maia, Laus Vitae (II) : “E vi furono
altre ancora;/e meravigliosamente/io le conobbi.
[3] Cfr. Tess of the D'Ubervilles di
T. Hardy, dove Angel Clare si rivolge a Tess dicendole: " darling, the
great prize of my life-my Fellowship" (XXXII), cara, il più grande
premio della mia vita, la mia borsa di studio.
[4] Cfr. D’Annunzio: “riso ambiguo di
prossenèti/ e frode (…) in agguato” (Laus
Vitae, V)
[5] Cfr il timore di Encolpio:"quid faciamus
homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi, quibus lavari iam
coeperant votum esse? " ( Satyricon,
73), cosa possiamo fare uomini disgraziatissimi e rinchiusi in un labirinto di
nuovo tipo, per i quali lavarsi già cominciava ad essere un miracolo?
[6] E’ l’idea del ciclo che Tacito
applica ai costumi :"Nisi forte
rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita
morum vertantur "(Annales ,
III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in
modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.
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