Tebe, resti della rocca cadmea |
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vv14-17.
Ajll&... barei'":
"Ma, Edipo, che sei padrone della mia terra/tu vedi noi,di quale
età siamo seduti/davanti ai tuoi altari, gli uni senza ancora la
forza/di volare a lungo, gli altri appesantiti dalla vecchiaia".
-kratuvnwn:
Edipo si è fatto padrone di Tebe usurpando la legittima signoria
degli dei, soverchiando i sacerdoti e illudendo il popolo con un
trionfo non legittimato da una vittoria definitiva. Di qui la
successiva contrapposizione a Tiresia analizzata da D. Lanza nel
volume Il tiranno e il
suo pubblico.
Anche
nel Filottete (v.366)
kratuvnein
è usato (sempre con il genitivo) per un'appropriazione indebita:
quella delle armi di Achille da parte di Odisseo.
-hJlivkoi
: sono indicate
persone che non hanno raggiunto il culmine della vita oppure stanno
scendendo per la zona bassa del declivio onde nessun risale:
portatrici dunque di debolezza e bisognose di aiuto da parte della
impareggiabile potenza attribuita al re.
-bwmoi'si
toi'" soi'":il
despota si è appropriato degli altari; ci si è messo sopra al posto
degli dei. Bwmov"
del resto è pure un piedistallo, un'impalcatura dove si sale, e
dalla quale si può cadere male, come precipita il tiranno dai
fastigi altissimi del potere nella necessità scoscesa (cfr.
vv.876-877).-makra;n:
sottintende oJdovn =
per lunga via, ma ha assunto valore avverbiale. -ptevsqai:
infinito dell'aoristo 2 ejptovmhn di
pevtomai,
retto da sqevnonte".
-su;n
ghvra/ barei'" : il
suvn,
da integrarsi forse con il participio o[nte",
suggerisce l'idea della compagnia, mentre nell' equivalente latino
gravis aetate
(in Livio, VII, 39, 1) prevale l'idea della causa efficiente.
La vecchiaia è
considerata un disvalore nelle società dove vivere non equivale a
potenziarsi attraverso l'apprendimento e la pratica del bene. Nelle
Rane di
Aristofane:" govnu pavlletai
gerovntwn"(v.345), il
ginocchio dei vecchi balza. Infatti questi sono gli iniziati, oiJ
memuhmevnoi(vvv.158 e
v.318), distinti dai peccatori la cui vita è schifosa sempre e
dovunque. La vecchiaia non è pesante per chi vive con purezza.
Cfr.
Cicerone, De
senectute,
3: "in moribus est
culpa, non in
aetate", la colpa
sta nei costumi, non nell'età. Del resto nella stessa opera, al
capitolo 7, troviamo:"Sophocles
ad summam
senectutem tragoedias fecit".
Cfr.
anche Leopardi, Zibaldone
(3520-3521):"Quando
il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed
abituato generalmente alla virtù...allora i vecchi, come più ricchi
d'esperienza e più saggi, erano più venerabili e venerati, più
stimabili e stimati, ed anche in molte parti più utili ai loro
simili e compagni ed al corpo della società, che non i giovani e
quelli dell'altre età".
vv.18-21.
iJereuv"... spod''''''w/''':
"e sacerdote io sono di Zeus; quelli poi sono stati scelti/tra i
giovani ancora celibi, e il resto del popolo incoronato/sta seduto
nelle piazze, davanti ai due templi di Pallade/presso la cenere
profetica dell'Ismeno".
iJereuv":
accolgo la correzione del Bentley che dà maggiore spicco al
sacerdote; il Pearson dà iJerh'",
nominativo plurale. C'è un anapesto in prima sede. -Zhnov":
la forma più comune è Diov".
Il nome di Zeus ricorre nei drammi di Sofocle con una frequenza che
non ha pari negli altri due tragediografi; è uno dei segni del suo
essere" qeofilhv"... wJ"
oujk a[llo"",
come lo definisce l'anonimo autore della Vita
che risale al tardo
ellenismo e si trova nel Venetus
Marcianus (V) con il
titolo Sofoklevou" gevno".
G.
Perrotta in I Tragici
greci (p.120) ricorda
che "la tradizione lo descrive religiosissimo e tale fu senza
dubbio".
-ajgorai'si:
dativo di luogo. Ancora un anapesto in prima sede. Le piazze e i
templi sono plurali poiché il potere non deve concentrarsi in un
solo uomo né in un unico dio.
Come
la terra è tutta piena di dei, pavnta
plhvrh qew'n a detta di
Talete, e non c'è un'unica divinità dispotica e staccata dal mondo,
così il potere terreno va eletto nelle piazze in seguito a una
competizione dialettica, e deve essere distribuito tra vari organi e
magistrati che si controllino a vicenda. Né anarchia dunque né
dispotismo, come aveva già suggerito Eschilo nelle Eumenidi
(v.696), tanto in cielo quanto in terra. -spodw/':
è un vaticinio di infecondità e sciagura. Già nell'Antigone
la cenere senza il
lampeggiare del fuoco significa che l'offerta sacrificale non è
stata accettata dagli dei: [H[faisto"
oujk e[lampen , ajll& epi; spodw/' '/mudw'sa mhki;" mhrivwn
ejthvketo", Efesto
non brillava ma il grasso delle cosce si scioglieva trasudando sulla
cenere (vv.1OO7-1008). Nell'Asino
d'oro di Apuleio, dopo
che Apollo ha vaticinato nozze mostruose per la povera Psiche, la
luce della fiaccola nuziale si estingue in cenere di nera fuliggine
("iam taedae lumen
atrae fuliginis cinere marcescit ",
IV, 33).
-
jIsmenou': è il fiume di
Tebe(cfr. Antigone
, 1124) presso il quale sorgeva un tempio di Apollo.
vv.22-24.
povli"... savlou:"la
città infatti, come anche tu stesso vedi,troppo/già ondeggia e di
sollevare il capo /dai gorghi del fluttuare insanguinato non è più
capace". -kaujto;"; è
crasi di kai; aujtov".
-saleuvei.
Plutarco
nella Vita di Solone
racconta che il legislatore ateniese insediò l’Areopago come
sovrintendente di ogni atto e custode delle leggi (ejpivskopon
pavntwn kai; fuvlaka tw`n novmwn,
19, 2). Il consiglio era formato da ex arconti e venne aggiunto alla
boulhv
dei 400, pensando che ormeggiata a due consigli come a due ancore, la
città sarebbe stata meno ondeggiante (oijovmeno~
ejpi; dusiv boulai`~ oJrmou`san h|tton ejn savlw/ th;n povlin
e[sesqai).
La
metafora nautica risale al noto frammento di Alceo (326 LP) riportato
con il 56 D. di Archiloco e spiegati come allegorie da Eraclito , non
il presocratico, ma uno stoico della prima età imperiale, autore
delle Allegorie
omeriche:
“jArcivloco~…to;n
povlemon eijkavzei tw/' qalattivw/ kluvdwni”,
Archiloco paragona la guerra al flutto del mare.
L'immagine, passata poi
attraverso Teognide (Silloge,vv.668-682),
Eschilo (I Sette a
Tebe,v;
62 e sgg., 208 e sgg.),
Antigone (v.163), e le
Rane
di Aristofane(v.361), è tovpo"
letterario tra i più
celebri della letteratura classica. Viene subito in mente la
quattordicesima ode del primo libro di Orazio:"
O navis, referent in mare te novi/ fluctus. O quid agis? fortiter
occupa/portum...non tibi sunt integra lintea...Tu, nisi ventis/debes
ludibrium, cave , o
nave ti riporteranno in mare nuovi flutti! O che fai? raggiungi il
porto senza esitare...hai le vele strappate...Tu stai attenta, se non
vuoi diventare zimbello dei venti.
E'
interessante la definizione che dà Quintiliano dell'allegoria e
l'interpretazione di questa:"Allegoria,
quam inversionem interpretantur, aut aliud verbis aliud sensu
ostendit aut etiam interim contrarium. Prius
fit genus plerumque continuatis translationibus, ut....
segue la citazione
delle parole citate sopra fino a portum
, quindi l'interpretazione:"totusque
ille Horatii locus, quo navem pro re publica, fluctus et tempestates
pro bellis civilibus, portum pro pace atque concordia dicit
".(Institutio
oratoria , VIII, 6,
44), l'allegoria, che interpretano come inversione, o mostra una cosa
con le parole, un'altra con il significato generale, o talora il
contrario. Il primo genere avviene per lo più con metafore
continuate...e tutto quel passo di Orazio nel quale egli intende come
nave lo Stato, come flutti e tempeste le guerre civili, come porto la
pace e la concordia.
Non
possiamo non ricordare l'invettiva all'Italia del Purgatorio
di Dante:"Ahi serva Italia, di dolore ostello,/nave senza
nocchiere in gran tempesta,/non donna di province, ma bordello!(VI,
76-78). E. R. Curtius in Letteratura
europea e Medio Evo latino
(pp.147-150), fornisce un ricco elenco di metafore nautiche in poeti
che vanno da Virgilio a Edmund Spenser.
Qui
significa che Tebe è contaminata dall'
u{bri" del tiranno
Edipo, come, nel frammento di Alceo, Mitilene era insidiata dalla
sommossa di Mirsilo sfociata nella tirannide. Del resto, per
concludere con Sofocle, anche Elettra,
minacciata dal dispotismo scellerato di Egisto, fluttua (saleuvei,
v.1074), e piange come il lamentevole usignolo.
kajnakoufivsai:
crasi di kai; ajnakoufivsai,
infinito dell'aoristo di ajnakoufivzw
che contiene l'aggettivo kou'fo"=leggero,
dunque manifesta l'idea di togliere un peso. foinivou:
il flutto che sommerge la città è sanguigno: c'è riferimento alle
mestruazioni delle donne che non rimangono incinte, e al sangue della
strage impunita (cfr.v.466: foinivaisi
cersivn, con
mani sporche di strage).
Vengono in mente, con
associazione forse non del tutto arbitraria, gli "infecti
caedibus scopuli "
gli scogli sporchi di strage delle Historiae
(I,2) di
Tacito e La vita è
sogno di
Calderon laddove Stella dice a Basilio:"Vedrai il tuo regno
nuotare tra onde scarlatte" (III, 6).
vv.
25-30. fqivnousa...plouvtizetai :"e
si consuma nei calici infruttuosi della terra,/si consuma nelle
mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli delle donne; e
intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi,si avventa sulla
città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo,e
il nero/Ades si arricchisce di gemiti e lamenti".
E'
la descrizione del flagello. La sterilità che deriva dai delitti o
dagli errori dei capi, non consente alla terra di produrre frutti, né
alle femmine di partorire. Anche questo è tovpo".
Faccio un esempio tratto da
Erodoto: Cambise, feritosi a morte dopo avere fatto ammazzare il
fratello Smerdi agendo più con celerità che con saggezza, per
l'errata interpretazione di un sogno, raccomanda agli Achemenidi di
non permettere che il potere passi di nuovo ai Medi, ma se questi lo
conquisteranno con la forza, dovrà essere recuperato con la forza.
Se i Persiani faranno questo, augura il re ammalato:"uJmi'n
gh' te karpo;n ejkfevroi kai; gunai'ke;" te kai; poi'mnai
tivktoien", la terra
vi produca frutti e le donne e le greggi partoriscano; altrimenti per
loro ci sarebbe stata la sterilità e la schiavitù (Storie,
III, 65).
Ho
citato Erodoto più di una volta: le affinità tra lo storiografo e
il drammaturgo sono rilevabili nella impostazione generale, siccome
entrambi gli scrittori mirano alla santificazione di Delfi, e anche
nei particolari, tanto che è possibile segnalare diversi
echeggiamenti sofoclei. Per esempio l'Antigone
ai versi 904 e sgg.
ricorda Erodoto
, III, 118-119; L'Edipo
a Colono ai vv.337 e
sgg. rammenta Erodoto, II, 35.
Secondo
Perrotta "il poeta...prende a prestito da Erodoto il motivo
dell'infecondità della terra"; e, più in
generale:"l'atteggiamento di Erodoto è quello di Sofocle"
(Sofocle,
p.207).
Il
motivo della sterilità è presente, in forma personalizzata, anche
nell'Andromaca
di Euripide dove Ermione accusa la vedova di Ettore della propria
infecondità foriera di morte (v.158):"nhdu;"
d& ajkuvmwn dia; sev moi diovllutai",
il grembo sterile per causa tua mi si distrugge.
Nel
Medio Evo troviamo qualche cosa di simile in alcuni episodi del ciclo
del Graal. E. R. Curtius (Op.
cit. p.129) ricorda
che"il giovane eroe della leggenda arriva in un paese brullo,
dove sono inaridite tutte le sorgenti e le vegetazioni, e dove il
sovrano, il re pescatore, è ammalato, ferito, mantenuto in vita solo
grazie alla coppa miracolosa del Graal. Di quale malattia si tratta?
Alcune edizioni ricorrono ad eufemistiche perifrasi, altre dicono
chiaramente che è l'impotenza virile-la stessa minorazione, dunque,
che è simbolizzata nella mutilazione del frigio Attis e nella ferita
mortale di Adone".
Nel
paese del Re Pescatore ferito dunque c'è la sterilità minacciata
dal Cambise ferito di Erodoto e presente nell'Edipo
re di Sofocle.
Facendo
un salto nel Novecento, secondo l'idea per la quale"tutta la
letteratura europea da Omero in avanti ha un'esistenza simultanea",
è utile il confronto con La
terra desolata (1922)
dove T. S. Eliot descrive la sterilità, la paralisi, l'impotenza
provocate dai delitti e dall'empietà. Polvere e mancanza di pioggia,
o la presenza di acqua inquinata, sono simboli ricorrenti,
"correlativi oggettivi" dell'aridità spirituale, mentre il
canto già sacro dell'usignolo suona come "Jug
Jug to dirty
ears"(v.103),
giag giag a orecchie sporche, e Tiresia l'indovino che ebbe sede
presso Tebe, sotto le mura (v.245), assiste alla seduzione di una
dattilografa annoiata, da parte di un giovanotto foruncoloso (v.231).
Lo
stesso Eliot dedicò il suo poemetto a Ezra Pound, "il miglior
fabbro", il quale scrisse:"
Go,
my songs, seek your praise from the young and from the intolerant/
Move among the lovers of
perfection alone.
Seek ever to stand in the hard
Sophoclean light
And
take your wounds from it gladly,
andate mie canzoni, cercate la vostra lode dai giovani e gli
insofferenti, frequentate solo gli amanti della perfezione, cercate
di stare sempre nella dura luce sofoclea e ricavatene la vostre
ferite con animo lieto "(Ité
da Lustra,
1916 in Opere scelte
, p. 99).
-fqivnousa
in anafora. La città si consuma e declina poiché svaniscono gli
oracoli (cfr.v.907) e vanno a male gli dei (v.910). La decadenza
della vita consegue al tramonto del sacro. Il dramma di Sofocle tende
a risollevare il divino; se gli Ateniesi lo comprenderanno, vedranno
la città risorgere e raddrizzarsi, altrimenti ci sarà la morte
della tragedia, della povli" e
della sua cultura permeata di religione: cfr. i vv.897-902 del
secondo stasimo:"Non andrò più all'intangibile/ ombelico della
terra a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a Olimpia, /se queste
parole indicate a dito/ non andranno bene a tutti i mortali".
-kavluxin
ejgkavrpoi": dativo
di luogo con l'aggettivo che propriamente significa fruttifero
riferendosi alla situazione precedente la peste.
Al
verso 26 c'è un tribraco in seconda sede.
-ajgovnoi":
anapesto in prima sede. Sono i parti senza prole (aj-govno").
Ancora
una volta viene in mente un passo di Erodoto :"ou[te
gh' karpo;n e[fere ou[te gunai'kev" te kai; poi'mnai oJmoivw"
e[tikton kai; pro; tou'
(VI,139), né la terra produceva frutti né le donne e le greggi
partorivano come prima (ai Pelasgi che avevano ucciso mogli e figli).
La
vita offesa si vendica.- ejn è
avverbio=intanto.
-oJ
purfovro" qeov" :
è Ares, il dio delle stragi belliche, quello che Eschilo chiama "il
cambiavalute dei corpi"(oJ
crusamoibo;" swmavtwn,
Agamennone,
437).
Secondo
Sofocle, conflitti e peste sono conseguenza dell'ateismo, mentre il
razionalista Tucidide, abolita l'intelaiatura teologica, sostiene che
fu la guerra a causare la peste, e fu questo morbo a determinare
l'incuria del divino (II,52).
skhvya"=participio
dell'aoristo di skhvptw=mi
scaglio.
-loimo;"
e[cqisto": ha pure un
significato morale di perdita o inquinamento dei valori religiosi e
dei sentimenti umani; e[cqistoi
(superlativo di
ejcqrov") nell'Antigone
(vvvvvvv.137) sono i venti
di guerra spirati dalla furia blasfema di Capaneo nel folle assalto a
Tebe.
-kenou'tai.
Lo svuotamento temuto
da Sofocle è quello delle vite umane , in termini sia biologici, sia
intellettuali e morali. Se accettiamo la datazione di C. Diano, il
411, e quella di G. Perrotta che annovera la tragedia fra le ultime
del poeta, nella descrizione della peste possiamo trovare riferimenti
alla seconda fase della guerra del Peloponneso, e, in particolare,
alla sciagurata spedizione in Sicilia, voluta da Alcibiade, lo
spregiatore degli dei e dell'etica tradizionale, il profanatore dei
riti sacri, colui che nell'espandersi del conflitto panellenico
cercava occasioni di potenziamento personale (cfr.Tucidide,VI,15,4).
Nella sua ambizione smodata del resto si riconosceva e identificava
l'egoismo etnico di molti Ateniesi.-
mevla"
dj j:
l'elisione in fine di verso è caratteristica di Sofocle e pertanto
si definisce sch'ma Sofovkleion.
Un'altra
efficace denuncia delle guerre scatenate dall'avidità di un popolo e
dei suoi capi che la mascherano in vari modi, la troviamo nel
discorso appassionato di Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli ,
contro i Romani predoni del mondo: "Auferre,trucidare,
rapere,falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt,
pacem appellant
".(Tacito, Agricola,
30).
-ploutivzetai.
L'arricchimento che proviene dalla guerra è tale solo in
termini di morte,dolori e pianti. Forse questo verbo è usato anche
per associazione con Plou'ton, un altro
modo di chiamare Ades. Aristofane nel Plou'to"
confonde i due nomi al v.727 dove usa il dativo tw/'
Plouvtwni da Plouvtwn. Qui il
gioco di parole è giustificato dal fatto che durante i conflitti, al
dolore di molti uomini corrisponde l'arricchimento di pochi.
FINE
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