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giovedì 29 novembre 2018

Edipo re di Sofocle. parte III

Tebe, resti della rocca cadmea
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vv14-17. Ajll&... barei'": "Ma, Edipo, che sei padrone della mia terra/tu vedi noi,di quale età siamo seduti/davanti ai tuoi altari, gli uni senza ancora la forza/di volare a lungo, gli altri appesantiti dalla vecchiaia".
-kratuvnwn: Edipo si è fatto padrone di Tebe usurpando la legittima signoria degli dei, soverchiando i sacerdoti e illudendo il popolo con un trionfo non legittimato da una vittoria definitiva. Di qui la successiva contrapposizione a Tiresia analizzata da D. Lanza nel volume Il tiranno e il suo pubblico.
Anche nel Filottete (v.366) kratuvnein è usato (sempre con il genitivo) per un'appropriazione indebita: quella delle armi di Achille da parte di Odisseo.
-hJlivkoi : sono indicate persone che non hanno raggiunto il culmine della vita oppure stanno scendendo per la zona bassa del declivio onde nessun risale: portatrici dunque di debolezza e bisognose di aiuto da parte della impareggiabile potenza attribuita al re.
-bwmoi'si toi'" soi'":il despota si è appropriato degli altari; ci si è messo sopra al posto degli dei. Bwmov" del resto è pure un piedistallo, un'impalcatura dove si sale, e dalla quale si può cadere male, come precipita il tiranno dai fastigi altissimi del potere nella necessità scoscesa (cfr. vv.876-877).-makra;n: sottintende oJdovn = per lunga via, ma ha assunto valore avverbiale. -ptevsqai: infinito dell'aoristo 2 ejptovmhn di pevtomai, retto da sqevnonte".
-su;n ghvra/ barei'" : il suvn, da integrarsi forse con il participio o[nte", suggerisce l'idea della compagnia, mentre nell' equivalente latino gravis aetate (in Livio, VII, 39, 1) prevale l'idea della causa efficiente. La vecchiaia è considerata un disvalore nelle società dove vivere non equivale a potenziarsi attraverso l'apprendimento e la pratica del bene. Nelle Rane di Aristofane:" govnu pavlletai gerovntwn"(v.345), il ginocchio dei vecchi balza. Infatti questi sono gli iniziati, oiJ memuhmevnoi(vvv.158 e v.318), distinti dai peccatori la cui vita è schifosa sempre e dovunque. La vecchiaia non è pesante per chi vive con purezza.

Cfr. Cicerone, De senectute, 3: "in moribus est culpa, non in aetate", la colpa sta nei costumi, non nell'età. Del resto nella stessa opera, al capitolo 7, troviamo:"Sophocles ad summam senectutem tragoedias fecit".

Cfr. anche Leopardi, Zibaldone (3520-3521):"Quando il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed abituato generalmente alla virtù...allora i vecchi, come più ricchi d'esperienza e più saggi, erano più venerabili e venerati, più stimabili e stimati, ed anche in molte parti più utili ai loro simili e compagni ed al corpo della società, che non i giovani e quelli dell'altre età".

vv.18-21. iJereuv"... spod''''''w/''': "e sacerdote io sono di Zeus; quelli poi sono stati scelti/tra i giovani ancora celibi, e il resto del popolo incoronato/sta seduto nelle piazze, davanti ai due templi di Pallade/presso la cenere profetica dell'Ismeno".
iJereuv": accolgo la correzione del Bentley che dà maggiore spicco al sacerdote; il Pearson dà iJerh'", nominativo plurale. C'è un anapesto in prima sede. -Zhnov": la forma più comune è Diov". Il nome di Zeus ricorre nei drammi di Sofocle con una frequenza che non ha pari negli altri due tragediografi; è uno dei segni del suo essere" qeofilhv"... wJ" oujk a[llo"", come lo definisce l'anonimo autore della Vita che risale al tardo ellenismo e si trova nel Venetus Marcianus (V) con il titolo Sofoklevou" gevno".
G. Perrotta in I Tragici greci (p.120) ricorda che "la tradizione lo descrive religiosissimo e tale fu senza dubbio".
-ajgorai'si: dativo di luogo. Ancora un anapesto in prima sede. Le piazze e i templi sono plurali poiché il potere non deve concentrarsi in un solo uomo né in un unico dio.
Come la terra è tutta piena di dei, pavnta plhvrh qew'n a detta di Talete, e non c'è un'unica divinità dispotica e staccata dal mondo, così il potere terreno va eletto nelle piazze in seguito a una competizione dialettica, e deve essere distribuito tra vari organi e magistrati che si controllino a vicenda. Né anarchia dunque né dispotismo, come aveva già suggerito Eschilo nelle Eumenidi (v.696), tanto in cielo quanto in terra. -spodw/': è un vaticinio di infecondità e sciagura. Già nell'Antigone la cenere senza il lampeggiare del fuoco significa che l'offerta sacrificale non è stata accettata dagli dei: [H[faisto" oujk e[lampen , ajll& epi; spodw/' '/mudw'sa mhki;" mhrivwn ejthvketo", Efesto non brillava ma il grasso delle cosce si scioglieva trasudando sulla cenere (vv.1OO7-1008). Nell'Asino d'oro di Apuleio, dopo che Apollo ha vaticinato nozze mostruose per la povera Psiche, la luce della fiaccola nuziale si estingue in cenere di nera fuliggine ("iam taedae lumen atrae fuliginis cinere marcescit ", IV, 33).
- jIsmenou': è il fiume di Tebe(cfr. Antigone , 1124) presso il quale sorgeva un tempio di Apollo.

vv.22-24. povli"... savlou:"la città infatti, come anche tu stesso vedi,troppo/già ondeggia e di sollevare il capo /dai gorghi del fluttuare insanguinato non è più capace". -kaujto;"; è crasi di kai; aujtov". -saleuvei.

Plutarco nella Vita di Solone racconta che il legislatore ateniese insediò l’Areopago come sovrintendente di ogni atto e custode delle leggi (ejpivskopon pavntwn kai; fuvlaka tw`n novmwn, 19, 2). Il consiglio era formato da ex arconti e venne aggiunto alla boulhv dei 400, pensando che ormeggiata a due consigli come a due ancore, la città sarebbe stata meno ondeggiante (oijovmeno~ ejpi; dusiv boulai`~ oJrmou`san h|tton ejn savlw/ th;n povlin e[sesqai).

La metafora nautica risale al noto frammento di Alceo (326 LP) riportato con il 56 D. di Archiloco e spiegati come allegorie da Eraclito , non il presocratico, ma uno stoico della prima età imperiale, autore delle Allegorie omeriche: “jArcivloco~to;n povlemon eijkavzei tw/' qalattivw/ kluvdwni”, Archiloco paragona la guerra al flutto del mare.
L'immagine, passata poi attraverso Teognide (Silloge,vv.668-682), Eschilo (I Sette a Tebe,v; 62 e sgg., 208 e sgg.), Antigone (v.163), e le Rane di Aristofane(v.361), è tovpo" letterario tra i più celebri della letteratura classica. Viene subito in mente la quattordicesima ode del primo libro di Orazio:" O navis, referent in mare te novi/ fluctus. O quid agis? fortiter occupa/portum...non tibi sunt integra lintea...Tu, nisi ventis/debes ludibrium, cave , o nave ti riporteranno in mare nuovi flutti! O che fai? raggiungi il porto senza esitare...hai le vele strappate...Tu stai attenta, se non vuoi diventare zimbello dei venti.
E' interessante la definizione che dà Quintiliano dell'allegoria e l'interpretazione di questa:"Allegoria, quam inversionem interpretantur, aut aliud verbis aliud sensu ostendit aut etiam interim contrarium. Prius fit genus plerumque continuatis translationibus, ut.... segue la citazione delle parole citate sopra fino a portum , quindi l'interpretazione:"totusque ille Horatii locus, quo navem pro re publica, fluctus et tempestates pro bellis civilibus, portum pro pace atque concordia dicit ".(Institutio oratoria , VIII, 6, 44), l'allegoria, che interpretano come inversione, o mostra una cosa con le parole, un'altra con il significato generale, o talora il contrario. Il primo genere avviene per lo più con metafore continuate...e tutto quel passo di Orazio nel quale egli intende come nave lo Stato, come flutti e tempeste le guerre civili, come porto la pace e la concordia.
Non possiamo non ricordare l'invettiva all'Italia del Purgatorio di Dante:"Ahi serva Italia, di dolore ostello,/nave senza nocchiere in gran tempesta,/non donna di province, ma bordello!(VI, 76-78). E. R. Curtius in Letteratura europea e Medio Evo latino (pp.147-150), fornisce un ricco elenco di metafore nautiche in poeti che vanno da Virgilio a Edmund Spenser.

Qui significa che Tebe è contaminata dall' u{bri" del tiranno Edipo, come, nel frammento di Alceo, Mitilene era insidiata dalla sommossa di Mirsilo sfociata nella tirannide. Del resto, per concludere con Sofocle, anche Elettra, minacciata dal dispotismo scellerato di Egisto, fluttua (saleuvei, v.1074), e piange come il lamentevole usignolo.
kajnakoufivsai: crasi di kai; ajnakoufivsai, infinito dell'aoristo di ajnakoufivzw che contiene l'aggettivo kou'fo"=leggero, dunque manifesta l'idea di togliere un peso. foinivou: il flutto che sommerge la città è sanguigno: c'è riferimento alle mestruazioni delle donne che non rimangono incinte, e al sangue della strage impunita (cfr.v.466: foinivaisi cersivn, con mani sporche di strage).
Vengono in mente, con associazione forse non del tutto arbitraria, gli "infecti caedibus scopuli " gli scogli sporchi di strage delle Historiae (I,2) di Tacito e La vita è sogno di Calderon laddove Stella dice a Basilio:"Vedrai il tuo regno nuotare tra onde scarlatte" (III, 6).
vv. 25-30. fqivnousa...plouvtizetai :"e si consuma nei calici infruttuosi della terra,/si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi,si avventa sulla città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo,e il nero/Ades si arricchisce di gemiti e lamenti".
E' la descrizione del flagello. La sterilità che deriva dai delitti o dagli errori dei capi, non consente alla terra di produrre frutti, né alle femmine di partorire. Anche questo è tovpo".
Faccio un esempio tratto da Erodoto: Cambise, feritosi a morte dopo avere fatto ammazzare il fratello Smerdi agendo più con celerità che con saggezza, per l'errata interpretazione di un sogno, raccomanda agli Achemenidi di non permettere che il potere passi di nuovo ai Medi, ma se questi lo conquisteranno con la forza, dovrà essere recuperato con la forza. Se i Persiani faranno questo, augura il re ammalato:"uJmi'n gh' te karpo;n ejkfevroi kai; gunai'ke;" te kai; poi'mnai tivktoien", la terra vi produca frutti e le donne e le greggi partoriscano; altrimenti per loro ci sarebbe stata la sterilità e la schiavitù (Storie, III, 65).
Ho citato Erodoto più di una volta: le affinità tra lo storiografo e il drammaturgo sono rilevabili nella impostazione generale, siccome entrambi gli scrittori mirano alla santificazione di Delfi, e anche nei particolari, tanto che è possibile segnalare diversi echeggiamenti sofoclei. Per esempio l'Antigone ai versi 904 e sgg. ricorda Erodoto , III, 118-119; L'Edipo a Colono ai vv.337 e sgg. rammenta Erodoto, II, 35.
Secondo Perrotta "il poeta...prende a prestito da Erodoto il motivo dell'infecondità della terra"; e, più in generale:"l'atteggiamento di Erodoto è quello di Sofocle" (Sofocle, p.207).

Il motivo della sterilità è presente, in forma personalizzata, anche nell'Andromaca di Euripide dove Ermione accusa la vedova di Ettore della propria infecondità foriera di morte (v.158):"nhdu;" d& ajkuvmwn dia; sev moi diovllutai", il grembo sterile per causa tua mi si distrugge.

Nel Medio Evo troviamo qualche cosa di simile in alcuni episodi del ciclo del Graal. E. R. Curtius (Op. cit. p.129) ricorda che"il giovane eroe della leggenda arriva in un paese brullo, dove sono inaridite tutte le sorgenti e le vegetazioni, e dove il sovrano, il re pescatore, è ammalato, ferito, mantenuto in vita solo grazie alla coppa miracolosa del Graal. Di quale malattia si tratta? Alcune edizioni ricorrono ad eufemistiche perifrasi, altre dicono chiaramente che è l'impotenza virile-la stessa minorazione, dunque, che è simbolizzata nella mutilazione del frigio Attis e nella ferita mortale di Adone".
Nel paese del Re Pescatore ferito dunque c'è la sterilità minacciata dal Cambise ferito di Erodoto e presente nell'Edipo re di Sofocle.
Facendo un salto nel Novecento, secondo l'idea per la quale"tutta la letteratura europea da Omero in avanti ha un'esistenza simultanea", è utile il confronto con La terra desolata (1922) dove T. S. Eliot descrive la sterilità, la paralisi, l'impotenza provocate dai delitti e dall'empietà. Polvere e mancanza di pioggia, o la presenza di acqua inquinata, sono simboli ricorrenti, "correlativi oggettivi" dell'aridità spirituale, mentre il canto già sacro dell'usignolo suona come "Jug Jug to dirty ears"(v.103), giag giag a orecchie sporche, e Tiresia l'indovino che ebbe sede presso Tebe, sotto le mura (v.245), assiste alla seduzione di una dattilografa annoiata, da parte di un giovanotto foruncoloso (v.231).
Lo stesso Eliot dedicò il suo poemetto a Ezra Pound, "il miglior fabbro", il quale scrisse:"
Go, my songs, seek your praise from the young and from the intolerant/
Move among the lovers of perfection alone.
Seek ever to stand in the hard Sophoclean light
And take your wounds from it gladly, andate mie canzoni, cercate la vostra lode dai giovani e gli insofferenti, frequentate solo gli amanti della perfezione, cercate di stare sempre nella dura luce sofoclea e ricavatene la vostre ferite con animo lieto "(Ité da Lustra, 1916 in Opere scelte , p. 99).

-fqivnousa in anafora. La città si consuma e declina poiché svaniscono gli oracoli (cfr.v.907) e vanno a male gli dei (v.910). La decadenza della vita consegue al tramonto del sacro. Il dramma di Sofocle tende a risollevare il divino; se gli Ateniesi lo comprenderanno, vedranno la città risorgere e raddrizzarsi, altrimenti ci sarà la morte della tragedia, della povli" e della sua cultura permeata di religione: cfr. i vv.897-902 del secondo stasimo:"Non andrò più all'intangibile/ ombelico della terra a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a Olimpia, /se queste parole indicate a dito/ non andranno bene a tutti i mortali".
-kavluxin ejgkavrpoi": dativo di luogo con l'aggettivo che propriamente significa fruttifero riferendosi alla situazione precedente la peste.
Al verso 26 c'è un tribraco in seconda sede.
-ajgovnoi": anapesto in prima sede. Sono i parti senza prole (aj-govno").
Ancora una volta viene in mente un passo di Erodoto :"ou[te gh' karpo;n e[fere ou[te gunai'kev" te kai; poi'mnai oJmoivw" e[tikton kai; pro; tou' (VI,139), né la terra produceva frutti né le donne e le greggi partorivano come prima (ai Pelasgi che avevano ucciso mogli e figli).
La vita offesa si vendica.- ejn è avverbio=intanto.
-oJ purfovro" qeov" : è Ares, il dio delle stragi belliche, quello che Eschilo chiama "il cambiavalute dei corpi"(oJ crusamoibo;" swmavtwn, Agamennone, 437).
Secondo Sofocle, conflitti e peste sono conseguenza dell'ateismo, mentre il razionalista Tucidide, abolita l'intelaiatura teologica, sostiene che fu la guerra a causare la peste, e fu questo morbo a determinare l'incuria del divino (II,52).
skhvya"=participio dell'aoristo di skhvptw=mi scaglio.
-loimo;" e[cqisto": ha pure un significato morale di perdita o inquinamento dei valori religiosi e dei sentimenti umani; e[cqistoi (superlativo di ejcqrov") nell'Antigone (vvvvvvv.137) sono i venti di guerra spirati dalla furia blasfema di Capaneo nel folle assalto a Tebe.
-kenou'tai. Lo svuotamento temuto da Sofocle è quello delle vite umane , in termini sia biologici, sia intellettuali e morali. Se accettiamo la datazione di C. Diano, il 411, e quella di G. Perrotta che annovera la tragedia fra le ultime del poeta, nella descrizione della peste possiamo trovare riferimenti alla seconda fase della guerra del Peloponneso, e, in particolare, alla sciagurata spedizione in Sicilia, voluta da Alcibiade, lo spregiatore degli dei e dell'etica tradizionale, il profanatore dei riti sacri, colui che nell'espandersi del conflitto panellenico cercava occasioni di potenziamento personale (cfr.Tucidide,VI,15,4). Nella sua ambizione smodata del resto si riconosceva e identificava l'egoismo etnico di molti Ateniesi.-
mevla" dj j: l'elisione in fine di verso è caratteristica di Sofocle e pertanto si definisce sch'ma Sofovkleion.
Un'altra efficace denuncia delle guerre scatenate dall'avidità di un popolo e dei suoi capi che la mascherano in vari modi, la troviamo nel discorso appassionato di Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli , contro i Romani predoni del mondo: "Auferre,trucidare, rapere,falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant ".(Tacito, Agricola, 30).


-ploutivzetai. L'arricchimento che proviene dalla guerra è tale solo in termini di morte,dolori e pianti. Forse questo verbo è usato anche per associazione con Plou'ton, un altro modo di chiamare Ades. Aristofane nel Plou'to" confonde i due nomi al v.727 dove usa il dativo tw/' Plouvtwni da Plouvtwn. Qui il gioco di parole è giustificato dal fatto che durante i conflitti, al dolore di molti uomini corrisponde l'arricchimento di pochi.

FINE

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