NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 12 novembre 2018

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Napoleone si ritira da Mosca in fiamme

Sono già le sette e mezzo ma continuo a lavorare, né morirò per questo: non mi stanco mai di giovare a me stesso facendo del bene agli altri: “wjfevleia de; pra'xi" kata; fuvsin” (Marco Aurelio, VII, 74), fare del bene è un agire secondo natura.

eJgw; to; ejmautou' kaqh'kon poiw' , io faccio il mio dovere e le altre cose non me ne distolgono: ta; a[lla me ouj perispa'/ (Marco Aurelio, Ricordi, 6, 22). Non mi lascio fuorviare.
Marco Aurelio Augusto scrive che chi commette una colpa la commette contro se stesso, chi compie un'ingiustizia la compie contro se stesso facendo del male a se stesso (Ricordi IX, 4). Chi lancia maledizioni le lancia contro se stesso, chi augura la morte la augura a se stesso, aggiungo. Ne sono certo
Il mio mestiere di maestro è una missione sacra cui il mio demone mi ha destinato. Se fossi un usignolo intonerei il canto dell'usignolo, ma sono un educatore. I miei detrattori sono i novelli Anito, Meleto e Caifas. I segni di contraddizione come Socrate Cristo e, nel mio piccolo, io stesso, vengono sulla terra ut revelentur ex multis cordibus cogitationes (Luca II, 35). Infatti quando poco tempo fa è morto più che centenario il professor Alfredo Ghiselli, che non era mio padre ma del quale ho frequentato alcune lezioni quando ero matricola nel 1963, tre malevoli vecchi insegnanti hanno detto peccato che non sia crepato gianni ghiselli brindando alla mia prossima morte. Così si sono rivelati.
p. s.
In compenso le docenti, i docenti, le sindache che sono stati miei allievi nei licei o nella SSIS dell'alma mater mi riempiono di benedizioni e mi invitano a tenere lezioni nei licei dove insegnano o nelle biblioteche delle città di cui sono sindache. I miei figli spirituali giustificano la mia vita senza figlioli carnali né mogli, né conviventi

I tre malivoli veteres con le loro maledizioni allungheranno la mia vita che non si cura di loro. Ma ho voluto raccontarlo per significare in quale stato di pericolo si trova parte della scuola. Per fortuna dei giovani questi vecchi malevoli professori sono prossimi alla pensione e i miei ex allievi stanno riportando, con il loro talento, qualche parte del mio verbo nei licei classici della regione.
Se i detrattori che mi vogliono male e mi infamano conoscessero tutti i miei difetti, non si limiterebbero a maledirmi come fanno ora
 Mi dicono che alcuni sparlano di me infamandomi dalla loro prospettiva. Che però è limitata, altrimenti conoscendo tutti i miei peccati e difetti non si limiterebbero a rinfacciarmi i pochi che sono noti a tutti: mi piacciono molto le donne, non mi piace per niente il potere che non voglio subire né far subire, mi è indifferente-ajdiavforon- il denaro. Ma c'è più di questo in me! Altre caratteristiche che, secondo certa canaglia ignorante e idiota, meriterebbero lo strangolamento in galera.
Se i detrattori che mi vogliono male e mi infamano conoscessero tutti i miei difetti, non si limiterebbero a maledirmi come fanno ora. E’ troppo poco!
“Concentrati per non scivolare eij" ijdiwtismovn, nel comportamento comune (Epitteto, Manuale, 33)
  
La Juventus perde quando, fuori dall'Italia, non fruisce di favoritismi
Dal tempo delle XII tavole (450 a. C) questo è il paese delle raccomandazioni, del clentelismo e della mafia: si patronus clienti fraudem fecerit, sacer esto.

Un vero male non può colpire il buono perché questo porta con sé il vero bene e le cose esterne non lo toccano. Una fortuna perennemente prospera rammollirebbe l’uomo: Dio ama i figli non come la madre che li vizia ma come il padre che li educa spartanamente. Dio tempra colui che ama.
Omnia adversa exercitationes puta (De Providentia, 2, 2)
Marcet sine adversario virtus (2, 4)
Ecce par deo dignum: vir fortis cum mala fortuna compositus, utĭque si et provocavit (2, 8) soprattutto se l'ha anche provocata. Nel Cimbelino di Shakespeare c’è una contestazione radicale della giustizia divina da parte degli spiriti dei genitori e dei fratelli di Postumo (V, 4). Accusano Giove di iniquità. Un poco come Giobbe cui Dio risponde come turbine.
Giove dunque cavalca un’aquila tra tuoni e fulmini e dice: Whom best I love I cross; to make my gift, the more delay’d , delighted (V, 4, 99-101)
La mia grande potenza solleverà vostro figlio umiliato.
Questa è una vera e propria teodicea detta dal deus ex machina.
Seneca nel De providentia scrive che noi imponiamo ai figli una disciplina severa, mentre lasciamo i piccoli schiavi nel disordine che può divertirci. E prosegue: “idem tibi de deo liqueat; bonum virum in deliciis non habet, experītur, indūrat, sibi illum parat” (I. 6), lo stesso ti sia chiaro di Dio: non tiene nei paceri l’uomo di valore, lo mette alla prova, lo tempra, lo prepara per sé.

Quindi Minucio Felice (II-III sec.): quam pulchrum spectaculum Deo, cum Christianus cum dolore congreditur (Octavius, 37, 1).
Male valeo: pars fati est, domus crepuit, damna, vulnera, labores, metus incucurrerunt: solet fieri. Hoc parum est: debuit fieri (Seneca, Ep. 96, 1).
Decernuntur ista, non accidunt, queste cose avvengono per un decreto, non è che capitino. “Non pareo deo sed adsentior (…) omnia autem ad quae gemimus, expavescimus , tributa vitae sunt” sono tasse- (Ep. 96, 2).
“amor fati è la mia intima natura” , das ist meine innerste Natur (Nietzsche, Ecce homo).
La volontà può essere buona o cattiva ed è la scienza del bene che le fa raggiungere la forma più elevata. La bona voluntas viene posta accanto alla virtus a partire dal De beneficiis che appartiene all’ultima fase della produzione di Seneca.
Nell’Ep. 92, 3 Seneca scrive che alla vita beata, alla felicità si arriva si veritas tota perspecta est, si servatus est in rebus agendis ordo, modus, decor, innoxia voluntas ac benigna, intenta rationi nec umquam ab illa recēdens, amabilis simul mirabilisque

Volontà e disciplina
Il fattore decisivo è comunque la volontà. E’ il tratto romano introdotto nella Stoà da Seneca “Quid tibi opus est ut bonus sis? Velle! ” (Ep. 80, 4). Essa non è un fatto dell’intelletto: “velle non discitur” (ep. 81, 13).
Schopenhauer cita questo velle non discitur .
“L’eroe, la più alta apparenza della volontà”. Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. 16.
La disciplina dura forma caratteri forti: il re spartano Archidamo nelle Storie di Tucidide sostiene che gli uomini, i quali non sono poi tanto differenti tra loro, vengono distinti dalla severa disciplina che rende più forte chi è stato educato nelle massime difficoltà:"poluv te diafevrein ouj dei' nomivzein a[nqrwpon ajnqrwvpou, kravtiston de; ei\nai o{sti~ ejn toi'" ajnagkaiotavtoi" paideuvetai"(I, 84, 4).
Concorda con questa affermazione del re spartano quanto scrive Nietzsche nell' Epistolario in data 14 aprile 1887:" Non c'è nulla infatti che irriti tanto le persone quanto il lasciare scorgere che noi seguiamo inesorabilmente una rigida disciplina di cui loro non si senton capaci".
Riscontro pratico nella mia vita: devo la mia snellezza appunto a una rigida disciplina per la quale sto attentissimo a quello che mangio (poco, di rado, con molta fame) e faccio un paio di ore al giorno di movimento (una di bicicletta, una di corsa). Il resto del tempo studio. Se non lo faccio per almeno 5 ore al giorno mi sento in colpa: maximum scelus Bononiae vel Pisauri est.
Solo dalle 20 a mezzanotte posso essere “indisciplinato”.
Ebbene gli incapaci di disciplina, i privi di volontà, dicono che uno come me può abbuffarsi dalla mattina alla sera senza ingrassare e ha la dottrina innata: non ha nessun bisogno di studiare
Una volta una conoscente grassa e ignorante come pochi, osò dire che lei era ingrassata siccome aveva sempre e solo studiato. Replicai che io invece ero rimasto ignorante perché avevo praticato un’ascesi pagana al fine di non diventare più rozzo del necessario, né più molle del necessario come raccomanda Platone nella Repubblica. Ovviamente l’imbecille semianalfabeta non capì niente. E disse: “sì, vedo che mi dai ragione”. E io in pesarese “te t’ha ragion, ma me n’ho tort”. Brisa torto, concluse lei nel suo idioma e nella sua totale idiozia.

Sono terribili e venali - terribiles ac venales - oltre che brutti assai e spesso pure ignoranti molti tra i personaggi che hanno acquistato reputazione con la frequente presenza nelle trasmissioni televisive. Alcuni prendono ricompense iperboliche nemmeno confrontabili con la paga di un operaio ma si atteggiano ad amiconi di tutti, a cominciare da quelli che loro stessi fregano.
Il resto nol dico: già ognuno lo sa.

Leopardi nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri ricorda il brutto aspetto di Socrate: “La sua forma ingrata e ridicola gli sarebbe stata di non piccolo pregiudizio appresso un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello , e oltre di ciò deditissimo a motteggiare”. Socrate si trovava “impedito di aver parte, per dir così, nella vita”. Perché Severgnini, invece di essere impedito e tenuto nascosto, riceve tanta parte nelle televisioni?
Mistero dell'iniquità

Continuerò a parlare della filosofia stoica nella biblioteca Ginzburg di Bologna. Garantisco un lavoro serio "sì che m'ha fatto per più anni macro". Presenterò gli autori e i loro testi sui quali ho lavorato e meditato a lungo imponendomi tante rinunce.
Mi guardo sempre e mi tengo il più possibile lontano dalla chiacchiera generica dei ciarlatani che non presentano mai i testi siccome non li hanno letti o non li hanno capiti, comunque non li ricordano, e spacciano come cultura banalità e perfino errori sesquipedali, accigliati o ridenti che siano, oscenamente aggressivi o non meno oscenamente ruffiani. Se non sarò abbastanza diverso da loro, sgridatemi e punitemi non venendo più ad ascoltarmi. Sarà per me la mortificazione più grande.

Il 4 novembre è sacro ha scritto Scalfari su " la Repubblica" . Io userei l'aggettivo latino sacrum nel senso di "maledetto" per controcelebrare la grande guerra, l’inutile ed empio massacro.
Nel '68 cantavamo: "O Gorizia, tu sei maledetta!"
Centinaia di migliaia di morti per spostare di qualche chilometro delle frontiere. Uno spostamento che probabilmente si poteva ottenere in modo meno cruento.
"I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il Veneto gratis. cioè che quei morti erano morti senza scopo". Queste parole non sono del sottoscritto, vetero comunista non pentito e vecchio donnaiolo impenitente, ma di quel sublime prete cattolico che è Don Milani (L'obbedienza non è più una virtù, p. 43)
E anche queste sono sue: "io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri" (p. 12)
Queste invece sono del comunista Bertolt Brecht:
"La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame (hungerte). Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente ugualmente
hungerte das niedere Volk auch.
(L'imbianchino parla di grandi tempi a venire. Poesie 1933-1938
videat Sergius Mattarella ne quid res publica-id est res populi- detrimenti capiat

A volte osservo mangiare gli obesi ai quali escono di bocca "d'ogni parte una sanna come a porco". L'abito lerrerario mi fa venire in mente questo verso di Dante (Inferno, XXII, 56), poi queste parole di Seneca: maiore corporis sarcĭnā animus eliditur et minus agilis est (…) copiā ciborum subtilitas impeditur (Ep. 15, 1-4), lo spirito viene schiacciato dal peso troppo grande del corpo ed è meno agile (…) la sottigliezza dell’ingegno viene inceppata dall’abbondanza del cibo. Si addicono alla salute exercitationes et faciles et breves: cursus, et cum aliquo pondere manus motae et saltus, vel ille qui corpus in altum levat vel ille qui in longum mittit, ut ita dicam, saliaris aut, ut contumeliosus dicam, fullonius” (Ep. 15, 4), esercizi facili e brevi: la corsa e le manni che si muovono con qualche peso, e il salto, o quello in altezza o in lunghezza, per così dire quello dei Salii, o per dirlo in modo irriguardoso, quello dei lavandai.
Quindi esco dalla taverna dei ghiottoni e vado a correre o a scalare i monti in bicicletta

Questo è Napoleone secondo Tolstoj: un predestinato, fino a un certo punto, al suo presunto effimero successo, un uomo senza alcuna qualità buona e umana. Non pochi tra i nostri politici, giornalisti e presunti intellettuali dal momentaneo, effimero, apparente successo di oggi sono di questo genere
“Un uomo senza convinzioni, senza consuetudini, senza tradizioni, senza nome, e che non è neppure francese, grazie ai casi più strani si fa avanti fra i partiti che dilacerano la Francia, e, senza aderire ad alcuno di essi, sale a un posto di rilievo. L’ignoranza dei colleghi, la debolezza e la nullità degli avversari, la capacità di mentire e la limitatezza brillante e soddisfatta di sé di quest’uomo lo portano al comando dell’esercito. Lo splendido organico dei soldati dell’armata d’Italia, la scarsa volontà di battersi da parte dei nemici, la temerarietà fanciullesca e lasicurezza di sé, gli procurano la gloria militare (…) Non ha nessun piano; ha paura di tutto; ma i partiti si aggrappano a lui (…con la sua folle venerazione di se stesso, con la sua spavalderia nei delitti, con la sua capacità di mentire, lui solo può giustificare cò che deve accadere (…) il caso, milioni di casi gli danno il potere” Poi il successo lo priva della ragionevolezza e lo prepara “alla parte terribile che gli è assegnata. L’invasione si avventa a Oriente, raggiunge la meta finale: Mosca (…) Ma improvvisamente, al posto di quei casi e di quella genialità che in modo così progressivo lo hanno guidato finora con una serie interrotta di successi, verso lo scopo prestabilito, si profilano una quantità incalcolabile di casi contrari, dal raffreddore di Borodino al gelo e alla scintilla che incendia Mosca, e invece della genialità, appaiono una stupidità e una viltà senza paragoni (…) Il governo e l’esercito napoleonico sono distrutti. Lo stesso Napoleone non ha più alcun senso: tutte le sue azioni sono palesemente miserevoli e ripugnanti (Guerra e pace, pp. 1697-1701)

 Bologna 10 novembre 2018
giovanni ghiselli

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