Epicuro |
27 La vera gioia consiste nella virtù
Sola virtus praestat gaudium perpetuum, securum; etiam si quid
obstat, nubium modo intervenit , quae infra feruntur, vagano in
basso, nec umquam diem vincunt (3)
Un certo Calvisius Sabinus et patrimonium habebat libertini et
ingenium, aveva il patrimonio e il carattere del liberto. Non
ricordava nemmeno il nome di Ulisse nihilomĭnus eruditus volebas
videri (5) Allora comprò dei servi: magnā summā emit
servos, unum qui Homerum teneret, alterum qui Hesiodum, novem
praetera lyricis singulos adsignavit (Alcmane, Alceo, Stesicoro,
Anacreonte, Saffo, Simonie, Bacchilide, Pindaro)
A cena seccava gli ospiti ripetendo i versi che gli suggerivano gli
schiavi, ma spesso a metà di una parola inciampava.
Bona mens nec commodatur nec emitur (8) non si dà a prestito
né si compra, at mala cotidie emitur.
Una sentenza di Epicuro: divitiae sunt ad legem naturae composita
paupertas, la povertà conforme alla legge di natura è una
ricchezza.
28 I viaggi non giovano affatto a guarire le malattie dell’anima
Animum debes mutare non caelum ( 1). Sequentur te quocumque
perveneris vitia. Tecum fugis.
Fai come la Sibilla di Virgilio: bacchatur vates, magnum si
pectore possit-excussisse deum” (Aeneis, VI, 78). Questa
si agita habens in se spiritus non sui . Anche tu vadis huc
illuc ut excutias insidens pondus quod ipsa iactatione incommodius
fit , sicut in navi onera immota minus urgent (3)
Se sarai libero dal male, ogni luogo ti piacerà e potrai dire:
“patria mea totus hic mundus est” (4). Se stai bene, bene
vivere omni loco positum est (5). Tuttavia come ci sono luoghi
malsani ut loca gravia per la salute del corpo, ita
bonae quoque menti necdum adhuc perfectae et convalescenti
sunt aliqua parum salubria (6).
L’uomo savio malet in pace esse quam in pugna (7).
Triginta Tyranni Socraten circumsteterunt , nec
potuerunt animum eius infringere (8).
Quid interest quot domini sint? Servitus una est; hanc qui
contempsit in quantalibet turba dominantium liber est.
Una bella massima di Epicuro: “Initium est salutis notitia
peccati (…) deprehendas te oportet antequam emendes” (28, 9)
devi scoprirti in fallo prima di correggerti.
“Deprehendere si dice del cogliere o sorprendere qualcuno
nell’atto di fare qualche cosa; come termine giuridico “prendere
in flagrante”, Tale senso mal si presta alla diatesi riflessiva,
presupponendo un grado d’introspezione che non fu raggiunto da
nessuno scrittore latino, tranne Senreca (…) E’ vero che c’è
un precedente ovidiano-e Ovidio è, dopo Virgilio, il poeta più
valorizzato da Seneca. met, 3,428 s.” in medias quotiens
visum captantia collum-brachia mersit aquas, nec se deprendit in
illis;, ma si tratta di Narciso alla fonte, e il riflessivo
postula uno sdoppiamento esteriore, anche se illusorio”1
29 Non sempre i consigli sono opportuni
Verum (…) nulli nisi audituro dicendum est, la verità va
detta solo a chi è disposto ad ascoltarla.
Sapientia ars est, certum petat, punti a una meta precisa,
eligat profecturos, scelga quelli capaci di progredire, ab
iis quos desperavit recēdat, si allontani, non tamen cito
relinquat, ma prima faccia gli ultimi tentativi, et in ipsa
desperatione extrema remedia temptet (3)
Ancora Epicuro: Numquam volui populo placere; nam quae ego scio
non probat populus, quae probat populus ego nescio” (10)
Clamor et plausus pantomimica ornamenta (29, 12) grida
e applausi sono omaggi per pantomimi e il sapiente li sdegna.
30 Bisogna aspettare la morte con animo sereno
Prima pars est aequitatis aequalitas (30, 11), la prima parte
della giustizia è l’uguaglianza
Tunc trepidamus cum prope a nobis esse credimus mortem: a quo enim
non prope est, parata omnibus locis omnibusque momentis? (16)
Hostis alicui mortem minabatur, hanc cruditas occupavit,
un’indigestione la prevenne.
31 Non bisogna curarsi del giudizio del volgo
Unum bonum est, quod beatae vitae causa et firmamentum est, sibi
fidere (3).Labor bonum non est, la fatica, l’affaccendarsi
non è un bene, quid ergo est bonum? Laboris contemptio (4)
Quid ergo est bonum? Rerum scientia. Quid malum est? Rerum
imperitia (31, 6)
Parem autem te deo pecunia non faciet: deus nihil habet. Pratexta
non faciet: deus nudus est (Seneca, Ep. 31, 10).
Cfr. l’Eracle di Euripide
Ahimé: questo è secondario rispetto ai miei mali 1340;
ma io non credo che gli dèi amino letti che non sono leciti.
né ho mai considerato degno né crederò che attacchino lacci alle
braccia
né che uno sia padrone dell’altro.
Infatti il dio se è veramente dio, non ha bisogno
di nulla: queste sono povere favole di aedi. 1346.
Cfr. Seneca Ep. 110, 19
Contro i miti che attribuiscono vizi agli dèi
Cfr. questo rifiuto dei miti immorali con quello di Pindaro che
nega veridicità alla favola tràdita secondo la quale Pelope
sarebbe stato mangiato dagli dèi cui il padre Tantalo lo aveva
imbandito: “ Poiché tu eri sparito, né alla madre ti/portarono
gli uomini sebbene ti cercassero molto,/ subito uno dei vicini
invidiosi spargeva di nascosto la diceria/che ti avevano tagliato
membro a membro con il coltello/nel culmine bollente dell'acqua sul
fuoco,/e al momento dell'ultima portata sulle mense si / spartirono
le tue carni e le divorarono./Per me è inconcepibile
chiamare/ghiotto uno dei beati: me ne tengo lontano;/una perdita
tocca spesso ai malèdici. ( Olimpica I, vv. 45-54)
Nell'Olimpica
IX Pindaro
scrive:"diffamare gli dei è odiosa sapienza (ejpei;
tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra;
sofiva, vv. 37-38), con un
ossimoro che denuncia la critica filosofica dei miti, una lapidaria
affermazione di ultratradizionalismo che sarà ripresa dall'Euripide
postfilosofico o antifilosofico delle Baccanti
:"Il sapere non è sapienza"(v.395), canta il coro delle
menadi, quindi si augura di "tenere il cuore e la mente lontani
dagli uomini straordinari, per accettare quello che il popolo più
semplice pensa e crede"(vv. 427-432). Ebbene il tradizionalismo
aristocratico di Pindaro è meno lontano dalle credenze popolari che
dalla sapienza intellettualistica degli "uomini straordinari".
Del resto la spienza non è a portata di tutti ma è
"scoscesa"(Olimpica
IX, 108).
Dio non ha bisogno di niente
L’ idea della divinità che non ha bisogno di niente si ritrova nel
De rerum natura di Lucrezio: “ Omnis enim per se divum
natura necessest/immortali aevo summa cum pace fruatur/semota ab
nostris rebus seiunctaque longe./nam privata dolore omni,
privata periclis,/ipsa suis pollens opibus, nihil indiga nostri,/nec
bene promeritis capitur nec tangitur ira” (II, 646-651),
infatti ogni natura divina per sé deve fruire di un’età immortale
con pace suprema, lontana dalle nostre vicende e di gran lunga
distinta. Infatti preservata da ogni dolore, preservata dai pericoli,
potente da sola delle sue forze, per niente bisognosa di noi, non
viene accattivata dai nostri servizi buoni e non è toccata dall’ira.
Un biasimo per la povertà e la trascuratezza fisica veniva rivolto a
Socrate da Antifonte sofista il quale accusava Socrate di essere
maestro di miseria, ma egli ribatteva che "non avere bisogno di
niente è divino, di pochissimo è assai vicino al divino”2
Antifonte disse a Socrate che la sua filosofia non portava alla
felicità poiché lui faceva una vita che nemmeno uno schiavo
potrebbe sopportare:
mangi e bevi la roba più ordinaria, porti un mantello che non solo è
ordinario ma è il medesimo per l’estate e per l’inverno, e vivi
costantemente senza scarpe e senza tunica. Per giunta non prendi
denaro che porta gioia a chi lo acquista.
Dunque considera di essere un maestro di infelicità: nomivze
kakodaimoniva" didavskalo"
ei\nai (Memorabili, I, 6, 3)
Socrate risponde che non accettando denaro non è costretto a
frequentare nessuno.
I miei cibi sono ordinari ma li condisco con l’appetito, condito a
sua volta con il movimento.
Io che vivo esercitandomi anche fisicamente sono in grado di
sopportate il caldo il freddo, la fame meglio di te. Non c’è
niente di meglio che evitare la schiavitù del ventre e della
lascivia cercando i veri benefici. Io voglio diventare migliore e
acquistare amici migliori.
“Tu credi Antifonte che la felicità sia lussuria e lusso (trufhv,
polutevleia), ejgw; de; nomivzw to;
me;n mhdeno;" devesqai qei'on ei\nai, e siccome il divino
è il meglio, esserne vicino significa essere vicino al meglio (I, 6,
10).
Disce parvo esse contentus. Habemus aquam, habemus
polentam. Nihil desideres oportet si vis Iovem provocare nihil
desiderantem, sfidare Giove che nulla desidera
Haec nobis Attalus dixit, natura omnibus dixit.
Il bene è animus rectus, bonus, magnus. Bisogna chiamare un
tale uomo deum in corpore humano hospitantem (hospitor
sono accolto come ospite) un dio inquilino in un corpo umano (11)
Quid est enim eques romanus aut libertinus aut
servus? Nomina ex ambitione aut iniuria nata (31,
11).
32 Esortazione alla filosofia
Multum autem nocet etiam qui moratur, ci arreca grave danno
anche chi ci fa perdere tempo, utĭque in tanta brevitate vitae
quam breviorem incostantiā facimus (2).
Opto tibi tui facultatem (cfr. facilis, e facio),
desidero che tu sia padrone di te stesso (5).
CONTINUA
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1
A. Traina, Lo stile “drammatico” del filosofo Seneca,
Patron, Bologna 2011, p. 16
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