Maria Callas / Medea di Pasolini |
Medea 741-851
Medea torna in scena
e rinnova la preghiera nera alle forze del male: il Chaos coecum , i
criminali del Tartaro, Ecate pessimos induta vultus (752) Il mondo
deve cadere nella confusione: pariterque mundus lege confusa aetheris/et
solem et astra vidit (vv.
757-758), e il mondo, confusa ogni legge del firmamento, ha visto
contemporaneamente il sole e le stelle.
La confusione dell' incesto di Edipo è stata portata a livello cosmico:
di nuovo Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta (
Oedipus, vv. 366-367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al
suo posto; ma tutto è invertito.
Cfr. Timone d'Atene: "All's obliquy;/there's nothing level in our
cursed natures/but direct villainy" (IV, 3), tutto è distorto; nulla è
in sesto nella nostra natura maledetta, se non la diretta scelleratezza.
Medea, al pari di Erichto della Pharsalia
di Luvano è congiurata con il Caos "innumeros avidum confundere
mundos" (VI 696), avido di confondere innumerevoli mondi. La
confusione è il male universale voluto dai malvagi.
Cfr. Paflagone nelle Rane e
Cicikov nelle Anime morte di Gogol.
Ecate, la dea
infernale prediletta da Medea, ompare anche tra le streghe del Macbeth quale
signora dei loro incantesimi
p. 98 del percorso Ecate
si rivolge alle streghe (the weird women,
the weird sisters, le donne, le
sorelle fatali) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo
ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all
harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?"
(III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta
progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte,
o a mostrare la gloria dell'arte nostra?
La maga ferisce se
stessa per prefigurare l'assassinio dei propri figli. Si taglia la carne delle
braccia e versa il sangue: “manet noster
sanguis ad aras” (v. 807), scorra il nostro sangue sugli altyari!
Il veleno della veste e il fuoco prometeico
dei monili. La sfrontata Hecate accoglie la preghiera con tre latrati:"ter
latratus/audax Hecate dedit" (vv. 843-844). Quindi Medea invia con i
doni funesti i figli, nati da madre maledetta: :"Ite, ite, nati, matris
infaustae genus " (v. 845) p. 99 percorso
La parola "madre" si capovolge: da
rassicurante diviene la più inquietante. Le Coefore di Eschilo e il Faust
di Goethe. Joyce[1],
Shakespeare, Seneca, e l'annientamento dei rapporti familiari. Noverca è
la Fedra
di Seneca, e pure Livia, l'ultima moglie di Augusto.
Il coro (852-867) deplora l'ira di
Medea il cui volto si trascolora (vv. 856-859), come la fiamma-arcobaleno nell'Oedipus
(vv. 314 sgg.). Ira e amore hanno sconvolto l'anima di Medea.
Cfr. la dira cuppedo del De rerum natura con la voluptas
admixta dolore (IV, 1084-1090) mescolata di dolore p. 101 percorso
Quinto atto
(880-1027).
Il Nunzio, il Coro, la Nutrice , Medea
La morte del re e
della figlia:"Gnata atque genitor cinere permixto iacent". (v.
869). ). Il crimine come la peste sconcia le persone e confonde le identità.
Sono stati presi
dalla consueta frode "qua solent reges capi: donis" (v. 870,
risponde il Nunzio al coro che aveva domandato quā fraude capti?). p. 103 percorso
Come Policrate di
Samo che venne attirato in un tranello da Orete satrapo di Sardi: iJmeivreto ga;r
crhmavtwn megavlw" (
Erodoto III, 123).
Euripide attribuisce
l'errore piuttosto alla vanità femminile di Creusa la quale provava ribrezzo
per i figli di Medea ma vedendo i doni non si trattenne : wJ" ejsei'de
kovsmon, oujk hjnevsceto, Medea,
v. 1156.
Medea non vuole
fuggire ma assistere a nozze inaudite: nuptias specto novas! (v.
883).
Cfr.Le incognitae
libidines di Messalina: iam
facilitate adulteriorum in fastidium versa, ad incognitas libidines profluebat
( Annales, XI, 26) p. 105 percorso.
Medea vuole abolire ogni fas e pudor.
I delitti compiuti
fino a quel momento sono stati atti di pietas in confronto alle azioni che
Medea sta per compiere:"quidquid admissum est adhuc pietas
vocetur! " (v.905). Medea raggiunge la pienezza della propria identità
attraverso i delitti: Medea nunc sum; crevit ingenium malis (v. 910).
Deianira nell' Hercules
Oetaeus la prende come modello per superarla. Cfr. gevnoio oi|oς ejssiv di Pindaro (Pitica II, 72)
Medea si vanta di
essere una professionista del crimine:"Ad omne facinus non rudem
dextram affĕres "(
v.915) ad ogni delitto spingerai una destra non inesperta, dice a se
stessa.
La mano
dell'assassino: le Coefore, la Fedra e l'Hercules furens
di Seneca, il Macbeth. Pp. 107-108 del percorso
Il Giasone di
Euripide che fa quanto ritiene più conveniente (Medea v. 876: dra'/ ta; sumforwvtata) è confrontabile con i personaggi di Ibsen
che obbediscono alla logica del mercato secondo Alonge. Nella Donna del mare
Hilde è una adolescente ma ragiona già in base al computo dei soldi. La sorella
le chiede all'improvviso se accetterebbe una eventuale proposta di matrimonio
di Lyngstrand, e Hilde è prontissima a ribattere:"Per carità! Non ha un
soldo. Non ha da vivere nemmeno per se solo"[2].
In ogni caso: quod
quisque fecit patitur
auctorem scelus/repetit ( Hercules furens, (vv. 735-736) ciò che ciascuno ha fatto
lo patisce: il delitto ricade sull'autore E' Teseo che parla.
Questi
versi contengono la legge del contrappasso espressa anche da Esiodo e da
Eschilo.
Nelle
Opere leggiamo :" a se stesso apparecchia il male l'uomo che lo
prepara per un altro oi| g&
aujtw'/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn" (v.265), e il pensiero cattivo è pessimo per chi
l'ha pensato.
Nel
doloroso canto (Commòs ) che precede l'epilogo dell'Agamennone di
Eschilo il Coro dice queste parole:"paga chi uccide (ejktivnei d j oJ kaivnwn)./Rimane saldo, finché Zeus rimane nel
trono/che chi ha fatto subisca: infatti è legge divina"( mivmnei de; mivmnonto~ jen qrovnw/ Diov~-paqei`n
to;n e[rxanta: qevsmion gavr”,
vv. 1562-1565).
Tommaso
d’Aquino: “ut secundum quod aliquid fecit
patiatur” (S. Theol. II, II, 61,
4)
Nell’Inferno di Dante (cerchio VIII, nona
bolgia) Bertram del Bornio (XII secolo) è punito con Maometto tra i seminatori
di discordia. Ha spinto il figlio (Enrico III d’Inghilterra) a odiare il padre
(Enrico II) e regge con una mano la testa staccata dal busto: “Così osserva in
me lo contrappasso” (Inferno, XXVIII,
142).
La reputazione p.
111 percorso. Le due vie della rinomanza: quella di Medea, violenta con i
nemici (Medea di Euripide: barei'an ejcqroi'", 807)
e quella di Alcesti, ottima sposa: gunh; t j ajrivsth tw'n uJf j hJlivw/, makrw'/ ( Alcesti, v. 151), la migliore sotto
la luce del sole, di gran lunga.
Socrate nel Critone e il dottor
Stockmann di Un nemico del popolo di
Ibsen non si curano dell'opinione dei più.
Medea non gode di
buona fama: nell'Epodo 16 di Orazio è l'impudica Colchis. P.
113 percorso
p. 115 del percorso Medea è combattuta (cor
fluctuatur, v. 932 con metafora marina) ma la parte emotiva prevale su
quella razionale. Il dolor l'odium e l'ira prevalgono, la pietas
soccombe: ira, quā ducis sequor, v. 942. Vorrebbe essere la Tantalide Niobe
per avere 14 figli e ammazzarli tutti.
Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav,-qumo;"
de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-oJvsper megivstwn ai[tio" kakw'n
brotoi'"" ( vv.
1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei
ragionamenti è la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali",
dice la Medea
di Euripide nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere
i figli.
p. 116 Appare la turba
Furiarum impotens (v. 947), la folla scatenata delle Furie. Poi l'ombra del
fratello chiede vendetta, e Medea risponde ammazzando il primo figlio: victima
manes tuos placamus ista (v. 960). P. 117 percorso
Medea sente un
fragore e sale sul tetto del palazzo.
Quindi arriva
Giasone (v. 967), e la madre assassina dice di avere recuperato il regno e la
verginità: rediēre regna! rapta virginitas redit! (v. 973). Poi la donna
pregusta una voluptas magna: il marito si è aggiunto quale spectator
: deerat hoc unum mihi/, spectator iste (vv. 981-982 cfr. la vita come
teatro). Giasone, che prima non ha avuto la dignità prometeica di rivendicare
la sua scelta, soltanto ora, per salvare un figlio, supplica la donna
abbandonata dichiarandosi colpevole lui solo: si quod est crimen, meum est
(v. 993). Medea affonda le armi nella ferita dell'uomo. Se c'è ancora qualche
residuo di figlio in me, afferma "scrutabor ense viscera, et ferro
extraham" (v. 1002). Cfr. l’urlo isterico di Lady Macbeth, I, 7: ho dato il latte ma se avessi giurato come te,
avrei fatto schizzare viail cervello al bambino dopo avere strappato il
capezzolo dalle gengive.
Quindi Medea uccide
il secondo bambino, ma adagio, per accrescere il dolore di Giasone: perfruere
lento scelere; ne propĕra, dolor! (1005). Ora la missione è compiuta: bene
est: peractum est (v. 1008). Medea è diventata quello che è: coniugem
agnoscis tuam? (1010). Il suum esse del De brevitate vitae[3] è
rivendicato da Medea in tutta la tragedia:" In questa rapina rerum
omnium (Marc . 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica
l'instabilità della condizione politica, resta come unico punto fermo, come
unico bene inalienabile il possesso della propria anima" afferma Traina[4].
Poi Medea sparisce
su un carro sollevato da draghi alati.
Sentiamo le sue ultime parole :"Misereri iubes./ Bene est: peractum est.
Plura non habui, dolor,/quae tibi litarem. Lumina huc tumida adleva,/ingrate Iason! Coniugem agnoscis tuam?/Sic
fugere soleo. Patuit in coelum via:/squamosa gemini colla serpentes
iugo/summissa praebent. Recipe iam gnatos, parens;/Ego inter auras aliti curru
vehar" (vv.
1018-1025), mi chiedi di avere pietà. Va bene: la missione è compiuta. Non
avevo altre vittime da sacrificarti, tormento. Solleva qua gli occhi gonfi,
ingrato Giasone. Riconosci tua moglie? Di solito fuggo così: La via è aperta
verso il cielo: due draghi sottomettono i colli squamosi al giogo. Ora
riprenditi i figli, padre; io andrò per l'aria con il carro alato.
Il padre privato dei figli chiude
la tragedia gridando all'assassina di attestare che per dove passa non esistono
gli dèi: "per alta vade
spatia sublimi aetheris,/ testare, nullos esse, qua veheris, Deos" (v.1026-1027), va' per gli
alti dell'etere sconfinato, attesta che dove tu passi non ci sono gli dèi.
"E'
l'antiapoteosi finale"[5].
FINE
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