Guy Fawkes Night |
“Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o ‘Guy
Fawkeses’. La parola significa letteralmente ‘medicine umane’, ovvero ‘capri
espiatori’[1].
Murray allude ai fantocci di Guy Fawkes che vengono
bruciati in Inghilerra la notte del 5 novembre. Ricordano il terrorista cattolico
che nel 1605 organizzò la cosiddetta Congiura
delle polveri per far saltare in aria il Parlamento con il re Giacomo I.
Scoperto, venne giustiziato.
Guy Fawkes – Londra, 31
gennaio 1606)
è stato un militare
e cospiratore
inglese.
Noto anche sotto gli pseudonimi di Guido Fawkes (talvolta scritto anche Faux) e John Johnson,
era membro di un gruppo di cospiratori cattolici
inglesi
che tentarono di assassinare con un'esplosione
il re Giacomo I d'Inghilterra e
tutti i membri del parlamento inglese riuniti
nella Camera dei lord per l'apertura delle
sessioni parlamentari dell'anno 1605, passato alla storia come la congiura delle polveri. Il
5 novembre 1605 il complotto fu scoperto e i trentasei barili di polvere
da sparo furono disinnescati. Da allora ogni 5 novembre i bambini
del Regno
Unito vanno in giro per il paese con dei fantocci, recitando una filastrocca
che ringrazia Dio per aver salvato il re dall'attentato e a chiedere soldi ai genitori
per comprare i fuochi per il falò, in cui vengono bruciati i fantocci nella
simbolica ripetizione dell'esecuzione dei congiuranti. La celebrazione è nota
con il nome di Guy Fawkes Night, ovvero la notte di Guy
Fawkes.
Ora
sentiamo J.P. Vernant: “L’altra faccia di Edipo, complementare e opposta (il
suo aspetto di capro espiatorio), non è stata così nettamente evidenziata dai
commentatori. Si è bensì visto che Edipo, al termine della tragedia, è cacciato
da Tebe come si espelle l’homo piacularis,
al fine di “allontanare la macchia”, to; a[go~ ejlauvnein[2]… Tebe soffre di
un loimov~ che si manifesta
con lo schema tradizionale con un isterilimento delle fonti della fecondità: la
terra, gli armenti, le donne non procreano più, mentre una pestilenza decima i
viventi… E’, come si sa, ciò che si produsse ad Atene, nel VII secolo, per
espiare l’empia uccisione di Cilone, quando si cacciarono gli Alcmeonidi,
dichiarati impuri e sacrileghi, ejnagei`~ kai; ajlithvrioi[3]. Ma esiste pure,
ad Atene come in altre città, un rito annuale che mira ad espellere periodicamente
la macchia accumulata durante l’anno trascorso. “E’ usanza ad Atene-riferisce
Elladio di Bisanzio- portare in processione due farmakoiv in vista della purificazione, uno per gli
uomini, l’altro per le donne…”[4].
Secondo la leggenda, il rito troverebbe origine nell’empia uccisione commessa
dagli Ateniesi di Androgeo il Cretese: per cacciare il loimov~ fatto scoppiare
dal delitto, si istituì l’usanza di una purificazione costante con i farmakoiv. La cerimonia
aveva luogo il primo giorno della festa delle Targhelie, il 6 del mese Qarghliwvn[5]. I due farmakoiv, ornati di
collane e fichi secchi (neri o bianchi secondo il sesso che rappresentavano)
venivano portati in giro attraverso tutta la città; li si colpiva sul sesso con
bulbi di scilla, con fichi e altre piante selvatiche[6],
poi si espellevano; può anche darsi che, almeno alle origini, fossero messi a
morte per lapidazione, i cadaveri bruciati, le ceneri disperse[7].
Com’erano scelti i farmakoiv?
Tutto
lascia pensare che li si reclutasse tra la feccia della popolazione, tra i kakou`rgoi, gentaglia che i
loro misfatti, la loro bruttezza fisica, la loro bassa condizione, le loro
occupazioni vili e ripugnanti designavano come esseri inferiori, degradati, fau`loi, il rifiuto della
società.
In
conclusione, il v. 3 della tragedia prefigura la sorte di Edipo che verrà
allontanato da Tebe in quanto mivasma, homo
piacularis che contamina la città.
Oltre
che da Plutarco, traggo l'idea dallo studio di J.P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento. Sulla struttura enigmatica
dell'Edipo re, compreso nel volume Mito
e tragedia nell'antica Grecia (pagg.105-106).
L'autore afferma pure (pag.112) che"la
simmetria del farmakov" e del re
leggendario, con il primo che assume dal basso un ruolo analogo a quello che il
secondo interpreta dall'alto, chiarisce forse un'istituzione come
l'ostracismo".
Tale
interpretazione viene confutata da V. Di Benedetto in Sofocle (pag.131). Egli sostiene che Edipo non viene espulso quale
"homo piacularis", bensì "costretto a ritornare nella sua casa,
e per volontà di Creonte, il quale alla fine della tragedia viene presentato
come l'effettivo detentore del potere a Tebe". Ribattiamo che Creonte
preannuncia al re degradato il bando prescritto dagli dei e oramai coincidente
con la volontà del cieco, tanto che il cognato-zio gli risponde:"toigarou'n teuvxh/
tavca,
quindi presto lo otterrai"(v.1519).
Non
a torto U. Albini, in Interpretazioni teatrali da Eschilo ad Aristofane del
1972 (p.17) afferma che nell'Edipo re "tutto è preparato sin dall'inizio,e
una volta preso l'avvio, l'azione si svolge senza interruzione, precipita alla
sua conclusione desolante". Del resto l'idea del capro espiatorio si trova
anche tra i Romani i quali il 14 marzo cacciavano dalla città a colpi di
bastone un uomo vestito di pelli rappresentante Mamurio Veturio, ossia il
vecchio Marte; "ceremonia analoga-commenta G. De Sanctis nella Storia dei Romani (I vol., p. 263) -a
quella con cui presso altri popoli si rappresenta la cacciata dell'inverno o
del vecchio anno".
vv.4-5
povli"...
stenagmavtwn:"la
città è piena tanto del fumo dei sacrifici,/quanto di preghiere, quanto di
gemiti". -gevmei: la
città ridonda di vapori, non di autentico spirito religioso, e risuona di
pianti.
Il
primo coro dell’Oedipus di Seneca
lamenta la peste:"stat gravis
strages, premiturque iuncto/funere funus" (Oedipus, vv.
131-132), sta dritta la pesante strage, e il funerale è incalzato dal funerale
consecutivo.
Nel decadere della vita dunque sta in piedi
solo la strage, il mucchio di morti.
La
città di Tebe è diventata una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor
country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who
knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that
rend the air, are made, not marked " (IV, 3), povera terra!…non può
essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non
conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano
l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E' ancora il nobile Ross che parla.
-qumiamavtwn:
genitivo di abbondanza, retto da gevmei. Anche nella Repubblica di Platone(373a) qumiavmata, nel senso di profumi, impregnano
la città affetta da infiammazione (flegmaivnousan povlin, 372e).
paiavnwn: il
peana di solito è un canto di vittoria o di buon augurio (cfr. p. e. Agamennone, 246-247) ma qui e in pochi
altri esempi (Alcesti ,vv. 423-
424:"ajnthchvsate/pai'ana tw'/ kavtwqen
ajspovndw/ qew'/",
intonate il peana all'inesorabile dio di laggiù) significa preghiera funebre.
Tebe
è viva solo perché si lamenta e piange come Nagg in Finale di partita di Beckett: "Piange. Dunque è vivo".
A Tebe, abbandonata dagli dei, la vita che
produce e riproduce si è paralizzata: le femmine non generano figli e la terra
non dà frutti.
Plutarco cita questi due versi in Peri; deisidaimoniva", 9, come
rappresentativi dell'anima del superstizioso.
vv.6-8.
aJgw;... kalouvmeno"/ :"ed
io ritengo giusto ascoltare queste disgrazie, o figli, non da messaggeri,/ da
altri, e sono venuto qua in persona,/io noto a tutti, chiamato Edipo". -aJgw;: crasi
di aJv
ejgwv.
-mh;: è la
negazione soggettiva che esprime la volontà di chi parla, mentre ouj è quella
oggettiva.-a[llwn:
dipende, come ajggevlwn, da ajkouvw. Nella
mia traduzione non è considerato aggettivo riferito ad ajggevlwn, bensì
pronome, per mettere in risalto l'individualità e la sollecitudine di Edipo il
quale si presenta al suo popolo in persona (aujtov", ipse), onde ascoltarlo direttamente,senza intermediari. Egli appare
subito amantissimo della sua gente, eppure fin da questi primi versi, manifesta
un'inclinazione colpevole al narcisismo, al protagonismo, al culto della
propria persona: oJ pa'si kleinov". Eccessiva considerazione di sé è
dismisura e uJvbri". Sofocle,
poeta "religiosissimo"(Perrotta, I
tragici greci, p.131) non può suggerire che gli dei mandino in rovina un
innocente.
vv.9-10. ajll&... kaqevstate: "su
vecchio, racconta, poiché sei adatto/a parlare per questi:in quale modo siete
disposti...
-prevpwn e[fu": si
addice(prevpei=lat. decet) al vecchio sacerdote, con
riferimento alla sua fuvsi" (e[fu", aoristo III, intransitivo di fuvw) di
anziano e ministro del culto, parlare pro; tw'nde, espressione che condensa diversi
significati: a vantaggio di questi, a nome di questi, davanti a questi.-
Edipo
conosce la situazione (cfr.v.58), ma vuole farsela rammentare ad alta voce,
davanti a tutti, anche perché ricordino quanto è bravo e ripongano in lui ogni
speranza di salvezza (cfr.vv.33-39). -tivni trovpw/: cfr., con leggera variazione,Antigone , v. 401, dove il tiranno
Creonte domanda con ansia alla guardia che gli porta la ragazza
prigioniera:"In quale modo(tw'/ trovpw/) conduci questa, e da dove l'hai
presa?".
kaqevstate:
perfetto misto, intransitivo, con significato di presente da kaqivsthmi=dispongo.
Nel
verso 10 c'è un dattilo in terza sede.
vv.11-13.
deivsante"...
e[dran:
"avendo concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare/io ad
aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano/se non avessi compassione di tale
seduta. -deivsante"
h[
stevrxante"; participi
aoristi da deivdw
=
temo, e stevrgw
=
amo: c'è un riferimento all'ambivalenza affettiva del popolo verso il suo re,
come del figlio verso il padre. -qevlonto" a[n è apodosi participiale senza la
protasi della possibilità, la condizionale. Infatti a Edipo manca la condizione
per aiutare i tebani: la purezza (cfr. v.864); anzi è lui stesso il mivasma che
contamina la terra, e soltanto andando via, negandosi come re, potrà
risollevarla. -mh;
e
ouj in
sinalefe contano per una sola sillaba. La negazione è doppia poichè
nell'apodosi ne compare già una (il du"-- di dusavlgeto").
vv14-30.
Il vecchio sacerdote presenta se stesso e
gli altri supplici: tutti significativi della debolezza del popolo che intanto
siede incoronato nelle piazze aspettando l'aiuto degli dei e del re.
Quindi
l'anziano iJereuv" descrive la peste come gorgo sanguigno
che risucchia le forze vitali e impedisce la riproduzione; intanto Ares
imperversa uccidendo con il ferro e con il fuoco, e la città flagellata da
tanti mali si svuota delle persone che muoiono e vanno ad arricchire di gemiti
e lamenti il regno del nero Ades.
CONTINUA
[1] G.
Murraty, Le origine dell’Epica Greca,
p. 24.
[2] Su Edipo a[go~
, cfr. 1426; ed anche 1121, 656, 921; coi commenti di Kamerbeeck, op. cit., a
questi passi.
[3] Erodoto, V, 70-71; Tucidide I,
126-127.
[4] Fozio, Biblioteca, p. 534 (Bekker); cfr. Esichio, s. v. farmakoiv.
Fozio (IX sec. d. C.) è autore di un Lessico e di una Biblioteca, raccolta di
recensioni e impressioni di opere in gran parte perdute.Esichio di Alessandria
(V sec. d. C.9 è autore del più esteso lessico greco a noi pervenuto.
[5] Il 6 di Targhelione, giorno della
nascita di Socrate, è, ci dice Diogene Laerzio (II 44), quello in cui gli
Ateniesi “purificano la città”. Era verso la fine di aprile.
[6] Fozio, op. cit; Esichio, s. v. kradivh~ novmo~; Tzetze, Chiliadi
V 729; Ipponatte, fr. 4 e 5, Bergk.
[7] Scolio a Aristofane, Rane, 730;
Cavalieri, 1133; Suda s. v. farmakouv~ ; Arpocrazione, citando Istro, s.
v. farmakov~; Tzetze ChiliadiV 736.
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