busto di Menandro, epoca romana |
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La commedia nuova. Menandro,
Il Dyskolos, Gli Epitrepontes.
Menandro di Atene (342
- 291) è il principale autore della Commedia Nuova.
Questa, in una
tripartizione fatta dopo Aristotele, il quale nell'Etica Nicomachea distingue solo l'Antica dalla Nuova, è preceduta
da una fase intermedia che costituisce la Commedia di mezzo, caratterizzata
dalla parodia mitologica e, quindi, dall'abbandono dei temi collettivi e
politici del dramma di Aristofane.
Ma forti segni di
cambiamento sono già presenti nei suoi ultimi lavori: le Ecclesiazuse (del 392) e il Pluto
(del 388) non hanno la parabasi e presentano le parti corali ridotte a semplici
intermezzi.
Questo significa che
la commedia agli inizi del IV secolo ha preso quella strada dell'impoliticità
che la distingue dal dramma del periodo precedente. Del resto il processo di
riduzione del peso del coro comincia già con Eschilo, secondo Nietzsche. Comunque
manteniamo lo schema ternario che risale ai grammatici dell'età di Adriano, probabilmente
sulla scia di quelli Alessandrini, e datiamo la Commedia di mezzo negli anni
compresi fra il 385 e il 330.
Aggiungiamo una
triade di nomi per fare il verso a Orazio: Alessi (che sarebbe stato zio di
Menandro), Antifane e Anassandride.
Di questi autori ci
restano solo frammenti dai quali si individuano, oltre le parodie mitologiche
di cui si è detto, anche scene di vita quotidiana, mentre si riduce ancora la
partecipazione del coro all'azione, in quanto i canti corali tendono a
diventare solo intermezzi ([embovlima),
e spariscono gli attacchi personali a uomini politici, sostituiti da filosofi, soprattutto
pitagorici e accademici.
Del resto questo
elemento non mancava in Aristofane, come abbiamo visto dalle Nuvole Inoltre si sviluppano i tipi fissi quali il soldato gradasso
e sbeffeggiato che d'altra parte ha un precedente nel Lamaco degli Acarnesi. Anche la parodia mitologica
non mancava nella Commedia Antica: Aristofane nelle Rane rappresenta Dioniso che fugge terrorizzato tra le
braccia del suo sacerdote (v. 297) e che viene apostrofato dal servo Xantia con:
"
oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!" (v. 487).
Il
dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (479).
Le
corrispondenze tra questi presunti innovatori e il vecchio Aristofane non sono
finite: Antifane in un frammento proclama beati i tragediografi i quali non
devono inventare la trama dei loro drammi poiché la prendono già tessuta dal
mito e quando si trovano negli impicci ricorrono al deus ex machina, mentre i poveri commediografi devono creare tutto ex novo.
Si
ricorderà che il poeta delle Nuvole rivendica,
senza lamentarsene, la propria eccezionale inventiva e laboriosità.
Anassandride
fece drammi con intrighi amorosi.
Di
Alessi ricordiamo la commedia intitolata Lino
che narra un caso avvenuto al mitico citarista che dava lezioni a Eracle e
voleva fargli leggere i poeti, mentre lo scolaro affamato era attratto solo da
un libro di cucina.
Non
mancano nel repertorio di questi poeti il travestimento derisorio di tragedie
note, soprattutto di Euripide che, presente nei drammi di Aristofane come
bersaglio polemico, diviene il modello prediletto da tutti i commediografi
successivi.
Alla
parodia del mito fa cenno Aristotele in Poetica
1453b dove dice che il lieto fine che asseconda i desideri del pubblico è
proprio della commedia: "lì, quelli che nel mito sono ostilissimi, come
Oreste ed Egisto, alla fine escono divenuti amici, e nessuno viene ammazzato da
nessuno".
La
Commedia Nuova (databile dal 325 alla metà del III secolo) è più conosciuta sia
per le recenti scoperte papirologiche di testi di Menandro sia per i
rifacimenti latini di drammi degli altri due della triade: Filemone e Difilo, contemporanei
del primo. In questo caso però dobbiamo aggiungere almeno un paio di nomi
poiché Terenzio prese come modelli del Phormio
e dell' Hecyra due commedie di Apollodoro
di Caristo (Colui che reclama e la Suocera).
Plauto
per l'Asinaria utilizzò l'Asino selvatico di Demofilo, entrambi posteriori
a Menandro di una trentina d'anni.
In
questa terza fase, il coro non prende nessuna parte all'azione ma riempie gli
intervalli con canti e danze; gli attacchi personali sono sempre più rari e
innocenti, in quanto indirizzati soprattutto a etère e parassiti. Rimane però
un tratto caratteristico della Commedia antica: quello di un personaggio che si
rivolge agli spettatori invocati come testimoni o giudici.
Il modello di questi autori è più che mai
Euripide: al punto che Filemone "voleva farsi subito impiccare, soltanto
per poter visitare Euripide nel mondo infero: purché potesse essere veramente
persuaso che l'estinto conservava ancora laggiù le sue facoltà
intellettuali".
Sono
parole di Nietzsche il quale in La
nascita della tragedia (11) parla della commedia nuova, "che venerava
nella tragedia la sua precorritrice e maestra", come di una "figura
degenerata" del dramma euripideo e spiega: "Dato questo legame che
intercorre fra le due forme è comprensibile l'appassionata simpatia che i poeti
della nuova commedia sentivano per Euripide... Ma volendo indicare con la
massima brevità... ciò che Euripide ha di comune con Menandro e Filemone e che
cosa agì su di loro come modello e li spronava all'imitazione, basterà dire che
Euripide ha portato sulla scena lo spettatore... la maschera fedele della
realtà. L'uomo comune penetrava attraverso lui sulla scena; lo specchio in cui
prima non apparivano che tratti grandiosi e audaci ora mostrava soltanto quella
penosa fedeltà che riproduce coscienziosamente anche i tratti non riusciti
della natura. Odisseo... decadde sotto le mani dei nuovi poeti fino ad assumere
la figura del greculo, che d'ora in poi starà al centro dell'interesse
drammatico come schiavo domestico bonario e scaltro.
Ciò
che Euripide ascrive a proprio merito nelle Rane
di Aristofane", quando si vanta di avere reso snella la tragedia (v. 941),
" e cioè di avere liberato, con le sue ricette casalinghe, l'arte tragica
dalla sua pomposa corpulenza, si sente soprattutto nei suoi eroi tragici.
Ora
lo spettatore vedeva e sentiva sulla scena quasi un proprio fedele
doppione".
Tale
realismo dunque può definire anche i poeti della Commedia nuova, tanto che il
filologo Aristofane di Bisanzio,
prefetto della grande biblioteca di
Alessandria vissuto tra il III e il II secolo, ebbe a domandare: "w\ Mevnandre kai; bive
povtero" a[r uJmw'n povteron ajpemimhvsato;" o Menandro, o vita, chi di voi due ha imitato l'altro? Sono parole
echeggiate da Cicerone che nella Repubblica
(IV, 13) definì la commedia: "imitatio
vitae, speculum consuetudinis, imago veritatis ".
E'
opportuno a questo punto un excursus su Oscar Wilde il quale in La decadenza della menzogna (del 1889) dà
la risposta paradossale a questa domanda retorica: "la vita imita l'arte
assai più di quanto l'arte imiti la vita... Un grande artista inventa un tipo, e
la vita tenta di copiarlo, di riprodurlo in forma popolare... I greci, con il
loro rapido istinto artistico, capirono questo, e mettevano nella stanza della
sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché ella potesse generare figli
altrettanto ben formati delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel
dolore. Sapevano che la vita non solo guadagna dall'arte la spiritualità, la
profondità del pensiero e del sentimento, il turbamento o la pace dell'anima, ma
che essa può formarsi sulle stesse linee e colori dell'arte, e può riprodurre
la dignità di Fidia come la grazia di Prassitele... Schopenhauer ha analizzato
il pessimismo che caratterizza il pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il
mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica.
Il
nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va al patibolo senza
entusiasmo, e muore per quello in cui non crede, è un prodotto puramente
letterario. Esso fu inventato da Turgenev e completato da Dostoevskij" (pp.
222 - 224).
continua
continua
Bello e interessante. Giovanna Tocco
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