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Nella commedia L'arbitrato (Epivtreponte") troviamo un vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il
protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento
alla reputazione (ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale
della moglie è stato un "infortunio involontario" (ajkouvsion gunaiko; "
ajtuvchm j, v. 594).
Qui la tradizione è
presente e, nello stesso tempo, rinnovata: la reputazione (dovxa) infatti è quella tradizionale: Solone nella Elegia alle Muse chiede loro benessere
(o[lbo", v. 3) e, appunto, una reputazione buona (dovxa ajgaqhv, v. 4). per essere degno di rispetto (aijdoi'o", v. 6). Pindaro agli atleti augura benessere
e buona reputazione.
Carisio allora
ripropone la formula antica, ma poi la supera con quell"io l'uomo senza
peccato, ti"
ajnamavrthto", che anticipa
il Vangelo di Giovanni: "chi di
voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto"
uJmw'n prw'to" ejp& aujth; n balevtw livqon, qui sine peccato est vestrum, primus in
illam lapidem mittat (VIII, 7).
Questa non è una posizione realistica, conclude Del Grande, poiché i mariti
borghesi non erano, né sono, come Carisio; Menandro dunque, messi da parte gli
eroi del mito, ne crea altri più umani i quali comunque arrivano alla
comprensione attraverso la sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v. 177) di Eschilo.
“Carisio, ad udire
le parole tanto umane d’una sposa offesa, cede alla commozione. Guarda a sé
stesso, al modo come ha agito, e si confessa colpevole: un vero momento di mavqoς tragico»[1].
Sempre per quanto
riguarda la comprensione, è interessante quello che dice la giovane sposa
Panfile al padre Smicrine:
"se non riesci
a persuadermi mentre mi vuoi salvare
puoi essere
giudicato un padrone invece che un padre (oukevti path; r krivnoi j ajlla; despovth")
" (510 - 511).
Un'affermazione moderna che ha avuto un
seguito fino ai nostri giorni (penso al libro di G. Ledda, e al film derivatone,
Padre padrone) ed ha un riscontro
puntuale in Terenzio che negli Adelphoe
fa dire al buon educatore Micione:
"Hoc patriumst, potiu' consuefacere filium
sua sponte recte facere quam alieno metu:
hoc pater ac dominus
interest. Hoc qui nequit
fateatur nescire imperare liberis " (74 - 77), questo è dovere del padre,
abituare il figlio a comportarsi bene per volontà sua piuttosto che per paura
degli altri: in questo il padre differisce dal padrone. Chi non sa fare questo,
ammetta di non saper guidare i figlioli.
“Si richiede tatto
psicologico non solo nei confronti del prossimo, ma anche nei confronti di se
stessi. Nella commedia più delicata e più bella di Menandro, gli Epitrepontes, il cui intreccio può
essere in qualche modo ricostruito, tutto si svolge in modo che infine un
giovane si renda conto del misfatto che ha commesso. Ubriaco, ha usato violenza
a una fanciulla che poi sposa senza sapere di averla già incontrata. Quando
nasce un figlio prima del tempo, com’egli crede, si adira contro la moglie
finché deve scoprire che l’unica persona meritevole della sua indignazione
morale è lui stesso. Come Admeto in Euripide, acquista coscienza della propria
situazione e riconosce che le sue grosse parole non erano altro che parole. Così
osserva a suo modo l’antico ammonimento delfico: conosci te stesso. Ma non è un
Tantalo che nella sua hybris selvaggia ha ignorato il confine tra potere
umano e divino, né un Edipo, che nelle sue oneste aspirazioni confidava nel
proprio sapere, e neppure un Admeto, che non riconosceva un imperativo a lui
posto: è un giovane borghese innocuo che senza un proposito, senza un’idea, a
anzi senza vera coscienza, essendo ubriaco, è caduto vittima della debolezza
umana. La grandezza di Menandro sta nello sviluppare caratteri umani, con le
loro reazioni psicologiche, da temi così inconsistenti (…) i poeti più antichi
erano spinti a comporre da motivi di contenuto: conservare vivo il ricordo di
grandi gesta, scoprire una verità, indagare la virtù ecc (…) Dopo l’intermezzo
democratico, con la fioritura ateniese della tragedia e della commedia, i poeti
dovevano di nuovo dimostrare il loro talento alle corti dei monarchi…E come
Menandro essi rinunciano al pathos, ai programmi morali, all’impegno politico, e
osservano con sorridente comprensione il comportamento degli uomini”[2].
fine
Giovanna Tocco
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