Pan mosaico romano |
PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA
Ma
passiamo ad esaminare il Misantropo (Duvskolo"), un'opera
giovanile: rappresentata alle Lenee del 316 a. C.
Nel
Prologo il dio Pan ci dà informazioni sul protagonista, un vecchio contadino
dell'Attica, uno di quegli agricoltori"capaci di coltivare anche le
pietre" (vv. 3 - 4). Da questi primi versi si vede che la dimensione
eroica, checché se ne dica, non è del tutto sparita dalla commedia nuova: il
contadino di Menandro conserva qualche cosa dell'eroismo di quello di Esiodo, dal
momento che sopravvive traendo l'estremo prodotto possibile da una terra avara.
Ma
Cnemone non è solo un tenace e duro lavoratore; è pure un
"uomo
disumano assai,
intrattabile
(duvskolo"
appunto) con tutti, che non sta bene con la gente" (vv. 6 - 7). Se Cnemone
dunque è un disumano (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")
chi
è umano secondo Menandro?
Colui
che si adatta ad una società borghese, leggera, cortese priva di precise
convinzioni politiche e morali, come suggerisce Snell in Poesia e società “Nel prologo il dio Pan definisce il dyskolos, l’eroe della commedia, un ajpavnqrwpo"
a[nqrwpo"
(v. 6), un uomo disumano. Che significa uomo? E’ disumano chi non è amichevole
con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza[1].
In
Tirteo era un “uomo” chi possedeva la virtù del coraggio e dava tutto allo
Stato, anche la vita (…) Poi essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta
un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire,
ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente. Menandro, quando parla
semplicemente dell’uomo, non pensa né ad antiche virtù né a capacità spirituali.
Per i suoi uomini non esiste un fine al di là della propria vita. Lo Sato non
pone compiti di qualche valore, da quando i Macedoni hanno occupato città già
autonome. L’aspirazione al sapere tocca ai filosofi e ai dotti specialisti: anche
i problemi del bene e del male sono diventati “teorici” e sono oggetto di
dispute per le scuole filosofiche…Ma che significa umano e disumano per
Menandro? ”. La società è mutata, è “ormai limitata alla semplice convivenza, non
più legata da fini o interessi comuni… Per Menandro anthropos è l'uomo che si adatta a una simile società, a questa
società che è in pari tempo signorile e borghese (e che parla un attico
affascinante). Anche in questa società i Greci confermano di avere il talento
di creare forme esemplari. Dalla commedia borghese di Menandro e dei suoi
contemporanei derivano le commedie romane di Terenzio e di Plauto e, attraverso
queste, le commedie del Rinascimento e del barocco e quindi la commedia moderna,
il dramma borghese dei moderni e i film dei nostri giorni. Così l’Occidente ha
imparato che cosa sia la “società". Le convenzioni, ciò che “uno”
fa…furono in gran parte fissate dalla Commedia Nuova del tardo quarto secolo.
Proprio
perché è priva di specifiche dottrine religiose, politiche e morali, la
Commedia Nuova ha potuto segnare con la sua impronta la cultura sociale dei
Romani e poi di altri popoli occidentali. E’ più facile importare e trapiantare
le buone maniere che gli usi religiosi e i principi morali”[2]
E'
la civiltà delle buone maniere dalla quale Cnemone si è colpevolmente escluso
diventando un disumano regredito a “un'esistenza precivile, da Ciclope”[3].
Polifemo e i suoi simili infatti:
"non hanno assemblee deliberative, nè
leggi
ma
abitano sulle cime di alti monti
in
caverne profonde, e ciascuno dà leggi
ai
figli e alle mogli, né si curano l'uno dell'altro" (Odissea, IX, 112 - 115).
E'
questo il primo ritratto dell'uomo impolitico e del tutto asociale che la
grecità, almeno quella ateniese fino a Menandro, biasima: Tucidide (II, 40, 2) fa
dire a Pericle: "Siamo i soli infatti a considerare non tranquillo ma
inutile (oujk
ajpravgmona, ajll; ajcrei'on) chi non si interessa degli affari
pubblici".
Il
misantropo dunque è un asociale che
"non
ha mai rivolto per primo la parola a nessuno" (10), tranne un fuggevole
saluto al simulacro dello stesso dio Pan, solo perché"costretto dalla
vicinanza" (11).
Un individuo simile a Cnemone è quello che
impersona La scortesia, il XV dei Caratteri di Teofrasto: " La
scortesia (aujqavdeia, parola
che implica anche prepotenza e narcisismo) è durezza nel relazionarsi con le
parole, e lo scortese è il tipo, se riceve la domanda - dov'è il tale? -, capace
di rispondere - non mi dare briga - (pravgmatav moi mh; pavrece) ".
Disumano
allora è "chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti
con diffidenza" ne inferisce Snell (Poesia
e società,. p. 151) che in una nota cita anche Shakespeare: "He' s opposite to humanity ", è un
nemico del genere umano, detto di Apemanto, filosofo senza creanza, in Timone d'Atene (I, 1).
Cfr.
La diffidenza di Teofrasto. J ajpistiva cercal
Insomma costoro sono persone che peccano
contro le convenienze le quali sono cresciute di pregio da quando la polis non
dà compiti di grande valore siccome i Macedoni hanno occupato l'acropoli, e
l'aspirazione al sapere, all'arricchimento filosofico o letterario dell'anima
riguarda i dotti specialisti. Proprio questa mancanza di alti ideali o di
specifiche dottrine ha messo la Commedia nuova in una condizione di esemplarità
rispetto a Plauto, Terenzio e anche ad autori del Rinascimento, dell'età
barocca e pure di quella moderna.
Disumano è pertanto Cnemone per il fatto che
non si adatta a una società di persone civili e cortesi. Egli, ci informa
ancora Pan, "ha sposato una vedova" (14) che aveva già un figlio, Gorgia,
e con lei litigava sempre. Poi "gli nasce una bambina: peggio ancora"
(19 - 20). Un'espressione del genere si confà a un personaggio siffatto di
Terenzio: Demea degli Adelphoe che
dice di sé (866 - 868):
"ego ille agrestis, saevos, tristis, parcus, truculentus, tenax,
duxi uxorem: quam ibi miseriam vidi! Nati filii;
alia cura ",
io quel rozzo campagnolo, disumano, tetro, avaro, duro, testardo, ho preso
moglie: quale miseria ci ho trovato! Sono nati i figli; altra preoccupazione.
Questa descrizione invero deriva
dal
fr. 11 Körte. di Menandro: " jEgw; d j a[groiko", ejrgavth", skuqrov",
pikrov", feidwlov"",
io villano, lavoratore, arcigno, duro, tirchio. Come si vede le stesse cose, e
gli stessi tipi ritornano.
Sicché
la moglie di Cnemone lo ha lasciato, ed è andata a vivere con il figlio su un
piccolo podere nelle vicinanze dove i due si mantengono a stento. Per fortuna:
"il
ragazzo ha cervello al di sopra della sua età:
infatti
l'esperienza delle difficoltà fa crescere"
("proavgei ga; r hj tw'n pragmavtwn ejmpeiriva",
v. 29).
Ecco
dunque che pure in questa commedia si annida la formula delfica che è pura la
fondamentale legge tragica codificata da Eschilo nell'Agamennone (v. 177) con le parole: "tw'/ pavqei mavqo"",
attraverso la sofferenza la comprensione. Ma il vecchio non è ancora arrivato
alla resipiscenza, a quel "ora comprendo" che rende pure Admeto
meritevole di grazia (cfr. Alcesti, v.
940).
Ottima
invece è la ragazza figlia di Menandro, la quale "in conseguenza
dell'educazione ricevuta non sa nulla di cattivo" (35 - 36). E' strano che
una giovane crescendo in un'ambiente del genere possa fruire di una buona
educazione, ma intanto, come specificherà più avanti Menandro, il padre è
"selvaggio" sì, però è anche un "nemico della malvagità" (v.
388), poi dietro l'approvazione di tale paideia per le fanciulle c'è la
filosofia del Peripato: Barigazzi (La
formazione spirituale di Menandro) ci informa che Teofrasto in un frammento
consiglia di tenere le bambine chiuse in casa perché crescano riservate e
pudiche. La moglie infatti deve essere scelta per la modestia, la scarsa
loquacità, e l'indole buona. Alla donna dunque non servono grandi qualità
intellettuali.
Affermazione
dalla quale, sia chiaro, noi dissentiamo con forza.
Cfr.
anche Senofonte, Economico, 7, 5.
Aristotele
nell'Etica Nicomachea aveva scritto
che i rapporti tra i coniugi devono basarsi sulla filiva, affetto,
ma l'uomo deve avere la supremazia.
E una bella sentenza di Menandro ci ricorda, se
ce ne fosse bisogno, che in natura "niente è tanto congeniale come l'uomo
e la donna, a guardarci bene".
La ragazza in questione è pure pia; anche per
questo riesce simpatica a Pan il quale intende proteggerla e favorirla: al
punto che ha fatto innamorare di lei "un giovane figlio di un uomo
ricco" (39 - 40) che passava di là.
Finito
il prologo, entra per l'appunto l'innamorato, Sostrato, accompagnato da Cherea,
parassita e amico. Quest'ultimo distingue l'amore per l'etèra che va
soddisfatta subito: "infatti il temporeggiare fa crescere di molto la
passione" (62) da quello per la ragazza libera: allora è necessario
informarsi "sulla famiglia, i beni, i costumi" (65 - 66).
Una
prassi questa che ha sapore di cultura borghese. Basta pensare ai matrimoni
d'interesse, tutti falliti, di Tony, della saga borghese di I Buddenbrook di Thomas Mann. Viceversa
in Menandro prevale l'inclinazione reciproca, il conveniunt mores, concordano
i caratteri, come
si legge nel suo discepolo Terenzio (Andria, 696).
Analoga riflessione
si trova in Svevo: "Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente
buono; se non l'ama, pessimo" (Una
vita, p. 208).
A Sostrato il sistema delle informazioni non
piace, comunque ha mandato lo schiavo
Pirria (71) dal padre della ragazza. Anzi l'innamorato è in pena per il
ritardo (78). Ma ecco che Pirria arriva come servus currens poiché grida: "c'è un matto che mi
insegue" (82). Non solo: il poveretto è stato pure fatto bersaglio di
zolle e pietre (83). L'informazione che deve dare non è positiva: il vecchio
che abita lì è "matto e indemoniato" (89 - 90). Quando bussò alla
porta venne fuori "una vecchia disgraziata" (99) la quale glielo
indicò su una collina dove raccoglieva qualcosa. Pirria allora si è avvicinato,
ma il contadino lo ha aggredito apostrofandolo con un:
"maledetto
uomo, tu vieni nel mio campo!", quindi ha preso una zolla e gliel'ha tirata
in faccia (108 - 111).
Poi l'ha assalito con un paletto gridando: "che
cosa abbiamo a che fare tu ed io? " (114 - 115). Ma non basta: Pirria[4] si è
dato alla fuga e il vecchio a inseguirlo tirandogli "zolle pietre e anche
pere, come non aveva più altro" (120 - 121). Il servo dunque consiglia di
battere in ritirata, l’amico Cherea di rimandare la visita, per lo meno; infatti
dice:
"sappi
bene che
in
tutte le cose è più efficace scegliere il momento opportuno (" ejsti; praktikwvteron
eujkairiva"127
- 128). Questo consiglio percorre gran parte della cultura classica: il
principale teorico della necessità di cogliere l'occasione (kairov") è
Isocrate; e nella commedia latina possiamo ritrovare l'affermazione ai vv. 364
- 365 dell'Heautontimorumenos di Terenzio:
"in tempore ad eam veni, quod rerum
omniust primum ", sono andato da lei al momento giusto che è quello
che conta più di tutto.
continua
Bello, Gianni! Mi mancava un tuo lavoro su Menandro.
RispondiEliminaAlessandro
...leggere il tuo blog è sempre cogliere l'occasione per imparare.Giovanna Tocco
RispondiElimina